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in tema di bancarotta fraudolenta, quando l'apporto del terzo (nel caso di specie commercialista) abbia per oggetto comportamenti che non abbiano esaurito la potenzialità offensiva degli interessi della massa dei creditori prima della dichiarazione di fallimento, è dato ravvisare la penale responsabilità di questi ai sensi dell'art. 110 c.p. nel reato del soggetto proprio, avendo l'extraneus concorso a realizzare un segmento efficace del risultato illecito, la cui consumazione coincide con l'accertamento giudiziale dell'insolvenza, essendo possibile provvedere, prima di quella data, a comportamenti che redimano il portato offensivo dell'azione.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Quinta Sezione penale
composta dagli Ill.mi Signori:
Dr. Gennaro Marasca, Presidente
Dr. Antonio Bevere, Consigliere
Dr. Vita Scalera, Consigliere
Dr. Gian Giacomo Sandrelli, Consigliere
D.ssa Maria Vessichelli, Consigliere
ha pronunciato la seguente
Sentenza
nel ricorso presentato dal Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Roma, avverso la Sentenza resa il 3.12.2009 dalla Corte d'Appello di Roma con cui assolveva B.F., nato il XX.XX.19XX
sentita la Relazione svolta dal Cons. Gian Giacomo Sandrelli
sentite le Requisitorie del PG. (nella persona del Cons. Mario Fraticelli) che ha concluso per l'annullamento con rinvio
L'avv. Domenico Battista del foro di Roma, difensore del ricorrente, si riporta alla Memoria, pervenuta in data 15.6.2011, protesa alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
In fatto
B.F. veniva tratto a giudizio avanti il GIP presso il Tribunale di Roma per rispondere di concorso nella bancarotta impropria fraudolenta, patrimoniale e documentale, in ragione del fallimento di Xxxxxxx Srl, dichiarata fallita il il 9.6.2005, nonché del medesimo reato in relazione al fallimento di Yyyyyyyy Srl., dichiarata fallita dal Tribunale di Roma il 6.4.2005.
Egli era condannato per questi reati con Sentenza del 23.9.2008, a seguito di rito abbreviato.
La vicenda contempla l'accertamento della gestione di queste due società che, poco prima della formale dichiarazione di fallimento, svuotarono la consistenza patrimoniale, occultarono la documentazione contabile, trasferirono la sede all'estero (Xxxxxxx) previa cessione delle quote e della carica di amministratore unico a tal Nome Straniero.
Attività fraudolente commesse dall'amministratore Nome Amministratore con il contributo del commercialista F., attuale imputato.
L'Nome Straniero, sconosciuto in Italia nei luoghi ove aveva indicato il proprio domicilio, risultò irreperibile: secondo F. il nominativo dell'Nome Straniero gli era stato fatto da tal Tizia Caia, che era stata incaricata di sbrigare alcune pratiche attinenti alla successione della gestione (la donna originariamente fu coinvolta nell'imputazione), egli soggiunse di avere rilasciato fatture senza avere riscosso il pagamento.
La condanna del F., pronunciata dal GlP, era sorretta dalla chiamata di correo della Tizia Caia. Mentre l'assoluzione del F., in appello, fu argomentata con il fatto che gli atti di fraudolenza risalirono ad epoca assai antecedente alla comparsa sulla scena del F. e che le bozze di procura, sequestrate presso l'ufficio di questi, riguardarono atti di poi portati effettivamente al notaio straniero, atti che non possono qualificarsi come falsi. Difetta al giudizio di penale responsabilità - per la Corte territoriale - la prova dell'originario previo concerto, concordato tra F. e Nome Amministratore, nella commissione del reato.
Ha interposto ricorso il Procuratore Generale avverso l'assoluzione dai reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale (con esclusione della bancarotta documentale) per carenza e contraddittorietà della motivazione.
E' pervenuta memoria difensiva protesa a screditare fondamento o a evidenziare l'inammissibilità (perché versato in fatto) del ricorso del Procuratore Generale.
In diritto.
Il ricorso è fondato, con la doverosa precisazione (segnalata dal difensore nella memoria) che l'assoluzione sugli aspetti di fraudolenza documentale è divenuta cosa giudicata.
Con ragione il ricorrente segnala che, diversamente da quanto opinato dalla Corte territoriale, l'affidamento dal F. alla Tizia Caia degli incombenti burocratici sulla cessione delle quote, nell'interesse dell'Nome Straniero, datò del 2003 e che lo svolgimento di questi incombenti registra delle sicure falsità (la presenza della donna ai convegni presso il Notaio scozzese).
Occorre premettere che, come si apprende dalla Memoria difensiva (pag. 5), la posizione del Nome Amminisratore è tuttora sub judice, non essendosi concluso il processo (con rito ordinario) pendente avanti il Tribunale di Roma. Sicché non è chiaro il ruolo di costui (indicato anche quale amministratore di fatto degli organismi insolventi, pur dopo la cessione delle quote e della gestione (Memoria difensiva, ibidem).
