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Penale.it - Tribunale di Salerno, Sezione Distaccata di Eboli, Sentenza 28 aprile 2011

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Tribunale di Salerno, Sezione Distaccata di Eboli, Sentenza 28 aprile 2011
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L'atto di conferimento di un socio in una costituenda società di persone non ha natura fidefaciente. Di conseguenza, la sua non corrispondenza al vero non può costituire il fatto tipico previsto come reato dall'art. 483 c.p. ma solo un'ipotesi di inadempimento sul piano civilistico

 Tribunale di Salerno

Sezione distaccata di Eboli
Repubblica Italiana
In Nome del Popolo Italiano
 
Il Giudice dell’intestata Sezione distaccata di Tribunale, dott. Stefano Berni Canani, all'udienza  del 28 aprile 2011, ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente
SENTENZA
Nei confronti di:
C.M., nato a Xxxxxxx (XX) il XX.XX.19XXX, ivi residente alla Xxxxxxx n. X – libero, contumace;
Assistito dal difensore di fiducia: avv. Carlo Nunziante Cesaro del Foro di Salerno
IMPUTATO
del reato di cui all’art. 483 c.p. per aver falsamente attestato al Notaio P. C. nell’atto pubblico redatto in A. il 31/12/2003 e relativo alla costituzione della società C. M. S.a.s. di C. M. & C., nella quale lo stesso indagato è socio di maggioranza con una quota pari al 96,4% del capitale sociale, il conferimento nella stessa società di poste attive e passive della ditta individuale C. M. non corrispondenti ai valori effettivi, costituite da debiti verso fornitori conferiti in misura superiore a quella reale per complessivi Euro 299.094,95 (relativi ai fornitori G. Snc, P. Spa, E. Srl, F. Srl, I. Srl, V. A. Srl, W. Spa, C. Spa, E. Spa, F. Srl, S. Spa, E. Srl, C. P. Spa, I. Spa); da crediti verso clienti conferiti in misura superiore a quella reale per complessivi Euro 30.782,21 (relativi ai clienti C. P. Srl, C. Srl); da beni strumentali conferiti in misura superiore a quella reale per complessivi Euro 25.939,25 (relativi a due registratori di cassa, due betoniere, tre saldatrici, due trapani, due vibratori, quindici forme di prefabbricati, una calcolatrice, uno stampo cancellabile, una Fiat Uno targa SA 8…….., un autocarro Fiat 875) e non rinvenuti presso la sede della costituita società dal consulente tecnico d’ufficio D.ssa C. C. nelle date dal 14 e 15/5/04; dal saldo attivo delle banche (relativo al conto corrente acceso presso la filiale di B. della Banca della Campania conferito e dal conto corrente acceso presso la filiale di M. della Banca di credito cooperativo) conferito in misura superiore a quella reale per complessivi Euro 29.767,62 e dalle rimanenze di merci conferite in misura inferiore a quella reale per complessivi Euro 97.550,00, con la conseguente falsa attestazione del capitale netto della suddetta ditta individuale, conferito nella società in misura inferiore a quello reale per Euro 310.209,87.
Fatti commessi in A. il 31/12/2003.
Con l’intervento del pubblico ministero dott.ssa L. Nigro, V.P.O.
Le parti hanno concluso nel modo seguente:
- l'Ufficio del pubblico ministero: condanna alla pena finale di mesi 9 di reclusione;
- il difensore dell'imputato: assoluzione perché il fatto non costituisce reato; in subordine, assoluzione perché il fatto non sussiste.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E
MOTIVI DELLA DECISIONE
 
Con decreto di citazione diretta datato 27/8/2007 C.M. veniva tratto a giudizio innanzi questo Tribunale per rispondere dell’imputazione indicata in rubrica.
All’udienza dell’8/7/2008 il Giudice, nel contraddittorio delle parti, dichiarava la contumacia dell’imputato.
