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Penale.it - Corte di Cassazione, Sezione V Penale, 16 giugno 2005 (dep. 4 agosto 2005), n. 29505 (n.1450/2005)

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Corte di Cassazione, Sezione V Penale, 16 giugno 2005 (dep. 4 agosto 2005), n. 29505 (n.1450/2005)
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Avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415-bis c.p.p. e interruzione della prescrizione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FOSCARINI  Bruno - Presidente
Dott. FERRUA  Giuliana  - Consigliere
Dott. ROTELLA  Mario  - Consigliere
Dott. DIDONE  Antonio  - Consigliere
Dott. VESSICHELLI Maria  - Consigliere
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) V. P.;
2) G. A.;
nel procedimento contro:
G. A.;
avverso SENTENZA del 07/10/2004 CORTE APPELLO di VENEZIA;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita  in  PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere  Dott.
DIDONE ANTONIO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GIALANELLA Antonio
che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore Avv. SPALLINA Bartolo.
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

La Corte di Appello di Venezia, con sentenza del 7 ottobre 2004, ha riformato la sentenza del Tribunale di Treviso - Castelfranco Veneto,in data 20 giugno 2003, di condanna di G. A. alla pena di giustizia,  determinata ai sensi dell'art. 81 c.p., per i  contestati reati  di  ingiuria (commesso il 14 giugno 1997 in danno di V. P.), di  lesione personale e di minaccia (commessi il 10  ottobre 1997  in danno di G. An.), dichiarandone l'estinzione  per intervenuta prescrizione e revocando le "statuizioni civilistiche". E cio'  perche', essendo maturato il termine prescrizionale  di  cinque anni previsto dall'art. 157, comma 1, n. 4, c.p. prima della notifica del decreto di citazione diretta a giudizio (emesso peraltro soltanto in  data  15  ottobre  2002) e non risultando alcun  precedente  atto interruttivo  (ne'  per  tale  potendo  essere  qualificato  l'avviso notificato  all'imputato  per gli effetti di  cui  all'art.  415  bis c.p.p.),  il  riconosciuto effetto estintivo  della  prescrizione  va riportato  a  momento precedente alla "conclusione  del  processo  di primo  grado":  essendo  cosi' mancata "la formazione  di  un  valido giudizio  di  responsabilita' in quella fase  procedimentale",  resta preclusa l'operativita' della disciplina di cui all'art. 578  c.p.p., che,  ai  fini della conferma delle statuizioni civili,  postula  "la pronuncia  di un'efficace e rituale condanna alle restituzioni  o  al risarcimento, che qui viene a mancare".
Con  comune ricorso le parti civili costituite denunziano che, in tal modo, la sentenza impugnata e' inficiata da "violazione dell'art. 160 c.p. in relazione  all'art.  415  bis  c.p.p.,  riproponendo, in articolata  prospettazione, la questione di assimilazione dell'avviso ex  art.  415  bis  c.p.p.  al  decreto  di  citazione  a  giudizio dell'imputato ed ai correlativi effetti di interruzione  del  decorso del  termine prescrizionale. Mentre, col secondo motivo, adducono  il vizio  logico della motivazione, che ha negato tale equipollenza,  e, col terzo motivo, sostengono che sussiste violazione della disciplina di  cui  all'art.  578 c.p.p., essendone stata negata  l'operativita' senza  la necessaria  valutazione della  "fondatezza  della  domanda civilistica".
In contrario risulta inoltre depositata memoria difensiva nell'interesse dell'imputato, sostanzialmente ribadendosi le argomentazioni della sentenza impugnata  sull'esclusione della ipotizzata  "equipollenza interruttiva"  dell'avviso  notificato ai sensi dell'art. 415  bis  c.p.p. e, d'altra  parte,  evidenziandosi l'infondatezza delle altre questioni sollevate  dai  ricorrenti V. P. e G. An.. Nell'interesse di questi  ultimi e' stata depositata una memoria difensiva con la quale si ribadiscono il 1 ed il 3 motivo di ricorso.
