Versione per la stampa
Caso Carlo Ruta: un approfondito commento sui rapporti Internet e stampa
La sentenza
L’Ultima minaccia, ovvero il titolo di una pellicola epocale, ambientata nel mondo del giornalismo ( [1]), ma volendo anche provocatoria definizione della sentenza con cui il Giudice di Ragusa, sez. distaccata di Modica, ha condannato un blogger per il reato di stampa clandestina (artt. 5 e 16 L. n. 47 del 1948).
Le reazioni provocate dalla notizia sono state immediate e numerose ( [2]), e si sono in certi casi spinte fino ad ipotizzare che la decisione costituisca un attacco alla rete ed una nuova minaccia alla libertà di manifestazione del pensiero, che internet deve (o dovrebbe) garantire, peraltro giunta a breve distanza temporale dall’altra nota condanna, pronunciata dal Tribunale di Aosta ( [3]) per diffamazione aggravata.
In breve: la vicenda processuale
Gli atti più rilevanti del procedimento, con una buona dose di coerenza intellettuale, sono pubblicati su internet ( [4]): se ne evince che la denuncia-querela porta la firma del Procuratore della Repubblica il quale, dopo aver ricordato che ai sensi della vigente legge 7 marzo 2001 n. 62, si considera ogni prodotto realizzato “su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o informatico, destinato alla pubblicazione o comunque alla diffusione di informazioni presso il pubblico, con ogni mezzo, anche elettronico”, e che la giurisprudenza sarebbe costante nel ritenergli applicabili le norme sull’editoria di cui alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, ne sostiene l’avvenuta violazione nel caso concreto ove, oltre a non essere indicati luogo e data di pubblicazione, nome e domicilio dello stampatore, nome del proprietario della testata e del direttore responsabile, mancherebbe altresì il riferimento alla preventiva registrazione ( [5]).
Richiesto alla Polizia Postale catanese di recuperare documentalmente l’attività esperita dall’imputato attraverso il suo sito, è stato acquisito un tabulato trasmesso dalla “Internet Archivi Wayback Machine” ( www.archive.org) , contenente i dati relativi ai tre anni di funzionamento: nel 2002 risultano 6 aggiornamenti, 19 nel 2003 e 13 nel 2004.
La diatriba definitoria
Dalla lettura del provvedimento è intuitivo argomentare che le parti si siano fondamentalmente scontrate sulla natura, la destinazione, gli scopi e le caratteristiche del sito web in oggetto, non essendo – pare – mai stata in discussione la titolarità di questo all’imputato né la riconducibilità allo stesso della sua gestione.
Sul fronte accusatorio, lo si è visto sin dalla lettura della querela, si sostiene la tesi della equiparazione alla testata giornalistica: già la denominazione data dall’imputato di “giornale di informazione civile” vi deporrebbe a favore, e l’ipotesi sarebbe confermata dalla frequenza (definita “sistematica”) con cui pubblicati gli articoli, peraltro aventi ad oggetto “fatti di cronaca locale, inchieste giudiziarie, testimonianze dirette e fatti storici”.
La difesa, e l’interessato stesso in sede di spontanee dichiarazioni, hanno sostenuto che il prodotto non fosse un quotidiano, ma semplicemente un diario di informazione civile, un c.d. blog ( [6]), al quale non potrebbero richiamarsi le disposizioni dettate per giornali e periodici, pena la violazione del divieto di analogia in malam partem.
La registrazione di cui all’art. 5 L. Stampa
Nessun giornale o periodico può essere pubblicato se non sia stato registrato presso al cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione la pubblicazione deve effettuarsi ( [7]).
Per la registrazione occorre che siano depositati in cancelleria:
1) una dichiarazione con le firme autenticate del proprietario e del direttore o vicedirettore responsabile, da cui risultino il nome e il domicilio di essi e della persona che esercita l’impresa giornalistica, nonché titolo e natura della pubblicazione;
2) documenti comprovanti il possesso dei requisiti di cui agli artt. 3 e 4 ( [8])
3) documenti comprovanti l’iscrizione all’albo dei giornalisti, nei casi in cui richiesta dalle leggi sull’ordinamento professionale;
4) copia dell’atto di costituzione o dello statuto.
Il presidente del tribunale, o un giudice da lui delegato, verificata la regolarità dei documenti presentati, ordina entro quindici giorni l’iscrizione del giornale o periodico in apposito registro tenuto dalla cancelleria, che è pubblico.