Dopo un rinvio in liminae litis, all’udienza del 3/2/2009 in assenza di questioni preliminari veniva dichiarato aperto il dibattimento, l’assistente del Giudice dava lettura dell’imputazione e le parti articolavano le rispettive richieste di prova, sia documentale che dichiarativa, che il Giudice ammetteva poiché considerate ammissibili, rilevanti e pertinenti rispetto all’imputazione. Venivano indi escussi i testi del P.M. C. e C..
All’udienza del 3/12/2009 veniva escusso il teste del P.M. M.llo S. e le parti concordemente rinunciavano al teste V., la cui ordinanza ammissiva il Giudice revocava.
All’udienza del 10/6/2010 il Giudice, con ordinanza emessa ex art. 507 c.p.p., riteneva assolutamente necessario citare d’ufficio per l’escussione testimoniale i testi del P.M. S. e C..
All’udienza del 21/9/2010 veniva escusso un teste ex art. 507 c.p.p., M.llo S..
All’udienza del 10/2/2011 veniva escusso un altro teste ex art. 507 c.p.p., C. C..
Si giungeva all’udienza del 28/4/2011 ove si constatava il mutamento della persona del Giudice. Poiché il difensore non prestava il consenso alla rinnovazione mediante lettura degli atti sino ad allora compiuti nel corso dell’istruttoria dibattimentale, il Giudice dichiarava la retrocessione della fase dibattimentale alla fase anteriore alle questioni preliminari.
Indi, ritenuto di poter considerare - ai fini del vaglio di ammissibilità delle richieste di prova - le deposizioni testimoniali già rese e contenute nel fascicolo del dibattimento (come da giurisprudenza della Corte Costituzionale in merito), e considerato che i testi del P.M. fossero superflui rispetto al completamento dell’istruttoria ed alla possibilità di una decisione nel merito della responsabilità penale, il Giudice rigettava la richiesta di prova avanzata dal P.M., per superfluità delle deposizioni da assumere.
Indi, la difesa chiedeva ammettersi la prova testimoniale del teste C., non compreso nella sua lista testi. Il Giudice chiedeva precisarsi la natura della deposizione testimoniale ed il difensore espressamente specificava trattarsi di testimonianza ex artt. 468 e 493 c.p.p.. Di conseguenza, il Giudice rigettava la richiesta di ammissione in quanto si trattava di teste non compreso nelle liste testi depositate entro i termini decadenziali previsti dall’art. 468, 1° comma c.p.p..
Successivamente, il Giudice disponeva la rinnovazione mediante lettura degli atti istruttori compiuti sino ad allora, per la precisione delle deposizioni dibattimentali dei testi C., C. e S., e dichiarata chiusa l’istruttoria dibattimentale, con la conseguente utilizzabilità di tutti gli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento, invitava le parti alle rispettive conclusioni, riportate a verbale.
Seguiva la fase deliberativa in camera di consiglio, al termine della quale il Giudice leggeva pubblicamente il dispositivo della presente sentenza, riservando il termine previsto dall’art. 544, 3° comma c.p.p. per il deposito delle motivazioni.
In via preliminare, prima di pronunziarsi sul merito del responsabilità penale, va ribadita la dichiarazione (già effettuata, nel corso dell’udienza di discussione, alla chiusura del dibattimento) di completa utilizzabilità di tutti gli atti presenti nel fascicolo del dibattimento.
Sia i risultati di prova dichiarativa oggetto dell’esame incrociato dibattimentale compiuto dalle parti, sia le prove documentali, sia gli atti la cui acquisizione al fascicolo del dibattimento è stata il frutto di un accordo tra le parti processuali ai sensi dell’art. 493, 3° comma c.p.p., vanno infatti dichiarati completamente utilizzabili ai fini della decisione sull’an della fattispecie penale, senza che in essi sussistano patologie tali da inficiarne, anche solo in parte, la validità prima e l’utilizzabilità ai fini della decisione poi.
