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Rilevanza penale dell’«autocertificazione» falsa sul termine di ultimazione delle opere, prodotta con domanda di condono edilizio. Costituisce falso in atto pubblico (art. 483 c.p.) l'autocertificazione non veritiera dell'ultimazione di opere entro una certa data nella domanda di rilascio di un condono edilizio
La sentenza in commento affronta, tra l’altro, la questione della rilevanza penale della falsa attestazione di ultimazione in tempo utile dell’opera abusiva, contenuta in un’apposita dichiarazione sostitutiva di atto notorio allegata alla domanda di condono.
Manca, invero, una norma che specificamente punisca il falso (ideologico) in «autocertificazione»: malgrado la rubrica «norme penali», l’art. 76 del t.u. in materia di documentazione amministrativa (d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445) – come già l’art. 26 della l. 4 gennaio 1968, n. 15 - si limita a rinviare al codice penale e ad altre leggi speciali la ricerca di una fattispecie applicabile.
La giurisprudenza ne ha ravvisato una nell’art. 483 c.p., il cui precetto si riempie per il tramite di una norma extrapenale che ricolleghi specifici effetti giuridici a determinati fatti attestati da un privato a un pubblico ufficiale che ne documenta la dichiarazione(1): nel caso di specie, si tratterebbe, appunto, delle norme che riconoscono al cittadino la possibilità di attestare, nei rapporti con la P.A., l’esistenza di fatti, atti, rapporti, stati e qualità di sua conoscenza, attraverso una dichiarazione sostitutiva di certificazione o di atto di notorietà.
Sotto la vigenza dell’originaria disciplina degli artt. 2 e 4 l. 15 cit., la Suprema Corte riteneva, infatti, che la c.d. autocertificazione assumesse la natura di atto pubblico con la prevista autentica, da parte di un pubblico ufficiale, della sottoscrizione del privato dichiarante(2).
Non pare, tuttavia, che da un tale intervento del p.u. potesse derivarsi la conseguenza pretesa, poiché l’autentica esaurisce i propri effetti nell’accertamento della provenienza della dichiarazione, senza alcun riguardo al suo contenuto(3). In ogni caso, detto requisito è stato soppresso dalla c.d. Legge Bassanini (d.P.R. 15 maggio 1997, n. 127), per cui gli attuali artt. 46-47 t.u. doc. amm. richiedono solo che la dichiarazione sia sottoscritta in presenza del dipendente addetto oppure presentata unitamente alla fotocopia di un documento d’identità del sottoscrittore.
Poco attenta si rivela, quindi, l’attuale prevalente giurisprudenza(4), la quale continua a ricorrere soprattutto all’autentica per dimostrare che l’autocertificazione è un atto pubblico ai fini dell’art. 483 c.p. D’altra parte, l’ulteriore argomento tratto dal terzo comma dell’art. 76 cit. – per cui «le dichiarazioni sostitutive rese ai sensi degli articoli 46 e 47 […] sono considerate come fatte a un pubblico ufficiale» - non è assolutamente idoneo a fondare la natura pubblica dell’atto(5): lo esclude la stessa norma incriminatrice che si assume violata, laddove prevede che la falsa attestazione al pubblico ufficiale debba manifestarsi, inoltre, in un atto pubblico(6).
Non sfugge, allora, come tale giurisprudenza, mossa dall’esigenza di colmare un preteso vuoto di tutela della fede pubblica con riguardo alle autocertificazioni come ridisciplinate dalla Legge Bassanini, finisca per elidere uno degli elementi della fattispecie tipica dell’art. 483 c.p. In essa rilevano, infatti, due asserti dichiarativi: quello del privato che attesta un fatto e quello del pubblico ufficiale che attesta quanto attestato dal privato. Se la falsità trova il suo nucleo fondante nel primo elemento, il secondo rimane comunque imprescindibile: (non solo) la dichiarazione del privato deve rivolgersi a un pubblico ufficiale (ma è pure necessario) che (questi) la documenti in un atto destinato a provare la verità del fatto dichiarato(7).
