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Penale.it - Alex Costanza, Riforma della prescrizione e misure cautelari: esotici riflessi della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (c.d. “ex Cirielli”)

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Alex Costanza, Riforma della prescrizione e misure cautelari: esotici riflessi della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (c.d. “ex Cirielli”)
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L’istituto della prescrizione di cui all’art. 157 c.p., come è noto, è stato riformato, tra accese polemiche, ad opera della l. 5 dicembre 2005, n. 251, meglio nota come “ex Cirielli” [1].
Tale riforma ha avuto ripercussioni dirompenti sia sul versante sostanziale che sul versante processuale. In primo luogo per avere mutato i tempi di prescrizione di innumerevoli reati; in secondo luogo la disciplina transitoria contenuta nel provvedimento, peraltro parzialmente oggetto di censura da parte della Corte costituzionale [2], ha prodotto un deciso impatto sui processi in corso, che il sistema giudiziario non ha ancora compiutamente assorbito.
Al di là di tali effetti, indubbiamente i più immediatamente vistosi, il provvedimento in parola ne ha prodotti altri, per così dire, di natura carsica, in luoghi esotici rispetto al punto di partenza.
Si allude alla materia cautelare, in particolare all’art. 278 c.p.p. recante la disciplina della determinazione della pena agli effetti dell’applicazione delle misure cautelari personali, nodo nevralgico posto che le stesse misure sono applicabili per quei delitti individuati attraverso il criterio del quantum di pena da essi prevista. Il criterio dell’applicabilità della misura in base all’entità della pena si sfaccetta poi ulteriormente con riguardo ad altro profilo magmatico, quello dei termini di durata massima della stessa come cadenzati dall’art. 303 ss. c.p.p.
L’art. 278 c.p.p. esordisce enunciando il criterio di base inerente la determinazione della pena agli effetti delle misure cautelari personali, che è quella stabilita dalla legge per ciascun reato tentato o consumato. La disposizione prosegue elencando altri criteri complementari al primo. Di particolare interesse, ai fini del presente contributo, appare il trattamento applicato alle circostanze del reato. La regola generale è che di esse non si deba tenere conto nella determinazione della pena per i fini di cui sopra: tuttavia vi sono alcune eccezioni, minuziosamente richiamate. Tra le eccezioni contemplate figura, in chiusura dell’articolo, quella per cui debba tenersi conto delle circostanze a effetto speciale, chiaramente definite dall’art. 63 c.p.p. quali quelle che importano un aumento o una diminuzione della pena superiore a un terzo [3]. La quaestio iuris che si pone all’interprete concerne la precisa entità dell’aumento o della diminuzione della pena base rispettivamente in presenza di una aggravante o di una attenuante a effetto speciale in occasione della determinazione della pena ai fini dell’applicazione di misure cautelari personali.
L’interrogativo non è ozioso, potendo da esso scaturire conseguenze pratiche di estremo rilievo. Per esemplificare, si prenda in esame l’art. 424, comma 2, c.p., che prevede e punisce il reato di danneggiamento seguito da incendio. Tale norma prevede che, nel caso in cui al danneggiamento segua effettivamente l’incendio, si applicano le disposizioni previste dall’art. 423 c.p. ma la pena è ridotta da un terzo alla metà:ricorre, dunque, pacificamente un’ipotesi di circostanza a effetto speciale. L’art. 423 punisce il reato di incendio con la reclusione da tre a sette anni: in astratto sarebbe, dunque, consentita l’applicazione della custodia cautelare in carcere ai sensi dell’art. 280 c.p.p. L’art. 278 c.p.p. impone però che nella determinazione della pena agli effetti dell’applicazione delle misure debba tenersi conto anche delle circostanze a effetto speciale, come, nel caso di specie, l’attenuante prevista dall’art. 424, comma 2, c.p. Qualora si tenga conto della diminuzione minima (un terzo ) prevista per l’attenuante, la pena irrogabile nel massimo sarebbe di anni quattro e mesi quattro di reclusione, e pertanto risulterebbe applicabile la più grave misura custodiale. Ove, all’opposto, si consideri la diminuzione massima (la metà) la pena massima irrogabile sarebbe quella di anni tre e mesi sei di reclusione: tale pena non risulta compatibile con il comma 2 dell’art. 280 c.p.p., che consente l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere solo per quei delitti per i quali sia prevista nel massimo la pena della reclusione non inferiore a quattro anni. Senza pretese di completezza, analoghe implicazioni potrebbero configurarsi qualora ricorra l’attenuante a effetto speciale di cui all’art. 625 bis c.p. in relazione agli artt. 624 bis (furto in abitazione e furto con strappo) e 56, comma 4, c.p. (recesso attivo), ove si accolga quell’opinione che configura il recesso quale circostanza attenuante (a effetto speciale) del tentativo [4].
L’art. 278 c.p.p. circa l’aggravio o la diminuzione della pena base in presenza di circostanza a effetto speciale tace. Dottrina e giurisprudenza, dal canto loro, hanno formulato due opposte soluzioni.
Un primo indirizzo ritiene che debba computarsi l’aumento massimo di pena previsto per le aggravanti e la diminuzione minima prevista per le attenuanti [5]. Tale criterio viene traslato dall’art. 157 c.p. nella formulazione previgente, che al comma 2, per determinare il tempo necessario a prescrivere, imponeva di considerare l’aumento massimo previsto per le aggravanti e la diminuzione minima per le attenuanti.
Un secondo indirizzo propende invece per l’applicazione dell’aumento e della diminuzione massima rispettivamente per le aggravanti e per le attenuanti [6], ritenendo non pertinente l’applicazione della disciplina della prescrizione in tema di misure cautelari.
La riforma operata sull’art. 157 c.p. dalla l. 5 dicembre 2005, n. 251, offre un decisivo e forse inaspettato contributo per dirimere la querelle in favore della seconda tesi. Il nuovo comma 2 del richiamato articolo ha infatti espunto il riferimento al criterio della diminuzione minima previsto per le circostanze attenuanti a effetto speciale, riproducendo invece il criterio del massimo aggravio per le aggravanti a effetto speciale. Venendo a mancare il fulcro su cui far leva per stabilire come computare le attenuanti a effetto speciale ai fini dell’art. 278 c.p.p., nulla osta più all’applicazione del criterio della diminuzione massima, in analogia rispetto a quanto accade per l’aggravio massimo previsto per le aggravanti. Tale ricostruzione sarebbe senz’altro in linea con gli immanenti principi del favor rei e del favor libertatis, liddove perseverare nella soluzione opposta, priva ormai com’è di qualsiasi appiglio nel tessuto normativo, si porrebbe in netto contrasto con i detti principi.
Come illustrato, la questione non è priva di riflessi pratici, anche se sul punto non constano ancora pronunce di legittimità posteriori alla riforma dell’art. 157 c.p. Ma la strada da seguire sembra ormai piuttosto ben delineata; non resta che attendere la Corte di Cassazione.
 
