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Pubblichiamo, con il consenso dei Curatori e dell'Editore, un estratto del contributo - a firma di Luigi Levita - sui delitti di danneggiamento nell'ambito del Volume a cura di DE GIORGIO – GUAGLIANI – TOVANI, I reati contro il patrimonio, Giappichelli, Torino, 2010 (XVI-564; ISBN 978-88-348-9692-1)
Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministrativa
di Luigi Levita
La natura “ancillare” dei fatti di danneggiamento si riscontra nelle condotte delittuose ricadenti su beni sottoposti a sequestro, per i quali le esigenze di tutela della proprietà si interfacciano con il vincolo di indisponibilità che l’istituto del sequestro è chiamato a perseguire, e che colora d’illiceità le violazioni antigiuridiche altrimenti destinate ad incidere in via esclusiva sul patrimonio del danneggiato.
In particolare, va evidenziato che la circostanza, frequentissima nella prassi, di affidare le cose sottoposte a sequestro al proprietario medesimo, gravandolo degli obblighi del custode, ha favorito negli ultimi anni un deciso accrescimento dei processi penali per violazione dell’art. 334 c.p. (specialmente di origine partenopea), in una con il dibattuto problema della perimetrazione del rimprovero penalistico rispetto all’illecito amministrativo contemplato all’art. 213 del Codice della Strada.
In tema di concorso di norme tra l’art. 334 c.p. e l’art. 213 c.d.s. e dell’eventuale operatività del principio di specialità o di assorbimento dell’una norma nell’altra, ovvero della categoria del concorso formale tra le stesse norme, va ribadito il principio di diritto che le due menzionate norme, integranti disposizioni eterogenee e strutturalmente diverse e disciplinanti situazioni differenziate, non sono connotate da concorso apparente tra loro. Di tal che non può operare nel caso in esame il principio di specialità contemplato dall’art. 9, co. 1, della l. n. 689/81. Con l’effetto che, quando autore della circolazione abusiva di un veicolo sottoposto a sequestro amministrativo sia il custode o il proprietario, non sussistono ragioni, connesse alla struttura delle norme in rilievo, per escludere il concorso formale tra la violazione amministrativa di cui all’art. 213 co. 4 c.d.s. e il reato di cui all’art. 334 c.p.
(Cass. Pen., Sez. VI, 2 gennaio 2009, n. 16, in www.dirittoitalia.it).
Secondo la giurisprudenza, la questione del concorso di norme tra l’art. 334 c.p. (o art. 335 c.p. per l’ipotesi colposa) e l’art. 213 c.d.s. va regolata alla luce dell’applicazione del principio di specialità o di assorbimento, ovvero mediante l’utilizzo del genus del concorso formale di norme.
Si esclude nondimento che le suddette norme possano essere caratterizzate da un concorso apparente poiché, sulla base delle conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza, le fattispecie rispettivamente previste riguardano situazioni disomogenee e non comparabili; il che conduce a ritenere inattendibile il diverso orientamento che, predicando un’omogeneità, ritiene invece applicabile il principio di specialità espressamente indicato nella legge n. 689/1981, e specificamente all’articolo 9.
La Suprema Corte (Sez. VI, 15 gennaio 2008, n. 2168) ha inoltre evidenziato che “non rileva l’assenza nell’art. 213 C.d.S., di una clausola di salvezza della norma penale, posto che tale clausola si sarebbe rivelata superflua proprio per l’impossibilità di applicare il principio di specialità al rapporto tra le due norme. Conclusivamente deve affermarsi che, quando autore della circolazione abusiva di un veicolo sottoposto a sequestro amministrativo sia il custode o il proprietario, non sussistono ragioni, connesse alla struttura delle norme che vengono in rilievo, per escludere il concorso formale tra la violazione amministrativa di cui all’art. 213 C.d.S., comma 4, e il reato di cui all’art. 334 c.p.”.
Tale impostazione teorica porta a concludere che il custode e/o il proprietario o il custode-proprietario sorpresi a circolare con un veicolo sottoposto a sequestro ai sensi dell’art. 213 c.d.s., rispondono sia dell’illecito amministrativo sia del reato previsto dall’art. 334 c.p., il cui verificarsi discende per l’appunto dalla sottrazione al vincolo del sequestro che l’agente ha operato mediante l’utilizzazione del bene. Se invecea circolare con il veicolo sequestrato sia una terza persona, il custode sarà chiamato a rispondere del reato di cui all’art. 334 co. 1 c.p., qualora abbia voluto favorire il proprietario, ovvero del reato di cui all’art. 335 c.p. se abbia colposamente agevolato la sottrazione del veicolo in sequestro; il proprietario-custode risponderà del reato di cui all’art. 334 co. 2 c.p. o, in caso di mera colpa, di quello di cui all’art. 335 c.p. Ed infine, il terzo (non proprietario né custode) che circoli con il veicolo sequestrato risponde del solo illecito amministrativo di cui all’art. 213 c.d.s., sempre che non abbia concorso nella sottrazione del bene, nel qual caso deve rispondere (quale extraneus) di concorso nel reato posto in essere dal soggetto qualificato.
Pur coltivando con coerenza argomentativa siffatto percorso ermenenutico, la Suprema Corte nondimeno ha cura di temperare il rigorismo dell’esegesi così raggiunta, puntualizzando che l’accertamento – nel caso concreto – di un’offesa tutto sommato di scarsa rilevanza può condurre il giudice ad un esito assolutorio mediante l’opportuna valorizzazione del principio di offensività; idem dicasi per quelle violazioni non caratterizzate dalla prova dell’elemento soggettivo.
Tale indirizzo è attualmente fatto proprio da una cospicua parte della giurisprudenza di merito, soprattutto partenopea.
Per potersi integrare la fattispecie delittuosa ex art. 334 c.p., deve riscontrarsi una forma di utilizzo della cosa sequestrata che determini l’effettivo pregiudizio delle finalità di preservazione cui tende il vincolo di intangibilità assicurato dal sequestro, ovvero che - pur non giungendo necessariamente ad una compromissione delle capacità di funzionamento del bene - ne determini un deterioramento ovvero un deprezzamento; e dunque, non è a tal fine sufficiente un semplice uso momentaneo del veicolo, che possa considerarsi occasionale e circoscritto nello spazio, ove non sia diretto ad eludere il vincolo ed inidoneo a determinare un deterioramento del bene.
In tale prospettiva va sottolineato come dall’uso del mezzo derivi normalmente l’usura dello stesso, che tuttavia, se contenuta entro limiti di minimale tollerabilità non necessariamente comporta uno scadimento qualitativo del bene, ed è dunque concetto ben differente rispetto al deterioramento richiesto dalla fattispecie penale, da intendersi come diminuzione dell’idoneità del bene a svolgere la sua funzione, mediante l’alterazione parziale o totale degli elementi costitutivi - parti meccaniche, sistema elettrico, ecc.- e che va dimostrato in concreto.
(Trib. Napoli, V Sez. Pen. (giudice Tammaro), 20 gennaio 2009, in www.dirittoitalia.it).
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