Sulla natura di tale attività, la giurisprudenza civile ha chiarito che le funzioni di controllo, attribuite al presidente del tribunale, sulla regolarità dei documenti presentati per le iscrizioni e le annotazioni nel registro della stampa, non hanno natura giurisdizionale ma amministrativa ( [9]), in quanto la registrazione costituisce una forma di pubblicità necessaria, senza peraltro che il solo fatto che sia concessa sia sufficiente a far ritenere la nascita, o il permanere (in caso di trasferimento della testata) di un’impresa editoriale ( [10]).
L’obbligo di registrazione, si è visto, interessa giornali e periodici, ma anche telegiornali e giornali radio ( [11]). Il luogo ove effettuata, per altri versi, fornisce – almeno per parte della giurisprudenza - un criterio di collegamento aggiuntivo per individuare il locus commissi delicti – ove si discuta per esempio di diffamazione: fornisce infatti una garanzia di certezza e genera la presunzione della coincidenza con il luogo della pubblicazione ( [12]).
Il punctum dolens della vicenda è quindi la risposta all’interrogativo se un blog debba o meno registrarsi ma, ancor prima, va evidenziato come l’istituto della registrazione abbia creato non poche difficoltà interpretative all’indomani della creazione e dello sviluppo delle c.d. testate -web, ossia di quella stampa pubblicata e diffusa on line ( [13]).
La registrazione delle testate on line
Secondo l’art. 1 delle Nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriali (e modifiche alla legge 5 agosto 1981 n. 416), di cui alla citata L. 62/2001, ogni prodotto si annovera nella categoria “prodotto editoriale” e quello è altresì sottoposto agli obblighi previsti dall’art. 5 della legge n. 47/1948, ossia per l’appunto alla registrazione.
Su tale rinvio, la giurisprudenza non pare conoscere incertezze né farsi scuotere dalle perplessità manifestate da dottrinari e giornalisti: alla luce della complessiva normativa in tema di pubblicazioni diffuse sulla rete internet, risulterebbe ormai acquisito all'ordinamento giuridico il principio della totale assimilazione della pubblicazione cartacea a quella diffusa in via elettronica ( [14]): è pertanto ammissibile la registrazione presso la cancelleria del tribunale di un giornale pubblicato esclusivamente su Internet, poiché tale forma rientra nel concetto di prodotto editoriale come definito dall'art. 1 comma 1 l. n. 62 del 2001 ( [15]).
Per individuare il foro competente, poi, basterà verificare ove la testata on-line ha la redazione: lo stampatore viene identificato nel provider, che concede l’accesso alla rete, nonché lo spazio sul proprio server per la pubblicazione dei servizi informativi realizzati dal fornitore di informazioni ( [16]).
Non altrettanto sereni nel concedere (o pretendere, a seconda dell’angolo visuale) la registrazione alle testate on line gli interpreti provenienti da altri contesti interessati alla problematica.
In un’ approfondita analisi pubblicata sul suo sito, per esempio, il Consigliere dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia e docente universitario a c. di Diritto dell’informazione ( [17]), dopo aver passato in rassegna la normativa italiana in materia ( [18]), mette in guardia da pericolose semplificazioni e suggerisce di interpretare l’art. 1 della legge n. 62 del 2001 alla luce delle altre nuove disposizioni, o di quelle precedenti rimaste in vigore, e segnatamente l’art. 16 della stessa L. 62/2001 (Semplificazioni), gli artt. 2, 3 e 5 della L. 47/1948; gli artt. 1, 2 e 27 della delibera n. 236/2001 dell’Agcom; l’art. 31 punto a) della L. 39/2002 nonchè l’art. 7 comma 3 del D. lgs. 70/2003.
Le due norme citate per ultime sono particolarmente significative: la prima (art. 31 legge comunitaria 2001) impegna il Governo ad emanare un decreto legislativo che renda esplicito che l’obbligo di registrazione della testata editoriale telematica si applica esclusivamente alle attività per le quali i prestatori del servizio intendano avvalersi delle provvidenze previste dalla legge 7 marzo 2001 n. 62, o che comunque ne facciano specifica richiesta.
La seconda (art. 7 d. lgs n. 70/2003), al comma 3 esegue il disposto della legge comunitaria appena visto ( [19]).
