Versione per la stampa
Il Tribunale del Riesame di Bari opera una delle primissime applicazioni del neonato art. 612-bis c.p., evidenziando che tale figura delittuosa si distingue dai maltrattamenti per la circostanza che le condotte del denunciato sono reiterate ed ingenerano un fondato timore da parte della vittima di un male più grave, pur senza arrivare ad integrare i reati di lesioni o maltrattamenti.
TRIBUNALE DI BARI
IL TRIBUNALE DEL RIESAME
riunito in Camera di Consiglio in persona dei Magistrati:
Dr. A. MARRONE - Presidente -
Dr. A. MASTRORILLI - Giudice rel. -
Dr. A. PILIEGO - Giudice -
per decidere sul riesame proposto in data 26.3.2009 nell'interesse di M. A., avverso l'ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Foggia del 13.3.2009 con la quale il Gip aveva applicato la misura cautelare della custodia cautelare in carcere per il reato di atti persecutori ex art. 612 bis cp. Fatti commessi in Foggia;
Uditi il relatore e il difensore all'udienza camerale odierna,
esaminati gli atti,
OSSERVA
Il riesame è infondato e va rigettato.
Il M. è stato attinto dall'ordinanza del GIP del Tribunale di Foggia applicativa della misura della custodia cautelare predetta in quanto gravemente indiziato del reato di atti persecutori di cui all'art. 612 bis c.p. come introdotto dal d.l. 23 febbraio 2009, n. 11.
Va brevemente premesso che, come emerge anche dalla lettura dei lavori parlamentari, ed in particolare delle schede dell'Ufficio Studi del Dipartimento Giustizia, il fenomeno dello stalking - termine derivato dall'esperienza giuridica dei Paesi di common-law e recepito dalla nostra dottrina negli ultimi anni - è individuato nel comportamento assillante e invasivo della vita altrui realizzato mediante la reiterazione insistente di condotte intrusive, quali telefonate, appostamenti, pedinamenti fino, nei casi più gravi, alla realizzazione di condotte integranti di per sé reato (minacce, ingiurie, danneggiamenti, aggressioni fisiche).
Si tratta, quindi, di comportamenti persecutori, diretti o indiretti, ripetuti nel tempo, che incutono uno stato di soggezione nella vittima provocandole un disagio fisico o psichico e un ragionevole senso di timore.
Per meglio comprendere la nuova fattispecie di reato occorre fare brevi riferimenti al diritto comparato, ed in particolare ai paesi di common law che sono da tempo intervenuti legislativamente sul fenomeno dello stalking.
In generale, pur considerate le differenze fra i vari ordinamenti, l'approccio utilizzato nei paesi di common law è così sintetizzabile: si prevede una norma penale che dà una definizione dello stalking “minimale”, cui sono connesse pene non troppo elevate; allo scattare della fattispecie (o di un fumus della realizzazione della stessa), la vittima può richiedere all'autorità di emanare un restraining order (o injunction), con cui si diffida lo stalker dal proseguire nelle molestie persecutorie; se questi viola il restraining order scatta un'aggravante del reato, e qui le sanzioni divengono più pesanti; spesso le misure penali sono affiancate da sanzioni interdittive o civili, o da trattamenti M. - psicologici (non previsti, invece, nel nostro ordinamento).
In assenza della previsione nel nostro codice penale di una specifica fattispecie di reato, il fenomeno dello stalking viene generalmente ricondotto al reato contravvenzionale di molestie (art. 660 c.p.), del tutto inidoneo a colpire lo stalker e a prevenire la possibile escalation dei suoi atti persecutori, mentre le fattispecie più gravi (ad esempio, violenza privata o i reati contro la vita o l'incolumità individuale, quali maltrattamenti) sono applicabili solo nei casi in cui la situazione è già precipitata e dunque la risposta è del tutto tardiva.
