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Penale.it - Tribunale di Cosenza, Sentenza 7 luglio 2011, n. 519 - est. Francesco Luigi Branda

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Tribunale di Cosenza, Sentenza 7 luglio 2011, n. 519 - est. Francesco Luigi Branda
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Infedeltà patrimoniale (art. 2634 c.c.): lo sviamento della clientela e lo storno dei dipendenti on costituiscono, autonomamente considerati, l'elemento sogettivo del reato

 M. M.

Imputato
Del reato di cui all’art. 2634 c.c., per avere, nella qualità di amministratore unico della M. Elevatori s.r.l., di cui era socio con la sorella M. G., continuativamente esercitato un’attività di concorrenza sleale in pregiudizio della società da lui amministrata, intenzionalmente cagionandole un correlativo danno patrimoniale; concorrenza sleale consistita nel pilotare fraudolentemente i clienti di quest’ultima, coi relativi cospicui introiti, nonché gli stessi dipendenti, verso la M. s.r.l., della quale era socio con la propria moglie M. S., e tanto al fine di provocare a quest’ultima società il corrispondente ingiusto vantaggio.
Fatti commessi in Cosenza e Rende dal 2002 al 2008
 
MOTIVAZIONE
Il pubblico ministero, dopo aver chiesto per due volte l’archiviazione del procedimento nei confronti di M. M., ha formulato richiesta di rinvio a giudizio per ordine del giudice delle indagini preliminari, il quale ha ravvisato nei fatti oggetto d’indagine il reato di infedeltà patrimoniale previsto e punito dall’articolo 2634 del codice civile.
 
Il procedimento ha origine nella querela presentata da M. G., titolare di quote pari al 49% della “M. Elevatori s.r.l.”; costei ha denunciato il fratello M., amministratore della stessa società e titolare di quote pari al 51%, rimproverandogli di aver stornato fraudolentemente la clientela in favore di altra compagine, la M. s.r.l. con medesimo oggetto sociale, di cui l’odierno imputato è socio insieme alla moglie S. M.; inoltre, di aver favorito il trasferimento dei dipendenti dall’una all’altra società; in tal modo, determinando il depauperamento della prima società, con ingiusto vantaggio per la seconda.
 
La condotta che integrerebbe il reato di infedeltà patrimoniale, evidenziata nel provvedimento dispositivo della imputazione coattiva, sarebbe consistita principalmente nel prendere contatti con i clienti della M. Elevatori s.r.l., inducendoli a stipulare contratti di manutenzione con la M. s.r.l., anche mediante condotta fraudolenta consistita nel far credere ai clienti che tra le due compagini vi fosse sostanziale identità; inoltre, nel disporre il licenziamento di alcuni dipendenti, i quali successivamente avrebbero stipulato un contratto di lavoro con la seconda società..
 
La questione da affrontare è se, ed eventualmente con quali modalità, lo sviamento della clientela e lo storno di dipendenti possono integrare l’elemento oggettivo del reato previsto e sanzionato dall’articolo 2634 c.c.
Risponde di infedeltà patrimoniale, con pena da sei mesi a tre anni di reclusione, l’amministratore che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compie o concorre a deliberare atti di disposizione di beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale.
 
In dottrina si fronteggiano due orientamenti sulla esatta estensione della norma.
Secondo alcuni autori, l’endiadi “ compiere o concorrere a deliberare atti dispositivi”, permette di comprendere nell’area di rilevanza penale non solo le deliberazioni espressamente adottate, ma anche qualsiasi forma di attività gestoria che scalfisca il patrimonio sociale.
Il secondo orientamento evidenzia che la fattispecie presuppone il compimento di un atto deliberativo con cui si dispone di beni sociali, dovendosi perciò escludere rilevanza alle disposizioni patrimoniali non precedute da alcun atto.
 
