Versione per la stampa
1 Natura della responsabilità
Il decreto legislativo 231 del 2001, a seguito della legge delega 300 del 2000, ha sviluppato un complesso normativo che nella titolazione afferma il carattere amministrativo della “nuova responsabilità”.
Tuttavia nel corso della lettura del testo si riscontra la mancanza degli elementi tipici della responsabilità amministrativa mentre si incontrano quelli tipici della responsabilità penale ( [1]). Infatti la responsabilità dell'ente viene accertata durante un processo penale ( [2]); la sanzione viene applicata con un provvedimento giurisdizionale emesso al termine di un processo penale; le sanzioni hanno natura preventiva; i principi generali in materia penale, come il principio di legalità ( [3]), l'efficacia delle leggi nel tempo e nello spazio ( [4]), trovano espressa applicazione; la responsabilità dell'ente presenta caratteri di autonomia ( [5]), dato che persiste anche qualora non sia identificato l'autore materiale del reato, o questi non sia imputabile o quando il reato si estingua per motivi diversi dall'amnistia ( [6]).
L'ente non è, quindi, l'autore diretto dell'illecito ( [7]), ma il presupposto oggettivo della sua imputazione si trova nel fatto che il reato è commesso da parte di un soggetto legato funzionalmente alla società ( [8]) ( [9]). Il legislatore ha, quindi, delineato una responsabilità da “organizzazione”, che sorge in presenza di un nesso oggettivo di imputazione del fatto criminoso alla struttura ( [10]).
Per concludere, nella stessa Relazione accompagnatoria al decreto legislativo 231 il nuovo sistema punitivo degli enti viene definito come: “tertium genus tra le responsabilità penale ed amministrativa. ( [11]).”
2 La natura parapenale della responsabilità dell'ente
Le difficoltà di attribuire la diretta e inequivocabile configurazione “penale” alla responsabilità degli enti e' riassumibile nel brocardo: “Societas delinquere non potest”.
In questa frase è sintetizzata l'argomentazione giuridica per cui l'“ENTE” è un artificio giuridico-economico, necessario per poter attribuire in maniera autonoma e separata gli interessi delle persone fisiche che l'hanno costituito per lo svolgimento di un'attività, che altrimenti non avrebbero potuto realizzare. A seguito di questo principio l'articolo 27 della Costituzione, che dichiara: “La responsabilità penale è personale”, ha costituito un vero e proprio sbarramento, tant'è vero che l'intero diritto penale è costruito intorno alla persona fisica ( [12]).
Dovendo essere il fatto che produce il reato attribuibile al soggetto agente, vi è una espressa preclusione della responsabilità personale per un fatto commesso da altri ( [13]) . Operando l'ente attraverso l'attività di soggetti diversi da sé, ed avendo questi ultimi natura di persone fisiche, viene meno il necessario rapporto responsabilità/fatto proprio. Questo non solamente da un punto di vista oggettivo, ma anche soggettivo, essendo richiesto un atteggiamento doloso o colposo che l'ente non è in grado di produrre ( [14]).
Il terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione, che sancisce il principio della necessaria umanità e finalità rieducativa della sanzione penale, “nulla poena sine culpa”, conferma la ratio del divieto. Infatti, essendo l'ente un mero artificio economico-giuridico non può essere destinatario di nessuna afflizione fisica, ne tanto meno oggetto di alcuna azione rieducativa. Anche perché, per propria natura, l'ente non è stabile, ma può, nel corso del tempo, mutare caratteri e natura a seguito di una trasformazione strutturale, di un cambiamento del management, di un mutamento della compagine societaria e/o di riferimento.
Il legislatore ha optato, conformandosi al dettato costituzionale, per un regime costituzionalmente libero, come quello della responsabilità amministrativa dell'ente in dipendenza di talune fattispecie criminose che, in quanto libero non e' tenuto al vincolo dell'articolo 27 della Costituzione ( [15]).
Il dlg 231 risulta così articolato: qualora venga commesso un “reato tipico” da un soggetto, legato in maniera funzionale ad ente giuridico, e quest'ultimo ne abbia tratto un vantaggio o un interesse, oltre alla responsabilità penale del reo si configura una responsabilità personale del soggetto giuridico per non aver prevenuto ed impedito la commissione di quel reato. Si configurano così due distinte responsabilità da cui discendono due sanzioni una per la persona fisica e una per l'ente ritenuto responsabile.
