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Penale.it - Carlo Blengino, Monica Alessia Senor, Brevi note in tema di mancato coordinamento tra la legge 19 febbraio 2004, n. 40, in materia di procreazione medicalmente assistita ed il codice di protezione dei dati personali

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Carlo Blengino, Monica Alessia Senor, Brevi note in tema di mancato coordinamento tra la legge 19 febbraio 2004, n. 40, in materia di procreazione medicalmente assistita ed il codice di protezione dei dati personali
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Contenuto originariamente pubblicato all'URL:
http://www.penale.it/commenti/blengino_senor_02.htm

Le recenti disposizioni in materia di procreazione medicalmente assistita, introdotte nel nostro ordinamento giuridico con l. 19 febbraio 2004, n.40 [1] , oltre ad alcuni vizi di illegittimità costituzionale immediatamente rilevati da attenta dottrina [2] , solleva non pochi dubbi di compatibilità con le norme in tema di protezione dei dati personali.

In particolare, debbono considerarsi palesemente in contrasto con il d. l.vo 196/03 [3] gli artt.11, comma 1, l.40/04, nella parte in cui prevede la creazione presso l'Istituto superiore di sanità, di un registro nazionale degli embrioni formati e dei nati a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita e l'art.17, comma 2, l.40/04, laddove prescrive l'obbligo a carico delle strutture e dei centri che applicano tecniche di procreazione medicalmente assistita di trasmettere entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge al Ministero della salute un elenco contenente l'indicazione numerica degli embrioni prodotti con le tecniche medesime nel periodo precedente la data di entrata di vigore della legge, nonché, nel rispetto delle vigenti disposizioni sulla tutela della riservatezza dei dati personali, l'indicazione nominativa di coloro che hanno fatto ricorso a tali tecniche a seguito delle quali sono stati formati gli embrioni.

Quest'ultima norma, contenuta nelle disposizioni finali e transitorie della l.40/04, ha destato l'immediata ed unanime preoccupazione delle strutture e dei centri che eseguono interventi di procreazione medicalmente assistita, delle Regioni, dell'Autorità Garante della protezione dei dati personali e di numerose coppie che si erano sottoposte a tali tecniche, preoccupazione che è sfociata in una presa di posizione ufficiale da parte del Ministero della Salute che ha superato l' impasse con una interpretazione “correttiva” della norma in questione.

In vero, nonostante la richiesta di comunicazione dei nominativi di coloro che avevano fatto ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita prima dell'entrata in vigore della L.40/04 si ponesse in evidente profondo contrasto con le disposizioni in materia di protezione dei dati personali di cui al D. L.vo 196/03, in un primo tempo il Ministero della Salute non forniva alcun utile chiarimento in proposito, limitandosi a sollecitare con una circolare alle strutture ed ai centri che applicano tecniche di procreazione medicalmente assistita l'adempimento di legge, parafrasando il testo di cui all'art.17, comma 2, l.40/04

La questione, tuttavia, era di non poco conto, atteso che il disposto di cui all'art.17 comporta un potenziale ma oggettivo rischio di compromissione della sfera della riservatezza e della tutela dei dati personali delle persone che si sono sottoposte negli anni passati a tecniche di procreazione assistita.

Se, infatti, può ritenersi ragionevole, o quanto meno coerente con la ratio della legge 40/04,  la volontà del legislatore di fare una sorta di censimento degli embrioni prodotti nel periodo precedente alla data di entrata in vigore della legge [4] , così come l'ulteriore richiesta di specificazione del numero di embrioni attualmente conservati allo stato di congelamento avanzata dal Ministero [5] , la richiesta di trasmissione dei nominativi dei soggetti che si sono nel passato sottoposti a tecniche di procreazione assistita per essere considerata legittima doveva necessariamente conformarsi alla disciplina del codice in  materia di protezione dei dati personali.

