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Illegittimità costituzionale dell'art. 33 della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare all'estero, in esecuzione del mandato d'arresto europeo, sia computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall'art. 303, commi 1, 2 e 3, del codice di procedura penale.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 33 della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), promosso con ordinanza del 27 novembre 2006 dal Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Bari nel procedimento penale a carico di C.C.H.E., iscritta al n. 380 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 2007.
Udito nella camera di consiglio del 2 aprile 2008 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto in fatto
Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Bari ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 33 della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare all'estero in esecuzione del mandato d'arresto europeo sia computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall'art. 303, commi 1, 2 e 3, del codice di procedura penale.
Il giudice a quo premette di essere chiamato a celebrare, nelle forme del giudizio abbreviato, il processo penale nei confronti di una persona nata in Cile, la quale – a seguito di ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale – era stata catturata in Spagna, in esecuzione di mandato d'arresto europeo, il 15 giugno 2005 e consegnata in Italia il 15 luglio 2005.
Il rimettente riferisce, altresì, che – con istanza pervenuta il 30 agosto 2006 – l'imputato aveva dedotto l'intervenuta decorrenza del termine massimo «di fase» della custodia cautelare previsto dall'art. 303, comma 1, lettera a), numero 3), cod. proc. pen. (termine pari ad un anno, in rapporto ai reati contestati); individuando il relativo dies a quo nella data di cattura dell'istante in Spagna.
Il giudice a quo rileva, tuttavia, come l'ipotesi in questionenon sia regolata dall'art. 722 del codice di rito. Quest'ultima norma disciplina gli effetti della custodia cautelare subita all'estero, in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato, stabilendo – nel testo risultante a seguito della sentenza di questa Corte n. 253 del 2004 – che detta custodia è computata non soltanto agli effetti della durata complessiva, stabilita dall'art. 303, comma 4, cod. proc. pen.; ma anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dai commi 1, 2 e 3 dello stesso articolo.
Il caso in esame dovrebbe ritenersi regolato, per contro, in via esclusiva dall'art. 33 della legge n. 69 del 2005, il quale stabilisce che «il periodo di custodia cautelare all'estero in esecuzione del mandato d'arresto europeo è computato ai sensi e per effetti degli articoli 303, comma 4, 304 e 657 del codice di procedura penale». Tale disposizione si configurerebbe, difatti, come norma speciale rispetto all'art. 722 cod. proc. pen., recando una disciplina completa del computo della custodia cautelare all'estero: una disciplina in parte sovrapponibile a quella della citata disposizione codicistica, nel testo anteriore alla sentenza n. 253 del 2004; e in parte più ampia di essa, laddove richiama anche l'art. 657 cod. proc. pen., in tema di computo della custodia cautelare in fase di esecuzione. Si tratterebbe, di conseguenza, di una norma non suscettibile di «integrazioni esogene» ad opera del medesimo art. 722 cod. proc. pen.
Né, d'altra parte, sarebbe sostenibile – ai fini di una eventuale interpretazione “correttiva” – che la previsione normativa censurata sia frutto di una mera «dimenticanza», da parte del legislatore, di quanto statuito da questa Corte, non molto tempo prima dell'entrata in vigore della legge n. 69 del 2005, tramite il ricordato intervento sull'art. 722 cod. proc. pen. La norma nazionale apparirebbe collegata, difatti, al disposto dell'art. 26, paragrafo 1, della decisione quadro 2005/584/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002 – alla cui attuazione la legge de qua è preordinata – nella parte in cui fa riferimento al «periodo complessivo di custodia che risulta dall'esecuzione di un mandato di arresto europeo». Tale formula, sul piano letterale, evocherebbe precipuamente l'istituto interno della durata massima «complessiva» della custodia cautelare, di cui all'art. 303, comma 4, cod. proc. pen. Di conseguenza, non potrebbe essere condivisa l'opinione secondo cui la stessa decisione quadro autorizzerebbe – con l'ampia previsione dianzi riprodotta – una lettura estensiva della corrispondente disciplina nazionale, tale da consentire il computo della custodia cautelare all'estero anche agli effetti dei termini di fase.
In quest'ottica, tuttavia, la norma impugnata verrebbe a porsi – secondo il rimettente – in insanabile contrasto con l'art. 3 Cost.
Per un verso, infatti, la disciplina dell'art. 722 cod. proc. pen. – quale risultante per effetto della sentenza di questa Corte n. 253 del 2004 – ben potrebbe fungere da tertium comparationis: e ciò al fine di sostenere che l'art. 33 della legge n. 69 del 2005 non sia conforme al parametro costituzionale evocato, nella parte in cui non prevede la possibilità di valorizzare la custodia all'estero anche ai fini del computo dei termini di fase, come ora sancisce, invece, l'art. 722 cod. proc. pen. rispetto all'estradizione dall'estero.
Per un altro verso poi, ed in ogni caso, le ragioni poste a fondamento della declaratoria di illegittimità costituzionale della norma del codice di rito – ragioni legate all'«equivalenza tra detenzione cautelare all'estero […] e custodia cautelare in Italia», che il rimettente dichiara di far proprie, riproducendo integralmente la motivazione della sentenza n. 253 del 2004 – varrebbero anche rispetto alla norma censurata: non potendosi ritenere che «l'origine comunitaria» della previsione sia sufficiente a giustificare un diverso trattamento.
