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In caso di ripristino della misura cautelare non è necessario un nuovo interrogatorio di garanzia
… Omissis …
Ritenuto in fatto:
I) Con ordinanza 7 dicembre 2007 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli rigettava la richiesta, presentata il 4 dicembre 2007, di declaratoria di inefficacia della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere, applicata a G.M. per effetto dell’aggravamento ex art. 276, comma 1 ter cod. proc. pen. escludendo che l’imputata dovesse essere sottoposta, entro il termine di cinque giorni, all’interrogatorio di garanzia di cui all’art. 294 del medesimo codice.
Osservava in particolare il G.i.p., nell’ordinanza sopra citata, che con precedente ordinanza adottata in data 8 ottobre 2007 era stata disposta la custodia cautelare in carcere nei confronti della G., già sottoposta alla misura degli arresti domiciliari, a seguito di una sentenza di condanna per il delitto di evasione (dunque, per violazione della prescrizione imposta di non allontanarsi dal luogo degli arresti domiciliari); che la modifica legislativa dell’art. 276 cod. proc. pen. aveva introdotto una sorta di automatismo nell’aggravamento, in deroga a quanto previsto nel comma primo, in caso di trasgressione alle prescrizioni degli arresti domiciliari, concernenti il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione o da un luogo di privata dimora; che le argomentazioni difensive, fondate sull’indicazione di un precedente di legittimità in cui si assume la necessità dell’interrogatorio di garanzia anche in caso di aggravamento della misura (Sez. VI, sentenza n. 15 del 3 gennaio 2007), non potevano essere accolte poiché un altro precedente della stessa Sez. VI (n. 21400 del 5 maggio 2006) ed un successivo precedente della Sez. IV (n. 36928 del 7 giugno 2007) avevano affermato, sulla base di motivazioni ritenute condivisibili dal G.i.p., l’opposto principio della non necessità dell’interrogatorio nel caso in esame.
II) A seguito di appello presentato il 19 dicembre 2007 da G.M. avverso la predetta ordinanza di rigetto il Tribunale di Napoli pronunciava ordinanza ex art. 310 c.p.p. in data 11 marzo 2008 (depositata il 21 aprile 2008), rigettando l’appello e confermando l’impugnata ordinanza con la condanna dell’appellante al pagamento delle spese della procedura incidentale.
Pur non ignorando il contrario orientamento giurisprudenziale richiamato dalla difesa, riteneva il Tribunale, condividendo quanto affermato dal G.i.p., di dover aderire al più recente indirizzo seguito dalla Suprema Corte, secondo cui, in caso di sostituzione degli arresti domiciliari con la custodia in carcere in conseguenza della trasgressione dell’obbligo di non allontanarsi dall’abitazione, non è necessario procedere all’interrogatorio di garanzia. Si sottolineava nel provvedimento che la ricorrente risultava già condannata per il reato di evasione commesso in data 20 settembre 2007.
A sostegno della propria decisione, il Tribunale richiamava poi le argomentazioni contenute nella pronuncia resa da Cass., Sez. IV, 8 ottobre 2007, n. 36928, evidenziando la non riferibilità all’art. 276 cod. proc. pen. della disposizione di cui all’art. 294, comma 1-bis, del medesimo codice, che riguarda solo le “ordinanze genetiche o contestative di fatti nuovi”, in quanto, in tali casi - non essendo il provvedimento correlato ad un’ipotesi di aggravamento delle esigenze cautelari ex art. 299, comma 4, del codice di rito (che fa salvo, appunto, quanto previsto dall’art. 276) - alcuna violazione del diritto di difesa può riscontrarsi, posto che l‘aggravamento consegue, ineluttabilmente, a circostanze di facile accertamento e che, d’altra parte, l’interessato, trattandosi solo di contestare l’accertamento della violazione o di allegare possibili giustificazioni, può trovare adeguata tutela attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione.
