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Questione di legittimità costituzionale dell’art. 62 bis secondo comma cp, come riformulato dall’art. 1 L 5-12-2005 n. 251, nella parte in cui, nel caso di recidivo reiterato ex art. 99/4° co. cp, chiamato a rispondere di taluno dei delitti di cui all’art. 407 co. 2 lett. a) cpp, per il quale sia prevista una pena non inferiore nel minimo a cinque anni, non consente di fondare sui parametri di cui al secondo comma dell’art. 133 cp, in particolare sul comportamento susseguente al reato, la concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 bis primo comma cp.
Tribunale di Perugia
UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
Il Giudice dott. Massimo Ricciarelli
letti gli atti del procedimento a carico di M.S.R., nato a … il …., attualmente dimorante in …., nei confronti del quale il P.M. ha chiesto il rinvio a giudizio in relazione ai reati di:
· omicidio premeditato ex artt. 575, 577 cp, in danno di C.S., commesso in concorso con C.P. e R.M. (nelle more deceduto) in … il ….;
· soppressione di cadavere ex artt. 61 n. 2, 411 cp, in concorso con C.P. e R.M., in … e …. tra il … e il … ….;
· detenzione e porto illegale di pistola cal. 357 ex artt. 2 e 4 L 895/67, commesso in concorso con C.P. e R.M. in … il …;
· rapina aggravata ex artt. 628/3° co. n. 1 cp, in concorso con C.P. e R.M. e C.S., in … il …;
· detenzione e porto di pistola cal. 7,65 in concorso con C.P. e R.M. e C.S., in … il …;
· rapina aggravata ex art. 628 co. 3 n. 1 cp, in concorso con C.P. e R.M., in … il …;
· incendio doloso ex art. 423 cp in concorso con C.P. e R.M. in … il …;
· tentato incendio doloso ex artt. 56, 423 cp in concorso con C.P. e R.M. in … il …;
· contraffazione di documenti, ex artt. 477, 482 cp, in concorso con terzi, in … il … e il …;
· costituzione di associazione per delinquere armata, ex art. 416 quarto comma cp, in concorso con C.P., R.M., C.S., B.G., C.L., in … e provincia e in altre località del territorio nazionale fino al …;
· detenzione e porto di armi comuni da sparo ex artt. 2 e 4 L 895/67 in concorso con C.P., R.M., C.S., B.G., C.L., in … e altri luoghi del terriorio nazionale fino al …;
· detenzione e porto di armi con canna tagliata e matricola abrasa, ex artt. 2 e 23 L 110/75 in concorso con C.P., R.M., C.S., B.G., C.L., in … e altri luoghi del territorio nazionale fino al …;
· ricettazione di armi con matricola abrasa, ex art. 648 cp, in concorso con C.P., R.M., C.S., B.G., C.L., in … e altri luoghi del territorio nazionale data da accertare;
atteso che il P.M. ha parimenti chiesto il rinvio a giudizio dei citati C.P., R.M., B.G. e C.L.;
rilevato che la posizione di R.M., attesone il sopravvenuto decesso, è stata separata;
considerato che contro gli imputati M. e C.P. in relazione ai delitti di incendio e tentato incendio doloso si sono costituiti parte civile M.A., quale legale rappresentante di G. srl, e M.P., quale legale rappresentante di A.C.O.;
atteso che tutti gli imputati hanno chiesto nel corso dell’udienza preliminare del 2-4-2009 la definizione del processo con giudizio abbreviato, solo quanto al C.L. condizionato all’escussione di un teste;
rilevato che i predetti sono stati ammessi al rito richiesto e che all’udienza del 24-4-2009, sentito il teste, le parti hanno discusso oralmente sulla base degli atti acquisiti;
considerato che in data odierna, in sede di repliche, il P.M. ha chiesto che sia sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 62 bis secondo comma cp, per contrasto con gli artt. 27 e 3 Cost;
rilevato in effetti che in sede di conclusioni il P.M. ha chiesto irrogarsi al M. la pena di anni 16 di reclusione, previa concessione delle attenuanti generiche (equivalenti, come precisato in sede di repliche) e applicazione della riduzione ex art. 442 cpp, ritenendo l’attenuazione di pena giustificata dall’eccezionale collaborazione fornita in sede di indagini dal M., il quale, dopo aver ammesso gli addebiti, ha reso dichiarazioni decisive per far luce sull’attività criminosa addebitabile ad un ulteriore gruppo di soggetti, poi raggiunti da ordinanza applicativa di misura cautelare;