La rilevanza della problematica risulta ancor più pregnante se solo si pone mente al fatto che da un lato la finalità della raccolta sottesa all'obbligo di comunicazione nominativa sancito dall'art.17, l.40/04, non è affatto dichiarata, in violazione del disposto dell'art.11, comma 1, lett.b), d. l.vo 196/03, e dall'altro che i dati di cui si chiede la trasmissione sono tra i dati sensibili quelli a cui è stato riconosciuto dal nostro legislatore un livello di tutela più alto, come si può pacificamente dedurre dalla previsione dall'onere di notificazione al Garante previsto dall'art.37, comma 1, lett.b), d. l.vo 196/03 per i titolari che effettuano trattamento di dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, trattati a fini di procreazione assistita.

Né pare sostenibile una tesi volta a far rientrare, sic et sempliciter, la trasmissione al Ministero dei nominativi delle persone che hanno fatto ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita in data anteriore al 10 marzo 2004 in una delle ipotesi di comunicazione di dati sensibili senza consenso dell'interessato previsti dall'art.26, d. l.vo 196/03, né tanto meno nell'ipotesi di cui all'art.24, comma 1, lett.a), - adempimento di un obbligo di legge -, in quanto applicabile solo al trattamento di dati personali non sensibili.

Nella fattispecie in esame, l'inciso “ nel rispetto delle vigenti disposizioni sulla tutela della riservatezza dei dati personali ” contenuto nell'art.17, l.40/04, assumeva pertanto un rilievo dirimente. E dovendo attribuire un significato giuridicamente fondato a tale locuzione, questo non poteva che essere individuato nella manifestazione scritta, espressa e preventiva di consenso da parte dell'interessato ex art.26, comma 1, d. l.vo 196/03. La comunicazione dei nominativi al Ministero della Salute sarebbe dunque stata legittima solo se condizionata all'esistenza del consenso a detta comunicazione da parte dei soggetti che si erano in passato sottoposti a tali tecniche.

L'obbligo previsto dall'art.17, l.40/04, risultava pertanto di fatto inesigibile poiché nessuna struttura, sia pubblica che privata, che pratica tecniche di procreazione assistita poteva aver acquisito in epoca precedente al 10 marzo 2004 il consenso dei propri pazienti alla comunicazione dei loro dati al Ministero della Salute, per il semplice motivo che la normativa precedentemente in vigore non prevedeva tale comunicazione.

L'unica soluzione ipotizzabile sarebbe quindi stata l'acquisizione di un consenso a posteriori che le strutture avrebbero dovuto farsi carico di richiedere ai propri assistiti. Il tutto nel termine di 30 giorni previsto dall'art.17, L.40/04!

Ed ancora: quid juris se il singolo interessato avesse rifiutato, peraltro del tutto legittimamente, di prestare il consenso?

La struttura sarebbe forse stata passibile della prevista sanzione amministrativa (da 25.000 a 50.000 euro) per aver violato l'obbligo di trasmissione del nominativo al Ministero della Salute?

Ciò senza tener conto del fatto che la potenziale banca di dati che si sarebbe venuta a creare e di cui, pare doveroso ribadirlo, non è dato conoscere la finalità, sarebbe stata priva di valore effettivo in quanto sicuramente incompleta e frammentaria.

Come sopra detto, a seguito delle pressioni esercitate dagli enti e dai centri sopra indicati, nell'imminenza della scadenza del termine per l'adempimento, il Ministero della Salute ha preso ufficialmente posizione, optando per un'interpretazione dell'art.17, l.40/04 che garantisce l'anonimato dei soggetti che si sono sottoposti a tecniche di procreazione assistita prima dell'entrata in vigore della l.40/04.

La soluzione adottata consiste, infatti, nella rinuncia della comunicazione nominativa a favore dell'attribuzione di un codice identificativo numerico di nove cifre, di cui le prime cinque identificano il Centro di PMA che trasmette i dati e le ultime quattro individuano, con un mero numero consequenziale a partire da 0001, ogni coppia che ha prodotto embrioni.

