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Penale.it - Francesco Gatti, Brevissimi appunti in tema di peculiarità dell'azione civile avanti al Giudice di pace penale

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Francesco Gatti, Brevissimi appunti in tema di peculiarità dell'azione civile avanti al Giudice di pace penale
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Testo dell'intervento a margine del convegno “l'azione civile nel processo penale” - Perugia, 8 luglio 2011

 

BREVISSIMI APPUNTI IN TEMA DI PECULIARITÀ DELL'AZIONE CIVILE AVANTI AL GIUDICE DI PACE PENALE
(testo dell'intervento a margine del convegno “l'azione civile nel processo penale” - Perugia, 8 luglio 2011)
 
L'azione civile (così come il ruolo e le prerogative della persona offesa) nel microsistema del processo penale del giudice di pace, si modella, pur con significative eccezioni, sulla base di quella prevista nel codice di rito.
Ci sia consentito dedicarci solo alle peculiarità della normativa introdotta con il decreto legislativo numero 274 del 28 agosto 2000.
 
1. Il favore per la conciliazione
Principio generale da tenere a mente, a detto proposito, è quello statuito dell'art. 2, II comma, del D.Lgs. 274 del 28 agosto 2000, che dispone che "nel corso del procedimento, il giudice di pace deve favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra le parti".
Notiamo, in primo luogo, il riferimento al "procedimento", e non già al ''processo": detta espressione, se non utilizzata impropriamente, dovrebbe portare alla conclusione che la conciliazione dovrebbe essere favorita anche nella fase delle indagini preliminari in cui è previsto l'intervento del giudice di pace. In secondo luogo, emerge l'apparente antinomia tra l'imperativo contenuto nella norma e l'inciso "per quanto possibile". Infine, è da ritenere che il termine "conciliazione", di stretta natura civilistica (cfr. art. 185 e 320 c.c.) sia ispirato, più che altro, ai criteri generali della riforma ed alla natura di ''pace"del giudice onorario, appunto.
 
2. Il procedimento di archiviazione
Nella fase delle indagini preliminari, notiamo alcune significative differenze con quanto stabilito dal codice di procedura penale in punto di richiesta di archiviazione, e del relativo procedimento.
L'art. 17, II comma, D. Lgs. 274/2000 dispone, in primo luogo, che copia della richiesta (e non già avviso della richiesta, come previsto dali"'omologo" art. 408, II comma, c.p.p.) è notificato alla persona offesa che abbia fatto richiesta di essere avvisata dell'eventuale archiviazione. Detta previsione semplifica non poco la prima attività del difensore della persona offesa, il quale, già in prima battuta, e senza inutili accessi in Procura, è messo nella condizione di valutare la fondatezza della richiesta, avendone, appunto, immediata contezza.
A questo proposito, non si può però non notare che, a distanza di 12 anni, il legislatore è incorso nello stesso errore lessicale (se non logico), facendo nuovamente riferimento alla "archiviazione" e non alla "richiesta di archiviazione". Ci permettiamo infatti di rilevare lo scarso senso che invero avrebbe essere avvisati dell'archiviazione, a giochi fatti, e non della sua richiesta.
Altro elemento distintivo, nella fattispecie, è il contenuto della opposizione alla richiesta di archiviazione: con la stessa, a pena di inammissibilità, la persona offesa deve indicare gli elementi di prova che giustificano il rigetto della richiesta o le ulteriori indagini necessarie, distinguendosi in ciò l'atto de quo dal contenuto dall'art. 410 c.p.p., che prevede, a pena di inammissibilità dell'opposizione, la necessità dell'indicazione dell'oggetto della investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova[1].
Il contraddittorio, sulla falsa riga del rito pretorile prima dell'intervento della Corte Costituzionale, è meramente "cartolare", non essendo prevista la discussione in camera di consiglio nelle forme dell'art. 127 c.p.p.
 
