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Inopponibilità del contrassegno SIAE (a seguito della sentenza "Schwibbert") anche per il software, in relazione ad alcune condotte previste dall'art. 171-bis, comma 1, l.d.a. Ne conseguono l'applicabilità della formula "perché il fatto non è previsto dalla legge come reato" e la revocabilità di precedenti condanne.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
Dott. VITALONE CLAUDIO PRESIDENTE
1.Dott. PETTI CIRO CONSIGLIERE
2.Dott. LOMBARDI ALFREDO MARIA "
3.Dott. MARINI LUIGI "
4.Dott. SARNO GIULIO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA / ORDINANZA
sul ricorso proposto da :
1) Y. D. N. IL 26/10/1967 avverso SENTENZA del 06/12/2007 CORTE APPELLO di CAMPOBASSO
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere SARNO GIULIO
Con la sentenza in epigrafe la corte di appello di Campobasso confermava la decisione del tribunale di Isernia in data 23.9.2003 che aveva condannato Y. D. alla pena di giustizia per il reato di cui agli artt. 81 cod. pen., 171 ter co. 1 lett. c) L. 633/41 e 171 bis co. I L. 633/41 per avere detenuto allo scopo di porli in commercio 323 CD musicali e play station, 75 musicassette e 7 videocassette abusivamente riprodotti, senza avere concorso alla riproduzione e non contrassegnati dalla SIAE.
Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l'imputato deducendo:
- mancata assunzione di una prova decisiva, perizia, espressamente richiesta al giudice di merito al fine di verificare il contenuto dei supporti sequestrati;
- violazione di legge non essendovi corrispondenza tra la mera detenzione dei supporti magnetici e quella legata alla disciplina degli arti. 171 bis e ter co. 1 lett e) sanzionante la vendita o il noleggio degli stessi ove sprovvisti del timbro SIAE; - violazione dell'art. 59 L. 601/89 non essendo stata concessa la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria;
- prescrizione del reato.
Motivi della decisione
Va anzitutto rilevato che risultando i fatti accertati in Venafro il 10.7.2002, è da escludere comunque l'intervenuta prescrizione dei reati contestati trattandosi di delitti.
Si impone poi un chiarimento concernente il quadro normativo in cui si calano le contestazioni in esame.
Rispetto all'epoca di accertamento degli illeciti il testo di legge cui fare riferimento è quello della legge 633/41 così come modificato dalla legge n. 248/2000 che con gli articoli 13 e 14 ha modificato gli art. 171 bis e ter L. 633/41.
Per effetto delle modifiche citate si deve ritenere che alla data di accertamento del reato, l'art. 171 bis co. 1 sanzionava l'abusiva duplicazione per fine di profitto di programmi per elaboratore o per il medesimo fine l'importazione, la distribuzione, la vendita, la detenzione a scopo commerciale o imprenditoriale o la concessione in locazione di programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla Società italiana degli autori ed editori.
L'art. 171 ter co. 1, alla lettera c) puniva, invece, colui il quale, pur non avendo concorso alla duplicazione o riproduzione, introduceva nel territorio dello Stato, deteneva per la vendita o la distribuzione, distribuiva, poneva in commercio, concedeva in noleggio o comunque cedeva a qualsiasi titolo, ecc. le duplicazioni o riproduzioni abusive di cui alle lettere a) e b); mentre alla lettera d) sanzionava la detenzione per la vendita o la distribuzione, il commercio, la vendita, il noleggio, la cessione a qualsiasi titolo, ecc. di videocassette, musicassette, qualsiasi supporto contenente fonogrammi o videogrammi di opere musicali, cinematografiche o audiovisive o sequenze di immagini in movimento, od altro supporto per il quale è prescritta, ai sensi della presente legge, l'apposizione di contrassegno da parte della Società italiana degli autori ed editori (SIAE), privi del contrassegno medesimo o dotati di contrassegno contraffatto o alterato.
Ciò posto, per quanto concerne la contestazione relativa all'art. 171 bis deve escludersi la rilevanza penale dei fatti contestati.