considerato tuttavia che allo stato le invocate attenuanti risultano non concedibili, in quanto il M., recidivo reiterato, deve fra l’altro rispondere del delitto di cui agli artt. 575, 577 cp, che rientra tra quelli di cui all’art. 407 co. 2 lett. a) cpp, puniti con pena non inferiore nel minimo ad anni cinque, per i quali le attenuanti generiche possono essere fondate solo sui parametri di cui all’art. 133 primo comma nn 1) e 2) cp e non invece sui parametri di cui al secondo comma dell’art. 133 cp, comprendente anche il comportamento susseguente al reato, nozione in cui può farsi rientrare (ove non specificamente prevista come causa di attenuazione di pena) anche la colloborazione prestata in fase di indagini;
ritenuto che il riformulato art. 62 bis secondo comma cp sembra porsi in contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost. e che dunque, previa separazione della posizione del M., come da autonoma ordinanza, deve essere sollevata questione di legittimità costituzionale di detta norma,
osserva quanto segue.
1 - Il legislatore dispone di ampia discrezionalità nella configurazione dei reati e delle circostanze aggravanti o attenuanti e nella previsione dei limiti edittali, mentre il giudice deve a sua volta procedere alla determinazione della pena da irrogare in concreto entro i limiti stabiliti e nell’esercizio della sfera di discrezionalità riservatagli.
Ma tanto il legislatore quanto il giudice non possono prescindere dalla considerazione delle finalità della pena, in primis dalla necessaria destinazione della sanzione penale alla rieducazione del condannato.
Ed invero, a coronamento di una lenta evoluzione interpretativa, la Corte Costituzionale ha rilevato nelle sentenza 313/1990 che, se la pena non può non avere un contenuto afflittivo e se ad essa ineriscono caratteri di difesa sociale e di prevenzione generale, tuttavia non può in alcun modo pregiudicarsi la finalità rieducativa espressamente consacrata dall’art. 27/3° co. Cost., non essendo consentito strumentalizzare l’individuo per fini generali di politica criminale o privilegiare la soddisfazione di bisogni collettivi di stabilità e sicurezza.
Secondo la Corte Costituzionale in pratica la finalità rieducativa non è estranea alla legittimazione e alla funzione della pena.
La circostanza che, secondo il tenore della norma costituzionale, la pena debba tendere alla rieducazione sta ad indicare una qualità essenziale di essa nel suo contenuto ontologico, a partire dalla fase della previsione fino a quella della sua estinzione, dovendosi correlare al verbo “tendere” la concreta possibilità di una divaricazione tra la finalità e l’adesione ad essa del soggetto da rieducare.
In pratica, tutto ciò implica che la finalità rieducativa rilevi non solo nella fase dell’esecuzione, come affermato in precedenti e anche remote sentenze della Corte Costituzionale (si consideri ad es. la sentenza 12/1966), ma più in generale, in quanto connaturata alla pena, in ogni fase, compresa quella della previsione e della sua irrogazione, dovendosi ritenere che il precetto dell’art. 27/3° co. Cost. vincoli sia il legislatore sia il giudice della cognizione, prima che il giudice della sorveglianza.
Del resto sul piano della disciplina positiva si era concretamente stabilito che la finalità risocializzante dovesse essere tenuta presente dal giudice già in sede di sostituzione della pena detentiva agli effetti degli artt. 53 e segg. L 689/81, segno evidente di una diretta influenza, per così dire ontologica, della rieducazione e della risocializzazione.