3. Il ricorso immediato
L'elemento cruciale che distingue il processo avanti al giudice di pace penale è la possibilità, per i reati procedibili a querela, del ricorso immediato al giudice da parte della persona offesa, contro il soggetto al quale il reato è attribuito (che diventerà citato e poi imputato).
Il ricorso deve contenere la serie di elementi indicati dall'art. 21, II comma, D. Lgs. 274/2000 e deve essere sottoscritto dalla persona offesa e dal difensore. L'art. 21, III comma, D. Lgs. 274/2000 specifica che la sottoscrizione del ricorso da parte della persona offesa è autenticata dal difensore, anche se, ad avviso del sottoscritto, è ovviamente da ritenere possibile che l'autenticazione avvenga anche ai sensi dell'art. 39 d. att. c.p.p., e con le formalità ivi indicate.
A questo proposito si fa presente che l'art. 21, II comma, lettera c) D. Lgs. 274/2000 in tema di difensore della persona offesa ricorrente non ripete[2] l'equivoco linguistico contenuto nell'art. 78, lettera c) c.p.p., facendo, appunto, propriamente riferimento "all'indicazione del difensore del ricorrente e la relativa nomina". La sottoscrizione da parte (anche) della persona offesa è resa necessaria dalla duplice valenza del ricorso, che ai sensi del IV comma produce gli stessi effetti della presentazione della querela, tanto che, ovviamente, ai sensi dell'art. 22, I comma, D. Lgs. 274/2000, deve essere depositato entro tre mesi dalla notizia del fatto che costituisce reato.
La presentazione del ricorso, appunto, ai sensi dell'art. 22, I comma, D. Lgs. 274/2000, deve essere preceduta dalla previa comunicazione dello stesso alla procura competente, mediante deposito di copia nella segreteria del pubblico ministero. La norma si modella sostanzialmente sull'art. 153 c.p.p., e ripete la espressione "copia", di talché si può ritenere che sia la mera consegna di una copia "semplice" (e anche non autentica) a soddisfare detto adempimento.
L'art. 23 D. Lgs. 274/2000 prescrive che la costituzione di parte civile deve avvenire -in questo caso- a pena di decadenza con la presentazione del ricorso. La norma, poi, con intento e ragioni non del tutto chiare, continua specificando che "la richiesta motivata di restituzione o di risarcimento del danno contenuta nel ricorso è equiparata a tutti gli effetti alla costituzione di parte civile". Invero, non si riesce a capire come sia possibile effettuare una costituzione di parte civile senza specificare, ai sensi del combinato disposto degli artt. 74 e 78 c.p.p., la richiesta di restituzione e risarcimento del danno.
Ai sensi dell'art. 24, D. Lgs. 274/2000, il ricorso è inammissibile se presentato fuori termine, se è presentato fuori dai casi previsti (e quindi per esempio per un reato perseguibile d'ufficio), se non contiene gli elementi previsti dall'art. 21, comma II e non risulta sottoscritto[3], se è insufficiente la descrizione del fatto o l'indicazione delle fonti di prova (e non si capisce perché la cosa sia ripetuta, atteso che detti elementi sono ricompresi nell'art. 21, comma II), e se manca prova dell'avvenuta comunicazione al pubblico ministero.
L'art. 25, D. Lgs. 274 del 2000 pare imporre al pubblico ministero di presentare le sue richieste entro dieci giorni dalla comunicazione del ricorso. E' però di tutta evidenza che trattasi di termine meramente ordinatorio, atteso che -specialmente in alcune procure particolarmente oberate di lavoro- le richieste non vengono prese se non decorso qualche mese dal deposito del ricorso; è buona prassi, a detto proposito, "sollecitare" la presentazione della richiesta mediante il deposito di memoria ex art. 367 c.p.p. a firma del difensore, che a sua volta contenga la formulazione di un ipotetico capo di imputazione, che si modelli in maniera coerente sui fatti esposti nel ricorso immediato.
La richiesta dell'ufficio di procura può essere negativa o positiva. Nel primo caso il pubblico ministero (se il ricorso è inammissibile, manifestamente infondato o presentato dinanzi a un giudice di pace competente per territorio) esprime parere contrario alla citazione. Nel secondo caso, invece, formula l'imputazione confermando o modificando l'addebito.
Il giudice di pace, secondo il dato formale della legge, non è vincolato (art. 26 D. Lgs. 274/2000) dal parere negativo del pubblico ministero ai fini dell'adozione di provvedimenti "negativi": infatti, dopo che è decorso il termine di dieci giorni, se ritiene il ricorso inammissibile o manifestamente infondato rimette gli atti al PM per l 'ulteriore corso (che sarà richiesta di archiviazione in caso di manifesta infondatezza, ovvero di esercizio ordinario dell'azione in caso di reato perseguibile d'ufficio), 2.), se ritiene il reato di competenza di altro giudice rimetterà allo stesso modo gli atti al PM (ad esempio ritenendo che il reato sia di competenza del Tribunale, e quindi fuori dell'operatività dell'art. 21), se infine il reato è di competenza per territorio di altro giudice, emetterà ordinanza dichiarativa del difetto di competenza con rimessione degli atti al ricorrente, con onere per il medesimo di "riassumere" entro il termine di venti giorni il procedimento avanti al giudice ritenuto competente.
L'epilogo positivo è invece consacrato dall'art. 27 D. Lgs. 274/2000, che riguarda il decreto di convocazione delle parti. Detto provvedimento viene emesso dal giudice entro venti giorni dal deposito del ricorso (a ben vedere anche questo termine è del tutto ordinatorio), se il giudice stesso non deve provvedere ai sensi del predetto art. 26 (e cioè assumere una decisione, per così dire, "negativa").
Tra i vari elementi del decreto di convocazione delle parti c1 s1a consentito riflettere su quanto previsto dal III comma lettera e), che prevede "la data e la sottoscrizione del giudice e del!'ausiliario che lo assiste". Da un lato notiamo che detta norma si distingue dal 20, III comma, D. Lgs. 274/2000, che prescrive che la citazione a giudizio deve essere sottoscritta dal pubblico ministero Q dall'assistente giudiziario, e, dall'altro che -proprio a differenza di quanto statuito dalla norma dianzi richiamata- la mancanza del requisito di cui alla lettera e) non rende nulla la convocazione, atteso che l'art. 27, V comma, D. Lgs. 274/2000 non fa riferimento alla lettera e) in punto di nullità della convocazione, tenuto conto, altresì, del disposto dell'art. 177 c.p.p. in tema di tassatività delle nullità.
Decreto e ricorso devono essere notificati a cura del ricorrente al pubblico ministero, alla persona citata in giudizio, e al suo difensore (quello di fiducia o, ovviamente, quello nominato d'ufficio del giudice di pace), almeno venti giorni prima dell'udienza, che, a sua volta, non deve essere fissata oltre novanta giorni dal deposito del ricorso (anche questo termine è da ritenere ordinatorio).
Se vi sono più persone offese, quelle non ricorrenti, ai sensi dell'art. 28 D. Lgs. 274/2000, possono intervenire nel processo e costituirsi parte civile prima della dichiarazione di apertura del dibattimento. La loro mancata comparizione (ove il decreto sia stato loro regolarmente notificato), comporta, ai sensi dell'art. 28, III comma, D. Lgs. 274/2000 la rinuncia al diritto di querela ovvero remissione della querela qualora questa sia stata già presentata[4] .
 