Nel merito dell’imputazione oggetto dell’editto accusatorio, ritiene il Tribunale che gli elementi di prova emersi nel corso del dibattimento a carico di C.M. non siano stati di una tale pienezza e compiutezza da consentirgli di affermare – al di là di ogni ragionevole dubbio – la piena responsabilità penale dell’imputato stesso in ordine al delitto ascrittogli in rubrica.
C.M. è accusato del delitto di cui all’art. 483 c.p. per fatti commessi in A. il 31/12/2003 per aver falsamente attestato al Notaio P. C. nell’atto pubblico redatto in A. il 31/12/2003 e relativo alla costituzione della società C.M. S.a.s. di C. M. & C., nella quale lo stesso indagato (rectius imputato) è socio di maggioranza con una quota pari al 96,4% del capitale sociale, il conferimento nella stessa società di poste attive e passive della ditta individuale C.M. non corrispondenti ai valori effettivi, costituite da debiti verso fornitori conferiti in misura superiore a quella reale per complessivi Euro 299.094,95 (relativi ai fornitori G. Snc, P. Spa, E. Srl, F. Srl, I. Srl, V. A. Srl, W. Spa, C. Spa, E. Spa, F. Srl, S. Spa, E. Srl, C. P. Spa, I. Spa); da crediti verso clienti conferiti in misura superiore a quella reale per complessivi Euro 30.782,21 (relativi ai clienti C. P. Srl, C. Srl); da beni strumentali conferiti in misura superiore a quella reale per complessivi Euro 25.939,25 (relativi a due registratori di cassa, due betoniere, tre saldatrici, due trapani, due vibratori, quindici forme di prefabbricati, una calcolatrice, uno stampo cancellabile, una Fiat Uno targa SA 8……, un autocarro Fiat 875) e non rinvenuti presso la sede della costituita società dal consulente tecnico d’ufficio D.ssa C. C. nelle date dal 14 e 15/5/04; dal saldo attivo delle banche (relativo al conto corrente acceso presso la filiale di B. della Banca della Campania conferito e dal conto corrente acceso presso la filiale di M. della Banca di credito cooperativo) conferito in misura superiore a quella reale per complessivi Euro 29.767,62 e dalle rimanenze di merci conferite in misura inferiore a quella reale per complessivi Euro 97.550,00, con la conseguente falsa attestazione del capitale netto della suddetta ditta individuale, conferito nella società in misura inferiore a quello reale per Euro 310.209,87.
Il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, previsto dall’art. 483, 1° comma c.p., sanziona con la pena della reclusione fino a due anni chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità.
Per ciò che concerne l’elemento strutturale oggettivo della fattispecie criminosa, il reato si perfeziona esclusivamente qualora l'atto pubblico, nel quale la dichiarazione (di scienza o di volontà) del privato sia stata trasfusa, sia destinato ab initio a provare la verità dei fatti attestati. Ciò avviene solo allorquando esista nell’ordinamento giuridico una norma cogente che obblighi il privato a dichiarare il vero, ricollegando specifici effetti all’atto nel quale la dichiarazione è stata inserita dal pubblico ufficiale che lo ha formato.
Sulla necessità che sia una specifica norma giuridica ad attribuire all'atto la funzione di provare i fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale, così collegando l'efficacia probatoria dell'atto ad un dovere positivamente imposto del soggetto attivo del reato di affermare il vero, nonostante qualche arresto contrario della giurisprudenza (Cass. Sez. 5 n. 9048 del 16/06/1999, Rv. 213961 e Cass. Sez. 5 n. 23224 del 14/04/2003, Rv. 224930), si sono succedute ben due coeve prese di posizione della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Cass. Sezioni Unite n. 6 del 17/02/1999, Rv. 212782 e Cass. Sezioni Unite n. 28 del 15/12/1999, Rv. 215413), che hanno definitivamente statuito in proposito.