A queste due norme si aggiunga la lettura di una terza, rappresentata dall’art. 16 della legge n. 62 del 2001: i soggetti tenuti all’iscrizione al registro degli operatori di comunicazione, ai sensi dell’art. 1, comma 6, lett. a) n. 5 L. 249/1997, sono esentati dall’osservanza degli obblighi previsti dall’art. 5 L. 47/1948. L’iscrizione è condizione per l’inizio delle pubblicazioni ( [20]).
La periodicità come elemento fondante l’obbligo di registrazione
Dalle disposizioni, appena passate in rassegna, parrebbe di doversi trarre che, intanto, esistano (almeno) due tipi di prodotto editoriale:
a) quello privo di periodicità e di testata, ma destinato alla pubblicazione o comunque alla diffusione di informazioni presso il pubblico, con ogni mezzo, anche elettronico: a questa tipologia si applica l’art. 2 della L. Stampa del 1948 , per cui dovrà “esporre” una gerenza ( [21]).
Tale non sarà, evidentemente, il c.d. numero unico, o lo scritto diffuso una tantum e senza cadenza predeterminata o ancora il (pur) periodico che diffonda contenuti esclusivamente professionali, tecnici o scientifici;
b) quello diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata, costituente elemento identificativo del prodotto: per questa seconda categoria vige l’obbligo di registrazione ex art. 5 L. Stampa. Nel secondo gruppo si annoverano i giornali, i periodici cartacei, i tele e radiogiornali ed anche le testate telematiche, che abbiano le stesse caratteristiche di periodicità, logo identificativo (o titolo, che dir si voglia, sinonimo di testata) e ruolo di diffusione al pubblico di informazioni ( [22]).
Il ruolo illuminante della giurisprudenza del lavoro
Un contributo molto significativo al dibattito è pervenuto, a parere di chi scrive, dalle massime della giurisprudenza del lavoro, impegnata a verificare i presupposti per riconoscere ai lavoratori, impiegati in testate trasmesse solo in rete, i diritti derivanti dalla professione di giornalista. In questo ambito, il Tribunale di Roma pare decisamente fecondo.
La tesi maggioritaria prescinde – per quanto qui rileva – dalla registrazione della testata sia per confermare la sussistenza dell’obbligo contributivo fatto valere dall’Inpgi sia, e soprattutto, per qualificare come “giornalistica” l’attività svolta presso pagine telematiche: costituisce esercizio di attività giornalistica, e va quindi remunerata come tale, l'attività del lavoratore adibito a raccogliere notizie ed esporle in forma sintetica su un sito web, a nulla rilevando che questo non possa essere considerato una "testata giornalistica" ( [23]).
Quel che conta è, dunque, che sussistano gli elementi fondamentali che contraddistinguono l’attività giornalistica: su quest’ultimo punto, peraltro, può essere interessante ricordare che l’attività giornalistica viene usualmente definita come una prestazione di lavoro intellettuale, volta alla raccolta, al commento ed alla elaborazione di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione ( [24]).
Gli equivoci della norma
Nella nota sentenza n. 2 del 1971 la Corte costituzionale ha affermato che l’obbligo di registrazione, e la preventiva nomina di un vicedirettore responsabile, riguardano esclusivamente i giornali quotidiani o periodici, sicché la legge non pone alcun ostacolo a che il singolo manifesti il proprio pensiero con singoli stampati o con numeri unici. “Chè se, invece, l’interessato voglia dar vita ad un vero e proprio periodico, non è dato di vedere perché questo, a causa di particolari caratteristiche possa sottrarsi ad una disciplina che è stata riconosciuta costituzionalmente valida per ogni tipo di giornale.”
Quindi il sistema di controllo, sul duplice piano – amministrativo e disciplinare, oltre che penale, nei casi estremi - delineato dai due requisiti, è “strumento di salvaguardia di un interesse generale a rilievo costituzionale”, perché una testata registrata, diretta da un direttore responsabile iscritto all’Ordine, è vincolata a rispettare le regole deontologiche fissate per legge, contratto e codice della privacy, e di tale osservanza il direttore risponde penalmente ex art. 57 c.p..
L’art. 46 della Legge n. 69/1963, infatti, stabilisce che il direttore ed il vicedirettore responsabile di un quotidiano, o un periodico (o un’agenzia di stampa) devono essere iscritti nell’elenco dei giornalisti professionisti. L’art. 28 fa salvo il caso delle riviste a carattere tecnico, professionale o scientifico.
Si noti che esiste in giurisprudenza un caso di condanna per abusivo esercizio della professione giornalistica, inflitta a colui che – senza essere iscritto nell’albo professionale - trasmetteva quotidianamente giornali radio( [25]).