Osserva  la  Corte che, nonostante il diverso ordine  dei  motivi  di ricorso  seguito dai ricorrenti, priorita' logica va  assegnata  alla questione  attinta  dal terzo motivo, posto che,  se  il  giudice  di appello avesse dovuto decidere sull'impugnazione - come sostengono  i ricorrenti  -  ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza  concernenti gli interessi civili, ai  sensi  dell'art.  578 c.p.p.,  la  questione sollevata con i primi due motivi  di  ricorso, concernenti  l'idoneita'  interruttiva  della  prescrizione della notifica dell'avviso di deposito degli atti ex art. 415 bis  c.p.p., sarebbe irrilevante.
Sennonche',  il terzo motivo di ricorso e' manifestamente  infondato, posto  che "la decisione del giudice dell'impugnazione sugli  effetti civili  del  reato  estinto presuppone che  la  causa  estintiva  sia sopravvenuta alla sentenza emessa dal giudice di primo grado  che  ha pronunciato  sugli  interessi civili, mentre,  qualora  la  causa  di
estinzione  del reato preesista alla sentenza di primo  grado  ed  il giudice  erroneamente  non  l'abbia  dichiarata,  non  sussistono  i presupposti  di operativita' dell'art. 578 cod. proc.  pen.,  poiche' tale  decisione presuppone una precedente pronuncia di condanna sulle statuizioni civili validamente emessa e gli effetti della sentenza di secondo  grado  devono essere riportati al momento in  cui  e'  stata emessa quella di primo grado" (Cass., Sez. 6^, 19/09/2002-07/10/2002, n.  33398,  la quale, in applicazione di tale principio, ha annullato la  decisione del giudice di appello che aveva dichiarato - a seguito di  derubricazione  - l'estinzione del reato per essere  maturato  il termine  prescrizionale  prima  della  pronuncia  di  primo  grado, confermando, inoltre, le statuizioni civili della sentenza  di  primo grado,  con  condanna  degli  imputati  alla  rifusione  delle  spese processuali  in  favore della parte civile. Nello stesso  senso  cfr. Cass., Sez. un., 13/07/1998 - 24/09/1998, n. 10086).
E' fondato,  per contro, il primo motivo di ricorso.
Infatti,  questa Sezione, con sentenza del 17 febbraio  2005  n.  305 (dep.  il  16  marzo 2005), ha enunciato il principio  per  il  quale l'avviso  di  deposito degli atti ex art. 415-bis c.p.p.  costituisce valido  atto  interruttivo della prescrizione ai sensi dell'art.  160 c.p. 
La  Corte  non  puo'  che  condividere  siffatto  orientamento giurisprudenziale.
Infatti, e' pur vero, che le Sezioni unite - con pronuncia  alla  quale  la  giurisprudenza  successiva  ha  prestato ossequio  -  hanno  ritenuto che "la lunga, assolutamente  dominante, elaborazione  giurisprudenziale  di  legittimita'  (Cass.,  Sez.  6^, 12.4.1969,  Ragonese, rv. 112214, per l'interrogatorio a  chiarimenti davanti  al g.i.; Sez. 3^, 20.11.1978, Missiano, rv. 140834,  per  la richiesta  del p.m. di emissione di decreto di citazione a  giudizio; Sez.  4^, 12.3.1980, Bertaldo, rv. 146855, per taluni atti istruttori come la perizia medica, la comunicazione giudiziaria e la nomina  del difensore d'ufficio; Sez. 4^, 14.10.1980, Coppolino, rv. 148872,  per l'interrogatorio  assunto  dalla  polizia  giudiziaria;  Sez.  1^, 28.11.1994, Gallo, rv. 200237 e 14.11.1994, P.M. in proc.  Trimarchi, rv.  199891, per la richiesta del p.m. di decreto penale di condanna; Sez. 5^, 22.4.1997, Greco, rv. 208089, per le dichiarazioni spontanee rese  dall'imputato  all'a.g.), in perfetta coerenza con l'atteggiamento di rigoroso self-restraint della giurisprudenza costituzionale e con gli itinerari interpretativi della quasi unanime dottrina, ha costantemente ripudiato il ricorso al concetto  di  atto 'equipollente',  riconducibile  cioe'  alla  eadem  ratio  di  quelli analiticamente  enumerati nell'art. 160 c.p.