Siffatta soluzione, ad avviso del Tribunale, era da ritenere la più conforme alla ratio della normativa in esame, ove si consideri che l’interrogatorio di garanzia prescritto dall’art. 294 cod. proc. pen. è volto a porre l’indagato nelle condizioni di esporre quanto egli ritiene utile per la propria difesa in relazione al fatto reato che gli viene addebitato, con riguardo sia alla presenza di un valido contesto indiziario, sia alle esigenze di cautela, laddove, nel caso in questione, né l’uno né l’altro tema sono posti in discussione, in quanto già oggetto di precedenti valutazioni all’atto dell’applicazione della misura originaria.
III) Con atto depositato in data 5 maggio 2008 G.M. proponeva, a mezzo del proprio difensore, ricorso per cassazione avverso la già ricordata ordinanza del Tribunale di Napoli, emessa ex art. 310 cod. proc. pen., chiedendone l’annullamento per violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. c), con riferimento agli artt. 294 e 276 del medesimo codice. Richiedeva, inoltre, ex art. 610, comma 2, cod. proc. pen., l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, a causa dei contrasti, anche di recente insorti, tra decisioni delle singole Sezioni, in ordine alla questione proposta.
Si ribadiva nel ricorso, in particolare, che a seguito dell’aggravamento della misura cautelare degli arresti domiciliari con quella della custodia cautelare in carcere, la ricorrente avrebbe dovuto essere sottoposta all’interrogatorio di garanzia, ex art. 294, comma 1, del codice di rito, nel termine di cinque giorni dall’esecuzione del provvedimento, avuto riguardo al contenuto della recente pronunzia della Cassazione, Sez. VI, 2 ottobre 2006 n. 15, secondo la cui interpretazione l’obbligo dell’interrogatorio di garanzia sussiste anche in caso di trasgressione delle prescrizioni inerenti alla misura cautelare e di conseguente sostituzione con altra più grave ex art. 276, comma 1, cod. proc. pen.
Né, del resto, potrebbe giustificarsi, ad avviso della ricorrente, alcuna diversità di disciplina tra l’ipotesi di cui al comma 1 dell’art. 276 c.p.p. e quella di cui al comma 1-ter della medesima disposizione, in quanto le due ipotesi si differenziano solo per ciò che concerne le conseguenze della violazione delle diverse prescrizioni: nel caso di cui al comma 1, il giudice “può sostituire o cumulare la misura con una più grave”, mentre nell’ipotesi di cui al comma 1-ter, il giudice “dispone” la revoca degli arresti domiciliari e la sua sostituzione con la misura custodiale.
Siffatta diversità di disciplina non giustifica affatto una diversa disciplina dell’interrogatorio, peraltro non risultante dalla normativa in esame; che alla constatazione dell’evasione dagli arresti domiciliari debba conseguire l’applicazione della misura custodiale non costituisce una ragione per ritenere la superfluità dell’interrogatorio di garanzia.
L’omissione del prescritto adempimento determina, pertanto, la perdita dell’efficacia dell’ordinanza di aggravamento. L’interrogatorio di garanzia, infatti, attiene alla fase valutativa delle circostanze poste a disposizione del Giudice da parte della P.G.: una valutazione che, per regola generale, deve svolgersi in contraddittorio, in quanto colui che non è stato trovato nella sua abitazione dalle Forze dell’ordine, all’atto di un controllo sulla sottoposizione al regime degli arresti domiciliari, deve poter dimostrare l’eventuale legittimità dell’allontanamento, come nel caso di un eventuale ricovero in stato di incoscienza in Ospedale.
IV) Con ordinanza emessa in data 10 ottobre 2008, la Sez. VI di questa Corte rimetteva il ricorso alle Sezioni Unite, ritenendo necessario il loro intervento per la soluzione della questione, stante la persistenza del contrasto giurisprudenziale in ordine alla necessità, o meno, dell’interrogatorio di garanzia anche nel caso di misura adottata ex art. 276, comma 1, c.p.p.
Rilevava, in particolare, la Sez. VI della Corte che, pur essendo propriamente applicabile al caso in esame la norma di cui all’art. 276, comma 1 ter cod. proc. pen., e non quella di cui al comma 1 della stessa disposizione, richiamata dalla ricorrente, le argomentazioni poste a sostegno delle pronunce che affermano l’obbligo dell’interrogatorio paiono riferibili anche a tale ipotesi, trattandosi pur sempre di assicurare con tempestività il contraddittorio sull’effettiva esistenza della trasgressione e sulle possibili cause giustificative della medesima.
