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Penale.it - Federico Martella, Osservazioni sul reato di concussione. Rapporti con le fattispecie corruttive anche alla luce della giurisprudenza attuale in punto di “induzione”: dubbi di incostituzionalità e prospettive di riforma
Federico Martella, Osservazioni sul reato di concussione. Rapporti con le fattispecie corruttive anche alla luce della giurisprudenza attuale in punto di “induzione”: dubbi di incostituzionalità e prospettive di riforma
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I - Concussione e corruzione: criteri distintivi.
Per effetto di una recente pronuncia della Corte di Cassazione ( n. 28736 del 10 luglio 2008 VI Sezione Penale), pubblicata su questo sito, risulta confermato un diffuso indirizzo giurisprudenziale in materia di distinzione tra concussione e corruzione.
Per tale orientamento, il parametro discretivo fra tali fattispecie va ricercato nella considerazione della condizione psicologica del privato a fronte del pubblico ufficiale. L’attività dell’organo giudicante, in particolare, deve avere ad oggetto l’esame del rapporto, paritetico o meno, tra le volontà dei soggetti coinvolti: il pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio, da un lato, il soggetto privato, dall’altro [1].
Si avrà concussione, più precisamente, in caso di coercizione della volontà del privato generata dalla forza prevaricatrice esercitata dal soggetto pubblico, il quale, per l’appunto, a norma dell’art. 317 c.p., abusando dei propri poteri o delle proprie qualità, “costringe” o “induce” il privato a dare o promettere indebitamente a lui o a un terzo denaro o altra utilità. Il privato rappresenta qui una “vittima”, condizionata rispetto alla indebita prestazione dalla condotta del soggetto pubblico. Significativo, del resto, è che fra le oggettività giuridiche protette dalla norma, si annoveri, comunemente, accanto ai beni della imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, la libertà del privato di disporre del proprio patrimonio [2].
L’atteggiamento prevaricatore del soggetto pubblico non contraddistingue invece la figura della corruzione. Essa ricorre quando il giudice accerti il carattere paritetico del rapporto tra le volontà dei soggetti, quando, in altre parole, gli stessi, di comune intesa, pervengono, per mezzo di un pactum sceleris, al conseguimento del fine illecito.
Secondo le previsioni sancite dagli art. 318 e 319 c.p., il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, infatti, “riceve” o “accetta” la promessa di danaro o altra utilità da parte del privato al fine di conseguire l’obiettivo illegittimo. Trattasi, in sostanza, di fattispecie a concorso necessario [3] in cui entrambi i soggetti si accordano liberamente per realizzare lo scambio tra danaro e futuro compimento di un atto di ufficio o tra danaro e atto di ufficio già compiuto secondo che si tratti di corruzione impropria antecedente o susseguente (art. 318 comma 1 e 2 c.p.); oppure il mercimonio fra danaro e futuro compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o fra danaro e atto contrario ai doveri di ufficio già compiuto a seconda che ci si trovi, rispettivamente, in ipotesi di corruzione propria antecedente o corruzione propria susseguente (art. 319 comma 1 e 2 c.p.).
Per dare una definizione al riferito criterio interpretativo, incentrato sull’esame delle volontà, si è spesso impiegata l’espressione metus publicae potestatis .
Il riferimento a tale requisito è peraltro valido a condizione che esso venga utilizzato in qualità di mero sinonimo del concetto di prevaricazione o di volontà coartata, non invece in senso tecnico-letterale, attesa, a rigore, la non coincidenza tra la nozione di condizionamento psicologico e significato dell’espressione metus publicae potestatis. Già da tempo, infatti, si sottolinea in dottrina [4] come non sia indispensabile, ai fini della integrazione della fattispecie concussiva, un vero e proprio metus del privato; ciò che conta non è il timore del privato ma che la volontà di quest’ultimo risulti viziata, abbia cioè subito una coartazione che il giudicante dovrà accertare; coartazione cui non necessariamente corrisponderà il timore del privato. Quest’ultimo potrà cioè acconsentire, con volontà viziata, alla richiesta del pubblico ufficiale non per apprensione ma esclusivamente per evitare danni. Da ciò dunque la non indefettibilità strutturale del metus[5]e la conseguente inadeguatezza dello stesso ad assurgere a generale parametro distintivo tra concussione e fattispecie corruttive.