E  cio' per l'evidente incompatibilita' sistematica di operazioni ermeneutiche che, facendo leva sull'omologo trattamento processuale dell'atto e forzando il pur riduttivo  assetto  del  diritto positivo  sostanziale  -  frutto  di discrezionali  e  insindacabili scelte  del  legislatore  -,  fossero comunque  dirette  alla  surrettizia estensione  analogica  in  malam partem  delle  tipiche  e  tassative fattispecie  interruttive  della prescrizione"  (Cass. Sez. un., 11 luglio 2001, n. 33543).  E'  vero, altresi', poi, che tale ultimo principio - come innanzi  rilevato  - anche  di  recente  e'  stato applicato da  questa  Corte  ad  altra fattispecie (Cass., 10 luglio 2003 n. 37476, Rv. 226287,  secondo  la quale  "nel procedimento davanti al giudice di pace, l'interrogatorio dell'indagato,  effettuato dalla polizia giudiziaria per  delega  del P.M.  ai  sensi  dell'art. 370 cod. proc.  pen.,  non  e'  idoneo  ad interrompere il corso della prescrizione, non rientrando  nel  novero degli  atti produttivi di tale effetto indicati nell'art. 160,  comma secondo  cod.  pen.  e non essendo neppure menzionato tra gli atti aventi tale efficacia interruttiva previsti dall'art. 61  D.Lgs.  n. 274 del 2000, atteso che il divieto di analogia 'in malam partem' in materia penale non consente un ampliamento di tali categorie di  atti processuali in via interpretativa").
Sennonche',  la pronuncia di questa Sezione dianzi richiamata, lungi dall'operare una non consentita estensione analogica in malam  partem delle tipiche e tassative fattispecie interruttive della prescrizione, ha solo evidenziato che l'invito  a  presentarsi  al pubblico  ministero - atto al quale espressamente  l'art.  160  c.p. ricollega  l'effetto  interruttivo - e' in sostanza  contenuto  anche nell'avviso  di deposito di cui all'art. 415-bis c.p.p., nella  parte in  cui  contiene l'avvertimento che "l'indagato ha facolta'  ...  di chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio". D'altronde, l'avviso ex art. 415-bis c.p.p. e' fatto notificare dal p.m. soltanto nell'ipotesi in cui non deve formulare richiesta di archiviazione,  e dunque  se  intende  esercitare l'azione  penale, del cui valido esercizio e' condizione, come si desume conclusivamente  dall'art. 416/1, novellato dallo stesso art. 17 L. 479/99, che commina sanzione di  nullita'  nel  caso di omissione sua nonche' dell'invito di cui all'art.  375/3  qualora la persona sottoposta  alle  indagini  abbia chiesto  di essere sottoposta ad interrogatorio "entro il termine  di cui all'art. 415-bis, comma 3".
Se, dunque, l'enunciato  normativo  di  cui  all'art.  160  c.p., relativamente  all'invito del pubblico ministero  a  presentarsi  per rendere  l'interrogatorio, a seguito della riforma del  1988,  andava riferito esclusivamente alla disposizione processuale di cui all'art. 375  c.p.p.,  dopo  la modifica intervenuta nel 1999  dell'art.  416, comma 1, c.p.p., la norma sostanziale predetta va riferita, altresi', alla  norma  processuale di cui all'art. 415-bis  c.p.p.,  richiamata unitamente  a  quella  di  cui all'art. 375 c.p.p.  dal  nuovo  testo dell'art. 416, comma 1, c.p.p.
Una  diversa  conclusione comporterebbe che,  stante  la  doverosita' dell'emissione dell'invito di cui all'art. 375 c.p.p. a seguito della richiesta  dell'indagato, verrebbe rimessa alla volonta' di quest'ultimo l'emissione da parte del pubblico  ministero  dell'atto interruttivo della prescrizione, con la conseguenza  che  l'indagato che  sa di essere innocente e sollecita il proprio interrogatorio per esporre  le  proprie  difese verrebbe posto in  condizioni  deteriori rispetto  all'indagato  che  sa  di  essere  colpevole  ed  elude  le investigazioni. Nel primo caso l'indagato "sollecita" l'atto interruttivo della prescrizione, nel secondo il  reo  beneficia  del tempo richiesto dagli adempimenti prescritti dall'art. 415-bis c.p.p.