Richiamate le diverse posizioni giurisprudenziali delineatesi al riguardo, la sezione rimettente osservava che mentre un orientamento muove dall’affermazione del carattere sanzionatorio ed automatico dell’applicazione della misura più grave in caso di trasgressione degli obblighi connessi a quella già in corso di esecuzione, a sostegno della tesi diversa viene invece posto l’accento sulla discrezionalità del potere di aggravamento (o di cumulo) e sulla conseguente necessità del sollecito controllo dei parametri indicati nell’art. 276, comma 1, cod. proc. pen., in sede di interrogatorio di garanzia.
Se, infatti, tali considerazioni vengono riferite all’ipotesi di cui al comma 1 dell’art. 276, esse devono ritenersi estensibili anche all’altra, poiché l’aggravamento della misura, anche se obbligatorio ed automatico, presuppone comunque una valutazione sull’esistenza e sulle cause della trasgressione, in ordine alle quali esiste l’interesse dell’indagato ad un sollecito contraddittorio.
A seguito dell’ordinanza emessa dalla VI Sezione penale, pervenuta alla Cancelleria delle Sezioni Unite in data 24 ottobre 2008, il Presidente Aggiunto, visti gli artt. 610, comma 3 e 618 c.p.p., con decreto emesso in data 3 novembre 2008 assegnava il ricorso alle Sezioni Unite penali fissando per la trattazione del ricorso la camera di consiglio del 18 dicembre 2008.
Considerato in diritto:
V) I termini del problema sottoposto all’esame delle sezioni unite risultano dall’esposizione di cui alle premesse.
Il più volte ricordato art. 276 cod. proc. pen. disciplina i casi di trasgressione alle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare (ovviamente diversa dalla custodia in carcere) e prevede, nei casi previsti in generale dal primo comma, che il giudice possa disporre la sostituzione o il cumulo con altra più grave; nel solo caso previsto dal comma 1 ter (introdotto dall’art. 16 comma 3 d.l. 24 novembre 2000 n. 341 convertito nella l. 19 gennaio 2001 n. 4) - e riguardante soltanto la persona che si trovi agli arresti domiciliari – la norma dispone che il giudice disponga la revoca della misura e la sua sostituzione con la custodia cautelare in carcere nel caso di trasgressione al divieto di allontanarsi dal luogo dove la persona si trova in stato di custodia domiciliare.
Il problema devoluto a queste sezioni unite si risolve dunque nella risposta al quesito se, nel caso di sostituzione o cumulo con altra misura cautelare – prevista dall’art. 276 comma 1° cod. proc. pen. - a seguito della trasgressione alle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare, il giudice debba procedere all’interrogatorio di garanzia; ed in particolare se debba procedervi nel caso di trasgressione alle prescrizioni degli arresti domiciliari concernenti il divieto di allentamento (comma 1 ter della medesima norma).
Ciò premesso deve osservarsi che, come risulta evidente dal testo della norma ricordata, nei casi previsti dal primo comma l’aggravamento è discrezionale (“il giudice può disporre”) mentre, nel caso previsto dal comma 1 ter, il giudice è tenuto obbligatoriamente a disporre l’applicazione della più grave misura custodiale (“il giudice dispone”).
Prima di affrontare il problema specifico di cui le sezioni unite sono investite è però opportuno verificare quale sia la natura di questo aggravamento perché gli interpreti hanno spesso fondato sulla affermata, o negata, natura sanzionatoria dell’aggravamento la conclusione sull’esistenza, o meno, dell’obbligo dell’interrogatorio.
In realtà non è possibile negare che l’aggravamento possa avere anche natura sanzionatoria ma ciò è irrilevante per la soluzione del nostro problema perché, al sistema delle misure cautelari, sono estranee le finalità afflittive e sanzionatorie che costituiscono una conseguenza solo indiretta delle misure la cui finalità essenziale è, appunto, quella cautelare mentre sono ad esse estranee le esigenze sanzionatorie tipiche invece dell’esecuzione della pena.