L’affermazione del dominante criterio della coercizione psicologica, ha portato al superamento della teoria dell’iniziativa, elaborata in passato dalla dottrina [6] proprio per distinguere i reati di concussione dalla corruzione.
Secondo tale impostazione, l’iniziativa del soggetto qualificato, consistente essenzialmente nella attivazione dello stesso rispetto al fine illecito, è indice di sussistenza del reato di concussione; ove invece l’attivazione provenga dal privato si sarà in presenza di corruzione.
Quantunque più affidabile, attesane la natura di criterio oggettivo, e rispondente a ciò che nella maggior parte dei casi si verifica, esso non appare utilizzabile come generale mezzo di distinzione tra le fattispecie considerate. Risulta infatti smentito da alcune peculiari ipotesi in cui, a fronte di iniziative del privato, si configurano figure concussive: è il caso dei comportamenti ostruzionistici del p.u., che, ingiustamente omettendo, per es., di corrispondere al privato indennità cui questi abbia diritto, costringe lo stesso a prendere l’iniziativa per la dazione di danaro o di altra utilità. Viceversa, dinanzi ad una iniziativa del p.u., rivolta alla prospettazione del compimento di un atto illegittimo e vantaggioso per il privato, può realizzarsi il reato di corruzione, come accade quando il privato stesso accetti la proposta illegittima del soggetto qualificato [7].
La teoria della iniziativa è stata definitivamente superata con l’intervento legislativo n. 86 del 1990, introduttivo dell’art. 322 c.p.: il terzo e quarto comma di tale disposizione contemplano espressamente fattispecie di corruzione su iniziativa (“sollecitazione”) da parte del soggetto qualificato.
Ancorché in giurisprudenza si tenda a sottolineare - come nella pronuncia in commento - che il vero discrimine tra le fattispecie in esame risiede nella sola considerazione della posizione psicologica del privato a fronte del pubblico ufficiale, si ricorre spesso, fra i giudici, ad altri parametri, quali quello concernente il danno, che il privato, nel caso della concussione, mira ad evitare, o il vantaggio che, nel caso della corruzione, si orienta a realizzare. In più di una occasione, infatti, l’indagine circa il rapporto tra le volontà è stata affiancata proprio da tale ultimo criterio, il criterio del danno, anch’esso di origine giurisprudenziale e anch’esso indicato, soprattutto in dottrina, come un ulteriore ed affidabile criterio distintivo.
Per tale parametro, come accennato, ci sarà concussione quando il privato agisca per evitare un danno ( certat de damno vitando); ci sarà invece corruzione ove il privato si muova per ottenere un vantaggio ( certat de lucrum captando) [8]. Pur non potendo fornire un decisivo strumento risolutivo in punto di distinzione tra concussione e corruzione, esso rappresenta, si è opportunamente rilevato, un mezzo discretivo che tenta quanto meno di agganciare la valutazione del giudicante a dati maggiormente oggettivi [9]. Da ciò il suggerimento per una più frequente applicazione dello stesso.
Su tale indice di valutazione, va però fatta una importante precisazione, senz’altro da condividere. Ad avviso della dottrina, imprescindibile punto di partenza del giudicante, nelle ipotesi concussive, è l’ingiustizia del danno minacciato dal soggetto qualificato [10]. Ciò consente, invero, di accorgersi che, in certe situazioni, pur agendo il privato al fine di evitare un danno, si configurano fattispecie corruttive. E’ il caso, per es., del pubblico ufficiale che chiede al privato danaro per non provvedere ad un arresto legittimo o ad un accertamento dovuto: è vero che qui il privato agisce per evitare un danno; ma è anche vero che il danno conseguente all’atto del p.u. è secundum jus, non è un danno ingiusto: ciò che il p.u. prospetta - minacciando il compimento dell’atto - è di non porlo in essere in cambio del compenso. Sicché, non si avrà concussione proprio per mancanza di ingiustizia del danno minacciato, ma corruzione, a condizione però che il privato accetti l’offerta; ove non la accetti risulterà integrata la fattispecie di istigazione sancita dall’art. 322 c.p. Il criterio del danno appare pertanto un valido ed utile strumento interpretativo purché venga impiegato non nella sua assolutezza ma valutando, come si richiede in dottrina, la situazione concreta, in cui la fattispecie si consuma, alla luce del requisito dell’ingiustizia [11].
II – Orientamenti ermeneutici sul concetto di “induzione” e principio di tassatività della norma penale.