Alex Costanza - Borsista della Fondazione “Giovanni e Francesca Falcone” – Palermo - febbraio 2009
(riproduzione riservata)


[1] Cfr., ex multis, E. Bruti Liberati,  I numeri sulla Cirielli, in www.associazionemagistrati.it, 2 ottobre 2005; E. Randazzo, Lettera ai Presidenti delle Camere penali, in www.camerepenali.it, 1 settembre 2005.
[2] Corte cost., 23 novembre 2006, n. 393, in www.cortecostituzionale.it.
[3] L’art. 6, comma 2, l. 8 agosto 1995, n. 332 ha esteso alle circostanze attenuanti a effetto speciale il regime descritto, originariamente limitato alle sole aggravanti. Sul punto cfr. l’ampia riflessione di F. Rigo, Commento all’art. 6 l. n. 332 del 1995, in AA.VV., Modifiche al codice di procedura penale, Cedam, 1995, p. 94 ss.
[4] Così S. Del Corso, in Codice penale, a dura di T. Padovani, Giuffrè, 2007, sub art. 56.
[5] Cfr. G. Illuminati, in AA.VV., Misure cautelari e diritto di difesa nella l. 8 agosto 1995, n. 332, a cura di V. Grevi, Giuffrè, 1996, p. 74. In giurisprudenza cfr. Cass., VI, 19 giugno 2003, in Ced Cass., n. 227421; Cass., I, 28 febbraio 2003, ivi, n. 224341; Cass., I, 10 dicembre 2001, ivi, n. 220324; Cass., IV, 3 dicembre 1997, ivi, n. 209249.
[6] Cfr. F. Rigo, Commento all’art. 6, cit., p. 99. Per una rapida ma completa rassegna delle voci in proposito cfr. G. Della Monica, in Codice di procedura penale commentato, a cura di A. Giarda e G. Spangher, 3a ed., Ipsoa, 2007, sub art. 278.

 
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