4. La fase del giudizio
Il giudizio è regolato dagli artt. 29, 30, 31 e 32.
Per quanto ci riguarda, bisogna notare che, ai sensi dell'art. 29, I comma, D. Lgs. 274/2000, la persona offesa deve depositare nella cancelleria del giudice di pace, almeno sette giorni prima fissata per l'udienza di comparizione l'atto di citazione a giudizio con le relative notifiche. Poiché la norma non è assistita da alcuna sanzione, nella prassi giudiziaria è invalso l 'uso del tutto tollerato secondo cui l'originale di notifica dell'atto di citazione viene depositato in sede di prima udienza.
L'art. 29, IV comma, D. Lgs. 274/2000, seguendo il principio generale di cui all'art. 2, II comma, dispone che il giudice, quando il reato è perseguibile a querela, promuove la conciliazione tra le parti. In tal caso, qualora sia utile per favorire la conciliazione, il giudice può rinviare l 'udienza per un periodo non superiore a due mesi.
Ai sensi dell'art. 30, I comma, D. Lgs. 274/2000, in caso di ricorso immediato, la mancata comparizione all'udienza del ricorrente o del suo procuratore speciale non dovuta ad impossibilità a comparire, determina l'improcedibilità del ricorso. A questo proposito notiamo che, seguendo la lettera della legge, la presenza del difensore nominato ex art. 21, II comma, lettera c), non equivale alla presenza del procuratore speciale, che deve essere invece nominato ex art. 122 c.p.p. Così facendo, si è creato nuovamente[5] un caso di duplicazione (e sovrapposizione) di istituti sostanziali e processuali (la nomina di un procuratore speciale e la nomina di un difensore) con conseguenze piuttosto deleterie per la comprensione degli atti e speditezza del procedimento penale, e la creazione di un "tranello" di non poco conto [6].
Ai sensi dell'art. 30, III comma, D. Lgs. 274/2000, quando il reato non rientra tra quelli per cui è ammessa la citazione a giudizio su istanza della persona offesa, il giudice trasmette gli atti al PM, salvo che l 'imputato chieda che si proceda ugualmente a giudizio (la stessa cosa può avvenire qualora il ricorrente o il suo procurato speciale non si sia presentato).
Ove sia stata dichiarata l 'improcedibilità ai sensi dell'art. 30, il ricorrente può presentare istanza di nuova udienza, dando prova che la mancata comparizione è stata dovuta a caso fortuito o forza maggiore. L'istanza va depositata entro dieci giorni dalla cessazione del fatto costituendo impedimento.
 