Il punto, quindi, è che a fronte di rischi sanzionatori così alti, non sembra corrispondere una applicazione pedissequa del principio di tassatività da parte del legislatore, prova ne sia che – a parziale rettifica di quanto detto in incipit sull’uniformità giurisprudenziale – nei primi momenti di vigenza della legge del 2001 alcuni Tribunali, richiesti di concedere (o meno) alle testate on line la registrazione ex art. 5, si sono trovati in difficoltà ( [26]).
Oltre a mancare definizioni certe e chiare di concetti a cui le norme fanno riferimento (si pensi a quello di , banalmente ritenuto sinonimo di “titolo”, e come tale inidoneo a distinguere tra pubblicazioni da registrarsi e non), mancano anche i raccordi tra vecchia e nuova disciplina sull’editoria, necessari ad armonizzare il sistema e soprattutto a renderlo utile alla casistica che la Novella non regola espressamente: non basta infatti alludere al solo mezzo, significatamente quello elettronico, per catapultare in internet sessant’anni di vigenza e di avvicendamenti normativi in materia di stampa.
Se è vero infatti che nessuna norma prevede espressamente l’esclusione dell’informazione c.d. spontanea dalle disposizioni di legge, è altrettanto vero che tutte le norme (la figura retorica è voluta) alludono però al concetto di “impresa”: la legge del 1948 indica la necessità di depositare la dichiarazione della persona che esercita l’impresa giornalistica, se diversa dal proprietario, e la legge del 1997 ( n. 249) prescrive l’iscrizione delle imprese che esercitano le diverse attività nel settore delle comunicazioni. Ed è altrettanto innegabile che il concetto di periodicità fonda la disciplina più rigorosa, che prevede l’obbligo di registrazione.
All’atto pratico quanto qui detto appare ancora più chiaro (si vedano i moduli disponbili presso i Tribunali): intanto la richiesta è sottoscritta da tre soggetti, proprietario, Direttore responsabile e il c.d. esercente l’impresa giornalistica. Inoltre i termini “periodico” e “periodicità” sono talmente ricorrenti da venir spesso sostituito alle parole “giornale” o “testata”.
Infine, è previsto che il direttore esibisca la documentazione attestate la sua iscrizione all’albo dei giornalisti.
Nessuno di questi elementi pare ricorrere nella vicenda affrontata dalla sentenza in esame: l’imputato è definito uno “storico”, ben lungi dall’esercitare un’impresa, e soprattutto la cadenza degli interventi, testimoniata dalla lista degli aggiornamenti del sito, pur acquisita su richiesta del Giudice, depone per l’assenza di una qualsivoglia “periodicità” nel senso ortodosso previsto dalla legge sulla stampa.
Al contempo non si spiega, almeno per quanto consta, la ragione per cui il provider non risponda contemporaneamente della contravvenzione di divulgazione di stampa clandestina, di cui all’art. 663 bis c.p. ( [27]).
Per concludere, con la massima considerazione per le argomentazioni del Giudice, che denotano uno studio approfondito del sistema normativo, non sembra di poterne condividere le conclusioni nel caso specifico. Che poi questa condanna possa davvero costituire una minaccia, soltanto il futuro potrà acclararlo: nel frattempo manteniamo il titolo a queste note, in omaggio ad un’altra grande pellicola sul giornalismo, ove il protagonista esclama “Se il titolo è grande, la notizia diventa subito importante” ( [28]).
avv. Alessia Sorgato – settembre 2008
(riproduzione riservata)
[1] Questo il titolo italiano con cui tradotto l’originale “Deadline U.S.A.” del regista americano Richard Brooks (1952), tuttora considerato una delle pellicole d’antologia: prova ne sia la fama proverbiale della frase che il protagonista, interpretato da Humphrey Bogart , esclama al telefono: .
[3]Tribunale di Aosta, 26 maggio 2006 n. 553 in Penale.it con nota di F.P. MICOZZI. Secondo il Giudice di Aosta, che ha condannato per diffamazione aggravata dal mezzo della pubblicità, il c.d. blogger si trova in posizione identica a quella del direttore responsabile, anzi, altro non è che il direttore responsabile del blog stesso, pur se non viene utilizzata formalmente tale forma semantica per indicare la figura del gestore e proprietario di un sito internet in cui altri soggetti possano inserire interventi. Ma – scrive ancora – “la posizione di un direttore di testata giornalistica stampata e quella di chi gestisce un blog (e difatti può cancellare messaggi) è mutatis mutandis identica: il gestore di un blog ha il controllo totale di quanto viene postato e, per l’effetto, allo stesso modo di un direttore responsabile, ha il dovere di eliminare quelli (tra i messaggi che siano, NdA) offensivi”.