Si è appena osservato come il parametro del danno o del vantaggio abbia suscitato più di un consenso in dottrina. Oggi, infatti, si tende ad affermare, per lo più, che l’indagine sull’elemento volontaristico vada opportunamente integrata da una valutazione sull’ispirazione finalistica del privato.
La necessità - per vero sostenuta con maggior vigore dalla dottrina - di affiancare al criterio volontaristico quello facente capo al danno nella prospettiva di distinguere il reato di concussione dalle fattispecie corruttive discende da varie ragioni.
Come si dice fra gli autori, anzitutto, non del tutto affidabile appare, al riguardo, un’indagine imperniata sul solo elemento psicologico, stante il carattere intrinsecamente debole di simile criterio di accertamento [12].
Le maggiori difficoltà discendono, tuttavia, dagli elementi strutturali delle figure criminose, segnatamente da quelli della concussione.
Talora, infatti, risulta assai complicato stabilire con certezza la riconducibilità di una certa condotta al disposto sancito dall’art. 317 c.p. o a quello relativo alle figure corruttive, tanto che l’utilizzazione di entrambi i criteri distintivi sopra illustrati si rivela a volte non solo irrinunciabile ma anche insufficiente.
Fonte di simili difficoltà interpretative è la condotta di “induzione”, prevista dall’art. 317 c.p., alternativamente alla “costrizione”, in qualità di strumento coercitivo della volontà del privato.
Al fine di meglio comprendere le disfunzioni connesse a tale specifica previsione, è opportuno prendere in esame il quadro concernente l’intera condotta concussiva cui appartiene anche la costrizione.
Secondo autorevole ricostruzione [13], è possibile distinguere, nell’universo penale, fattispecie a selettività primaria, che individuano per la prima volta la condotta destinata ad essere sottoposta a sanzione penale, e fattispecie a selettività secondaria, che rappresentano ipotesi qualificate dei comportamenti delittuosi selezionati in via primaria.
Ebbene, la concussione è considerata fattispecie a selettività secondaria. Quanto alla costrizione, infatti, si parla di estorsione qualificata. La condotta costrittiva del pubblico ufficiale, che abusa delle proprie qualità o poteri, si sostanzia in quel “costringimento psichico relativo” che descrive il medesimo comportamento incriminato con la fattispecie di cui all’art. 629 c.p. [14] L’effetto della minaccia esercitata dal soggetto attivo si risolve in una situazione di alternativa, per il privato, tra la dazione e la sottoposizione al danno ingiusto. Quest’ultimo ha cioè un margine di scelta fra tali soluzioni che, invece, non avrebbe ove il costringimento fosse assoluto, idoneo ad azzerare cioè ogni alternativa in capo al soggetto passivo. In quest’ultima ipotesi si configurerebbe, piuttosto, il diverso reato di rapina, aggravato dalla qualifica pubblica (art. 61 n. 9 c.p.).
Per l’induzione il discorso diventa più complesso. A dire il vero, secondo la suddetta teoria anche la concussione per induzione costituisce fattispecie a selettività secondaria. Essa dovrebbe interpretarsi alla stregua di un’ipotesi qualificata di truffa: la condotta induttiva dell’art. 317 c.p. non è altro che l’induzione in errore, intesa in termini di falsa rappresentazione della realtà, contemplata dalla fattispecie prevista dall’art. 640 c.p. La concussione per induzione si avrà, in particolare, quando il privato corrisponderà danaro o altra utilità perché indotto in errore - ingenerato dall’abuso di poteri o qualità del soggetto pubblico [15]- circa la doverosità di tale dazione.
In linea con la riferita teoria si pone la stessa Relazione al codice penale là dove s’intende, espressamente, l’induzione della concussione come una condotta esprimente la medesima induzione in errore della truffa [16].
La questione riguardante la differenza fra concussione e corruzione risulterebbe invero meno complicata ove l’art. 317 c.p. venisse in tal modo interpretato. L’inequivoco significato delle condotte concussive agevolerebbe senza dubbio il compito del giudicante. E’ certo più facile, da un lato, individuare la coercizione della volontà del privato in presenza di un comportamento costrittivo. Allo stesso modo più agevole, d’altra parte, sarebbe distinguere la corruzione dalla concussione per induzione come sopra intesa: parametro discretivo di riferimento sarebbe l’errore o meno circa la doverosità della dazione in cui il privato incorre a causa della condotta del soggetto pubblico.