Ciò che invece caratterizza l’istituto dell’aggravamento è l’essere ricollegato ad una valutazione sull’adeguatezza attuale della misura cautelare in concreto applicata. Valutazione che è lasciata al giudice nella generalità dei casi ma che, nel caso di trasgressione degli obblighi concernenti il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione (e non del divieto di “non allontanarsi” come impropriamente si esprime la norma), è stata compiuta preventivamente dal legislatore che ha disciplinato una vera e propria “presunzione di inadeguatezza” (così Cass., sez. VI, 19 dicembre 2007 n. 5690, Mastrovito, rv. 238734; 13 novembre 2003 n. 942, Monsignore, rv. 228051).
Si è posto il problema se questa valutazione preventiva di inadeguatezza della misura cautelare degli arresti domiciliari possa essere preventivamente compiuta dal legislatore e, in due occasioni, la Corte costituzionale ha fornito risposta positiva ritenendo conforma ai principi costituzionali la possibilità di una presunzione normativa sull’adeguatezza (si vedano l’ordinanza 6 marzo 2002 n. 40 e - sia pure con riferimento al disposto dell’art. 284 comma 5 bis cod. proc. pen. che fa divieto di concedere gli arresti domiciliari a chi nei cinque anni precedenti sia stato condannato per evasione – l’ordinanza 16 aprile 2003 n. 130).
VI) Venendo a trattare più specificamente del tema relativo alla necessità dell’interrogatorio nel caso di aggravamento della misura cautelare a seguito di trasgressione è opportuno premettere che, su questo tema, si sono formati, nella giurisprudenza di legittimità, tre orientamenti.
Il primo si limita a ritenere dovuto l’interrogatorio nel caso previsto dal 1° comma dell’art. 276 cod. proc. pen. senza far cenno all’ipotesi prevista dal comma 1 ter della medesima norma (in questo senso v. Cass., sez. IV, 28 settembre 2007 n. 39861, Gallo, rv. 237893; sez. VI, 2 ottobre 2006 n. 15, Calderone, rv. 235615; sez. VI, 2 ottobre 2006 n. 38853, Calderone, rv. 235280); il secondo orientamento ne esclude la necessità in tutte le ipotesi previste dall’art. 276 cod. proc. pen. (v. Cass., sez. IV, 7 giugno 2007 n. 36928, Brucculeri, rv. 237237; sez. III, 15 febbraio 2005 n. 21399, Zorzi, rv. 231344); il terzo ritiene infine necessario l’interrogatorio nel caso previsto dal primo comma di questa norma e non anche nel caso previsto dal comma 1 ter dell’art. 276 (in questo senso v. Cass., 18 marzo 2008 n. 14037, Di Bella, rv. 240013; sez. V, 26 aprile 2006 n. 19874, Fadel, rv. 234289; sez. III, 7 aprile 2005 n. 21407, Fanale, rv. 232383; sez. fer., 12 settembre 2003 n. 37820, D’Amato, rv. 225927).
Ritengono le sezioni unite che la soluzione corretta del problema sia quella sostenuta dal secondo degli orientamenti ricordati che esclude l’obbligo dell’interrogatorio in entrambi i casi previsti dall’art. 276 del codice di rito.
Va anzitutto rilevato che le sezioni unite non condividono la tesi secondo cui la necessità dell’interrogatorio possa derivare dalla natura non obbligata dell’aggravamento di cui al comma 1° dell’art. 276 mentre, nel caso di cui al comma 1 ter, l’automatismo dell’aggravamento renderebbe superfluo l’adempimento.
Anche se, in quest’ultimo caso, il giudice è privo dei poteri discrezionali attribuitigli dal primo comma sembra infatti ragionevole ritenere, se fosse corretta la tesi dell’obbligatorietà dell’interrogatorio nel caso previsto dal primo comma dell’art. 276, che, anche nell’ipotesi di allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari, analoghe esigenze difensive renderebbero necessaria una pronta difesa sulle ragioni dell’allontanamento. Anzi: proprio la prevista obbligatorietà dell’aggravamento dovrebbe far ritener maggiormente opportuno l’adempimento per contrastare più tempestivamente, adducendo ragioni giustificative dell’allontanamento, l’inevitabile restringimento dei margini di discrezionalità che questo automatismo comporta.
