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Paolo Zatti, Le «disposizioni del paziente»: ci vorrebbe un legislatore
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Le «disposizioni del paziente»: ci vorrebbe un legislatore
di Paolo Zatti
«... A causa del progresso medico e tecnico medico il morire non è più percepito come un processo naturale, ma come una conseguenza di decisioni umane che hanno per contenuto il porre fine o il rinunciare a misure mediche di prolungamento della vita... Perciò da anni si moltiplica la domanda come il morire in una società moderna possa essere configurato in modo degno dell’uomo...».
«... La legge si riconosce nel principio per cui ogni vita umana è degna di essere vissuta... e proprio perciò è compito della società far sì che gli esseri umani siano accettati e curati e accuditi secondo i loro bisogni. L’accettazione di questo principio significa anche che ciascun uomo – e solo lui – stabilisce, in un processo personalissimo di decisione, quando non intende più lottare contro il processo naturale del morire... Perciò la pretesa a un morire degno dell’uomo include anche la determinazione per cui dev’essere rispettata la personalissima intenzione del paziente, circa quando sia venuto per lui il tempo di morire.
In questo senso, «... la Corte di Cassazione ha stabilito il principio del carattere vincolante delle disposizioni del paziente come espressione dell’ultra-attività della sua autodeterminazione. E insieme ha segnalato la necessità di un intervento legislativo che consenta di superare le incertezze della prassi prevedendo un apparato di garanzia affidato in ultima istanza al giudice...».
Il legislatore deve proporsi anzitutto di «coniugare l’efficacia vincolante delle disposizioni del paziente con una politica legislativa che orienti sanità e servizi sociali all’obiettivo della dignità dell’uomo (cure palliative, hospices, misure contro l’abbandono)».
Deve poi considerare che «... le situazioni di fine vita sono altamente complesse e individuali...». Lo stesso «processo del morire non può essere definito solo con criteri medici, perché ciò nella prassi è pressoché impossibile dato che nessun medico di regola può indicare senza alcun dubbio e con certezza di giudizio il momento in cui questo processo ha inizio...».
Un intervento legislativo deve dunque informarsi «... al riconoscimento che la vita e la morte nella loro complessità non sono normabili e si sottraggono a categorie standardizzate...» e perciò lasciare «spazio alla considerazione del caso singolo, rendendo possibile la valutazione e la valorizzazione individuale di ogni singola disposizione del paziente».
Scopo primario dell’intervento legislativo è dunque quello «di superare l’incertezza della prassi in vista dell’efficacia vincolante delle disposizioni del paziente, traducendo in legge ordinaria le prescrizioni costituzionali sulla dignità e
l’autodeterminazione, ma insieme chiarendo in quali casi sia da innescare la garanzia giudiziale».
La disciplina va limitata all’indispensabile.
Infatti «in un ordinamento costituzionale liberal-democratico che rispetta e promuove l’autodeterminazione e l’autoresponsabilità degli esseri umani, va evitata qualsiasi sovra-regolazione.
Perché una regolazione delle disposizioni del paziente che vada oltre l’indispensabile porterebbe nel nucleo del governo della vita individuale il pericolo di limitare diritti fondamentali quali la dignità umana, la generale libertà d’azione, l’integrità del corpo, la libertà di fede, di coscienza, di conoscenza».
Esiste certo anche un problema di limiti.
Tuttavia «obiettivo di un progetto di legge sul rafforzamento delle disposizioni del paziente non può essere la lotta all’abuso sul piano individuale, ma l’orientamento alla libertà, al valore dell’individualità, all’autodeterminazione.
Non si può quindi fare del possibile abuso individuale il metro per la limitazione della libertà.
Perché se così fosse si sarebbero date in ostaggio (sacrificate, tradite) libertà, individualità, autodeterminazione».