[5] L’art. 16 L. 47/1948 punisce con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a 500.000 lire (sic) chiunque intraprenda la pubblicazione di un giornale, o di altro periodico, senza che sia stata eseguita la registrazione di cui all’art. 5 oppure, in caso di stampato non periodico, se non risulti il nome dell’editore né quello dello stampatore, oppure ove questi siano indicati in modo non corrispondente al vero.
[6] L’enciclopedia on line denominata Wikipedia, alla parola blog, ricollega le seguenti informazioni: (web-log significa infatti traccia sulla rete), simbolicamente nato nel 1997, ad opera di un commerciante americano di nome Jorn Barger, appassionato di caccia, che aprì una pagina personale per condividere il suo hobby con altri cultori.
La struttura è costituita solitamente da un programma di pubblicazione guidata, che consente di creare automaticamente una pagina web anche senza conoscere necessariamente il linguaggio HTML: questa struttura può essere personalizzata con vesti grafiche c.d. template. Il blog permette a chiunque sia in possesso di una connessione internet di creare facilmente un sito in cui pubblicare in completa autonomia: ogni articolo è generalmente legato ad un thread (il filo del discorso) in cui i lettori possono scrivere i loro commenti e lasciare messaggi all’autore. E’ un sito (web) gestito in modo autonomo dove si lascia traccia (log) dei pensieri, quasi una sorta di diario personale. Ciascuno vi scrive, in tempo reale, le proprie idee e riflessioni. In questo luogo cibernetico si possono pubblicare notizie, informazioni e storie di ogni genere, aggiungendo anche link a siti di proprio interesse (blogroll). Nell’insieme di tutti i blog (blogsphere) si distinguono, secondo le tipologie più diffuse, blog personali, collettivi, di attualità, aziendali, tematici, directory (specializzati in determinati link) fotografici, blogames (giochi), vetrina (per le opere degli autori), politici, urban (riferiti ad una determinata entità territoriale), watch (criticano gli errori riscontrati in notiziari on line, siti web o altri blog), m-blog (contengono mp3 o file audio), video, audio, letterari e i c.d. nanoblog monotematici.
[7] Fino all’introduzione del concetto di “prodotto editoriale”, di cui alla legge n. 62 del 2001, era pacifico che alle comunicazioni telematiche non potesse applicarsi, in via generale, il regime amministrativo della stampa, ivi compreso l’obbligo di registrazione presso la cancelleria del Tribunale, ex art. 5 L. 47/1948 ovvero, ricorrendone i presupposti contenutistici, presso il Registro nazionale della stampa, ex art. 11 L. 5 agosto 1981, n. 416. La conseguenza, a dir poco paradossale, era che le imprese di editoria elettronica e digitale dovevano, ai sensi della legge n. 249 del 1997, iscriversi al Registro nazionale della stampa, tenuto dal Garante, ma non a quello tenuto presso le cancellerie, e con l’ulteriore conseguenza che mentre le imprese erano per lo meno sottoposte a questo controllo, i singoli cittadini che avessero voluto creare un giornale telematico non soggiacevano ad alcuna verifica, potendo, peraltro, aprirlo e dirigerlo senza neppure essere iscritti all’Ordine dei giornalisti. Vedi sul punto S. Peron,, L’informazione on-line, in Resp. civ. e prev. 2001, 2, 486. A quanto finora affermato, nessun elemento contrario si sarebbe potuto dedurre, peraltro, dal D.M. 27 gennaio 1986, istitutivo del servizio pubblico Videotel, che all’art. 12 prevedeva l’obbligo di rispetto della legge sulla stampa da parte del c.d. fornitore di informazione che realizza e distribuisce servizi informativi a carattere giornaliero. Ne argomentava V. Zeno Zencovich in La pretesa estensione alla telematica del regime della stampa: note critiche, in Riv. Inf. e informatica 1998, 1, 15 disponibile anche su Beta.
[8] Cittadinanza italiana o comunitaria (come previsto dall’art. 9 delle Legge n. 52 del 2006 contenente Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alla Comunità europea, c.d. Legge Comunitaria 1994), possesso dei requisiti elettorali.