A fondamento della tesi condivisa dalle sezioni unite va invece anzitutto ricordato che l’interrogatorio non è previsto dall’art. 276 nelle diverse ipotesi ivi disciplinate. Si tratta, ovviamente, di un rilievo di natura formale ma non irrilevante perché il sistema codicistico che disciplina le misure cautelari risulta costruito con l’analitica previsione degli adempimenti da compiere nelle varie fasi della procedura cautelare con una tendenziale pretesa di completezza.
Così, in tema di interrogatorio – oltre alla previsione dell’indefettibile obbligo di interrogatorio dopo l’esecuzione della misura previsto dall’art. 294 cod. proc. pen. – esistono altre norme che prevedono l’obbligo o la facoltà dell’interrogatorio: l’art. 299 comma 3 ter cod. proc. pen. prevede la possibilità che il giudice possa procedere all’interrogatorio nel caso di revoca o sostituzione della misura e prevede obbligatoriamente l’adempimento quando l’istanza di revoca o sostituzione sia fondata su elementi nuovi o diversi. Ancora: l’art. 302 del medesimo codice che prevede l’obbligo di interrogatorio per emettere una nuova misura quando quella precedentemente applicata sia divenuta inefficace.
Per poter dunque affermare un’applicazione analogica (perché di questo in definitiva si tratta) dell’art. 294 cod. proc. pen. alle ipotesi disciplinate dall’art. 276 occorrerebbe pertanto individuare una medesima ragione giustificativa che fondi questo tipo di estensione.
L’interrogatorio di garanzia previsto dall’art. 294 cod. proc. pen. è infatti diretto a verificare se permangano le condizioni di applicabilità della misura ed in particolare la gravità indiziaria che potrebbe essere stata scalfita dalle dichiarazioni difensive della persona sottoposta alle indagini (o imputata se è stata già esercitata l’azione penale); ha inoltre la funzione di accertare la persistenza delle esigenze cautelari che potrebbe essere venuta meno (per es. con la confessione dell’imputato nel caso in cui le esigenze fossero quelle previste dall’art. 274 lett. a del codice di rito); infine, in esito all’interrogatorio, viene valutata l’adeguatezza della misura applicata.
Si tratta quindi di un adempimento che consente alla persona sottoposta alla misura cautelare di prospettare le ragioni difensive in merito a tutti i presupposti per l’applicazione della misura e al giudice di valutare globalmente, tenendo conto delle ragioni difensive prospettate nell’interrogatorio, l’esistenza di tutti i presupposti richiesti per l’emissione e il mantenimento della misura cautelare.
VII) Così ricostruite le finalità dell’interrogatorio di garanzia non sembra che possa affermarsi l’identità di ratio che caratterizzerebbe, secondo il diverso orientamento giurisprudenziale, il caso dell’aggravamento per trasgressione delle prescrizioni imposte.
Non vengono infatti in discussione, nelle ipotesi previste dall’art. 276 cod. proc. pen., i due più significativi elementi che costituiscono i presupposti fondamentali per l’applicazione di ogni misura cautelare: la gravità indiziaria e l’esistenza delle esigenze cautelari.
In questi casi residua un solo e limitato aspetto riguardante l’esistenza delle condizioni di applicabilità di quella specifica misura – l’adeguatezza della medesima - ferma restando l’esistenza dei presupposti per l’applicazione di una misura cautelare. E, si badi, neppure viene in considerazione la proporzionatezza della misura già valutata in sede di prima applicazione della misura.