Risultano, in particolare, puniti ai sensi dell'art. 660 c.p. i comportamenti che, non integrando alcun delitto specifico contro la libertà sessuale in quanto non idonei a coartare la volontà della vittima, risultino tuttavia molesti nei confronti di essa. L'interesse tutelato dall'art. 660c.p., peraltro, è tradizionalmente individuato nell'ordine pubblico, considerato nel suo particolare aspetto della pubblica tranquillità: nella dimensione generale dell'interesse tutelato trovano ragione la procedibilità d'ufficio per la contravvenzione e la conseguente attuazione della tutela penale a prescindere dalla volontà della persona molestata o disturbata. Al fine, quindi, di colmare il vuoto di tutela della vittima di comportamenti ripetuti ed insistenti tali da non integrare ancora i più gravi reati contro la vita o l'incolumità personale, ma comunque idonei a fondare un giustificato timore tale per tali beni, si è inserita la nuova fattispecie di reato di cui all'art. 612 bis cp. Perché sussista la fattispecie delittuosa è quindi necessario, in primo luogo, il ripetersi della condotta: gli atti e comportamenti volti alla minaccia o alla molestia devono essere reiterati. Inoltre, i comportamenti devono essere intenzionali e finalizzati alla molestia. Inoltre, occorre che i suddetti comportamenti abbiano l'effetto di provocare disagi psichici, timore per la propria incolumità e quella delle persone care, pregiudizio alle abitudini di vita.
Nel caso di specie, le persone offese, tale B. R. e M. F., rispettivamente moglie (separata) e figlia del prevenuto, con una prima denuncia del 24.2.2009 denunciavano che il marito, scarcerato il 22.2.2009 dopo avere espiato una pena detentiva per il reato di maltrattamenti in famiglia ed altro, nel corso del processo le aveva più volte minacciate che appena uscito dal carcere le avrebbe uccise.
Verso le 22,00 del 24.2.2009 aveva suonato insistentemente al citofono chiedendo di poter salire, ingenerando nelle due, alla luce del comportamento pregresso, un timore di qualche rappresaglia. Le stesse chiamavano quindi la Polizia che interveniva ma non trovava più nessuno. Successivamente, verso le 24,00, suonava nuovamente il citofono, la B. rispondeva e riconosceva la voce del marito che le diceva “preparati a morire” e dopo ciò si allontanava.
Ancora, la mattina del 25.2.2009, la figlia F. trovava alcune telefonate fatte verso le 2,00 dall'utenza del prevenuto.
Va ulteriormente precisato che, con decreto dell'8.2.2009, il Giudice civile del Tribunale di Foggia aveva disposto l'allontanamento del M. dalla casa familiare, ravvisando seri pericoli per l'incolumità di moglie e figlia dello stesso.
Ancora, il 27.2.2009 in sede di sit la B., oltre a confermare quanto oggetto delle precedenti denunce, riferiva che verso le 14 del giorno prima la figlia aveva notato dai vetri il padre che guardava verso l'abitazione e le chiedeva come avrebbe fatto ad andare all'Università visto che temeva per la sua incolumità.
In quell'occasione il M. era rimasto a guardare verso l'abitazione per circa sue ore.
Il giorno successivo di mattina la B. notava nuovamente il marito in macchina sempre sotto casa delle denuncianti che scendevano dal portone e si infilavano velocemente in macchina per andare via e il giorno dopo ancora sempre dai vetri della finestra alle otto di mattina la B. lo notava 'appostato' al solito posto che osservava l'abitazione.
Le dichiarazioni venivano sostanzialmente confermate dalla figlia del prevenuto, M. F..
Al fine di meglio comprendere lo stato di ansia e timore che la condotta del M. ha ingenerato nelle congiunte, e da esse rappresentato, occorre brevemente ricordare che in data 21.12.2006 il M. era stato attinto da ordinanza di custodia cautelare per maltrattamenti nei confronti di moglie e figlia, concretizzatisi in violenze verbali e fisiche.
Inoltre, già in quella sede veniva dato risalto ad un comportamento 'persecutorio' del ricorrente che in diverse occasioni minacciava moglie e figlia di morte e di incendiare e le assillava con continue telefonate e con atteggiamenti molesti (quali colpire con pugni il portone di casa, inseguirle a bordo della sua autovettura, minacciando di mali ingiusti entrambe, colpire con pugni fino a danneggiare l'auto della moglie).
Per tali reati il M. veniva in seguito condannato con sentenza del Tribunale di Bari confermata in sede di Appello e scontava la pena detentiva di un anno e otto mesi di reclusione cessata, come già detto, il 22.2.2009, giorno a partire dal quale sono cominciati nuovamente gli atti persecutori denunciati dalle persone offese.