5. L'estinzione del reato conseguente a condotta riparatoria
Assume rilevanza nello specifico campo delle tematiche da noi affrontate la disposizione dell'art. 35 D. Lgs. 274/2000, sulla estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie[7], che dispone che il giudice, sentite le parti e l'eventuale persona offesa, dichiara estinto il reato quando l'imputato dimostra di aver proceduto, prima dell'udienza di comparizione, alla riparazione del danno e di avere eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato[8].
Il giudice di pace, se richiesto, può disporre la sospensione del processo
per un periodo non superiore a tre mesi se l'imputato lo chiede nell'udienza di comparizione e dimostri di non aver potuto adempiere alle condotte riparatorie in precedenza[9].

6. Le impugnazioni
Quanto alle impugnazioni, assume particolare rilievo la disposizione contenuta nell'art. 38 D. Lgs. 274/2000, che prevede la possibilità, per il ricorrente che ha chiesto la citazione a giudizio a norma dell'art. 21, di proporre impugnazione anche agli effetti penali (cfr. previgente art. 577 c.p.p.) contro la sentenza di proscioglimento del giudice di pace negli stessi casi in cui è ammessa l'impugnazione da parte del pubblico ministero.
Ovviamente, rimane salva, per la parte civile, l 'impugnazione ai fini civili ai sensi dell'art. 576 c.p.p.
 
Francesco Gatti
 

(riproduzione riservata)

 


