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L'art. 491-bis c.p. non costituisce una norma interpretativa,intesa come di interpretazione autentica, che con efficacia retroattiva avrebbe stabilito il significato da riconoscere alle disposizioni sui reati di falso rispetto ai documenti informatici. La Corte di Cassazione ritiene, infatti,che l'inserimento di dati falsi nell'archivio di un ente pubblico da parte di un dipendente (che rivesta la necessaria qualifica),pur se attuato in epoca precedente l'entrata in vigore dell'art. 491 bis cp, è punibile ai sensi delle norme incriminatrici di cui agli artt. 476 e 479 c.p.
ANNO/NUMERO 2005/11930
SEZ 5
NRG 43401/2003
UDIENZA DEL 27/01/2005
DEPOSITATO IL 25/03/2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Udienza pubblica
del 27/01/2005
sentenza n. 154
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LATTANZI Giorgio - Presidente
dott. MARINI Pier Francesco - Consigliere
Dott. SICA Giuseppe - Consigliere
Dott. AMATO Alfonso - Consigliere
Dott. ROTELLA Mario - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) O. V.
2) P.
3) P.
avverso SENTENZA del 05/03/2003 CORTE APPELLO di GENOVA;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. AMATO ALFONSO;
udito il Procuratore Generale in persona del Dr. M. Favalli che ha
concluso per il rigetto;
udito, per la parte civile, l'avv. P. M.;
udito il difensore avv. M. F..
MOTIVI DELLA DECISIONE
O.,P., P.F, erano condannati dal Tribunale di Genova per il delitto di cui agli art.476 e 479 cp, per avere istigato C.F., addetto al patronato XXXX, ad inserire nell'archivio informatico delle posizioni contributive degli assicurati INPS dati falsi, onde conseguire dall'ente previdenziale prestazioni non spettanti.
La Corte d'appello confermava, osservando che il fatto e' punibile pur se commesso in data anteriore all'introduzione dell'art. 491 bis nel codice penale, poiche' tale disposizione non e' innovativa, ma "interpretativa, poiche' si limita a precisare come ai supporti informatici sia applicabile una disciplina gia' da tempo in vigore". Ricorrono personalmente gli imputati, deducendo tutti la violazione di legge, non essendo il fatto previsto come reato al momento in cui le condotte sono state poste in essere. Si potrebbe ipotizzare, se mai, il reato di cui all'art. 640 ter cp (frode informatica), gia' dichiarato estinto per prescrizione dal primo giudice. Erra la Corte di merito quando afferma il carattere interpretativo dell'art. 491 bis cp, ove si consideri che l'elemento sul quale la norma si incentra e' il supporto che contiene il dato, che e' immateriale. Il documento informatico non e' un documento "tout court", sicche' si puo' affermare l'equipollenza delle due categorie, prima dell'entrata in vigore dell'art. 491 bis cp, solo a prezzo di compiere un'interpretazione analogica vietata dalla legge. I ricorrente lamentano pure la mancata applicazione dell'attenuante ex art. 117 cp, oltre all'erroneo apprezzamento del contesto probatorio, segnatamente in riferimento al preteso accordo intercorso col C. ed all'elemento soggettivo del reato. E' pervenuta memoria dell'INPS, costituita parte civile.
Le censure non possono essere condivise. E' stato gia' deciso da questa Corte che l'archivio informatico di una P.A. dev'essere considerato alla stregua di un registro (costituita da materiale non cartaceo) tenuto da un soggetto pubblico, con la conseguenza che la condotta del p.u. che, nell'esercizio delle sue funzioni e facendo uso dei supporti tecnici della P.A., confezioni un falso atto informatico destinato a rimanere nella memoria dell'elaboratore, integra una falsita' in atto pubblico, a seconda dei casi materiale o ideologica, ininfluente peraltro restando la circostanza che non sia stato stampato alcun documento cartaceo (fattispecie relativa a fraudolento inserimento di dati falsi nella banca-dati dell'INPS, precedente all'entrata in vigore della L. 23.12.93, n. 547, che ha introdotto l'art. 491 bis cp: Cass. Sez. 5^, cc. 18.6.01, n. 32812, Balbo, m. 219945). L'art. 491 bis cp non costituisce una norma interpretativa, intesa come di interpretazione autentica, che con efficacia retroattiva avrebbe stabilito il significato da riconoscere alle disposizioni sui reati di falso rispetto ai documenti informatici. In tal senso e' esatto il rilievo mosso dai ricorrenti.