Tale soluzione, sebbene meramente elusiva del dettato di cui all'art.17, l.40/04, quanto meno ha escluso in sede di applicazione qualsiasi ipotesi di violazione del codice privacy in quanto garantisce l'inintelligibilità e la conseguente impossibilità di identificazione degli interessati.

Tutt'oggi aperte rimangono, invece, le problematiche relative all'art.11, comma 1, l.40/04.

Già in fase di approvazione della legge, il Garante per la protezione dei dati personali sottolineò, in sede di audizione presso la XXII Commissione sanità del Senato in data 12 novembre 2002 [6] , come : “…La creazione di un autonomo registro, parallelo a quello dello stato civile e riguardante i soli nati grazie alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, può costituire la base per considerare tali persone come un gruppo destinato ad essere sottoposto ad una particolare “attenzione”, con possibili effetti di stigmatizzazione sociale, se non di vera e propria discriminazione” .

Purtroppo, nonostante le autorevoli osservazioni del prof. Rodotà e la relazione dei senatori di minoranza [7] , il testo dell'art.11, comma 1, del disegno di legge è stato pedissequamente approvato dal Senato e si trova oggi trasfuso nel sopra indicato art.11, comma 1, l.40/04, con inevitabili palesi problemi di coordinamento con le norme in materia di tutela dei dati personali sancite nel nuovo codice privacy .

Un primo problema di compatibilità va ravvisato tra l'istituzione del registro de quo e l'art.11, comma 1, lett.b), d. l.vo 196/03, nella parte in cui stabilisce che i dati personali debbano essere raccolti e registrati per scopi determinati, espliciti e legittimi, ed utilizzati in altre operazioni del trattamento in termini compatibili con tali scopi.

Ora, nel caso di specie, è evidente che la finalità della raccolta non può essere individuata tout court nella creazione stessa del registro degli embrioni formati e dei nati a mezzo di tecniche di procreazione medicalmente assistita, poiché ciò che rileva ai sensi del codice per la protezione dei dati personali non è la finalità immediata, ma la finalità c.d. mediata, ovverosia il fine ultimo (vero) della raccolta dei dati.

Avallato tale assunto, pare evidente che la previsione dell'istituzione del registro in questione non soddisfa certo quelle esigenze di trasparenza nella finalità della raccolta dei dati richieste dall'art.11, d. l.vo 196/04.

In altri termini: per quali scopi viene istituito il registro? Da chi e per quali fini potrebbe essere consultato? [8]

Ma vi è di più.

L'art.11, l 40/04, parallelamente all'istituzione di un registro degli embrioni formati e dei nati a mezzo di tecniche di procreazione medicalmente assistita, prevede, ai commi 3 e 5,  che l'Istituto superiore di sanità raccolga e diffonda, in collaborazione con gli osservatori epidemiologici regionali, le informazioni necessarie al fine di consentire la trasparenza e la pubblicità delle tecniche di procreazione medicalmente assistita adottate e dei risultati conseguiti e che, per contro, le strutture autorizzate all'applicazione di tecniche di procreazione medicalmente assistita siano tenute a fornire agli osservatori epidemiologici regionali ed all'Istituto superiore di sanità i dati necessari per la predisposizione di una relazione annuale per il Ministro della salute sull'attività delle strutture stesse, con particolare riferimento alla valutazione epidemiologica delle tecniche e degli interventi effettuati.

La stretta correlazione tra la previsione dell'istituzione del registro degli embrioni e dei nati a mezzo di tecniche di procreazione medicalmente assistita ed il dovere in capo all'Istituto superiore di sanità di predisporre e presentare annualmente al Ministro della Salute una relazione in ordine alla valutazione epidemiologica delle tecniche e degli interventi effettuati fa sorgere il legittimo sospetto che i dati contenuti nel registro possano essere raffrontati o interconnessi con quelli utilizzati ai fini delle valutazioni epidemiologiche, ovvero che una  “schedatura” dei soggetti nati con tecniche di fecondazione artificiale possa essere mascherata dall'impropria copertura di una valutazione epidemiologica.