La giurisprudenza, tuttavia, si è orientata in una direzione diversa da quella finora descritta. Il comportamento del soggetto pubblico diretto ad indurre in errore il privato circa il carattere doveroso della dazione è stato, in varie pronunce, considerato integrante un’ipotesi di truffa, aggravata ai sensi dell’art. 61 n. 9.
Fra i giudici, probabilmente, ha giocato un ruolo decisivo l’argomento della necessità di attribuire, all’interno di un medesimo complesso codicistico, significati diversi a formule legali differenti, quali appunto l’induzione in errore di cui all’art. 640 c.p. e la semplice induzione di cui all’art. 317 c.p. Tanto più che se il legislatore avesse voluto costruire la fattispecie concussiva ricalcando la condotta espressa dalla locuzione “induzione in errore”, propria della truffa, lo avrebbe fatto introducendo tale specificazione anche nell’ambito dell’art. 317 c.p.
Seguendo un simile orientamento, resta però il difficile compito di individuare una nozione di induzione, attraverso il riferimento a formule precise, compatibile col principio di tassatività delle norme penali. Ciò in considerazione del rilievo che, essendo la condotta induttiva prevista in via alternativa alla costrizione, deve, essa, da un lato, sostanziarsi in comportamenti non rientranti nella sfera operativa della costrizione stessa, costituendo quest’ultima il limite naturale della prima; e non deve, d’altro lato, coincidere con quanto invece appartiene al tracciato dell’induzione in errore. Né da dimenticarsi poi è la considerazione per cui deve in ogni caso trattarsi di condotta idonea a viziare la volontà del privato [17].
Di fronte a tale difficoltà interpretativa, la giurisprudenza ha via via identificato l’induzione in qualsiasi forma di suggestione o persuasione, comportamenti surrettizi consistenti in silenzi o tacite ammissioni tali da influire sulla volontà del privato in misura capace di viziare la volontà dello stesso [18].
Svincolando l’induzione da ogni rapporto con la truffa, l’indirizzo giurisprudenziale in esame ha portato ad un cambiamento della natura della concussione, che da fattispecie a selettività secondaria si è trasformata in fattispecie a selettività primaria, selezionando comportamenti di rilievo penale ontologicamente diversi da quelli rapportabili alla induzione in errore dell’art. 640 c.p.
Ciò, peraltro, non ha prodotto risultati plausibili sotto il profilo del rispetto del principio di legalità [19]. Fondate, pertanto, appaiono le critiche espresse sul punto dalla dottrina.
In giurisprudenza, si è infatti soliti affermare che l’induzione è formula sottratta ad una delimitazione in chiave descrittiva attraverso predeterminate regole semantiche [20]. E lo sforzo di esplicitare la stessa con espressioni del tipo suddetto, quali la suggestione o persuasione non rappresenta certo una soluzione interpretativa immune da censure di incostituzionalità per contrasto col canone della tassatività delle fattispecie penali. L’opera di persuasione attuata dal pubblico ufficiale può in effetti risultare, in primo luogo, tanto intensa e pressante da realizzare una vera e propria condotta costrittiva. Non a caso si parla spesso - quanto all’induzione - di forma larvata di costrizione: ma in tal caso la previsione della stessa induzione non avrebbe alcun senso, attesa la negazione del relativo carattere alternativo rispetto alla costrizione, stante la riconducibilità delle suddette condotte persuasive alla sfera della costrizione medesima. In secondo luogo, laddove da tale suggestione o persuasione esorbiti qualsiasi carattere costrittivo non si riesce a comprendere come essa possa rivelarsi davvero capace di viziare la volontà del privato. In casi simili, il comportamento del soggetto attivo, si afferma in dottrina, equivale a quel dolus bonus del diritto civile insufficiente a dar luogo ad un vizio della volontà.
E’ dunque facile rendersi conto di come, in tali ipotesi, possa rivelarsi assai problematico accertare la coartazione o meno della volontà del privato. Il rischio, pertanto, provocato dalla eccessiva genericità delle formule impiegate per descrivere la condotta induttiva è quello dell’insinuazione, proprio in fase di simile verifica, di elementi di discrezionalità, idonei a dar luogo a possibili contrasti col divieto di analogia.