Il Tribunale di Vicenza non riesce a sottrarsi a una tale censura, neppure specificando che «ai sensi del dpr 445/2000 la dichiarazione ex art. 47 1°comma “comprova” i fatti in essa dichiarati», perché, anzi, così svela il procedimento sostanzialmente analogico che si cela nella giurisprudenza cui aderisce(8): se pure, in base all’art. 47 cit., all’autocertificazione potesse riconoscersi gli stessi effetti probatori dell’atto pubblico, si tratterebbe, tuttavia, di un’equiparazione che opera sul piano effettuale, rimanendo ancora indimostrata la natura di atto pubblico di essa, la quale solo rileva ai fini dell’art. 483 c.p.
Ovviamente, l’autonomia del diritto penale potrà giustificare una nozione squisitamente funzionale di atto pubblico(9), ma la qualificazione penalistica avrà comunque riguardo degli effetti probatori che all’autocertificazione sono riconosciuti in ambito amministrativo; sicché, a prescindere dalla minore certezza giuridica che in generale le si attribuisce in dottrina rispetto alla corrispondente «certificazione»(10), decisiva – nel caso di specie - si rivela la costante giurisprudenza amministrativa per cui la dichiarazione sostitutiva in esame non «comprova» l’ultimazione dell’opera entro la data utile per il condono, costituendo un semplice «principio di prova»(11).
D’altronde, se l’autocertificazione potesse considerarsi atto pubblico ai fini penali, colui che la forma sarebbe per ciò stesso pubblico ufficiale e, in caso di falsità, dovrebbe rispondere piuttosto del delitto di cui all’art. 476 c.p.; si apprezza così appieno la precisazione dell’art. 483 per cui la dichiarazione dell’agente dev’essere destinata a un pubblico ufficiale, la (autonomia della) relativa fattispecie implicando che a formare l’atto oggetto materiale del reato sia un soggetto diverso dal reo.
Già sul piano della (pura) tipicità, dunque, dovrebbe escludersi la punibilità ex art. 483 c.p. del falso in autocertificazione, senza la necessità di ricorrere al paradigma del reato impossibile (art. 49, cpv., c.p.), applicato in un’isolata sentenza di legittimità, per la quale, venuto meno il requisito dell’autentica della sottoscrizione, il falso rimarrebbe innocuo, siccome inidoneo a offendere l’interesse tutelato dalla norma incriminatrice(12).
Né l’ostacolo della tipicità può essere aggirato – come parrebbe voler fare una recente giurisprudenza(13) - valorizzando l’art. 76, co. 1, t.u. doc. amm., poiché, laddove prevede che «chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo unico è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia», tale disposizione richiama le fattispecie codicistiche – come quella dell’art. 483 - complete di tutti i requisiti previsti dalle relative norme.
In definitiva, il principio di legalità preclude una rilevanza penale, in sé, della falsità ideologica nell’autocertificazione: qualora vi sia un atto pubblico (del pubblico ufficiale) destinato a provare quanto in essa dichiarato, sarà sì configurabile il delitto di cui all’art. 483 c.p., oppure quello dell’art. 495, quando la falsità riguardi l’identità, lo stato o le altre qualità della propria o altrui persona(14); in mancanza, potranno trovare applicazione, nei congrui casi, altre norme codicistiche - per es. l’art. 496 - o della legislazione speciale – come l’art. 95 del t.u. in materia di spese di giustizia (d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115)(15).
Avv. Paolo Capoti - Verona - giugno 2008
(riproduzione riservata)
1 Tra altri, DE MARSICO, voce Falsità in atti, in Enc. dir., vol. XVI, Milano, 1967, 589; NAPPI, in BRICOLA-ZAGREBELSKY, Giurisprudenza sistematica di diritto penale, vol. V, 1996, 138.
2 Per tutte, Cass., sez. V, 5 maggio 1998, n. 11186, in Cass. pen., 2000, 70.
3 V. Cass., sez. V, 6 luglio 1994, in Cass. pen., 1995, 919, con nota di SVARIATI, secondo cui, nella scrittura privata autenticata, «l’autenticazione non implica un accertamento in ordine alla natura o al contenuto dell’atto privato, ma attesta solo il fatto dell’autentica e contestuale sottoscrizione. È questo fatto ad assumere rilevanza ai fini dell’efficacia giuridica e del significato dell’atto pubblico di autenticazione; ed è la falsa rappresentazione di questo fatto ad integrare gli estremi della falsità ideologica dell’atto pubblico di autenticazione, quale che sia la sorte dell’atto privato».