2 – Va a questo punto aggiunto che, pronunciandosi sulla diversa questione della legittimità costituzionale di pene fisse, la Corte Costituzionale ha più volte rilevato (cfr. sentenze 50/1980 e 299/1992) che l’individualizzazione della pena, in modo da tenere conto dell’effettiva entità e delle specifiche esigenze dei singoli casi, si pone come naturale attuazione e sviluppo dei principi costituzionali tanto di ordine generale (principio di uguaglianza) quanto attinenti direttamente alla materia penale, tanto più che lo stesso principio di legalità della pena ex art. 25/2° co. Cost. si inserisce in un sistema, in cui si esige la differenziazione più che l’uniformità. In tale quadro, si è osservato che ha un ruolo centrale la discrezionalità giudiziale, nell’ambito dei criteri segnati dalla legge.
L’adeguamento della pena ai casi concreti contribuisce così, secondo la Corte Costituzionale, a rendere il più possibile personale la responsabilità penale, in ossequio a quanto previsto dall’art. 27/1° co. Cost., e ad assicurare una pena quanto più possibile finalizzata, nella prospettiva dell’art. 27/3° co. Cost.
Il soddisfacimento di tali presupposti e di tali finalità costituisce anche uno strumento per l’attuazione dell’uguaglianza di fronte alla pena, intesa come proporzione della pena rispetto alle personali responsabilità e alle esigenze di risposta che ne conseguono.
La sentenza 299/1992 aggiunge anche che l’individuazione del disvalore oggettivo dei fatti-reato tipici e quindi del loro diverso grado di offensività spetta al legislatore, competendo al giudice di valutare la particolarità del caso singolo onde individualizzare la pena, stabilendo quella adeguata al caso concreto nella cornice posta dai limiti edittali.
3 – Orbene, lo strumento tradizionalmente più duttile, al fine di consentire al giudice di adeguare la pena alle peculiarità del caso concreto, al di là della determinazione del trattamento sanzionatorio entro i limiti edittali, è rappresentato dalla possibilità di concedere all’imputato le attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis cp, come introdotto dall’art. 2 D.l.vo 288/1944.
E’ infatti previsto che il giudice possa prendere in considerazione circostanze diverse da quelle tipizzate, qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena.
A tal fine si afferma che debba aversi riguardo in linea di massima ai parametri indicati dall’art. 133 cp, anche se si registra un contrasto tra pronunce che richiedono la valutazione comparativa del parametro prescelto con gli altri contemplati dalla norma e l’indicazione della ragione giustificativa della ravvisata prevalenza (Cass. VI, 4-2-2003, Mariani) e pronunce che invece ritengono sufficiente l’indicazione del parametro reputato prevalente (Cass. I, 6-10-1995, Biondo e Cass. II, 16-1-1996, Romeo).
Sta di fatto che l’art. 133 cp delimita l’ambito della discrezionalità del giudice, ancorandola alla valutazione della gravità del reato e della capacità a delinquere del reo, l’una e l’altra desumibili dalla valutazione sintetica dei parametri all’uopo individuati.
Ed allora si comprende che la concessione o meno delle attenuanti generiche debba basarsi su una globale valutazione della gravità del fatto e della capacità a delinquere (Cass. I, 3-2-2006, Cariolo), se del caso lumeggiata da un elemento che in concreto assume carattere prevalente, sia pur ai fini del diniego della concessione (cass. VI, 24-9-2008, Caridi).
4 - In tale quadro generale si colloca la previsione dettata dal secondo comma dell’art. 62 bis cp, come riformulato dall’art. 1 L 5-12-2005 n. 251.
E’ infatti stabilito che ai fini dell’applicazione della diminuzione di pena contemplata dal primo comma non si tiene conto dei criteri di cui all’art. 133 primo comma n. 3) e di quelli di cui al secondo comma, nei casi previsti dall’art. 99 quarto comma, in relazione ai delitti di cui all’art. 407 co. 2 lett. a) cpp, ove puniti con pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni.