Se l'imputazione dell'ente, l'accertamento della responsabilità e la sua eventuale condanna sono disciplinati da istituti penalistici, è nella fase preparatoria del reato che il Legislatore ha dovuto elaborare i momenti di raccordo nelle componenti oggettive e soggettive per poter configurare una responsabilità personale, dello stesso. Questo raccordo e' stato attuato attribuendo all'ente un obbligo generale di prevenzione dei reati economici e quindi un dovere di auto-organizzazione, idoneo a impedire o limitare l'evento criminoso. Cosicché qualora il “reato presupposto” sia commesso, e ricorrano i presupposti oggetti e soggettivi, l'ente è chiamato a rispondere del proprio comportamento omissivo e negligente nella gestione della propria struttura organizzativa. Risulta essere, in altri termini, il garante collettivo del rispetto della legalità, avendo, con il suo comportamento, agevolato la commissione del reato, se non addirittura essendo stato compartecipe, e per ciò assume una responsabilità amministrativa propria, che riveste patrimonialmente un carattere di esclusività, potendo l'ente assolvere, solamente, alla sanzione pecuniaria erogata. In base a questa costruzione l'ente non è chiamato a rispondere direttamente del reato commesso da un terzo, ma di riflesso per “colpa in organizzazione”. Ovvero quale atteggiamento omissivo e superficiale, non corretto, e per questo sanzionabile, per il ruolo di garante dell'operato di quanti in esso e per esso collaborano.
L'utilizzo dell'autoregolamentazione e della standardizzazione ( [16]) dei comportamenti in chiave penal-preventiva si è incrementato in coincidenza della crescente esigenza di Corporate Governance, che ha inizialmente dato luogo all'integrazione normativa dell'articolo 25 ter D.lgs 231, portante la riforma del Diritto penale societario ex D.lgs n. 61 del 2002, e successivamente la Riforma societaria del 2003, che ha consolidato il trend normativo nel segno della definizione di un assetto strutturale ed organizzativo delle società, capace di prevenire e contenere manifestazioni patologiche dell'esercizio dell'attività economica.
(Fine parte 1/3 - continua)
(riproduzione riservata)
[1] Corporate governance e responsabilità delle persone giuridiche, S. Bartolomucci, ed. IPOSA. “Il D.Lgs 8 giugno 2001...sin dalla titolazione ribadisce il carattere amministrativo della nuova responsabilità. Ciò nondimeno, i caratteri peculiari della stessa mostrano incontrovertibilmente gli indizi di una carenza di natura amministrativa ed, al contrario, la ricorrenza di tratti tipicamente penalistici.”
[2] Corporate governance e responsabilità delle persone giuridiche, op. cit., pag. 23. “accertata dal giudice penale nel corso del di un “simultaneus processus”, nel quale sono imputati, a diverso titolo, sia l'ente che l'autore del reato, scandito da regole e procedure tipicamente penali...”
[3] Art.2 dlgs 231/01: “L'ente non puo' essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilità amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto.”
[4] Art.3 dlgs 231/01: “1. L'ente non puo' essere ritenuto responsabile per un fatto che secondo una legge posteriore non costituisce più reato o in relazione al quale non e' più prevista la responsabilità amministrativa dell'ente, e, se vi e' stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti giuridici.
2. Se la legge del tempo in cui e' stato commesso l'illecito e le successive sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli, salvo che sia intervenuta pronuncia irrevocabile.
3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 non si applicano se si tratta di leggi eccezionali o temporanee.”
[5] Art.8 D.lgs 231/01: “1.La responsabilità' dell'ente sussiste anche quando:
a) l'autore del reato non è stato identificato o non è imputabile;
b) il reato si estingue per una causa diversa dall'amnistia.
2. Salvo che la legge disponga diversamente, non si procede nei confronti dell'ente quando è concessa amnistia per un reato in relazione al quale è prevista la sua responsabilità e l'imputato ha rinunciato alla sua applicazione.
3. L'ente può rinunciare all'amnistia.”
[6] Si veda a questo proposito “La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni prive di personalità giuridica (D.lgs.231/2001)”, Centro di ricerca per il diritto d'impresa (CERADI) A. Bernardo.
[7] La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni prive di personalità giuridica. (D.lgs.231/2001), op. cit., pag. 3: “Dunque l'ente non risponde del reato commesso dalle persone fisiche, ma per un autonomo illecito amministrativo riconducibile ad una carenza organizzativa tale da rendere possibile la consumazione del reato.”