Tutt’altro che risolutore appare perciò, in tali circostanze, l’impiego del solo criterio distintivo incentrato sull’analisi del rapporto tra le volontà dei soggetti pubblico e privato. Di conseguenza, il ricorso al parametro del danno o del vantaggio, pure sopra riferito, risulta, soprattutto nelle descritte ipotesi di induzione per persuasione, più che mai opportuno. Non che quest’ultimo costituisca fonte risolutiva di ogni problema al riguardo, ma - non riuscendo, con tutta probabilità, il giudice ad individuare con certezza la prevaricazione coercitiva - potrà rivelarsi utile anche un’indagine condotta sull’ispirazione finalistica della scelta del privato.
III : Segue – la “concussione ambientale”e il principio sancito dall’art. 27 comma 1 Cost.
Le difficoltà interpretative generate dal concetto di induzione hanno indotto diversi autori ad elaborare qualche suggerimento per una più corretta applicazione del precetto sancito dall’art. 317 c.p.
Da un lato, come già sopra esposto, si è proposto di considerare l’induzione della concussione come una forma qualificata di induzione in errore prevista dal reato di truffa.
Altro indirizzo, sempre più accreditato, opta d’altro lato, e più opportunamente, per una soluzione più radicale. I dubbi circa la corretta qualificazione di una certa condotta come appartenente alla fattispecie concussiva o al reato di corruzione vanno risolti, si afferma, attraverso l’estromissione della stessa nozione di induzione dal dato positivo dell’art. 317 c.p. Partendo dal presupposto della inidoneità della stessa a determinare vizi della volontà del privato, si sottolinea l’opportunità di inserire tale condotta nell’ambito applicativo della corruzione. Ciò d’altronde è quanto avviene in quei Paesi in cui pure è previsto il reato di concussione: ci si richiama, in particolare, all’esempio dei codici francese o portoghese, là dove, pur esistendo il delitto di concussione, le ipotesi equivalenti alla concussione per induzione sono ricondotte alla corruzione nella forma della richiesta della utilità da parte dell’amministratore [21].
Tale soluzione renderebbe meno problematica la distinzione tra concussione e corruzione, essendo in tal caso più agevole individuare la coartazione psicologica stante la presenza nella fattispecie della sola costrizione. Ma porterebbe, altresì, ad evitare aberranti applicazioni giurisprudenziali che, proprio per via del non meglio precisato concetto di “induzione”, hanno portato, di recente, ad autentiche erosioni della tipicità della fattispecie sancita dall’art. 317 c.p.
Negli ultimi periodi, infatti, si è giunti ad ipotizzare, in giurisprudenza, la sussistenza della “concussione ambientale”, fattispecie anch’essa riconducibile al dettato della norma suddetta in qualità di ultimo prodotto della induzione medesima. Che cosa sia la concussione ambientale nessuno può dirlo [22], attesa l’assenza di qualsivoglia riscontro normativo idoneo a definirla. La giurisprudenza ha cercato di tracciarne i limiti applicativi, senza peraltro, a giudizio degli autori, riuscire a non incorrere in palesi violazioni del principio di legalità.
Dalle varie elaborazioni applicative, si desume, anzitutto, che la fattispecie si realizza in determinate situazioni ambientali in cui risulta consolidata la pratica del mercanteggiamento delle funzioni pubbliche (c.d. tangenti). La condotta di induzione del soggetto qualificato si attua, in tali casi, attraverso il riferimento a convenzioni, tacitamente riconosciute dalle parti, aventi ad oggetto il suddetto scambio illecito ed esplicantesi, in particolare, nella ineluttabile necessità fra la dazione di danaro e l’esercizio del pubblico potere. Tali convenzioni vengono poi fatte valere dal p.u. nei confronti del privato anche mediante comportamenti inidonei ad integrare le previsioni del reato di concussione: può trattarsi, a giudizio dei giudici, di condotte penalmente irrilevanti, ove considerate autonomamente, destinate ad acquisire rilievo penale, ai sensi dell’art. 317 c.p., per effetto del riferimento alla consolidata prassi ambientale [23].
La dottrina si è mostrata particolarmente critica verso questo orientamento. Si è parlato della concussione ambientale come di una fattispecie extra legem codificata in via interpretativa [24]. Ed invero, pur essendo stata coniata per esigenze repressive particolarmente impellenti negli anni di tangentopoli, non può tacersi, del vulnus causato da simili applicazioni al principio di legalità.