Si consideri poi che, neppure nel caso di aggravamento delle esigenze cautelari, il codice di rito prevede espressamente l’interrogatorio della persona cui sia stata applicata una misura più grave ovvero siano state applicate modalità più gravose: l’art. 299 comma 4° cod. proc. pen. non prevede infatti tale adempimento anche se la giurisprudenza di legittimità non ha fornito risposte univoche sull’esistenza di questo obbligo (escluso da Cass., sez. IV, 26 giugno 2007 n. 42696, Azfi, rv. 237695, e ritenuto invece necessario da sez. VI, 11 giugno 2007 n. 26681, Meneghini, rv. 237344) comunque non risultante dal tenore letterale dell’art. 299 citato che pur disciplina, nel terzo comma, il tema dell’interrogatorio nel caso di richiesta di revoca o sostituzione della misura.
Né una risposta inequivoca su questo problema è venuta dalla Corte costituzionale che – investita della questione di legittimità costituzionale relativa all’inesistenza dell’obbligo di interrogatorio nel caso di aggravamento della misura cautelare disposto nella fase compresa tra la pronuncia della sentenza di primo grado e l’inizio del giudizio di appello - ha risolto negativamente il dubbio di costituzionalità ma ha lasciato aperta la soluzione del problema relativo all’obbligatorietà dell’interrogatorio nei casi di aggravamento della misura cautelare (v. ordinanza 10 luglio 2008 n. 267 che così testualmente si esprime su questo problema: “a prescindere dalla opzione interpretativa circa la necessità dell’interrogatorio di garanzia nei casi di aggravamento della misura cautelare”).
E’ poi opportuno sottolineare che la persona nei cui confronti sia stato disposto l’aggravamento della misura non è affatto priva di tutela ben potendo, con gli ordinari mezzi, chiedere il ripristino dell’originaria misura proponendo poi le ordinarie impugnazioni previste (appello e ricorso in cassazione) nel caso di diniego. Certo si tratta di una tutela che, seppur piena, ha tempi più dilazionati ma proprio le diverse caratteristiche ricordate rispetto all’interrogatorio di garanzia possono giustificare questa diversità di disciplina.
Del resto la Corte costituzionale ha in numerosissime occasioni riaffermato il principio secondo cui la garanzia costituzionale del diritto di difesa non esclude, quanto alle sue modalità di espletamento, che il legislatore possa darvi attuazione in modo diverso purchè si tratti di scelte discrezionali non irragionevoli (si vedano, tra le altre, le ordinanze 29 luglio 2005 n. 350 e, quanto alla difesa tecnica, 28 giugno 2002 n. 299).
E non pare davvero irragionevole la scelta del legislatore di non prevedere l’obbligatorietà dell’interrogatorio nel caso di aggravamento della misura proprio per le diversità ricordate sul contenuto e sulle finalità dell’interrogatorio di garanzia.
Da ultimo va ricordato, come affermato dalla già ricordata ordinanza 6 marzo 2002 n. 40 della Corte costituzionale, che anche nel caso tipizzato previsto dal comma 1 ter dell’art. 276 cod. proc. pen., non è escluso che il fatto idoneo a giustificare la sostituzione della misura “possa essere apprezzato dal giudice in tutte le sue connotazioni strutturali e finalistiche, per verificare se la condotta di trasgressione in concreto realizzata presenti quei caratteri di effettiva lesività alla cui stregua rimane integrata la ‘violazione’ che la norma impugnata assume a presupposto della sostituzione”.
Questo principio è stato recepito dalla giurisprudenza di legittimità che ha richiesto, in queste ipotesi, una valutazione in concreto del disvalore della condotta di trasgressione (così Cass., sez. VI, 18 febbraio 2008 n. 21487, Moccia, rv. 240065; nello stesso senso v. altresì sez. VI, 19 dicembre 2007 n. 5690, Mastrovito, rv. 238734) consentendo quindi al giudice che si pronunzia sull’aggravamento di prendere in adeguata considerazione le eventuali giustificazioni già fornite dall’interessato agli organi di polizia giudiziaria che abbiano constatato l’esistenza della trasgressione.
VIII) Alle considerazioni svolte consegue il rigetto del ricorso con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
la Corte Suprema di Cassazione, Sezioni unite penali, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si comunichi a norma dell’art. 94 co. 1 ter c.p.p.
Così deciso in Roma il giorno 18 dicembre 2008.
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