Oggetto della tutela penale posta dal delitto de quo è l'interesse dello Stato a garantire il bene giuridico della pubblica fede. Attiene dunque alla pubblica fede attribuita agli atti pubblici non ciò che il pubblico ufficiale che redige l’atto vi attesta per sua scienza, ma quello che vi assevera il dichiarante attraverso la documentazione del pubblico ufficiale.
Di conseguenza, è evidente come il perfezionamento della fattispecie criminosa postuli necessariamente che il dichiarante abbia il dovere giuridico di esprimere la verità in quanto affermato.
Se infatti, a parere di questo Giudice, al dichiarante non fosse imposto tale dovere, le sue dichiarazioni, pur se in ipotesi non veritiere, non potrebbero richiamare la fede pubblica e l'atto non potrebbe opinarsi come destinato a provare la verità dei fatti ivi attestati dal dichiarante.
Se tale dovere di attestare il vero, dunque, è cogente ed a contenuto impositivo, esso non può che essere giuridico, ergo stabilito esplicitamente  dalla legge, sia essa una qualunque legge di natura penale, civile, amministrativa o processuale.
Invero, un dovere imposto dall’ordinamento, come ogni dovere giuridico, comporta una restrizione, che deve derivare solo da una norma giuridica.
Solo intesa in tal modo la fattispecie di cui all'art. 483 c.p. può essere interpretata come dotata di un grado minimo di necessaria specificità e determinatezza, espressa dal principio, di matrice costituzionale, di tassatività del precetto penale.
Poiché allora, come supra accennato, oggetto della tutela penale del reato de quo, è l'interesse di matrice pubblicistica volto a garantire la protezione del bene giuridico della pubblica fede documentale riconosciuta agli atti pubblici, è estraneo a tale tutela l'oggetto del reato allorquando non vi sia nessuna rilevanza al documento formato da un pubblico ufficiale che sia stata attribuita espressamente dall'ordinamento giuridico.
Ne può, del resto, farsi discendere un obbligo, per il soggetto agente, all’affermazione veritiera, dallo stesso articolo 483 c.p., il quale comprende nella sua tipicità non già la dichiarazione mendace in sé, ma esclusivamente l'atto pubblico nel quale la dichiarazione, sia essa di scienza o di verità, è stata trasfusa e sempre che, come si è detto, l'atto sia destinato a provare la verità dei fatti attestati.
Per valutare se sia avvenuto o meno il perfezionamento dell’elemento oggettivo del delitto di cui all’art. 483 c.p. si tratta, allora, di stabilire se vi sia stato o meno, per C.M., un obbligo giuridico di dire la verità allorquando formò, innanzi al notaio rogante, l’atto di costituzione della società C.M. S.a.s. di C. M. & C..
A parere di questo Giudice l’atto costitutivo di una società in accomandita semplice non è dotato di fidefacienza, poiché nessuna norma, nemmeno di diritto privato, impone al socio costituente di dire il vero al momento della costituzione di una s.a.s. riguardo il valore reale dei beni conferiti.
Le società di capitali sono dotate di autonomia patrimoniale c.d. perfetta, di modo che i soci rispondono dei debiti della società soltanto nei limiti della quota conferita.
Ciò comporta che i creditori personali del socio non possano soddisfarsi sui beni della società e che i creditori sociali, a loro volta, non possano pretendere che i soci rispondano con i patrimoni personali ai debiti contratti dalla società.
Le vicende patrimoniali dei soci, nelle società di capitali, dunque, non intaccano il patrimonio sociale e viceversa, con la sola eccezione dell’ipotesi in cui tutte le quote o le azioni si concentrino nelle mani di una sola persona, (a meno che non si tratti di una s.r.l. unipersonale o di una s.p.a. unipersonale). L’atto costitutivo e quello di conferimento hanno pertanto natura fidefaciente, poiché sono volti alla tutela delle posizioni giuridiche soggettive dei creditori, dei soci e dei terzi.