[1] Anche se, a ben vedere, l'opposizione della persona offesa proposta ex art. 410 c.p.p. non deve contenere necessariamente l'indicazione di indagini suppletive quando non ci siano indagini da indicare, poiché altrimenti l'art. 410 c.p.p. non sarebbe conforme a Costituzione per eccesso di delega rispetto all'art. 2, comma I, direttiva n. 51, della legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Corte Cost., 26 marzo - 11 aprile 1997, n. 95). Il Giudice delle leggi, nella sentenza appena citata, ha infatti affermato che "l'equivoco interpretativo in cui è caduto il Giudice rimettente può trovare spiegazione nel rilievo che il comma l dell'art. 410 c.p.p. disciplina l'opposizione solo con riferimento alla situazione -che ricorre certamente con maggior frequenza- in cui la persona offesa si duole per l'insufficienza e l'incompletezza delle indagini svolte dal pubblico ministero. Al riguardo, è significativo che, nell'individuare i vari strumenti di garanzia volti a rendere effettivo il principio di obbligatorietà dell'azione penale in caso di inerzie e lacune investigative del pubblico ministero, questa Corte abbia indicato anche l'opposizione della persona offesa (sentenza n. 88/91), facendo espresso richiamo alla disciplina descritta dall'art. 410 c.p.p. L'opposizione motivata dalla incompletezza delle indagini del pubblico ministero non è peraltro l'unico strumento per contrastare la richiesta di archiviazione: nelle situazioni in cui le indagini siano state esaurientemente espletate, ovvero il titolo del reato o le concrete modalità di realizzazione del fatto rendano non necessaria alcuna indagine, la persona offesa può egualmente presentare atto di opposizione, indicando motivi volti a dimostrare la non infondatezza della notizia di reato. Ove le argomentazioni della persona offesa siano convincenti, il giudice deve comunque fissare l'udienza in camera di consiglio a norma dell'articolo 409, comma 2, peraltro espressamente richiamato dall'articolo 410, comma 3, c.p.p., così assicurando alla persona offesa la medesima tutela prevista in caso di opposizione volta a ottenere la prosecuzione delle indagini preliminari".
 
[2] Salvo quel che specificheremo oltre sulla mancata comparizione del ricorrente o del suo procuratore speciale, ex art. 30 D. Lgs. 274/2000.
 
[3] La Cassazione ha di recente (sez. V, 24 marzo 2011, n. 17680) statuito che la mancata autenticazione da parte del difensore della sottoscrizione apposta dalla persona offesa in calce al ricorso immediato, costituisce una mera irregolarità, laddove la firma del difensore appaia comunque sull'atto. Nel caso di specie, il ricorso immediato risultava redatto in atto unico con la nomina del difensore e la procura speciale, queste ultime debitamente sottoscritte ed autenticate dal difensore. In questo caso, il supremo collegio ha ritenuto che la firma del legale deve intendersi estesa al ricorso in quanto apposta nella duplice veste di concorrente ed autenticatore.
 
[4] Discorso del tutto diverso è quello della mancata comparizione della persona offesa, querelante. Le Sezioni Unite, con sentenza del 30 ottobre 2008, n. 46088, componendo un contrasto (in senso conforme: id., sez. V, 2 luglio 2007 n. 28573, id. n. 6771 del 2006, id., sez. V, 15 febbraio 2005 n. 12861, id., sez. V, 8 marzo 2000 n. 8372; in senso difforme: id., n. 20018 del2008, id. n. 14063 del 2008, id., sez. V, 25 giugno 2001 n. 31963) hanno statuito che ''fuori dalle ipotesi espressamente e specificamente disciplinate dalla normativa sulla competenza penale del giudice di pace (art. 21, 28 e 30 d./g. 28 agosto 2000 n. 274), la mancata comparizione del querelante nel processo, nonostante la sollecitazione del giudice a comparire, prefigurando la mancata comparizione come remissione tacita della querela, non dà luogo ad un caso di rimessione tacita".