La questione risulterebbe, da ultimo, senz'altro rilevante nel giudizio a quo, giacché – ove si dovesse tenere conto anche del periodo di custodia cautelare sofferto in Spagna – l'imputato, tuttora in vinculis, andrebbe liberato a fronte dell'avvenuta scadenza, alla data del 14 giugno 2006, del termine massimo di durata della custodia valevole in rapporto alla fase del procedimento anteriore a quella in corso (un anno).
Considerato in diritto
1. – Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Bari dubita della legittimità costituzionale dell'art. 33 della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare, subita all'estero in esecuzione del mandato d'arresto europeo, sia computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall'art. 303, commi 1, 2 e 3, del codice di procedura penale.
Ad avviso del rimettente, la norma impugnata violerebbe l'art. 3 Cost.: sia perché detterebbe una disciplina ingiustificatamente differenziata, in parte qua, rispetto a quella stabilita dall'art. 722 cod. proc. pen. – nel testo risultante a seguito della sentenza di questa Corte n. 253 del 2004 – con riguardo al computo della custodia cautelare subita all'estero, in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato; sia, e comunque, per le medesime ragioni poste a base della declaratoria di illegittimità costituzionale della citata disposizione codicistica.
2. – La questione è fondata.
2.1. – Con la sentenza n. 253 del 2004 questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l'art. 3 Cost., l'art. 722 cod. proc. pen. – come sostituito dall'art. 10 del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356 – nella parte in cui stabiliva che la custodia cautelare subita all'estero, in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato, fosse computata ai soli effetti della durata complessiva stabilita dall'art. 303, comma 4, del medesimo codice (fermo restando quanto previsto dall'art. 304, comma 4, poi divenuto comma 6); e non anche agli effetti della durata dei termini di fase, previsti dall'art. 303, commi 1, 2 e 3.
Questa Corte ha rilevato come il citato art. 722 cod. proc. pen. determinasse, per tal verso, una evidente disparità di trattamento dell'imputato detenuto all'estero in attesa di estradizione, rispetto all'imputato in custodia cautelare in Italia. A giustificare tale disparità di trattamento non potevano considerarsi sufficienti né la considerazione – addotta nella relazione al decreto-legge n. 306 del 1992 – «che le fasi precedenti alla procedura di estradizione sfuggono alla disponibilità dello Stato italiano»; né la considerazione – prospettata dalla giurisprudenza di legittimità, a sostegno della tesi della ragionevolezza della discriminazione – che, nel caso in parola, la durata della detenzione non risulta ricollegabile all'inerzia dell'autorità giudiziaria nazionale, ma deriva da una situazione volontariamente creata dalla persona sottoposta alle indagini, rifugiatasi o comunque trasferitasi all'estero.
2.2. – La norma oggi censurata − l'art. 33 della legge n. 69 del 2005 (emanata per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri) – prevede che il periodo di custodia cautelare sofferto all'estero, in esecuzione del mandato d'arresto europeo, sia computato ai soli effetti degli artt. 303, comma 4, 304 e 657 cod. proc. pen. Si esclude così, al pari dell'art. 722 cod. proc. pen., nel testo scrutinato dalla Corte − con univocità testuale che non autorizza soluzioni interpretative diverse − la rilevanza di detto periodo di custodia agli effetti della durata massima dei cosiddetti termini di fase.
La ratio decidendi della citata sentenza n. 253 del 2004 vale a fortiori nell'ipotesi in esame.
Se l'equivalenza tra custodia all'estero e custodia cautelare in Italia è stata affermata con riferimento all'estradizione, essa, a maggior ragione, deve operare in relazione ad uno strumento − quale il mandato d'arresto europeo − che poggia sul principio dell'immediato e reciproco riconoscimento del provvedimento giurisdizionale. Tale istituto, infatti – a differenza dell'estradizione – non postula alcun rapporto intergovernativo, ma si fonda su rapporti diretti tra le varie autorità giurisdizionali dei Paesi membri, con l'introduzione di un nuovo sistema semplificato di consegna delle persone condannate o sospettate. Ciò rende ancor meno tollerabile, sul piano costituzionale, uno squilibrio delle garanzie in tema di durata della carcerazione preventiva correlato al luogo – interno o esterno, rispetto ai confini nazionali – nel quale la carcerazione stessa è patita. Posto, infatti, che il titolo dell'arresto e della conseguente custodia, nel caso di specie, è unitario; e che il procedimento di consegna non si articola in funzione di un rapporto tra Stati, ma tra autorità giudiziarie: ne deriva che anche la durata della custodia cautelare deve sottostare ad una disciplina del pari unitaria; così da attrarre i “tempi della consegna” all'interno dei “tempi del processo”.
In sostanza, la condizione del destinatario del provvedimento restrittivo, a seguito di mandato d'arresto europeo, non può risultare – quanto a garanzie in ordine alla durata massima della privazione della libertà personale – deteriore né rispetto a quella dell'indagato destinatario di una misura cautelare in Italia, né, tanto meno, rispetto a quella dell'estradando: non essendo dato rinvenire alcuna ragione giustificativa di un diverso e meno favorevole trattamento del soggetto in questione.
L'art. 33 della legge n. 69 del 2005 va dichiarato, pertanto, costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare all'estero, in esecuzione del mandato d'arresto europeo, sia computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall'art. 303, commi 1, 2 e 3, cod. proc. pen.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 33 della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare all'estero, in esecuzione del mandato d'arresto europeo, sia computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall'art. 303, commi 1, 2 e 3, del codice di procedura penale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 7 maggio 2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 16 maggio 2008.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
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