[9] Cass. civ., sez. unite. 9 novembre 1994 n. 9288 in Giust. Civ. 1995, I, 735: dalla premessa della natura amministrativa della decisione, discende che è inammissibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento, per esempio, di revoca della registrazione
[10] Cass. civ., sez. lav., 19 maggio 1987 n. 4600, in Giust. Civ. Mass. 1987, fasc. 5
[11] Pretura di Palermo, 29 gennaio 1980, C., in Giur. it., 1980, II, 514, Tribunale di Roma, 20 marzo 1995 in Giur. it. 1995, 442 con nota di DINACCI
[12] Corte d’appello di Milano, 14 ottobre 1999 in Foro Ambr. 2000, 27 con nota di NICOLINI. Contra Uff. indagini preliminari di Milano, 22 settembre 2006 (in Foro Ambr. 2006, 3, 307 con nota di TASSI), ove si predilige il luogo ove in concreto risulti essersi verificato il primo effetto diffamatorio percepibile, dove cioè una pluralità di persone ha ragionevolmente potuto per la prima volta effettuare un concreto collegamento tra le notizie offensive contenute nello stampato e una determinata persona.
[13] Si deve rilevare che, all’indomani dell’approvazione della nuova legge sull’editoria, qualche Autore lamentò che con la definizione di prodotto editoriale adottata dall’art. 1 sarebbero stati “messi al bando tanti notiziari web puri, anche detti web-zines (siti di associazioni, di gruppi di volontariato, di associazioni no profit, e quelli dei singoli cittadini che vorranno produrre in maniera continuativa documenti e informazioni da diffondere in rete, per non parlare dei c.d. siti amatoriali).” T. Senni, La nuova legge sull’editoria e le sue conseguenze sullo sviluppo dell’editoria elettronica, in Dir. comm. internaz., 2001, 2, 529
[14] Tribunale di Milano, sez. II civ., 10-16 maggio 2002 n. 6127 in Giur. milanese 2003, 79 e Guida al dir. 2002, 47. Secondo quanto previsto, quindi , tale definizione incide e amplia quella contenuta nel r.d.lg. n. 561 del 1946, secondo cui non si può procedere al sequestro delle edizioni dei giornali, di pubblicazioni o stampati - contemplati nell'editto della stampa 26 marzo 1848 n. 695 - se non in virtù di una sentenza irrevocabile. Vedi però Tribunale di Latina, 7 giugno 2001, NN, in Giur. merito 2001, 1362, (e su Penale.it) secondo cui può essere sottoposto a sequestro preventivo ex art. 321 c.p. il sito Internet (inteso come insieme di hardware e software mediante il quale si genera il prodotto telematico sotto forma di trasmissione di flussi di dati) attraverso il quale viene commesso un reato; esso, in quanto prodotto editoriale ai sensi della l. n. 61 del 2001, si deve ritenere sottoposto, anche ai fini penali, alla disciplina riservata alla stampa. Di conseguenza, non trova applicazione l'art. 1 r.d.l. n. 561 del 1946, che limita a tre le copie il sequestro degli stampati disposto dal giudice penale, poiché si tratta di norma non richiamata dall'art. 1 l. n. 62 del 2001, e ontologicamente non applicabile ad Internet.
[15] Tribunale di Salerno, 16 marzo 2001, F. e altro, in Giur. it. 2002, 85, con nota di BOGGIANO
[16] Tribunale di Cuneo, 23 giugno 1997, in Riv. Giur. piemontese 1997, 493. Contra M. Cammarata, Come essere in regola con le norme sulla stampa, in http://interlex.it/stampa/0162_7.htm, per il quale il fornitore di hosting non può livellarsi al ruolo di stampatore, essendo di fatto il distributore. L’articolo si segnala anche perché, nella ritenuta farraginosità della norma di cui alla L. 62/2001, consiglia di “eliminare qualsiasi indicazione relativa alla periodicità” nella testata o nella home page, e di non aggiornare regolarmente le pagine, onde rientrare pacificamente nelle previsioni dell’art. 2 L. Stampa, per cui basta l’indicazione del nome e del domicilio dell’autore.