Un ulteriore problematica è facilmente ipotizzabile in ordine al consenso dell'interessato al conferimento dei propri dati da inserire nel registro de quo.

Nella fattispecie in esame, non pare, infatti, sostenibile alcuna ipotesi di esclusione del consenso dell'interessato di cui all'art.76, comma 1, lett.b), d. l.vo 196/03, atteso che l'istituzione ed il contenuto del registro non riguardano dati ed operazioni indispensabili per perseguire una finalità di tutela della salute o dell'incolumità fisica della collettività.

Ne consegue che non possono che trovare applicazione le disposizioni di cui agli artt.18, comma 4, e 26, comma 1, che prescrivono la necessità del consenso dell'interessato al trattamento (che comprende ovviamente anche la comunicazione dei dati a terzi) dei dati sensibili effettuato rispettivamente da parte dei soggetti pubblici e privati [9] .

Le strutture pubbliche e private che effettuano tecniche di procreazione medicalmente assistita dovranno pertanto richiedere ai propri pazienti il consenso alla comunicazione dei loro dati all'Istituto Superiore di Sanità.

Il conferimento di tali dati deve, gioco forza, essere considerato per gli effetti di cui all'art.13, comma 1, lett.b), d. l.vo 196/03, di natura obbligatoria atteso che si tratta di un adempimento di legge prescritto a carico delle strutture per cui qualora il singolo interessato non dovesse esprimere il proprio consenso non potrebbe farsi luogo all'intervento di procreazione medicalmente assistita.

Una simile scelta si tramuta quindi, di fatto, in una non scelta in quanto la manifestazione della volontà dell'interessato è comunque coartata.

Si apre dunque un contrasto insanabile tra due diritti fondamentali, costituzionalmente protetti: il diritto alla riservatezza avverso il diritto alla salute e si pone a carico del cittadino l'onere di dover scegliere quale dei due compromettere poiché il nostro ordinamento giuridico, con l'entrata in vigore della l. 40/04, non gli riconosce il diritto di salvaguardarli entrambi.

Ed ancora. L'art.82, comma 4, d. l.vo 196/03, prevede che al raggiungimento della maggiore età debba essere fornita all'interessato una nuova informativa ai fini dell'acquisizione di una nuova manifestazione del consenso al trattamento “ quando questo è necessario ”. Pur essendo quest'ultima locuzione ancora priva di interpretazioni applicative concrete, pare indubbio che la fattispecie in esame potrebbe rientrarvi in considerazione dell'elevato rango dei diritti e delle libertà coinvolti. Ne consegue che il nato mediante un intervento procreazione assistita, regolarmente iscritto nel registro di cui all'art.11, l.40/04, al raggiungimento della maggiore età potrebbe decidere di non rinnovare il consenso espresso in sua vece dai genitori e chiedere la cancellazione del proprio nominativo dal registro.

Ed allora quale sarebbe l'effettiva valenza del registro di cui all'art.11, l.40/04 se nel corso degli anni potesse (legittimamente) subire tagli e cancellazioni?

Qualche preoccupazione desta infine la previsione di cui all'art.11, comma 3, l.40/04, che prevede la possibilità in capo all'Istituto superiore di sanità di raccogliere e diffondere , in collaborazione con gli osservatori epidemiologici regionali, le informazioni necessarie al fine di consentire la trasparenza e la pubblicità delle tecniche di procreazione medicalmente assistita adottate e dei risultati conseguiti.

Infatti, benché non vi sia alcun riferimento ad una indicazione nominativa di tali informazioni, è comunque alquanto allarmante la previsione, a fronte del divieto assoluto sancito dall'art.22, comma 8, d. l.vo 196/03, della possibilità riconosciuta in capo all'Istituto superiore di sanità di diffondere dei dati idonei a rivelare lo stato di salute.