Rileva, ancora, la circostanza per cui lo svolgimento degli atti che segnarono l'epilogo della vicenda di svuotamento patrimoniale fu assai rapido a far data dal 7.4.2004, quando Nome Straniero risulta nominato amministratore unico delle due società (che furono dichiarate fallite in epoca assai successiva), in un ambito di quasi contestualità, donde l'errata considerazione dei presupposti che giustificano la decisione liberatoria e, cioè, la mancanza di certezza di prova che il F. sia intervenuto soltanto alla fine della vicenda criminosa, senza aver preso contezza dei suoi presupposti temporali antecedenti.
Di contro, come si apprende dalla decisione di primo grado, tra il marzo 2004 ed il maggio di quell'anno, occorsero gli atti di cessione degli immobili, tramite simulate vendite: dunque, il comportamento di manomissione patrimoniale era in pieno svolgimento e sino al 5.8.2004 si diede vita agli incassi delle somme di denaro conseguenti alle dismissioni.
Non può, ancora, giustificarsi la collocazione cronologica di questi atti negoziali, in aderenza al testo dei contratti: essendo convenzioni prive di aderenza alla realtà storica, esse sono incapaci di attestare la riferibilità temporale della loro conclusione.
Se, quindi, la maturazione dei crediti fu esplicitata in epoca successiva, la causa della relativa genesi è coeva al periodo incriminato.
Come sicuramente sbagliato è conferire crisma di genuinità alle apostille del Ministero degli Affari Esteri, estendendolo al contenuto dell'atto ed alla sua possibile infedeltà rappresentativa.
Il risultato operato dai giudici di appello ha portato ad una rappresentazione travisata del succedersi degli eventi ed ha indebitamente allontanato l'apporto fornito dal F. alla consumazione del reato della bancarotta nelle due società fallite.
Invece, esso occorse quando il comportamento criminoso del prevenuto non si era esaurito.
L'osservazione ha una pregnanza decisiva se si pon mente alla fattispecie a cui si riferisce l'imputazione.
Si tratta della causazione dolosa del fallimento, dettata dall'art. 223 co. 2 n. 2 1. fall. In essa - ancor più che nelle parallele figure della legge fallimentare - è dato riscontrare l'esaurimento dell'azione offensiva non già al momento del compimento dell'atto antidoveroso, bensì nella dichiarazione di fallimento. La decisione del giudice concorsuale fu emessa in tempo ben successivo all'intervento del F.
Sicché può affermarsi che, in tema di bancarotta fraudolenta, quando l'apporto del terzo abbia per oggetto comportamenti che non abbiano esaurito la potenzialità offensiva degli interessi della massa dei creditori prima della dichiarazione di fallimento, è dato ravvisare la penale responsabilità di questi ai sensi dell'art. 110 c.p. nel reato del soggetto 'proprio', avendo l'extraneus concorso a realizzare un segmento efficace del risultato illecito, la cui consumazione coincide con l'accertamento giudiziale dell'insolvenza, essendo possibile provvedere, prima di quella data, a comportamenti che redimano il portato offensivo dell'azione.
In questo ottica l'azione illecita si protrasse per un lungo periodo, corrispondente a quello in cui le società fallite operarono, prima della dichiarazione di fallimento.
Discorso tanto più puntuale, in quanto l'addebito mosso non attiene a singole azioni di impoverimento fraudolento, ma ad una complessiva azione foriera del dissesto: il recesso (e l'induzione al recesso) dell'amministratore prima della, definitiva o peggiorativa, condotta di manomissione patrimoniale della società si rivela riparazione essenziale al comportamento fraudolento in ragione degli interessi creditori.
La carenza di riflessioni in ordine a questi profili della vicenda, evidenzia un vizio di motivazione cadendo su momenti decisivi e dotati di una forza esplicativa tale da vanificare l'intero ragionamento del giudice del merito (ed esula dalla censura al riguardo l'affermata, ma inesistente, patologia di attenere a ero profilo di fatto, violando, al contrario, essenziali aspetti del ragionamento giuridico in tema di causalità del reato).
Donde l'annullamento con rinvio, per nuovo esame (anche sul ruolo effettivamente ricoperto dal prevenuto, dalle sue potenzialità cognitive della gestione illecita), alla Corte d'Appello di Roma.
PQM
Annulla la sentenza impugnata con rinvio, per nuovo esame, ad altra Sezione della Corte d'Appello di Roma.
Così deciso in Roma, il 30 giugno 2011.
Il Cons. est. Il Presidente
Dott. Gian Giacomo Sandrelli Dott. Gennaro Maresca
Depositata in Cancelleria
1 agosto 2011.
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