4 Da ultimo, Cass., sez. II, 20 dicembre 2006, n. 6904, in Guida dir., 2007, n. 15, 75. Spesso tuttavia le motivazioni delle sentenze eludono il problema qualificatorio; v., per es., Cass., sez. un., 28 giugno 2007, n. 35488, in Guida dir., 2007, n. 42, 83.
5 Correttamente Trib. Camerino 8 ottobre 2004, in Riv. pen., 2006, 85. Del resto, nel precedente ante riforma più spesso richiamato dall’attuale giurisprudenza, detta «equiparazione» - allora stabilita dall’art. 26, co. 2, l. 15 cit. – era sì invocata, ma piuttosto ai fini dell’ulteriore requisito di fattispecie: la destinazione dell’attestazione del privato al pubblico ufficiale; v. Cass. 5 maggio 1998, n. 11186, cit., richiamata, per es., da Cass., sez. V, 11 luglio 2005, n. 35163, in CED Cass. pen. 2005, rv. 232565. Nondimeno, in Cass., sez. II, 20 dicembre 2006, n. 6904, cit., si precisa che «il privato ha l’obbligo di affermare il vero ogniqualvolta sussiste una norma che ricolleghi ai fatti che attesta al pubblico ufficiale – il quale, a sua volta, ne documenti l’attestazione – determinati effetti» (corsivo aggiunto). V. però l’ambigua Cass., sez. V, 15 giugno 2001, n. 34815, in Cass. pen., 2002, 3551, secondo cui «l’intervento del pubblico ufficiale – tale qualifica avendo, per definizione normativa, colui che è preposto a ricevere la dichiarazione sostitutiva del privato,- conferisce inoltre alla dichiarazione stessa una valenza probatoria privilegiata».
6 Che si tratti di due requisiti distinti è riconosciuto anche da Cass., sez. un., 28 giugno 2007, n. 35488, cit., che, peraltro, dimentica completamente il primo (v. nota 4).
7 Per tutti, MASPERO, in CRESPI-STELLA-ZUCCALÁ, Commentario breve al Codice penale, sub art. 483, Padova, 2003, 1528; in giurisprudenza, v. la fondamentale Cass., sez. un., 17 febbraio 1999, n. 6, in Riv. pen., 1999, 454.
8 Il ragionamento analogico della Suprema Corte si palesa in Cass., sez. III, 24 gennaio 2003, n. 9527, in Riv. pen., 2003, 502, laddove motiva la configurabilità del delitto di cui all’art. 483 c.p., pur a seguito della riforma del ’97, su «la destinazione e lo scopo della falsa dichiarazione del privato e gli effetti di essa sul piano giuridico, che impongono una particolare tutela» (corsivo aggiunto).
9 Sicché, un valore molto relativo avrà l’affermazione per cui l’autocertificazione tiene luogo del corrispondente atto pubblicistico, di Cons. Stato, sez. V, 4 novembre 2004, n. 7140, in Foro amm. CDS, 2004, 3225.
10 V. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2006, 342 ss.
11 V. Cons. Stato, sez. IV, 6 giugno 2001, n. 3067, in Foro amm. CDS, 2001, 6; e, più di recente, T.A.R. Lombardia – Milano 31 maggio 2006, n. 1275, in Foro amm. TAR, 2006, 1592. Contra Cass., sez. V, 2 giugno 1999, n. 10377, in Cass. pen., 2000, 2269, per cui la dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio avrebbe piena efficacia probatoria in ordine all’ultimazione dell’opera in tempo utile per il condono. Quest’aspetto non è invece preso in considerazione da Cass., sez. V, 15 giugno 2001, n. 34815, cit., la quale – correttamente – ritiene irrilevante il fatto che la legge sul condono (nella specie: l. 23 dicembre 1994, n. 724; art. 39, co. 4) non preveda espressamente la data di ultimazione dell’opera tra i requisiti del beneficio che il richiedente può «autocertificare».
12 Cass. 8 febbraio 2001, n. 13623, in CED Cass. pen., 2001, rv. 218393.
13 V. Cass., sez. V, 10 maggio 2006, n. 20570, in CED Cass. pen., rv. 234202; Trib. Arezzo 28 settembre 2006, Red. Giuffrè 2006.