Va pure escluso, pero', che tale norma sia innovativa, ossia abbia reso punibile un fatto che era in precedenza lecito, dal momento che l'art. 476 cp era applicabile ai documenti informatici anche prima che cio' fosse stabilito dall'art. 491 bis cp. Non vi sono, infatti, argomenti letterali, logici o sistematici che impediscano di ricomprendere nella previsione dell'art. 476 cp o in quella dell'art. 479 cp la condotta del p.u. che nell'esercizio delle sue funzioni forma un atto informatico sostanzialmente o formalmente falso. Anche attraverso lo strumento informatico, invero, il p.u. puo' formare un documento rappresentativo di atti o di fatti, destinato a dare quella certezza alla cui tutela sono preposte le norme penali (Cass. Sez. 5^, 24.11.03, n. 11915, Russello, m. 228741, con la quale e' stato affermato che integra il delitto ex art. 476 cp - anche se il fatto sia stato commesso prima dell'entrata in vigore della legge 23.12.93, n. 547, che ha introdotto con l'art. 3 l'art. 491 bis cp - la condotta del pubblico dipendente che inserisca nell'archivio informatico dell'Albo nazionale dei costruttori dati non corrispondenti alle delibere adottate dai competenti organi deliberativi del predetto Albo). In sostanza, malgrado le diversita' strutturali che caratterizzano il documento informatico e la relativa condotta che lo attua, rispetto al documento scritto ed alla condotta che lo realizza (sulle quali non e' qui il caso di soffermarsi), l'art. 49 bis cp non puo' definirsi innovativo per una ragione di carattere strettamente letterale. Ed infatti l'innegabile latitudine della formulazione degli artt. 476 e 479 cp impone di riconoscere che l'inserimento di dati falsi nell'archivio di un ente pubblico da parte di un dipendente che rivesta la necessaria qualifica e' punibile ai sensi delle predette norme incriminatrici, pur se attuato in epoca precedente l'entrata in vigore dell'art. 491 bis cp.
Va, dunque, disatteso l'assunto costituente il nucleo centrale dei ricorsi proposti.
Manifestamente infondata e' la doglianza inerente la mancata applicazione dell'attenuante delineata dall'art. 117 cp, poiche' della stessa possono fruire solo i soggetti ignari della qualifica soggettiva del concorrente ce determina il mutamento del titolo del reato, laddove i giudici di merito hanno dato diffusamente ed ineccepibilmente conto dei rapporti intercorsi fra gli altri imputati ed il C., che ha operato l'inserimento dei dati falsi nell'archivio INPS. Restano percio' confutate anche le censure, versate in fatto, con le quali i ricorrenti, in contrasto con la perspicua ed ampia motivazione esplicitata dalla corte di merito, assumono la mancanza di prove in ordine all'accordo criminoso concluso col C.
I ricorsi vanno, pertanto, rigettati, con la condanna dei ricorrente in solido al pagamento delle spese processuali, oltre che di quelle sostenute dalla parte civile, liquidate, come da nota spese, in euro 1.514, 88.
Per Questi Motivi
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento in solido delle spese del procedimento, nonche' al rimborso delle spese processuali in favore della parte civile, liquidate, come da nota spese, in euro 1.514,88.
Cosi' deciso in Roma, il 27 gennaio 2005.
Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2005
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