Occorre, infatti, tenere conto di quanto affermato dalla Corte di Giustizia che, chiamata a pronunciarsi sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta, ai sensi dell'art. 234 CE, dal Tribunale di Forlì sull'interpretazione degli ara. 3 CE, 23 CE-27 CE, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 giugno 1998, 98/34/CE, che prevede una procedura d'informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell'informazione, come modificata con la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 98/34 del 20 luglio 1998; della direttiva del Consiglio 19 novembre 1992, 92/100/CEE, concernente il diritto di noleggio, il diritto di prestito e taluni diritti connessi al diritto di autore in materia di proprietà intellettuale; nonché della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 maggio 2001, 2001/29/CE, sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione, ha concluso affermando che "La direttiva del Parlamento europeo e dei Consiglio 22 giugno 1998, 98/34/CE, dev'essere interpretata nel senso che le disposizioni nazionali, in quanto abbiano stabilito, successivamente all'entrata in vigore della direttiva del Consiglio 28 marzo 1983, 83/189/CEE (che prevede una procedura d'informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche) l'obbligo di apporre sui dischi compatti contenenti opere d'arte figurativa il contrassegno «SIAE» in vista della loro commercializzazione nello Stato membro interessato, costituiscono una regola tecnica che, qualora non sia stata notificata alla Commissione, non può essere fatta valere nei confronti di un privato" (sentenza 8 novembre 2007, Schwibbert, della Corte di Giustizia delle Comunità Europee - causa C-20/05),
Esaminando la prima parte della l'art. 171 bis co 1 L. 633/41 è agevole rilevare, infatti, che viene alternativamente punita: a) la condotta di chi abusivamente duplica a fine di profitto programmi per elaboratore; b) la condotta di chi, sempre a fine di profitto, importa, distribuisce, vende, detiene a scopo commerciale o imprenditoriale o concede in locazione programmi contenuti su supporti non contrassegnati dalla SIAE.
E' l'ipotesi sub b) che specificamente interessa in questa sede essendo stata nella specie contestata la detenzione per la vendita e la vendita di supporti privi di contrassegno.
Ciò posto appare di tutta evidenza che l'ipotesi sub b) citata si incentra in via esclusiva proprio sulla mancanza del contrassegno SIAE.
Appare inevitabile concludere, quindi, che, a seguito del pronunciamento della Corte di Giustizia, non può essere più ritenuta l'illiceità della condotta per i fatti contestati. Fermo restando dunque che la condotta contestata non può comunque avere effetti sul piano penale, l'unico problema che può porsi in questa sede concerne l'individuzione della formula assolutoria maggiormente rispondente al caso di specie.
A parere del Collegio essa va individuata in quella "il fatto non è previsto dalla legge come reato".
Questa formula, aggiunta alla precedente elencazione contenuta nell'art. 479 cpp del codice abrogato dall'art. 530 co. 1 attualmente in vigore, determina, a differenza delle altre formule l'assoluzione dell'imputato in iure rendendo superflua l'istruzione del processo.
Intesa in questo senso si è osservato in dottrina che la formula va logicamente anteposta a qualsiasi altra risolutiva del processo stesso e deve trovare applicazione in tutti i casi in cui il fatto storico attribuito all'imputato non sia riferibile ad alcuna fattispecie normativa penalmente sanzionata o perché la norma non è mai esistita o perché la norma, quantomeno nella sua funzione incriminatrice è stata abrogata o dichiarata costituzionalmente illegittima o, infine, perché non entrata ancora in vigore all'epoca della commissione del fatto.
L'inottemperanza alla procedura di notifica, vanificando l'obbligo di apposizione del contrassegno SIAE, ha come ulteriore e necessitato effetto quello di rendere inefficace ab origine anche la disposizione sanzionatoria dell'art. 171 bis nella parte indicata in quanto finalizzata in via specifica ed esclusiva ad assicurare l'effettivo rispetto dell'obbligo.
Sul piano concettuale l'affermazione che l'omessa apposizione del contrassegno non configura più reato comporta infatti anche altre rilevanti conseguenze.
La prima e, probabilmente, più importante attiene all'esecuzione aprendo la strada alla revoca delle condanne passate in giudicato ed alla eliminazione delle iscrizioni relative ai provvedimenti revocati (art. 5 DPR 313/2002 che ha abrogato l'art. 687 cpp).