14 V. Cass., sez. V, 16 gennaio 2001, n. 89, in Riv. pol., 2003, 626.
15 In questo senso Trib. Verona, uff. g.i.p., 24 novembre 2003, in Giur. mer., 2004, 81.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI VICENZA - SEZIONE DI SCHIO
Il Tribunale di Vicenza, Sezione di Schio,
in composizione monocratica nella persona del Dott. Michele Bianchi alla pubblica udienza del giorno 19 novembre '07 ha pronunciato la seguente
SENTENZA
ex art. 544 comma 1° C.P.P. nel procedimento penale
contro
C. P., nato il 22/08/1937 a Zanè ed ivi residente in via Ferrarin nr. 74, dom. eletto in Vicenza presso avv. Dario Meneguzzo, Corso Palladio nr. 47;
- LIBERO PRESENTE
IMPUTATO:
per il reato p. e p. dall'art. 44, primo comma, lett. b), D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 perché, in assenza di permesso a costruire, in Zanè, in via Cellini, sui mapp.li n. 279, Fg. 7, s.u., su di un annesso rustico già esistente in loco, e precisamente su una porzione di m. 13,80 per 7,00 costruiva un pavimento allo stato grezzo, tramezze e murature intonacate dal pavimento al soffitto, con tamponatura anche di un lato esterno con la realizzazione di una porta e di due finestre, e con la realizzazione di cinque vani.
In Zanè, nel febbraio 2004.
2) per il reato p. e p. dall'art. 483 c.p. perché, nel presentare al Comune di Zanè domanda di rilascio del condono edilizio, produceva una dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà nella quale affermava, contrariamente al vero, che l'opera descritta nel capo d'imputazione sub 1) era stata ultimata prima del 31.3.2003.
In Zanè, il 10.12.2004
Con l'intervento del Pubblico Ministero Andrea Morabito — V.P.O. per delega del Procuratore della Repubblica di Vicenza e degli Avv.ti Dario Meneguzzo e Paolo Capoti quest'ultimo in sostituzione dell'Avv. Di Giorgio Antonio di Vicenza come da delega in atti, difensori di fiducia dell'imputato, muniti di procura speciale.
CONCLUSIONI DELLE PARTI
Il Pubblico Ministero chiede, per il capo a) dichiararsi l'estinzione ai sensi art. 45 D.P.R. 06/06/01 n. 380;
per il capo B) , ritenuta provata la penale responsabilità dell'imputato chiede la condanna alla pena di: mesi 5 (cinque) di reclusione ridotta per le attenuanti generiche a mesi 3 (tre) e giorni 10 (dieci) di reclusione;
Il difensore dell'imputato Capoti chiede in principalità l'assoluzione perché il fatto non sussiste;
in subordine: capo a) per intervenuta estinzione del reato;
capo b) perché il fatto non è previsto come reato.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto di citazione a giudizio in data 12.1.2006 il Procuratore della repubblica presso il Tribunale Vicenza citava a giudizio C. P. in ordine al reato di cui all'imputazione.
All'udienza del 2.4.2007 l'imputato era presente; aperto il dibattimento e data lettura dell'imputazione, il tribunale ammetteva le prove richieste dalle parti.
Esaurita l'istruttoria e dichiarata l'utilizzabilità degli atti acquisiti al fascicolo per il dibattimento, P.M., e difensori dell'imputato prendevano le conclusioni riportate in epigrafe e il Tribunale si ritirava in camera di consiglio per la decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il procedimento concerne opere edilizie, descritte nel capo A, eseguite senza il rilascio di permesso di costruire, e in ordine alle quali l’imputato, in data 10.12.2004 aveva presentato al Comune di Zanè domanda di condono edilizio ex legge 24.11.2003, n. 326.
Il Vigile Urbano Munaretto ha riferito di essere andato sul posto il 20 dicembre 2004, e di aver constatato che l'intonaco delle murature interne non era ancora asciutto e che gli impianti non erano realizzati.
Il teste C. A., confinante, ha riferimento di aver notato, nel febbraio 2004 la realizzazione dei muri all'interno dell'immobile, concludendo poi i lavori nel dicembre dello stesso anno.
Il Tribunale osserva che dunque le testimonianze sono concordi nell'indicare l'anno 2004 come l'epoca di realizzazione dei muri interni.