In  altri termini, ad atti di esercizio del diritto di difesa di  cui all'art. 24 Cost. verrebbe ricollegato un effetto interruttivo  della prescrizione del reato con irragionevole disparita'  di  trattamento rispetto all'indagato consapevole della propria colpevolezza il quale con la propria inerzia beneficia di "tempi morti" del procedimento ai fini dell'estinzione  del  reato, con  l'ulteriore  conseguenza  che l'indagato  potrebbe, per evitare quell'effetto interruttivo,  essere indotto  a  sacrificare il proprio diritto di difesa, rinviando  alla fase  dell'udienza preliminare o del dibattimento l'esercizio di tale diritto fondamentale, cosi' rinunciando al tentativo (e  alla speranza) di vedere presto chiarita la propria posizione a seguito di richiesta di archiviazione da  parte  del pubblico ministero.
L'indirizzo  giurisprudenziale accolto  da  questa  Sezione,  dunque, prescinde  dall'utilizzazione del concetto  di atto "equipollente", riconducibile  cioe'  alla  eadem  ratio  di  quelli  analiticamente enumerati  nell'art. 160 c.p., nel  mentre individua nell'avvertimento contenuto  nell'avviso  ex  art.  415-bis  c.p.p. quell'invito a presentarsi previsto dall'art. 160 c.p.p. e, originariamente, soltanto dall'art. 375 c.p.p.
Il ricorso, proposto esclusivamente  ai fini  civilistici, va, dunque, accolto, con assorbimento del  secondo motivo.
All'annullamento  della sentenza impugnata - la quale,  a  differenza della  sentenza  di primo grado riformata - ha dichiarato  estinti  i reati  per  prescrizione, non consegue, tuttavia, la  necessita'  del rinvio, stante la congruita' della statuizione sugli interessi civili contenuta  nella  sentenza di primo grado (la quale  ha  liquidato i danni  in  euro 500,00 in favore del V. e in euro 3.000,00  in favore  di  G. An. nonche' le spese sostenute dalle parti civili in euro 900,00 oltre accessori).
Invero,  con l'atto di appello l'imputato aveva sollecitato  soltanto 1) la declaratoria di estinzione dei reati per prescrizione, 2) aveva lamentato che la pena inflitta era eccessiva e, infine, aveva chiesto 3)  la  riduzione delle somme liquidate a titolo di risarcimento  del danno.  Soltanto nelle richieste conclusive dell'atto di  appello  e' contenuta  4) la mera richiesta di assoluzione per non aver  commesso il  fatto. Talche', ai sensi dell'art. 620, lett. l), c.p.p., risulta "superfluo" il rinvio alla corte di merito.
Infatti,  la gia' dichiarata estinzione dei reati per prescrizione  e l'impugnazione  proposta  ai  soli  effetti  civili,  esclude  ogni interesse dell'imputato in relazione ai motivi sub 1) e 2), mentre la richiesta  sub  4)  non e' sorretta da alcuna censura  specifica  nei confronti della sentenza di primo grado.
Del  tutto generica e non sorretta da specifiche censure e'  altresi' il  motivo di appello sub 3) relativo ai danni. Si' che la corte di rinvio dovrebbe  limitarsi a dichiarare l'inammissibilita' del gravame. 
Pertanto,  la  Corte ritiene  di  poter  confermare  quelle statuizioni  con l'ulteriore liquidazione delle spese di costituzione e  difesa nel grado di appello, cosi' come in dispositivo, alla  luce della  genericita'  e, dunque, dell'inammissibilita'  del  motivo  di appello proposto dall'imputato in relazione a tale capo.

P.Q.M.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili per i quali conferma la sentenza di primo grado, liquidando in euro  1.000,00  le  spese sostenute dalle parti civili  in  grado  di appello.
Cosi' deciso in Roma, il 16 giugno 2005.
Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2005
 
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