Secondo un orientamento diffuso, infatti, la disposizione dell'art. 673 cpp opera non soltanto nei casi di abolito criminis propriamente intesi ma anche quando sia resa comunque inapplicabile la nonna incriminatrice.
Ma ugualmente rilevanti sono, ad esempio, le conseguenze in tema di sospensione condizionale non potendosi ritenere preclusive alla concessione del beneficio le condanne in precedenza intervenute per il reato di cui all'art. 171 bis in relazione ai supporti privi del contrassegno SIAE; per la valutazione dei precedenti ostativi alla sostituzione della pena detentiva, ecc.
Appare evidente, pertanto, che la scelta di ritenere il fatto non previsto dalla legge come reato comporta tra l'altro la cessazione degli effetti penali anche delle condanne in precedenza intervenute per quel reato.
In questo senso la formula assolutoria "il fatto non è previsto dalla legge come reato" meglio di ogni altra asseconda, quindi, a parere del Collegio, l'esigenza di salvaguardare il rispetto del principio di effettività della normativa comunitaria che il giudice nazionale è chiamato ad assicurare applicando una interpretazione per quanto possibile conforme ai precetti del diritto comunitario (in questo senso, in particolare, sentenze 5 ottobre 1994, causa C-165/91, Van Munster, Racc. pag. 1-4661, punto 34, e 26 settembre 2000, causa C-262/97, Engelbrecht, Racc. pag. I-7321, punto 39).
Ciò in quanto, come sottolineato nella sentenza Schwibbert dalla Corte di Giustizia, l'inadempimento dell'obbligo di comunicazione comporta l'impossibilità di dare applicazione sul piano nazionale anche per il passato alla regola tecnica del dovere di apposizione del contrassegno in quanto imposto successivamente alla istituzione della procedura di informazione stabilita con la direttiva 83/189.
In relazione a quanto esposto appare conseguente che le questioni dedotte dal ricorrente devono essere affrontate limitatamente alla restante ipotesi di reato di cui all'art. 171 ter lett. c).
Al riguardo, richiamato quanto sopra detto per la prescrizione, appare evidente, ad avviso del Collegio, l'infondatezza dei motivi dedotti.
Sul primo motivo ha infatti correttamente e logicamente risposto la corte di merito ritenendo che già l'analisi dei militari della Guardia di Finanza che avevano proceduto al sequestro era sufficiente per l'accertamento della abusiva duplicazione e che sia le modalità di vendita del materiale e sia la mancanza del contrassegno SIAE – ancora indiziante per i fatti accertati prima della decisione della Corte di Giustizia, come più volte ribadito da questa Corte, - non lasciavano margini di dubbio in proposito.
Quanto al secondo motivo le considerazioni in precedenza espresse valgono a precisare che in relazione all'art. 171 ter lett. c) non rileva la mancanza del contrassegno SIAE (oggetto della successiva lettera d dell'art. 171 ter), bensì l'attività di vendita e/o la vendita di materiale abusivamente duplicato o riprodotto.
Il che consente di concludere per la correttezza in punto di diritto della sentenza sulla sussistenza del reato.
Infine la questione della conversione della pena non risulta avere formato oggetto dei motivi di appello.
Conclusivamente, dunque, la sentenza va annullata senza rinvio limitatamente all'addebito di cui all'art. 171 bis L. 633/41.
Poiché dall'esame della sentenza di primo grado si evince che per tale reato era stato operato un aumento in continuazione di giorni cinque di reclusione e di euro 200 di multa, tale pena deve essere eliminata.
Va invece confermata la decisione di appello in ordine alla condanna per il reato di cui all'art. 171 ter L. 633/41 e, quindi, rigettato nel resto il ricorso.
PQM
La Corte Suprema di Cassazione
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente all'addebito di cui all'art. 171 bis L. 633/41 perché il fatto non è previsto dalla legge come reato ed elimina la pena di giorni cinque di reclusione e di euro 200 di multa. Rigetta nel resto.
Così deciso in Roma il 24.6.2008
Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2008
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