In pratica, ricorrendo l’ipotesi della recidiva reiterata in relazione a taluno dei delitti sopra menzionati, si introduce una sorta di presunzione di preponderanza del parametro negativo costituito dai precedenti dell’imputato, che può essere vinta solo dal riferimento alla natura, alla specie, ai mezzi, all’oggetto, al tempo, al luogo e ad ogni altra modalità dell’azione (art. 133 primo comma n. 1) o dal riferimento alla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato (art. 133 primo comma n. 2).
Senonchè una siffatta disciplina tradisce la ratio complessiva della norma dettata dall’art. 62 bis primo comma cp e soprattutto tradisce il senso del riferimento all’art. 133 cp, che implica una discrezionale valutazione dei parametri delineati, in modo da adeguare al caso concreto il giudizio sulla gravità del reato e sulla capacità a delinquere del reo.
A ben guardare la rigida preclusione introdotta espropria il giudice del potere di valutare adeguatamente le peculiarità del caso concreto e pervenire così alla definizione del trattamento sanzionatorio più conforme alle esigenze di risocializzazione e di rieducazione del reo (il che, come nel caso di specie, finisce per dare luogo alla predeterminazione della pena ex lege, in assenza di altre ragioni di attenuazione).
Tutto ciò assume particolare rilievo quando, a fronte del disvalore astrattamente riveniente dal parametro costituito dai precedenti penali dell’imputato, come tale incidente sulla capacità a delinquere del reo, possano individuarsi altri parametri rilevanti ai fini del medesimo giudizio sulla capacità a delinquere, che risultino in concreto idonei a contrastare la valenza negativa di quei precedenti: è il caso dell’imputato che abbia tenuto una condotta susseguente al reato particolarmente significativa, tale da far presumere che egli abbia intrapreso un percorso di rivisitazione della condotta anteatta e da far apparire poco significativo il dato personologico sotteso alle precedenti condanne.
La presunzione, basata solo su esigenze di difesa sociale, risulta così in contrasto con la precisa direttiva riveniente dall’art. 27 terzo comma Cost., giacché irrigidisce il trattamento sanzionatorio, fino ad allontanarlo dal concreto perseguimento delle esigenze di risocializzazione e di rieducazione, che postulano (non solo l’esecuzione, ma anche) l’irrogazione di una pena adeguata al loro soddisfacimento.
In altre parole sembra incongruo privilegiare in astratto solo uno dei parametri valutativi della capacità a delinquere, disconoscendo a priori la possibilità di individuare parametri ugualmente o maggiormente idonei a lumeggiare quella capacità ed a fondare una diminuzione di pena, in termini conformi al dettato costituzionale.
5 - L’assunto appare tanto più fondato se confrontato con l’irrazionalità della scelta operata dal legislatore di attribuire rilievo alla recidiva reiterata solo nel caso dei reati di cui all’art. 407 co. 2 lett. a) cpp per i quali sia prevista una pena non inferiore nel minimo a cinque anni.
In realtà il significato personologico di un elemento di valutazione non può essere diverso a seconda del tipo di delitti e men che mai a seconda del minimo della pena edittale per essi prevista.
Fra l’altro si registra la non corrispondenza tra la previsione dettata dall’art. 99 co. 5 cp, che stabilisce l’obbligatorietà dell’applicazione della recidiva nel caso di reati di cui all’art. 407 co. 2 lett. a) cpp, e quella dettata dall’art. 62 bis secondo comma cp, che invece aggiunge l’ulteriore parametro della pena non inferiore al minimo.
La disciplina disvela in realtà il preponderante rilievo attribuito alle ragioni di difesa sociale e di prevenzione generale, chiaramente espresse attraverso il riferimento a quei parametri aggiuntivi, ma risulta in concreto irrazionale.