[17] F. Abruzzo, Testate on line, la registrazione presso i tribunali obbligatoria quando l’editore chiede finanziamenti pubblici, prevede di conseguire ricavi, rispetta una regolare periodicità e impiega giornalisti. Nel ROC soltanto gli editori, in www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=1252. L’Autore ripercorre il sistema normativo italiano dall’editto albertino del 1848, istitutivo di un regime di stampa definita “libera”, ove “una legge (si limita a) reprimer(à) gli abusi” (art. 28 Statuto di Carlo Alberto, 4 marzo 1848) nel nostro Paese si sia approdati alla regolamentazione fascista, quando con vari regi decreti legge si sottopose a riconoscimento prefettizio la nomina del c.d. gerente responsabile ma poi, alla vigilia del referendum monarchia – repubblica, con regio d. lgs. n. 561 del 1946 si sia tornati a stabilire la sequestrabilità di giornali e stampati solo in forza di una sentenza irrevocabile dell’Autorità giudiziaria.
[18] Per una disamina molto approfondita sui cenni storici, si veda R. Zaccaria, Diritto dell’informazione e della comunicazione, Cedam, 2007, p. 371 ss, ove si inizia ad analizzare l’art. 28 dello Stato Albertino del 1848, quindi i decreti del regime fascista, fino al c.d. armistizio lungo del 29 settembre 1943, quando vengono concessi pieni poteri agli alleati sui mezzi di comunicazione di massa. Interessante il riferimento al r.d.l. 14 gennaio 1944 n. 13, ove si ritrova la previsione di un’apposita autorizzazione per chiunque pubblichi, stampi, o riproduca giornali o altri scritti periodici, in cui vengano riportate notizie od opinioni politiche, poi sostituita dalla registrazione di cui all’art. 5 L. 47/1948. Gli altri importanti punti di riferimento sono la Legge 5 agosto 1981 n. 416, introduttiva di un massiccio intervento statale a sostegno dell’editoria in forte crisi economica; le leggi n. 67 del 1987 e n. 250 del 1990, che sono intervenute ancora sul fronte delle provvidenze e infine il noto d.l. 23 febbraio 1994 n. 129, in materia di bilanci delle imprese editrici (reiterato sedici volte!).
[19] Altra questione riguarda il c.d. ROC, Registro operatori di comunicazione, di cui all’art. 1 L. 31 luglio 1997 n. 249, a cui devono iscriversi i soggetti e le imprese elencati nell’art. 1 Delibera dell’Agcom :esercenti l’attività di radiodiffusione; produzione e distribuzione di programmi radiotelevisivi; concessionari di pubblicità; editori di giornali quotidiani, periodici o riviste; agenzie di stampa a carattere nazionale; soggetti esercenti l’editoria elettronica e digitale e infine le imprese fornitrici di servizi di telecomunicazioni e telematici. Questi soggetti e queste imprese sono esentati dall’osservanza dell’obbligo di registrazione (art. 16 L. 62/2001).
[20] La previsione dell’obbligo di registrazione, quanto meno per i prodotti editoriali telematici periodici e muniti di testata identificativa, è stata vista da molti come un tentativo di assoggettare l’informazione on line ad una forma di controllo, dunque di limitare indirettamente l’accesso e l’utilizzo alla rete. Cfr. sul punto G. B. Garrone, Profili giuridici del sistema dell’informazione e della comunicazione, Giappichelli, 2004, p. 39.
[21] Art. 2 Legge n. 47 del 1948: “Ogni stampato deve indicare luogo e anno di pubblicazione, nome e domicilio dello stampatore, del proprietario e del direttore o vicedirettore responsabile. All’identità delle indicazioni, obbligatorie e non, che contrassegnano gli stampati deve corrispondere identità di contenuto in tutti gli esemplari
[22] Si noti che la periodicità di uno stampato, o comunque di un prodotto di informazione, dev’essere predeterminata (quotidiana, mensile, bimestrale, ecc.) e ciò vale anche per le riviste, anche quando sia prestabilita la durata di vita, e quindi un momento conclusivo, e qualunque sia il contenuto informativo. Sul punto vedi TAR Lazio, sez. I, 27 dicembre 1993 n. 1827, in Riv. Dir. Autore, 1995, 322
[23] Tribunale di Roma, 9 febbraio 2004, in D& G - Dir. e giust. 2004, 20, 121 con nota GIACOMARDO
[24] Il giornalista si pone pertanto come mediatore intellettuale fra il fatto e la diffusione della conoscenza di esso, nel senso, cioè, che sua funzione è quella di acquisire esso stesso la conoscenza dell'evento, valutarne la rilevanza in funzione della cerchia dei destinatari dell'informazione e confezionare quindi il messaggio con apporto soggettivo ed inventivo; ai fini dell'individuazione dell'attività giornalistica assumono poi rilievo la continuità o la periodicità del servizio, del programma o della testata, nel cui ambito il lavoro è utilizzato, nonché l'attualità delle notizie trasmesse, in ordine alle quali si rinnova quotidianamente l'interesse della generalità dei lettori, differenziandosi la professione giornalistica da altre professioni intellettuali proprio in ragione di una tempestività di informazione diretta a sollecitare i cittadini a prendere conoscenza e coscienza di tematiche meritevoli, per la loro novità, della dovuta attenzione e considerazione. (Cass. civ., sez. lav., 20 febbraio 1995, n. 1827 in Foro it. 1995, I, 1152).