Infatti l'incertezza del teste C. che colloca i tramezzi interni dopo il pavimento ( fine 2002) e prima degli intonaci ( 2004) - è superata dai testi C.A., i quali hanno indicato nel febbraio 2004 l'epoca in cui sarebbero stati realizzati i primi tramezzi, cui sarebbe seguita l'intonacatura degli stessi.
Infine, la testimonianza del Vigile Munaretto - che ricorda l'intonaco fresco - conferma i testi C.A., che collocano l'ultimazione dei lavori nelle prime settimane del dicembre 2004.
Quanto al capo A, risulta che nel corso del dibattimento il Comune di Zanè ha rilasciato sanatoria ex art. 36 dpr. 380/2001.
Va perciò dichiarato non doversi procedere in ordine al capo 1 per essere il reato estinto per rilascio di sanatoria ex art. 45 dpr 380/01. Il capo B riguarda la domanda di condono edilizio, e precisamente il fatto che in tale dichiarazione l'imputato aveva dichiarato che le opere, oggetto della richiesta di condono, sarebbero state
completate prima del 31 marzo 2003.
Il Tribunale osserva che le opere risultano così descritte: pareti intonacate al fino, pavimento in cls al fino e linoleum, predisposizione impianto elettrico, idrico e fognario, impianto di raccolta acque bianche ....".
Circa l'epoca di tali lavori, è sufficiente rilevare che il teste C. Luca, figlio dell'imputato, ha ricordato che il pavimento era stato realizzato a fine 2002", i tramezzi interni successivamente (senza saper precisare la data), gli intonaci nel 2004, mentre gli impianti non erano mai stati realizzati.
Gli impianti, poi, non erano realizzati nemmeno all'atto del sopralluogo della Polizia Municipale. Il Tribunale ritiene quindi provata la falsità di quanto dichiarato dall'imputato nella domanda di condono edilizio presentata il 10.12.2004.
Quanto alla qualificazione giuridica del fatto, il Tribunale osserva che l'art. 32 corna 35 legge 24.11.2003, n. 326 dispone che il privato alleghi alla domanda di condono dichiarazione ex art. 47 1co. Dpr 445/2000 dalla quale risulti descrizione delle opere e lo stato dei lavori.
Il Tribunale rileva che ai sensi del dpr 445/2000 la dichiarazione ex art. 47 1°comma "comprova" i fatti in essa dichiarati ( art. 47 3°co.) e deve considerarsi come fatta a pubblico ufficiale (art. 76 3°co.).
Sulla base di tali rilievi la giurisprudenza della Corte di cassazione ha ritenuto che la condotta del privato che dichiari il falso nella domanda di condono edilizio integra il reato di cui all'art. 483 c.p., ricorrendo entrambi i requisiti della fattispecie, e cioè la natura pubblica dell'atto e l'idoneità a dare prova della verità dei fatti dichiarati.
Va dunque affermata la penale responsabilità dell'imputato in ordine al reato contestato al capo 2.
Considerato gli indici di cui all'art. 133 c.p., il Tribunale stima equa - concesse le attenuanti generiche per l'incensuratezza, la pena di mesi due di reclusione ( pena base tre mesi di reclusione, diminuita per attenuanti generiche).
Ai sensi dell'art. 53 legge 689/81 la pena della reclusione va sostituita con la corrispondente pena di euro 2.280,00 di multa.
Alla pronuncia di condanna consegue il pagamento delle spese processuali.
Va dichiarata la falsità della domanda di condono edilizio presentata dall'imputato in data 10.12.2004 al Comune di Zanè.
P.Q.M.
Visto l'art. 531 c.p.p.,
dichiara non doversi procedere nei confronti di C. P. in ordine alla contravvenzione di cui al capo 1 per essere il reato estinto per rilascio di sanatoria ex art. 45 dpr 380/01.
Visti gli artt. 533-535 c.p.p.,
dichiara C. P. responsabile del reato a lui ascritto al capo 2 e, concesse le attenuanti generiche, lo condanna alla pena di mesi due di reclusione, sostituita con la pena di euro 2.280,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.
Dichiara la falsità della domanda di condono edilizio presentata dall'imputato in data 10.12.2004 al Comune di Zanè.
Schio, 19.11.2007.
Il Giudice Dott. Michele Bianchi
Depositata in cancelleria il 19.11.2007
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