Nelle società di persone, al contrario, si realizza invece un’autonomia patrimoniale c.d. imperfetta, che si traduce nella responsabilità illimitata e solidale dei soci con il proprio patrimonio (ad eccezione dei soci accomandanti) per i debiti della società, pur se in via sussidiaria: conseguentemente, l’atto di conferimento dei beni alla titolarità della società non ha natura fidefaciente, in quanto non è volto alla tutela delle posizioni giuridiche soggettive dei creditori o dei terzi.
Di tal modo, l’atto di conferimento, nelle società di persone, ha natura meramente negoziale ed è privo di rilievo pubblicistico. Esso, infatti, non è volto alla tutela della pubblica fede (ovvero a garantire la certezza delle situazioni giuridiche soggettive dei creditori e di terzi) ma solo ad una eventuale tutela delle posizioni giuridiche soggettive dei soci. La sua non corrispondenza al vero è perciò fonte solo di un’obbligazione costitutiva, per il socio, di responsabilità civile da inadempimento.
Ciò che caratterizza l'atto pubblico fidefaciente è, dunque, oltre all'attestazione di fatti appartenenti all'attività del pubblico ufficiale o caduti sotto la sua percezione, la circostanza che esso sia destinato ab initio alla prova, ossia precostituito a garanzia della pubblica fede e redatto da un pubblico ufficiale autorizzato, nell’esercizio di una speciale funzione certificatrice, diretta, cioè, in forza di una norma giuridica, alla prova di fatti che lo stesso funzionario redigente riferisce come visti, uditi o compiuti direttamente da lui. (cfr. Cass. Sez. 6 n. 10414 del 12/12/1989, Rv. 184934, Imp. Bettinelli, in termini). Quest’eventualità imprescindibile dell’elemento strutturale del reato non si è verificata nel caso di specie, nel quale la condotta materiale dell’imputato si sarebbe appuntata, nella prospettazione accusatoria, su un atto costitutivo di una società in accomandita semplice, che non è redatto a garanzia della pubblica fede (ovvero per la tutela di terzi affidatari o di creditori).
L’eventuale non veridicità delle dichiarazioni negoziali potrà, al più, avere conseguenze sul piano risarcitorio per i soci danneggiati, che avranno in ipotesi affidato la loro volontà adesiva al contratto sociale sul valore dei conferimenti poi risultati non veritieri, ma giammai potrà avere rilievo diretto nei riguardi dei terzi, i quali potranno far valere le loro eventuali pretese patrimoniali nei confronti della società anche avverso il patrimonio dei singoli soci, data la mancanza di autonomia patrimoniale della persona giuridica.
All’interpretazione della fattispecie offerta da questo Tribunale soccorrono anche dati positivi.
L’art. 2343 c.c. così come novellato dal D.Lgs. del 17 gennaio 2003, n. 6 – non certo a caso collocato dal Legislatore all’interno del capo V del libro V del codice civile in tema di costituzione delle società per azioni – prevede che chi conferisce beni in natura o crediti in una costituenda s.p.a. debba presentare la relazione giurata di un esperto designato dal Tribunale nel cui circondario ha sede la società, contenente la descrizione dei beni o dei crediti conferiti, l'attestazione che il loro valore è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell'eventuale soprapprezzo e i criteri di valutazione seguiti. La relazione deve essere allegata all'atto costitutivo.
L’art. 2465 c.c. – collocato all’interno del capo VII del libro V del codice civile in tema di costituzione delle società a responsabilità limitata – prevede invece che chi conferisce beni in natura o crediti in una costituenda s.r.l. debba presentare la relazione giurata di un esperto o di una società di revisione iscritti nel registro dei revisori contabili o di una società di revisione iscritta nell'apposito registro albo. La relazione, che deve contenere la descrizione dei beni o crediti conferiti, l'indicazione dei criteri di valutazione adottati e l'attestazione che il loro valore è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell'eventuale soprapprezzo, deve essere allegata all'atto costitutivo.