Concludendo, pare opportuno ricordare che l'art.22, comma 3, d. l.vo 196/03, sancisce il principio di diritto secondo cui “ i soggetti pubblici possono trattare i dati sensibili e giudiziari indispensabili per svolgere attività istituzionali che non possono essere adempiute, caso per caso, mediante il trattamento di dati anonimi o di dati personali di natura diversa [10] .

E' dunque auspicabile che l'emanando decreto del Ministero della Salute che dovrà regolamentare l'istituzione e la tenuta del registro di cui all'art.11, comma 1, l.40/04, dopo aver oculatamente vagliato i potenziali contrasti con il codice in materia di protezione dei dati personali, si uniformi al fondamentale principio di cui sopra e ponga dei limiti i più rigorosi possibili alla comunicazione di dati sensibili relativi ai soggetti che si sottopongono a tecniche di procreazione medicalmente assistita, alla loro identificazione e, soprattutto, dei nati a seguito dell'applicazione di tali tecniche [11] .

- Carlo Blengino, Monica Alessia Senor - luglio 2004

(riproduzione riservata)


[1] Pubblicata in G.U. 24 febbraio 2004, n.45

[2] Cfr., tra i tanti, Tommaso Edoardo Frosoni, Così cala l'ombra dell'illegittimità , in Guida al diritto, dossier mensile, 2004, n.3; Michela Manetti, Profili di illegittimità costituzionale della legge 19 febbraio 2004, n.40 , in Atti convegno MD: La legge sulla procreazione medicalmente assistita: le ragioni della scienza e i diritti delle donne di fronte alle scelte del legislatore , Roma 5 aprile 2004.

[3] Pubblicato in G.U. 29 luglio 2003, n.174, Supplemento ordinario n.123/L.

[4] L'esigenza di avere un quadro completo del numero degli embrioni esistenti nel territorio dello Stato è evidentemente strettamente correlato con i divieti di sperimentazione, crioconservazione e soppressione degli embrioni stessi introdotti dagli artt.13 e 14, l.40/04.

[5] Richiesta di specificazione avanzata dal Ministero con circolare dell'11 marzo 2004.

[6] Cfr. Stefano Rodotà, Audizione del 12 novembre 2002 / Commissione Sanità del Senato, in Atti convegno MD: La legge sulla procreazione medicalmente assistita: le ragioni della scienza e i diritti delle donne di fronte alle scelte del legislatore , Roma 5 aprile 2004.

[7] Cfr. Relazione di minoranza alla legge 40/04  n.1514-A/BIS, in lavori parlamentari su www.senato.it .

[8] Per un'analisi della centralità del principio di scopo come criterio guida, unitamente a quello di proporzionalità, nella creazione e gestione della banche dati genetiche, cfr. Picotti, Trattamento dei dati genetici, violazioni della privacy e tutela dei diritti fondamentali nel processo penale , in Il Diritto dell'Informazione e dell'Informatica , 2003, 689.

[9] Ferma restando, ovviamente, la necessità di acquisire la previa autorizzazione del Garante

[10] Il Garante, con comunicato stampa 28 ottobre 2003 ha già avuto modo di pronunciarsi in merito alle banche dati sulla salute dei cittadini, affermando, senza preclusioni di sorta, che queste debbano contenere solo dati anonimi (cfr. comunicati stampa in www.garanteprivacy.it/garante/document?ID=375490 )

[11] A tal proposito si auspica che venga seguita l'impostazione assunta recentemente dal Ministero della Giustizia con decreto 24 febbraio 2004, n.91 (pubblicato in G.U. 9 aprile 2004, n.84), recante il regolamento di attuazione e organizzazione della banca dati dei minori dichiarati adottabili, istituita dall'articolo 40 della legge 28 marzo 2001, n.149.

 
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