Va infatti osservato come, in simili circostanze, la coercizione della volontà del privato venga determinata da una condotta intrinsecamente inidonea a causare tale stato di soggezione, in quanto non rientrante neanche nell’induzione, ammesso e non concesso, come visto, che anche quest’ultima sia suscettibile di una qualche definizione accettabile alla luce del canone della tassatività. Il risultato del vizio della volontà discende piuttosto dall’elemento esterno ed oggettivo della diffusa prassi illegale, propria di un determinato ambiente, che finisce per conferire tipicità ad una condotta atipica alla luce dell’art. 317 c.p. e a portare, dunque, ad un evidente contrasto con l’art. 25 Cost.
Si può ben intuire, poi, come anche in tali circostanze rimarrà comunque problematico accertare la effettiva sussistenza del vizio nella volontà del privato quando egli, di fronte alla cognizione di quel sistema di illegalità ambientale, si determini alla dazione o alla promessa.
Non meno fondata appare inoltre la preoccupazione di possibili violazioni del principio della responsabilità penale personale. Come noto, la realizzazione della concussione richiede necessariamente, accanto alla costrizione o alla induzione, anche l’integrazione dell’ulteriore ed indefettibile elemento qualificante la fattispecie, vale a dire l’abuso del potere o della qualità da parte del pubblico ufficiale. Tale abuso, in realtà, in caso di concussione ambientale, non risulta affatto prospettato ed integrato. Esso viene essenzialmente dato per implicito o presunto per effetto della notorietà della prassi ambientale illecita. Il pericolo è dunque quello di approdare ad affermazioni di responsabilità penale del pubblico ufficiale sulla base della oggettiva sussistenza di tale prassi. In contesti simili, la sola posizione ricoperta dal pubblico ufficiale potrebbe cioè risultare requisito sufficiente per l’affermazione della relativa responsabilità, in contrasto con l’art. 27 comma 1 Cost [25].
IV – Linee interpretative essenziali sui concetti di “abuso di poteri o qualità” e “indebita dazione”.
Elemento dunque indispensabile, ai fini della realizzazione della fattispecie concussiva, è - come poc’anzi accennato - l’abuso di potere o qualità da parte del soggetto pubblico.
Tale requisito deve sussistere accanto alla costrizione o all’induzione. Occorre perciò evitare l’errore di ritenere l’abuso come implicito nella condotta costrittiva o induttiva. Si tratterebbe, in tal caso, di altra fattispecie (estorsione o truffa aggravata ex art. 61 punto 9 c.p.) con conseguente spostamento dell’offesa verso beni giuridici diversi da quelli protetti dalla norma prevista dall’art. 317 c.p [26].
Per quanto riguarda la definizione del concetto di abuso non paiono, invero, sussistere particolari discussioni. Si è infatti concordi, in dottrina e in giurisprudenza, nel sostenere che l’abuso del potere vada riferito al concetto di competenza. Più precisamente, esso esprime l’esercizio di potestà funzionali rientranti nella competenza del soggetto attivo per il soddisfacimento di finalità diverse da quelle per cui tale potere viene riconosciuto.
Anche per l’abuso di qualità si ritiene altrettanto concordemente che esso si sostanzi nella strumentalizzazione, da parte del soggetto attivo, della propria posizione di preminenza, indipendentemente, stavolta, dalle competenze del soggetto. Non è qui necessario che esso possieda effettivamente il potere eventualmente minacciato: ciò che conta, dicono i giudici, è che quanto prospettato dall’agente renda credibile l’intimidazione [27].
Non manca comunque qualche voce che, in caso di abuso di qualità, sostiene viceversa la necessità dell’effettiva titolarità, in capo al pubblico soggetto, dei poteri il cui abusivo esercizio viene da questi minacciato: l’abuso di qualità si risolve, secondo tale dottrina, nella prospettazione di poteri del soggetto attivo a quest’ultimo effettivamente facenti capo [28].
La nozione “abuso di poteri” consente di effettuare, sia pure incidentalmente, trattandosi di argomento già meritevole di trattazione autonoma, una precisazione sul profilo soggettivo del reato di concussione.