Orbene, l’aver preveduto esclusivamente per le società di capitali tale funzione di controllo e di valutazione del valore reale dei conferimenti da parte di un perito nominato dal Tribunale, di un esperto o di una società di revisione iscritti negli appositi albi, è indice esegetico della volontà del Legislatore di lasciare che l’atto costitutivo di società di persone non abbia alcun valore fidefaciente, perché esso non ha la funzione di tutelare il patrimonio dei soci e dei terzi da una possibile non veridicità.
Ad abuntantiam, va evidenziato come il Legislatore abbia addirittura previsto, per le società di capitali, mediante l’introduzione dell’art. 2343, 4° comma c.c., che vi possa essere uno scostamento tra valore di stima e valore effettivo dei beni conferiti nell’atto di costituzione, imponendo agli amministratori il controllo delle valutazioni dell'esperto, prevedendo però un margine di scarto tra valore dichiarato e valore reale che solo attiva sanzioni sul piano civilistico, ovvero stabilendo che unicamente se risulta che il valore dei beni o dei crediti conferiti sia inferiore di oltre un quinto a quello per cui avvenne il conferimento la società debba proporzionalmente ridurre il capitale sociale, annullando le azioni che risultano scoperte.
Sul valore pubblicistico delle previsioni supra richiamate si è espressa, in via di obiter dictum, anche la giurisprudenza della seconda sezione civile della Corte di Cassazione, allorquando ha statuito che “la nomina ad esperto per la relazione giurata di stima del patrimonio sociale, in caso di trasformazione di una società di persone in società di capitali, ai sensi degli artt. 2498 e 2343 c.c., configura una ipotesi di ufficio pubblico, previsto nell'interesse generale al corretto esercizio del diritto d'impresa ed in quello particolare dei creditori sociali e dei soci futuri” (Cass. Civ. Sez. 2 n. 1227 del 28/01/2003, Rv. 560034).
Dunque, a differenza del dato positivo espresso che il codice civile ha inteso prevedere per le società di capitali, non vi sono norme di diritto civile che impongano al conferente in una società di persone di stimare in modo veritiero il conferimento.
Certamente l’atto costitutivo di una società di persone è destinato a dimostrare un fatto storico dichiarativo, id est a fornire la prova che il socio conferente abbia dichiarato di conferire in società un determinato bene o un determinato credito ed abbia dichiarato innanzi ad un pubblico ufficiale che quel bene conferito sia dotato di un determinato valore. Esso è senza meno destinato a dimostrare la veridicità del fatto storico, ovvero che sia stato conferito in società un determinato bene.
Tuttavia è escluso – a parere di questo Giudice, per tutte le argomentazioni supra compendiate - che l'atto pubblico di costituzione di s.a.s. sia destinato ab initio a provare che un determinato bene o credito conferiti in società avessero realmente il valore dichiarato dal socio.
Di conseguenza, l’atto costitutivo di una s.a.s. non è dotato di fidefacienza e la sua eventuale non corrispondenza al vero non può integrare il fatto tipico previsto come reato dall’art. 483 c.p..
P.Q.M.
Letto l’artt. 530 c.p.p. assolve C.M. dal reato a lui ascritto in imputazione, perché il fatto non sussiste.
L’imponente carico di lavoro della Sezione distaccata del Tribunale suggerisce l’indicazione di un termine più ampio per il deposito della motivazione della sentenza, fissato in giorni novanta, come consentito dal disposto di cui all’art. 544 comma 3 c.p.p..
Eboli, 28 aprile 2011                                                  IL GIUDICE       
                                                                           Dott. Stefano Berni Canani
 
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