[8] Art.8 dlgs 231/01:“1. L'ente e' responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:
a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unita' organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).
2. L'ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi.
[9] Responsabilità amministrativa degli enti e modelli organizzazione aziendale, A. Iannini, G. M. Arnone, pag 24: “Responsabilità amministrativa degli enti e modelli organizzazione aziendale, op.cit. Pag 24: “Le persone giuridiche fanno ingresso nel processo penale, ma la loro resta una responsabilità per fatto altrui, in base al quale esse rispondono degli illeciti dei propri rappresentanti o dipendenti a vario titolo, ma non commettono reati in proprio. Sotto il profilo definitorio, una responsabilità dunque parapenale o, come si esprime la relazione al decreto legislativo n.231, un tertiun genus di responsabilità.”
[10] La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni prive di personalità giuridica. (D.lgs231/2001), op. cit., pag. 4: “Questi elementi sembrerebbero introdurre con chiarezza un tipo di responsabilità tipicamente penale per l'impresa, che si trova a rispondere direttamente della commissione del reato. Anche se la maggior parte della dottrina ritiene che la responsabilità in questione configuri un tertiun genus, non riconducibile né alla responsabilità penale, né a quella amministrativa.”
[11] Relazione accompagnatoria al decreto legislativo 231/2001: “Tale responsabilità, poiché conseguente da reato e legata (per espressa volontà della legge delega) alle garanzie del processo penale, diverge in non pochi punti dal paradigma dell'illecito amministrativo ormai classicamente desunto dalla l.689 del 1981. con la conseguenza di dar luogo alla nascita di un tertium genus che coniuga i tratti essenziali del sistema penale e di quello amministrativo nel tentativo di contemperare le ragioni dell'efficacia preventiva con quelle, ancor più ineludibili, della massima garanzia. ”
[12] F.Mantovani, “Diritto penale”
Nel tentativo di superare lo sbarramento dell'articolo 27 della Costituzione alcuni studiosi hanno rivisto la teoria finzionistica, riconducibile a Von Sivigny ([12]), aggiornandola alla moderna attività economica che è basata sull'attività svolta in forma collettiva e non più singolarmente ([12]).
La teoria organicistica ritiene che l'ente sia comunque portatore di interessi e sia in grado di esprimere la propria volontà e di realizzare atti giuridicamente rilevanti. Tale teoria identifica l'ente nei suoi rappresentanti di vertice, così che il comportamento di questi, se oggettivamente e soggettivamente idoneo a configurare un reato, può produrre la responsabilità penale della stessa persona giuridica da questi impersonata.
Un'ulteriore elaborazione dottrinale ritiene che esista una vera e propria volontà sociale, anche non coincidente con la volontà dei soci, che si manifesta nell'unità dei fini e si concretizza negli atti sociali ([12]). Contro questa teoria “enticizzante” della persona giuridica, si eccepisce che se questa è in grado di organizzare i mezzi leciti per perseguire i propri fini, deve essere in egual misura in grado di produrre anche quelli penalmente sanzionabili.
[13] F.Mantovani,, op. cit..
[14] F.Mantovani, op.cit.: “Il dolo è la forma fondamentale, generale ed originaria di colpevolezza.....Per il nostro codice il dolo generico è rappresentazione e volontà del fatto materiale tipico, cioè di tutti gli elementi oggettivi della fattispecie el reato (semplice).
Per l'articolo 43/1 il delitto <<è colposo o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.>>”
[15] Responsabilità amministrativa degli enti e modelli organizzazione aziendale, op. cit-, pag. 24: “ Gli enti non hanno capacità penale, ma rispondono in via amministrativa di fatti di reato commessi da persone fisiche. Il legislatore era probabilmente consapevole delle difficoltà di inquadramento che una simile qualificazione avrebbe creato, ma ha preferito non impegnarsi un esplicito superamento del principio societas delinquere non potest. La responsabilità rimane amministrativa, il reato ne costituisce il mero presupposto e non il fondamento.”
[16] Corporate governance e responsabilità delle persone giuridiche, op. cit., pag. 25: “Torna evidente traccia dell'esperienza anglosassone dei Compliance programs, strumenti di auto-regolamentazione e di standardizzazione dei comportamenti in chiave penal-preventiva, come anche il precedente legislativo costituito in Italia dalla D.Lgs 19 settembre 1981 n. 626 sulla sicurezza e salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro.”
|