L’obiettivo del legislatore deve essere invece quello di disegnare «un percorso praticabile, che evita procedure burocratiche e perciò è adatto a garantire l’individualità del morire in una società umana».
* * *
Il lettore avrà osservato che gran parte del testo è fin qui tra virgolette. Questa è infatti una «Opinione» sui generis, costruita quasi integralmente con frammenti significativi di un testo altrui. E da dove si è prelevato? Non da
un ispirato bioeticista che non ha i pesanti compiti del legislatore, né da un ambiente radical-libertario. Le frasi tra virgolette sono traduzioni di alcune parti delle premesse al disegno di legge tedesco sulle Disposizioni del paziente
(in tutto 2 articoli più un terzo sull’entrata in vigore), presentato alla fine del 2008 da un numeroso gruppo bipartisan di parlamentari tra i quali anche Angela Merkel [Entwurf eines Gesetzeszur Klarstellung der Verbindlichkeit von
Patientenverfügungen (Patientenverfügungsverbindlichkeitsgesetz - PVVG)]: un attento, essenziale intervento inteso a rispettare e valorizzare, precisandoli, i principi già elaborati dalla giurisprudenza e dalla Corte costuzionale tedesca, come è giusto che faccia un buon legislatore.
In estrema sintesi, la logica normativa del disegno di legge consiste nel rendere certo il carattere vincolante delle disposizioni anticipate, e insieme nel caratterizzare questo «vincolo» non come un debito di formale e meccanico adeguamento a un precetto negoziale, ma come un obbligo di dare attuazione ai propositi del paziente attraverso un processo di interpretazione e concretizzazione nella realtà complessa e singolare che si tratta di affrontare.
Come avviene per una linea-guida, le «disposizioni» del paziente debbono essere osservate e debbono insieme essere interpretate e concretizzate per far fronte alla singolarità di ogni situazione, nel rispetto non solo della volontà
espressa, ma dell’identità del paziente, della sua storia e dei suoi valori, della sua concezione della propria dignità. Questo compito è affidato ad un fiduciario e al medico; in caso di dissenso tra loro circa l’interpretazione e l’attuazione
delle disposizioni, va previsto l’ascolto di familiari e persone vicine al malato, e in ultima istanza l’intervento del giudice ([1]).
A confronto con il chiassoso e talvolta truce «dibattito» nostrano, dove la ragione dei principi che pure possediamo (o si dove usare l’imperfetto?) non sembra penetrare, la ragionevolezza delle considerazioni, la misura degli interventi
all’esame del Parlamento tedesco – non caduti dal cielo, né miracoli di armonioso consenso, ma frutto di faticosa discussione quinquennale – pare il racconto di un remoto «migliore dei mondi possibili». Nel nostro angolo ai bordi d’Europa assistiamo impotenti alla marcia della maggioranza parlamentare, che spinge a forza verso l’approvazione, per convenienze politiche del tutto estranee al problema, un disegno di legge a suo tempo improvvisato, che prolissamente pasticcia tra eutanasia, accanimento terapeutico, rifiuto di cure, travolge decenni di conquiste giurisprudenziali sul consenso alle terapie, cancella principi costituzionali e conseguenti pronunce della Consulta, cuce attorno alla libertà di cura una camicia di forza di formalismo e di arbitrari limiti, costruisce verità scientifiche di Stato, ci espropria del diritto sul nostro corpo e della libertà di perseguire la nostra concezione della vita e della dignità. Non più increduli, ma sempre sgomenti, osserviamo il nostro Parlamento comporre un altro movimento di un lungo, sgangherato requiem alla Patria del diritto ([2]).
Non consola sapere che c’è un legislatore: a Berlino.
 
Paolo Zatti


[1] Il progetto, riveduto con altre proposte connesse dalla Commissione Giustizia del Bundestag, è stato approvato il 18 giugno ed entrerà in vigore il 1° settembre 2009.
[2] Queste sommarie critiche possono sembrare qui immotivate. La Rivista pubblicherà nel prossimo numero un puntuale commento al progetto.

 

 
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