Con successiva denuncia dell'11.3.2009 la B. riferiva, ancora, che il giorno prima, mentre tornava a casa in auto, notava il M. che si apprestava ad aprire la maniglia dell'auto e, vedendo che non riusciva ad aprire la portiera, iniziava a dare violenti pugni sul vetro del finestrino e a proferire insulti e minacce di morte. La B. chiamava il 113 e a quel punto il M. scappava via per tornare ad avvicinarsi e tirare sassi. Poco dopo sopraggiungeva una volante della Polizia che notava i segni dei pugni sul finestrino.
La B., in sede di denuncia, si dichiarava certa che prima o poi il marito sarebbe riuscito ad ammazzarla.
Le dichiarazioni venivano confermate dalle annotazioni di servizio del 10.3.2009.
Ritiene il Collegio che sussistano gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente in ordine ai reati contestati.
Va premesso che, come affermato da Cass. n. 39366 del 26/10/2006: in tema di misure cautelari, il richiamo ad opera del comma primo bis dell'art. 273 cod. proc. pen. dei commi terzo e quarto dell'art. 192 cod. proc. pen., non comporta la necessità che le dichiarazioni della persona offesa trovino riscontro in elementi esterni, così che esse possono ancora costituire da sole fonte di prova quando siano ritenute dal giudice, secondo il suo libero e motivato apprezzamento, attendibili sul piano oggetto e su quello soggettivo (fattispecie in tema di misura cautelare personale).
Nel caso di specie, le dichiarazioni della persona offesa, già di per sé precise e circostanziate, sono state confermate dalla figlia e dalle annotazioni di Polizia degli agenti intervenuti in seguito alle chiamate di soccorso da parte della B. che, pur non avendo mai trovato il M. sui posti, chiaramente allontanatosi, comunque davano atto delle richieste di intervento da parte della B..
Inoltre, le dichiarazioni della persona offesa risultano attendibili anche alla luce del comportamento pregresso del M., che ha determinato la sua condanna per maltrattamenti e l'ingiunzione da parte del giudice civile ad allontanarsi dall'abitazione coniugale, oltre che la separazione personale dei coniugi, nel quale già emergeva una condotta, oltre che lesiva della incolumità personale della moglie, comunque persecutoria nei confronti della stessa e della figlia.
Quello che connota il reato in oggetto, distinguendolo dai maltrattamenti, è infatti, come già detto, la circostanza che le condotte del denunciato, sono reiterate e ingenerano un fondato timore da parte della vittima di un male più grave, pur senza arrivare ad integrare i reati di lesioni o maltrattamenti.
Alla luce delle reiterate minacce, riferite dalla B., anche durante il precedente processo e la promessa di “fargliela pagare” non appena uscito dal carcere, le condotte di appostamento, continue telefonate, minacce e aggressioni fisiche alla vettura non possono none essere lette come “atti persecutori” tali da ingenerare nelle vittime uno stato di continua paura per sé stesse e da doversi continuamente “guardare alle spalle” così modificando le proprie normali abitudini di vita.
In sede di interrogatorio di garanzia, infine, il M. si è limitato a negare tutte le circostanze denunciate senza fornire versioni alternative se non la pervicace volontà della B. di farlo rimanere in carcere, volontà persecutoria che non appare verosimile anche alla luce di tutti gli elementi evidenziati.
A tal fine non rileva neanche la “diffida" fatta dal M. appena uscito dal carcere presso gli uffici di Polizia a che la moglie non gli si avvicinasse, posto che nessuna valenza probatoria può avere tale dichiarazione di volontà rispetto ai fatti concreti e circostanziati riferiti coerentemente da moglie e figlia e confermati dalle annotazioni di polizia.
Ritiene il Collegio che, alla luce di tutte le circostanze, permangano gravi esigenze cautelari nei confronti del ricorrente che legittimano la misura della custodia cautelare in carcere, avendo il prevenuto dimostrato in più occasioni una totale mancanza di autocontrollo che sconsiglia anche l'applicazione della misura meno affittiva della detenzione domiciliare.
Ne consegue che il riesame va rigettato con la conferma dell'ordinanza impugnata.
P.Q.M.
Letto l'art. 309 cpp:
rigetta la richiesta di riesame proposta da M. A. contro l'ordinanza del Gip del Tribunale di Foggia del 13.3.2009 e, per l'effetto, conferma integralmente l'ordinanza impugnata con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Manda alla cancelleria per le comunicazioni di competenza.
Bari, 6.4.2009.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 6 APRILE 2009
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a cura del dott. Luigi Levita - Magistrato ordinario - Tribunale di Napoli (maggio 2009)
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