In primo luogo si determina un’incongrua commistione tra parametri personologici e profili afferenti alla gravità del fatto, attribuendosi rilievo decisivo ai primi in quanto associati ai secondi, sulla base di valutazioni predeterminate e astratte, senza considerare che il profilo afferente alla personalità del reo non può che concorrere alla formulazione di un giudizio sintentico sulla concreta capacità a delinquere, solo all’interno di tale valutazione potendo trovare l’eventuale contemperamento.
In secondo luogo si finisce per prevedere un trattamento ingiustificatamente diverso di situazioni che rispetto alla concessione delle attenuanti generiche e alla rilevanza della recidiva reiterata sono in realtà identiche (si pensi a reati parimenti compresi tra quelli di cui all’art. 407 co. 2 lett. a cpp e con pena identica nel massimo ma non nel minimo, come l’estorsione aggravata e la rapina aggravata, rispetto ai quali l’art. 62 bis secondo comma cp finisce per incidere in modo del tutto diverso, o a reati pur rilevanti, come l’estorsione non aggravata, che hanno una pena non inferiore nel minimo a cinque anni, per i quali tuttavia la recidiva reiterata non osta in alcun modo alla possibilità di individuare i presupposti per la concessione delle attenuanti generiche sulla base di taluno degli altri parametri di cui all’art. 133 secondo comma cp).
In altre parole la preclusione alla concessione delle attenuanti generiche viene fatta discendere da una circostanza inerente alla persona del colpevole associata ad un coacervo disomogeneo di titoli di reati, delineati dall’art. 407 co. 2 lett. a) cpp, ulteriormente qualificato dal minimo della pena edittale, peraltro non sempre indicativo neppure della gravità del reato (la rapina aggravata con pena massima di anni venti infatti finisce per essere trattata come l’estorsione non aggravata con pena massima di anni dieci, senza alcuna razionalità delle scelte neppure in termini di prevenzione generale).
Correlativamente si produce l’anomalo effetto di condurre all’irrogazione di pene identiche in presenza di situazioni che possono considerarsi assolutamente diverse: vale il caso di specie, in cui al deceduto R.M. parimenti recidivo reiterato e fino all’ultimo irriducibile, sarebbe dovuta se del caso applicarsi la medesima pena che, sulla base della vigente disciplina, dovrebbe irrogarsi al collaborante M..
Ad abundantiam si può osservare come si allarghi a dismisura e, a quanto pare, ingiustificatamente la distanza tra il regime di favore dettato da norme speciali, quale ad esempio quella di cui all’art. 8 L 203/91, e la disciplina ordinaria, valida per i reati che non riguardino la criminalità mafiosa: nel primo caso non vi sono preclusioni di sorta pur a fronte di una storia criminale cospicua, mentre nel secondo, in presenza delle altre condizioni lumeggiate (che peraltro sono spesso ricorrenti nei contesti criminali), neppure una efficace o addirittura eccezionale collaborazione potrebbe trovare il riscontro di una circostanza attenuante, pregiudicando, si badi, anche l’attività di accertamento e repressione dei reati, che non potrebbe più trovare il favorevole abbrivio di collaborazioni meritevoli di un qualche riconoscimento premiale.
6 - L’analisi che precede consente dunque di affermare che non è manifestamente infondata per contrasto con gli artt. 27/3° co. e 3 Cost. la questione di legittimità costituzionale dell’art. 62 bis secondo comma cp, come riformulato dall’art. 1 L 5-12-2005 n. 251, nella parte in cui nel caso di cui all’art. 99/4° co. cp in relazione ai delitti di cui all’art. 407 co. 2 lett. a) cpp, per i quali sia prevista una pena non inferiore nel minimo a cinque anni, non consente di desumere la possibilità di concedere le attenuanti generiche anche dai parametri di cui all’art. 133 secondo comma cp, in particolare dal comportamento del reo susseguente al reato.
7 - Siffatta questione nel caso di specie è rilevante, in quanto si è già visto come, su richiesta del P.M., debba entrarsi nel merito dell’applicabilità all’imputato M. delle attenuanti generiche sulla base di un comportamento susseguente al reato (è invece in questa sede irrilevante la diversa questione della preclusione ex art. 69/4° co. cp del giudizio di prevalenza, a fronte della qualità di recidivo reiterato).