Viene poi in rilievo l’individuazione dei beni sociali suscettibili di disposizione; si ritiene – in ciò differenziandosi la fattispecie in esame dall’appropriazione indebita – che la disposizione possa riguardare non solo beni mobili e beni immobili, ma anche qualsiasi altro bene su cui l’ente possa esercitare un diritto e un potere dispositivo.
E a tal punto, ci si chiede se la clientela possa essere considerata bene sociale disponibile dall’amministratore mediante il compimento di un atto.
La dottrina, con riferimento all’avviamento, di cui la clientela costituisce un profilo, ha sostenuto che "anche i beni che non hanno consistenza economica autonoma (tipico il caso dell'avviamento) possono rivestire interesse per i creditori (p. es. in caso di alienazione dell'azienda del fallito). Anche tali beni sono astrattamente suscettibili di dispersione ai danni dei creditori. In concreto occorrerà pur sempre ricollegare la scomparsa o la diminuzione di un determinato valore a una specifica condotta attiva od omissiva, riconoscibile come tipica (si pensi all'imprenditore che abbia rivelato a un concorrente, senza corrispettivo, importanti segreti di fabbricazione, o che abbia tollerato in odio ai creditori comportamenti di concorrenza sleale, come lo storno dei dipendenti o lo sviamento della clientela)"
La Cassazione, con la sentenza n.9813 del 2006, sia pur affrontando la questione sotto la lente della bancarotta fraudolenta, ha invece sottolineato la necessità che oggetto di distrazione siano rapporti giuridicamente rilevanti ed economicamente valutabili, con la conseguenza che non può costituire oggetto di distrazione l'avviamento commerciale di un'azienda.
Secondo la Corte, perché sia configurabile il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, è sufficiente, in particolare quando si tratti di imprese sociali, l'utilizzazione dei beni per finalità diverse da quelle dell'impresa cui sono destinati e la loro sottrazione alla stessa funzionalità dell'azienda.1
Sicché, ad esempio, anche "un contratto di locazione stipulato per finalità estranee all'azienda può integrare gli estremi della bancarotta per distrazione, quando venga stipulato in previsione del fallimento ed allo scopo di trasferire la disponibilità di tutti o dei principali beni aziendali ad altro soggetto giuridico" (Cass., sez. 5^, 29 ottobre 1993, Locatelli, n. 196456).
 
Tuttavia, perché si abbia bancarotta, è pur sempre necessario che oggetto di distrazione siano rapporti giuridicamente rilevanti ed economicamente valutabili.
La pronuncia della Cassazione, sez. 5^, 24 maggio 1982, Marcucci, che pure risulta massimata nel senso del riconoscimento dell'avviamento come possibile oggetto di distrazione, esclude in realtà che oggetto del reato possano essere le mere aspettative, perché si riferisce, tra l'altro, al trasferimento da un'impresa all'altra di ordinazioni già ricevute e dei materiali necessari ad eseguirle.
Secondo la giurisprudenza civile, invece, "l'avviamento va definito, nei suoi termini generali, come capacità di profitto di un'attività produttiva, ossia come quell'attitudine che consente ad un complesso aziendale di conseguire risultati economici diversi (ed, in ipotesi, maggiori) di quelli raggiungibili attraverso l'utilizzazione isolata dei singoli elementi che la compongono".2
 
 
Deve evidentemente escludersi che la qualità di un bene possa essere oggetto di disposizione o comunque di distrazione indipendentemente dal bene cui si riferisce.
La stessa idea di clientela, che secondo la giurisprudenza corrisponde a un concetto non coincidente con quello di avviamento (Cass., sez. 1^, 5 luglio 1968, n. 2258, m. 334533), esprime in realtà una mera aspettativa di reiterazione di comportamenti pregressi, quando non si riferisca a rapporti contrattuali già in corso; e, come s'è detto, un'aspettativa non può essere oggetto di distrazione o di disposizione.
Mentre i dipendenti di un'azienda, che pure contribuiscono a determinarne l'avviamento, sono persone e non possono essere degradati a bene patrimoniale passibile di distrazione (Cass. n. 9813 del 2006, in motivazione).
 
Ciò non esclude, peraltro, che possa assumere rilevanza penale un'attività di sviamento della clientela e di svuotamento di un'azienda di quegli elementi costitutivi della sua capacità produttiva che ne definiscono l'avviamento.
E, quando si tratti di aziende riconducibili a una società, tale attività penalmente rilevante può essere qualificata secondo lo schema della L. Fall. art. 223, n. 2, ove risulti che si tratti di operazioni dolose cui consegue il fallimento. Infatti, secondo la giurisprudenza, "la nozione di operazioni dolose di cui al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 223, comma 2, n. 2, prevede il comportamento degli amministratori che cagionino il dissesto con abusi o infedeltà nell'esercizio della carica ricoperta, ovvero con atti intrinsecamente pericolosi per la "salute" economico - finanziaria della impresa" (Cass., sez. 5^, 16 dicembre 1998, Carrino, m. 212613); e "non corrisponde concettualmente a quella di fatti costituenti reato, comprendendo essa, invece, qualsiasi comportamento del titolare del potere sociale che, concretandosi in un abuso o in una infedeltà delle funzioni o nella violazione dei doveri derivanti dalla sua qualità, cagioni lo stato di decozione della società, con pregiudizio della medesima, dei soci, dei creditori e dei terzi interessati" (Cass., sez. 5^, 8 aprile 1988, Grappone, m. 178604).
 