La riforma n. 86 del 1990 ha sostituito la locuzione “abuso di funzioni” con quella attuale “abuso di poteri”. L’intervento legislativo rappresenta la traduzione, sul piano della condotta, dell’estensione della sfera dei soggetti attivi della fattispecie agli incaricati di pubblico servizio operata, per l’appunto, da tale legge. Prima della riforma si riteneva che questi ultimi, esclusi dal novero dei soggetti attivi della concussione, non fossero dotati di prerogative tali da coartare la volontà del privato. La progressiva espansione delle attività delle pubbliche amministrazioni ha portato, invece, all’attribuzione anche a tali soggetti di poteri sempre più idonei a generare condotte concussive. Non potendo, peraltro, l’incaricato di pubblico servizio essere, per definizione (art. 358 c.p.), titolare di funzioni, spettanti queste solo al pubblico ufficiale, si è scelto di adottare l’attuale locuzione come espressione del cambiamento consistente nell’inserimento degli incaricati di pubblico servizio fra i soggetti attivi della concussione
L’ermeneutica attuale non registra poi particolari difficoltà sull’interpretazione del resto della fattispecie, vale a dire sul concetto di “dazione o promessa di danaro o altra utilità”.
Per “dazione” si intende il trasferimento del danaro o, più in generale, di un diritto dalla sfera di disponibilità del privato a quella del soggetto agente, e può assumere varie forme, dalla consegna materiale alla ritenzione del bene ricevuto ad altro titolo. La “promessa” esprime invece una manifestazione dell’intento di futura dazione, certamente non vincolante sul piano negoziale.
L’“altra utilità”, secondo il prevalente indirizzo, si identifica con tutto ciò che rappresenta un vantaggio per la persona, materiale o morale, patrimoniale e non patrimoniale, oggettivamente apprezzabile, e consistente tanto in un dare quanto in un facere e ritenuto rilevante dalla consuetudine e dal convincimento comune: si è risolta, così, in senso positivo, la questione della idoneità o meno della prestazione sessuale a rientrare nel paradigma concussivo [29].
Parte degli autori e della stessa giurisprudenza ritiene, infine, che la condotta costrittiva o induttiva diretta a far conseguire l’illecito vantaggio allo Stato o ad altro ente pubblico non realizzi gli estremi della concussione.
Più corretta, tuttavia, appare l’impostazione che ravvisa la sussistenza del reato anche in tali ipotesi, attesa l’inequivoca generalità del termine “terzo”. Non v’è chi non veda, del resto, come una simile condotta si ponga comunque in contrasto con il valore costituzionale del corretto e buon andamento dell’ agere pubblicistico: questo risulta infatti compromesso anche laddove il sopruso verso il cittadino si risolva in un vantaggio per lo Stato [30].
Altresì corretta appare la posizione di quanti negano la concussione quando il soggetto pubblico costringa o induca il privato alla dazione o promessa per conseguire una prestazione effettivamente dovuta dal secondo nei confronti del primo [31]. Tale soluzione interpretativa è imposta dal dato positivo dell’art. 317 c.p., che precisa come la dazione o la promessa debbano essere effettuate indebitamente. Sul punto va tuttavia ricordato che l’opinione dominante, anche in giurisprudenza, sostiene l’orientamento opposto, volto a ravvisare, anche in tali casi, la fattispecie concussiva.
Quanto infine all’elemento soggettivo, nulla quaestio: il dolo è generico, richiedendo esso la coscienza e volontà di tutti gli elementi della fattispecie: dalla condizione personale del soggetto attivo all’abuso e alla natura indebita della prestazione.
Dott. Federico Martella, Foro di Bologna - marzo 2009
(riproduzione riservata)
[1] Cfr., per simile impostazione, fra le altre, Cass. sez. I n. 4898 del 2004 in Cass. Pen. 2005, p. 1585 laddove si sottolinea, in qualità di elemento discriminante tra concussione e corruzione, la presenza, nella concussione, di una volontà prevaricatrice del p.u., condizionante la volontà del privato.
[2] Sulla plurioffensività della fattispecie concussiva cfr. Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte speciale, II, Milano , Giuffrè , 12 ed. nonché Pagliaro, Principi di diritto penale. Parte speciale. Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la p.a., Milano, Giuffrè, 1994, 7 ed.
[3] Sulla natura monosoggettiva della concussione e su quella plurisoggettiva della corruzione, così come ritenuta dalla prevalente opinione, v. Cass. Sez. VI, 17 ottobre 1994 n. 616, in Cass. pen. 1996, p. 1130.
[4] Pagliaro, Principi di diritto penale, cit., p. 119.
[5] In tal senso, sottolinea l’irrilevanza dello stato di timore a fronte, invece, della necessità del condizionamento psicologico del privato Cass. Sez. VI n. 2019 del 2003, in Cass. pen. 1994, p. 1517.