Ed invero risulta che l’imputato non solo ha ammesso gli addebiti e comunque quelli principali, costituiti dall’imputazione di omicidio e occultamento del cadavere, ma soprattutto ha nel corso delle indagini tenuto una condotta largamente collaborativa (definita dal P.M. in udienza di eccezionale rilievo), che ha consentito di emettere nei confronti di numerosi altri soggetti e per gravi reati un’ordinanza applicativa di custodia cautelare, essenzialmente fondata sulle dichiarazioni del prevenuto (all’uopo è stata prodotta l’ordinanza richiamata, dalla quale si evince la qualità del contributo fornito).
L’imputato ha in tal modo palesato un contegno di inequivoca discontinuità con il suo passato e di rivisitazione della travagliata condotta anteatta.
Va in effetti osservato che il M. risulta condannato per plurimi e gravi reati, peraltro commessi tutti in epoca assai remota.
Tra detti reati figura anche quello di omicidio, ma in quel caso gli è stata riconosciuta l’attenuante della minima partecipazione.
D’altro canto il M. ha fruito in passato dell’attenuante della collaborazione di cui all’art. 8 L 203/1991, essendo stato sottoposto anche alla speciale protezione riservata ai collaboratori di giustizia.
Scaduti i termini del relativo contratto, il M. è ricaduto nel crimine, riportando una modesta condanna per fatti legati alla prostituzione e rendendosi l’artefice della creazione di un sodalizio, ruotante intorno ad un locale notturno da lui gestito e finalizzato soprattutto alla commissione di reati contro il patrimonio, all’interno del quale è maturata l’ideazione e l’esecuzione dell’omicidio di C.S. per cui è causa.
Sta di fatto che l’elemento sopravvenuto, rappresentato dalla prestata efficace collaborazione, al pari dei precedenti penali -ma più di essi- si proietta verso il futuro e dunque verso la definizione di un trattamento sanzionatorio corrispondente alle concrete e attuali esigenze di rieducazione e può dunque considerarsi meritevole di considerazione quale comportamento susseguente al reato, idoneo a giustificare un’attenuazione di pena ai sensi dell’art. 62 bis primo comma cp, nel quadro di una globale valutazione degli indici di cui all’art. 133 secondo comma cp.
Poiché l’imputato è recidivo reiterato e deve fra l’altro rispondere del delitto di omicidio aggravato dalla premeditazione, rientrante tra quelli evocati dall’art. 62 bis secondo comma cp, tale elemento non potrebbe essere preso in considerazione (non ricorrendo nella specie elementi tali da far apparire rilevanti i parametri di cui all’art. 133 primo comma n. 1 e 2 cp).
Di qui la necessità di sollevare la questione di legittimità costituzionale nei termini suesposti.
P. Q. M.
Visto l’art. 23 L 87/1953,
dichiara rilevante e non manifestamente infondata per contrasto con gli artt. 3 e 27/3° co. Cost. la questione di legittimità costituzionale dell’art. 62 bis secondo comma cp, come riformulato dall’art. 1 L 5-12-2005 n. 251, nella parte in cui, nel caso di recidivo reiterato ex art. 99/4° co. cp, chiamato a rispondere di taluno dei delitti di cui all’art. 407 co. 2 lett. a) cpp, per il quale sia prevista una pena non inferiore nel minimo a cinque anni, non consente di fondare sui parametri di cui al secondo comma dell’art. 133 cp, in particolare sul comportamento susseguente al reato, la concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 bis primo comma cp.
Sospende il processo e ordina la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
Dispone che l’ordinanza, di cui è data lettura in udienza al P.M. e al difensore dell’imputato, nonché alle parti civili, rappresentate dai difensori, sia notificata all’imputato assente.
Dispone inoltre che l’ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti della Camera e del Senato della Repubblica.
Perugia, 28-4-2009
Il Giudice
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