[5] Mi riferisco al madornale equivoco in cui incorse il legislatore delegato, quando furono vergati gli articoli 100 c.p.p. e 122 c.p.p. La prima norma radica la fonte della rappresentanza penale delle parti private diverse dall'imputato in una non meglio precisata ''procura speciale" (ad avviso di chi scrive bastava dire "mandato" o anche "nomina a difensore"). La seconda norma, scritta in raptus semplificatorio, in buona sostanza consente ad un procuratore qualsiasi di qualsiasi parte (anche quindi dell'imputato, e quindi anche non avvocato: lo zio, il cugino, il notaio, il figlio, un amico e basta) di compiere atti "personali" in nome e per conto del rappresentato. La chiave della radicale differenza sta nell'art. 39 d.att. c.p.p., da un lato (ed anche ovviamente nell'art. 100 c.p.p.), e dall'art. 122 c.p.p. stesso, dall'altro, in tema di autentica della firma. La procura speciale ex art. 100 c.p.p. è autenticata dal difensore ex lege (e ci mancherebbe altro). La procura speciale ex art. 122 c.p.p. è autenticabile dal difensore a condizione che sia rilasciata al difensore medesimo. Orbene, spesso accade che in tema di costituzione di parte civile le situazioni si accavallino. Il difensore tout court (ma nominato con la maledetta ''procura speciale" ex art. 100 c.p.p.) può ovviamente (e perché mai no?) nominare un sostituto: per qualsiasi udienza, per la prima udienza, per la udienza di conclusioni, per l'udienza istruttoria etc... tutte le udienze sono uguali sotto la volta del cielo del processo. Il difensore-procuratore speciale ex art. 122 c.p.p. non può farsi rappresentare come procuratore speciale (delegatus non potest delegari) da altro soggetto, ma solo come difensore. Personalmente ritengo che se la costituzione di parte civile è firmata dall'avvocato (unica sottoscrizione che la legge richiede ex art. 78 lettera "e" c.p.p.), sia egli procuratore speciale ex art. 122 c.p.p. o no, non ci devono essere problemi, non ci possono essere problemi.
 
[6] Ad esempio, quindi, se il difensore della parte civile ricorrente è al, contempo, nominato procuratore speciale, non può, per le ragioni indicate nella nota che precede farsi sostituire da altro collega come procuratore della parte ricorrente, pena l'improcedibilità del ricorso ai sensi dell'art. 30, I comma, D. Lgs. 274/2000.
 
[7] A detto proposito notiamo che la Cassazione (sez. IV penale, 24 settembre 2008, n. 41043) ha statuito che il risarcimento del danno possa provenire anche da soggetto diverso rispetto all'imputato. Nella specie, si trattava di risarcimento del danno liquidato da compagnia assicuratrice a seguito di sinistro stradale. In motivazione il Supremo Collegio ha distinto l'istituto di cui all'art. 35 D. Lgs. 274/2000 dalla circostanza attenuante prevista dall'art. 62, n. 6 c.p., notando che l'assicurazione per i danni cagionati dalla circolazione stradale ha un carattere di obbligatorietà e appare insensato pretendere che una persona proceda ad un risarcimento personale in presenza di un contratto di assicurazione sulla cui base in concreto sia avvenuto un risarcimento integrale dei danni cagionati. Afferma, letteralmente, l'estensore "che cosa dovrebbe fare il responsabile del sinistro per godere della causa di estinzione? Operare perché la compagnia non provveda al risarcimento e provvedere personalmente ovvero procedere ad un risarcimento personale anche se la compagnia vi ha già provveduto? L 'assurdità delle conseguenze non sembra meritare ulteriori commenti. Si aggiunga la conseguenza, più generale, che una siffatta interpretazione condurrebbe ad una totale disincentivazione delle cause deflattive che il D. Lgs. 274/2000 è diretto ad incrementare".
 
[8] La giurisprudenza ritiene la decisione inappellabile, perché emessa sulla falsariga di quella di proscioglimento predibattimentale ex art. 469 c.p.p. In questo senso, si veda Cass., sez. IV penale, 24 settembre 2008, n. 41043, cit., e id., sez. V., 23 settembre 2010, n. 40876. Non contrasta con queste decisioni quella (Cass., sez. IV penale, 3 novembre 2010, n. 41578), che ha qualificato appello il ricorso per cassazione proposto avverso sentenza di proscioglimento ex art. 35 D. Lgs. 274/2000, emessa non alla prima udienza di comparizione, ma in maniera inappropriata, e con conforme alla legge, al termine dell'istruttoria dibattimentale.
 
[9] Illegittime, perché emesse fuori dal tessuto normativo, sono quelle decisioni che hanno disposto il proscioglimento ex art. 35 D. Lgs. 274/2000, in caso di condotta riparatoria posta in essere dopo la prima udienza di comparizione e senza che sia stato chiesta la sospensione del processo ai sensi dell'art. 35, III comma, D. Lgs. 274/2000: in questo senso, Cass., sez. V., 23 settembre 2010, n. 40876; id. sez. IV penale, 3 novembre 2010, n. 41578.
 
 
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