[25] Pretura di Sapri, 1 dicembre 1977, L. in Nuovo dir. 1978, 259: “Un’emittente privata, che trasmette quotidianamente giornali radio, deve essere registrata presso la cancelleria del tribunale competente per territorio, con relativa nomina di un direttore responsabile in persona di un giornalista iscritto nell’albo, ai sensi dell’art. 7 L. 14 aprile 1975 n. 103. Tale norma – prosegue la massima – è sfornita di sanzione penale”. Contra Cass. pen., sez. V, 12 ottobre 1982, F. C. in
Cass. pen. 1983, 2104: “La norma penale incriminatrice è composta di due inscindibili elementi, precetto e sanzione, e tale inscindibilità sussiste anche quando la sanzione penale di un determinato precetto sia prevista in una disposizione separata della stessa legge o di una legge diversa. Poiché tale separazione è soltanto formale, stante l'inscindibilità sostanziale di precetto e sanzione, ne deriva che le singole disposizioni incomplete formano un'unica norma sì che il richiamo alla disposizione precettiva non può che intendersi riferito all'intera norma. In applicazione di tale principio, il richiamo dell'art. 5 l. n. 103 del 1975 all'art. 5 legge sulla stampa (parte precettiva), postula necessariamente il richiamo all'art. 16 stessa legge (parte sanzionatoria). E ciò non già in base ad un (inammissibile) procedimento d'integrazione analogica, ma in forza di un'esigenza logico-giuridica che rivela l'esatta portata della norma. (Nella specie si era sostenuto che il precetto contenuto nell'art. 7 l. n. 103 difettasse di sanzione essendo il richiamo limitato all'art. 5 - parte precettiva - e non anche all'art. 16 - parte sanzionatoria - della legge sulla stampa).
[26] Il Tribunale di Napoli, sez. I, con decreto 18 marzo 1997, pubbl. in Foro it., 1997, I, 2307; in Dir. Giur. 1997, 186 con nota di CATALANO; in Dir. ind., 718, con nota di ANTONELLI, MONTINI; in Aida 1998, 559 con nota di LAVAGNINI, ha ordinato la registrazione ai sensi dell’art. 5 di un periodico on line solo dopo aver ricevuto la conferma che sarebbe stato stampato anche su supporto cartaceo, mentre il Tribunale di Roma, sez. per la stampa e l’informazione, con ord. 6 novembre 1997, in Dir. inform., 1998, 75 con nota di LOLLI, disponeva la registrazione del sito ww.interlex.it affermando che “un periodico telematico può beneficiare della tutela rappresentata dalla registrazione, in quanto possiede sia il requisito ontologico sia quello finalistico, relativo alla diffusione di notizie, pur con una tecnica diversa dalla stampa”, e così via, l’orientamento è proseguito in maniera ondivaga, almeno fino alla nota pronuncia del Tribunale di Salerno, 16 marzo 2001, F. e altro, in Giur. it. 2002, 85, con nota di BOGGIANO. Vedi sul punto anche R. Sciandone, Profili del regime giuridico applicabile alle testate telematiche, in Giust. Civ. 2004, 4, 209.
[27] Art. 663 bis cp: (Divulgazione di stampa clandestina)
Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque in qualsiasi modo divulga stampe o stampati senza l’osservanza delle prescrizioni di legge sulla pubblicazione e diffusione della stampa periodica e non periodica, è punito con la sanzione amministrativa da € 103 a € 619.
Per le violazioni di cui al presente articolo non è ammesso il pagamento in misura ridotta previsto dall’art. 16 della legge 24 novembre 1981 n. 689.
Per una disamina più generale dei rischi del provider, si veda G. L. Perdonò, Le responsabilità penali collegate all’uso di internet fra comparazione e prospettive di riforma, in Dir. Inf. e Inf., 2007, 323
[28] Quarto potere (Citizen Kane) di Orson Welles, USA, 1941.
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