In sintesi, per quanto di interesse, la Suprema Corte ha chiarito che la clientela, di per sé, non può essere oggetto di atti di distrazione o di disposizione, poiché rappresenta soltanto un’aspettativa di reiterazione di rapporti contrattuali.
Ugualmente, i dipendenti di un'azienda, che pure contribuiscono a determinarne l'avviamento, sono persone e non possono essere degradati a bene patrimoniale passibile di distrazione o di disposizione.
 
L’argomentazione è sovrapponibile anche alla fattispecie della infedeltà patrimoniale disciplinata dall’articolo 2634 c.c., dove è ugualmente richiesto un atto di disposizione di beni sociali.
Per le ragioni sopra esposte, non è configurabile un atto di disposizione della clientela o dei dipendenti. Il principio di stretta interpretazione che regna nel diritto penale non permette di estendere il significato della norma, fino a ricomprendervi comportamenti che indirettamente incidono sull’avviamento della società, ma che non si concretizzano in atti di disposizione di beni sociali.
Per estendere l’ambito di applicazione della norma a tali condotte, sarebbe stato necessario il riferimento ad un concetto più generico, ad esempio a quello di “operazioni dolose finalizzate al depauperamento del patrimonio sociale”, condotta a forma libera che tuttavia non trova riscontro nella lettera della norma esaminata .
Nel caso in esame, la M. s.r.l. non è subentrata nella fase esecutiva di contratti in corso, sostituendosi alla M. Elevatori s.r.l.; al più, ha stipulato nuovi contratti di manutenzione con i clienti di questa, senza che ciò sia stato determinato da un atto di disposizione di beni sociali da parte dell’amministratore della M. Elevatori.
La concorrenza sleale ravvisabile nella condotta ipotizzata non coincide con la fattispecie delittuosa prevista dall’articolo 2634 c.c.; il divieto di analogia in malam partem non permette l’estensione dell’area di rilevanza penale oltre il limite segnato dal significato letterale delle parole che il legislatore ha utilizzato per descrivere l’elemento oggettivo del reato (caratterizzato dal compimento di atti di disposizione di beni sociali).
Le condotte contestate in questa sede (sviamento della clientela e storno di dipendenti), qualificabili in termini di mera concorrenza sleale, integrano esclusivamente ipotesi di responsabilità civile.
La tendenza a trasferire nell’area di rilevanza penale ipotesi di inadempienza contrattuale o comunque di illecito civile, anche mediante il ricorso ad interpretazioni estensive delle norme incriminatrici, influenzata dal fatto che la tutela nella sede competente è lenta e meno efficace, trova ostacolo insormontabile nella necessaria osservanza del principio di legalità, che non permette di attribuire alle parole impiegate dal legislatore una portata più ampia del loro significato letterale, ritenendo ad esempio che lo sviamento della clientela o lo storno dei dipendenti di una società commerciale possano di per sé addirittura rappresentare atti di disposizioni dei beni sociali.
Di certo, lo sviamento della clientela può integrare lo svantaggio preso in considerazione dalla norma quale conseguenza dell’atto di disposizione del bene sociale, ma non può sostituirsi a quest’ultimo, quando non sia stato neppure contestato in concreto il compimento di uno specifico atto deliberativo o di gestione del patrimonio sociale in condizioni di conflitto di interesse.
 
 
P.Q.M.
Letti gli artt. 425 c.p.p.
Dichiara il non luogo a procedere nei confronti di M. Mario in ordine al reato ascrittogli perché il fatto non sussiste.
Cosenza, 7 luglio 2011 Il giudice
Dr. Francesco Luigi Branda
 

 
 
1 Cass., sez. 5^, 18 novembre 1983, Bandini, m. 162387, Cass., sez. 5^, 28 marzo 1985, Cass., sez. 5^, 10 luglio 1985, Bedeschi, m. 170792, Cass., sez. 5^, 15 novembre 1985, Vicario, n. 171858, Cass., sez. 5^, 20 novembre 1987, Cartotto, n. 177518, Cass., sez. 5^, 7 marzo 1989, Bruzzese, m. 182141) o anche solo alla disponibilità degli organi fallimentari (Cass., sez. 5^, 23 marzo 1988, Fabbri, m. 179047.
2 Cass., sez. 1^, 2 agosto 1995, n. 8470, m. 493535, Cass., sez. 1^, 23 luglio 1969, n. 2774, m. 342509.
 
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