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In tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti (art. 2 d.l. n. 463/83 conv. in l. n. 638/83), la S.C. conferma l'orientamento, secondo il quale per il perfezionamento del reato, è necessaria l'effettiva corresponsione della retribuzione ai dipendenti, essendo l'esborso delle somme dovute ai lavoratori un presupposto indefettibile della fattispecie criminosa, che deve essere provato dalla pubblica accusa con documenti, testimoni ovvero gravi, precisi e concordanti indizi.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRO PETTI - Presidente -
Dott. CLAUDIA SQUASSONI - Rel. Consigliere -
Dott. MARIO GENTILE - Consigliere -
Dott. LUCA RAMACCI - Rel. Consigliere -
Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO - Rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
su ricorso proposto da:
1) V.M. n. il XX/XX/19XX
avverso la sentenza n. 1926/2009 CORTE APPELLO di BRESCIA, del 29/03/2010
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/06/2011 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CLAUDIA SQUASSONI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Baglioni Tindari
che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso
MOTIVI DELLA DECISIONE
In parziale riforma della decisione del primo Giudice, la Corte di Appello di Brescia, con sentenza 29 marzo 2010, ha ritenuto V.M.A. responsabile del reato continuato di omesso versamento all'Inps delle ritenute assistenziali e previdenziali e lo ha condannato alla pena di giustizia.
Per giungere a tale conclusione, i Giudici hanno superato la tesi difensiva sulla irregolare notifica dello avviso di accertamento delle violazioni; hanno disatteso la prospettazione dell'appellante secondo il quale, a causa del suo fallimento, non poteva pagare i contributi pena l'incriminazione per bancarotta preferenziale; hanno osservato che la mancata corresponsione delle retribuzione doveva riguardare solo il periodo immediatamente precedente al fallimento (del 7 luglio 2005 mentre la contestazione arrivava sino al marzo 2004).
Per l'annullamento della sentenza, l'imputato ha proposto ricorso per Cassazione deducendo difetto di motivazione e violazione di legge, in particolare, rilevando:
= che la notifica dell' avviso di accertamento delle omissioni è stata irrituale e l'atto non gli è pervenuto per cui non è decorso il termine di tre mesi per pagare e beneficiare della causa di non punibilità;
= che, comunque, prima dello spirare del detto termine, è stato dichiarato fallito e, pertanto, non era in grado di pagare i contributi per non privilegiare un creditore;
= che non aveva corrisposto il salario ai dipendenti come dimostra la circostanza che si sono insinuati nel fallimento.
Le deduzioni del ricorrente sono meritevoli di accoglimento nel limite in prosieguo precisato.
Come già correttamente segnato dai Giudici di merito, la confutazione del ricorrente sulla mancata ricezione della notifica dell'avviso di accertamento delle violazioni, ritualmente effettuata anche se non a mani del destinatario, non è correlata da alcun elemento o argomento che la renda concreta e credibile; la indiscussa circostanza che l'imputato fosse in possesso dello avviso di cui trattasi squalifica alla radice l'assunto difensivo.
In ogni caso, la Corte territoriale ha ritenuto (aderendo ad una interpretazione che trova conforto in alcune sentenze di legittimità) che il termine, previsto dall'art. 2 comma 1-bis legge 638/2003 [rectius l. n. 638/1983, n.d.r.], per sanare ed usufruire della speciale causa di non punibilità potesse decorrere dalla data della notifica del decreto di citazione a giudizio; da tale epoca, l'imputato era formalmente edotto delle omissioni e della possibilità di adempire all'obbligo violato evitando la sanzione penale.
La circostanza che la società di cui il V. era legale rappresentante non fosse in bonis è, al fine che rileva, inconferente perché l'imputato, non fallito personalmente, ben poteva pagare la somma dovuta con le sue personali risorse finanziarie.
Fondata è la residua deduzione.
Come hanno chiarito le Sezioni Unite con sentenza n° 27641/ 2003 (alla cui articolata motivazione si rimanda), il reato in esame è una forma particolare di appropriazione indebita e, di conseguenza, per il suo perfezionamento, è necessaria l'effettiva corresponsione della retribuzione ai dipendenti. L'esborso delle somme dovute ai lavoratori è un presupposto indefettibile della fattispecie criminosa e deve essere provato dalla pubblica accusa con documenti, testimoni o gravi,
precisi, concordanti indizi (Cass. Se. 3 sentenza 38271/2007).
L'imputato nei motivi di appello aveva dedotto che, per il suo stato di insolvenza, non era stato nella condizione di pagare i lavoratori ed aveva corroborato la sua deduzione asserendo che la società era fallita ed i dipendenti si erano insinuati nel passivo fallimentare.
In presenza di una puntuale censura dell'atto di appello, decisiva per la risoluzione del caso, la Corte territoriale, senza svolgere indagini, si è limitata ad asserire che la situazione di difficoltà economica, e conseguenti omessi pagamenti, segnalata dall'imputato doveva "ragionevolmente" riguardare solo l'immediato periodo precedente al fallimento.
La prospettazione difensiva, che era facilmente verificabile, meritava una maggiore considerazione ed un apparato argomentativo che non concludesse con un convincimento espresso in termini di mera possibilità.
Per questa lacuna istruttoria e motivazionale, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Brescia; poiché il tema devoluto ai nuovi Giudici è la verifica di un requisito necessario per la configurabilità dei reati, il Collegio non rileva che, per alcuni di essi (commessi fino al giugno 2003), si è maturato il periodo prescrizionale.
PQM
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Brescia.
Roma, 14 giugno 2011.
Il Presidente
Ciro Petti
L'estensore
Claudia Squassoni
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