Versione per la stampa
Con una interessante sentenza la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione riafferma la possibilità che una rinuncia alla impugnazione, personalmente effettuata dalla parte, possa essere "ripensata".
Nel testo, oltre ai principi normativi, vengono anche espressamente indicati i limiti "temporali" che determinano l'ammissibilità di una revoca della rinuncia.
SENTENZA N. 11216/05
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LACORTE SUPREMA DI CASSAZIONE QUARTA SEZIONE PENALE
UDIENZA CAMERA DI CONSIGLIO DEL 3/2/2005 COMPOSTA DAGLI ILL.MI SIGG.RI =============================
SUL RICORSO PROPOSTO DA D. N. AVVERSO LA ORDINANZA DELLA CORTE DI APPELLO DI LECCE, SEZ. DISTACCATA DI TARANTO
SENTITE LA RELAZIONE DEL CONSIGLIERE ========= LETTE LE CONCLUSIONI DEL PG. DOTT. ===== CHE HA CHIESTO L'INAMMISSIBILITA' DEL RICORSO PER MANIFESTA INFONDATEZZA
Svolgimento del processo
D. N., tramite legale munito di procura speciale, ha proposto ricorso per cassazione avverso l'ordinanza della Corte di appello di Lecce sezione distaccata di Taranto, emessa in data 29 gennaio 2004, con la quale veniva accolta l'istanza di richiesta di indennizzo per ingiusta detenzione, patita dal 27 giugno 2001 al 14 febbraio 2002 in carcere e sino al 23 settembre 2002 agli arresti domiciliari, con liquidazione nella misura di € 19.470,00, deducendo quali motivi la violazione degli artt. 314 e 315 c.p.p. e l'illogicità manifesta della motivazione sul punto, giacchè la determinazione del danno non richiede una prova rigorosa del pregiudizio subito e sussisteva un nesso causale tra la malattia riscontrata e la carcerazione patita, pur in presenza di un soggetto con vulnerabilità psicologica di base, secondo quanto asserito dalla perizia psichiatrica, disattesa senza alcuna argomentazione, e, comunque, era intervenuto un peggioramento dello stato psico-fisico, mentre non era stata considerata l'impossibilità di poter fruire del beneficio della liberazione anticipata per altra condanna a causa dell'ingiusta custodia cautelare disposta e la liquidazione era fondata solo sul criterio matematico, e l'omessa pronuncia sulle spese in considerazione della costituzione e delle contestazioni svolte dal ministero dell'economia e delle finanze. Motivi della decisione Occorre preliminarmente rilevare che l'ordinanza impugnata è stata notificata al ricorrente il 14 febbraio 2004 ed al suo difensore il successivo 16, sicché il termine per proporre ricorso scadeva il 18 marzo stesso anno, onde la presentazione del ricorso in data 1 marzo s.a. è tempestiva. Tuttavia il 24 aprile s.a. perveniva rinuncia all'impugnazione da parte del ricorrente e con data 25 successiva la revoca di detta rinuncia. Pertanto il ricorso è inammissibile per una molteplicità di motivi, sicché il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di € 300,00 in favore della cassa delle ammende, determinata in base alla sentenza della Consulta n. 186 del 2000. Ed invero, con valore assorbente, secondo giurisprudenza uniforme sotto il vigore del precedente codice di rito (Cass. Sez. I 13 dicembre 1968 n. 1334, rv 10970 fra tante) e dell'attuale (Cass. sez. VI 22 luglio 1992 n. 8154 rv. 19140 ex plurimis), non è ammissibile la revoca della rinuncia all'impugnazione tranne che la stessa pervenga prima della scadenza del termine per impugnare, giacchè in tal caso, va intesa come esercizio di un autonomo diritto di impugnazione, non perento. Infatti, la rinuncia all'impugnazione ha natura di atto negoziale abdicativo recettizio, sicché determina l'estinzione del gravame quando perviene all'autorità competente con conseguente inammissibilità dello stesso, onde l'efficacia meramente dichiarativa dell'ordinanza con la quale il giudice prende atto della verificatasi inammissibilità. Pertanto, la revoca non solo non consente di far rivivere il diritto di impugnazione, ma neppure è giuridicamente rilevante, salvo il caso in cui di possa configurare come autonomo esercizio di un diritto di impugnazione non perento, nonostante sul punto la giurisprudenza non sia univoca, giacchè secondo un indirizzo (Cass. Sez. I 1 marzo 1993 n. 265 rv. 19324), la revoca della rinuncia non avrebbe, in ogni caso, alcun valore, in quanto la rinuncia ha già prodotto gli effetti giuridici propri dell'inammissibilità cioè il passaggio in giudicato della sentenza, trattandosi di un atto unilaterale, volontario e recettizio. Inoltre il vizio motivazionale dedotto concerne allegazioni in fatto e differenti valutazioni di emergenze processuali non consentite in sede di legittimità. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro 300,00 in favore della cassa delle ammende. Così deciso in camera di consiglio in data 3 febbraio 2005.
|