[6] La teoria della iniziativa è stata elaborata da Manzini, Trattato di diritto penale italiano, Torino, 1981, IV, p. 213.
[7] Per tali rilievi, cfr. Stortoni, Delitti contro la pubblica amministrazione, in AA.VV., Diritto penale. Lineamenti di parte speciale, Monduzzi, Bologna, II ed., p. 131.
[8] Cfr., per l’applicazione di tale criterio discretivo, accanto a quello soggettivo incentrato sul rapporto tra le volontà dei soggetti, Cass. Sez. VI, n. 10851 del 1996, in Cass. pen. 1998, p. 71.
[9] Forti, Sulla distinzione fra i reati di corruzione e concussione, in Studium juiris, 1997, p. 725 ss.
[10] Cfr. Stortoni, Delitti contro la pubblica amministrazione, cit., p. 132.
[11] In questo senso, cfr. altresì Amato, Quale discrimen tra concussione e corruzione?, in Cass. pen. 1998, p. 2918 – 2923.
[12] Stortoni, Delitti contro la pubblica amministrazione, cit., p. 131. Il criterio del danno o vantaggio, viceversa, si è anche detto ( supra,nota 9), cerca di agganciare la valutazione del giudice a parametri maggiormente obiettivi.
[13] Padovani, Il confine conteso, Metamorfosi dei rapporti tra concussione e corruzione ed esigenze improcrastinabili di riforma, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1999, p. 1307.
[14] Su tale aspetto della fattispecie non esiste invero discussione. L’interpretazione di tale requisito nel senso descritto è pacifica sia in dottrina che giurisprudenza. Cfr., per esempio, Cass. Sez. VI, n. 11259 del 1998, in Cass. pen. 1999, p. 3125. In dottrina, Fiandaca-Musco, Diritto penale, parte speciale, I, Bologna, 1997, p. 201 ss.
[15] Padovani, Il confine conteso, cit. p. 1307.
[16] Cfr. Relazione del Guardasigilli, in Lavori preparatori del codice penale, V, parte II, Roma 1929, p. 129.
[17] Stortoni, Delitti contro la pubblica amministrazione, cit., p. 110; Crisari, L’induzione nella concussione: dubbi semantici e necessità di una riformulazione, in Cass. pen. 2005, p. 1242 ss.
[18] V., fra le altre, Cass. sez. VI, n. 2985 del 1993, in Cass. pen. 1995, p. 550.
[19] Un diffuso indirizzo dottrinale sottolinea infatti l’incostituzionalità della condotta induttiva per incompatibilità della stessa col principio di tassatività; cfr. Padovani, Il confine conteso, cit. p. 1309; Stortoni, Delitti contro la pubblica amministrazione, cit., p. 111; Crisari, L’induzione, cit., p. 1245.
[20] Cass. sez. VI, n. 2725 del 1994, in Cass. pen. 1995, p. 1510.
[21] Negli ordinamenti di Germania e Spagna, invece, non esiste il reato di concussione e tale condotta induttiva è punibile a titolo di corruzione. Per tali rilievi Manes, La “ concussione ambientale” da fenomenologia a fattispecie extra legem, in Foro it., 1999, II, p. 650; Crisari, L’induzione, cit., p. 1246.
[22] Espressione, questa, di Padovani, Il confine conteso, cit. p. 1314.
[23] Per tutte, Cass. sez. VI, n. 13395 del 1998, in Foro it. 1999, II, p. 644.
[24] Manes, La “concussione ambientale” cit., p. 645.
[25] Per rilievi critici verso la figura della concussione ambientale, cfr. la suddetta dottrina; v., in particolare, [25] Manes, La concussione ambientale, cit., p. 646 ss.; Padovani, Il confine conteso, cit. p. 1314; Crisari, L’induzione, cit., p. 1243.
[26] Sul punto Stortoni, Delitti contro la pubblica amministrazione, cit., p. 111.
[27] Cfr. Cass. sez. VI, n. 2813 del 1995, in Cass. pen., 1996, p. 1415.
[28] Stortoni, Delitti contro la pubblica amministrazione, cit., p. 112.
[29] Per l’indirizzo ormai costante che ritiene configurabile il reato anche quando l’utilità consista in una prestazione sessuale, cfr. Cass. 3 marzo 1998, in Cass. pen. 1999, p. 1444.
[30] Stortoni, Delitti contro la pubblica amministrazione, cit., p. 114.
[31] Pagliaro, Principi di diritto penale, cit., p. 130.
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