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Misure di prevenzione patrimoniali antimafia applicabili soltanto nei dei casi indicati nell’art. 14 l. 55/1990
R.G.M.P. TRIB. TORINO 30/06 R.G.M.P. CORTE APPELLO 12/07
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE D'APPELLO DI TORINO — SEZ. I PENALE
Riunita in camera di consiglio nelle persone dei sigg/ri Magistrati
Dr. A.Oggé Presidente
Dr. F.Greco Consigliere rel.
Dr. G.P.Volpe Consigliere est.
ha pronunciato il seguente
DECRETO
nel procedimento a carico di L. R. nata … a …..
Con atto tempestivamente presentato dai difensori, L. R. e N.I. quale terzo intestatario di bene confiscato ricorrevano in appello avverso il decreto in data 31.5.2007 del Tribunaledi Torino che applicava nei confronti della predetta L. la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. per la durata di anni tre imponendo prescrizioni e cauzione, e disponendo la confisca di alcuni beni, già sottoposti a sequestro, e precisamente dei seguenti beni :
- conto corrente n. … intestato a L.R. acceso presso San Paolo IMI di Torino, filiale.., Via…con giacenza di euro 73.409,45;
- conto deposito amministrato n…. acceso presso la Banca di cui sopra ed intestato alla L.R. con valori mobiliari depositati pari ad euro 130.000,00;
- box auto sito all'interno dello stabile in Torino, via…..intestato a N.I. e censito a Catasto Fabbricati come segue: Foglio xxxx, parcella xxx, sub xx, nat. C.6 di metri quadri n. 15.
L'odierna udienza si svolgeva in presenza del P.G., della L. e della difesa.
Su istanza della difesa e senza opposizione del P.G. venivano acquisite 14 fatture della ditta di trasporti N. (con sede in …..) documentazione di indagine difensiva allegata all'atte di appello (dichiarazione del sig. G.A.).
Svolta la relazione della causa, le parti così concludevano: il PG chiedeva il rigetto dell'impugnazione; i difensori insistevano nell'accoglimento del ricorso.
Valutate le conclusioni delle parti come da verbale e sciogliendo la riserva di cui all'udienza,
la Corte osserva quanto segue.
Con le doglianze dedotte con l'atto di appello in esame sono devolute le questioni concernenti, secondo l'intitolazione dei motivi di appello:
1) la valutazione della personalità della L. in ordine alla riconducibilità ai soggetto indicati ai n/i 1 e 2 della L. 1423/1956;
2) la eccessiva durata della misura della sorveglianza speciale di p.s. disposta;
3) la erronea valutazione, in diritto ed in fatto, sull'esistenza dei presupposti per disporre la confisca dei beni oggetto di sequestro cautelativo.
Per ragioni di ordine logico deve affrontarsi per prima la questione relativa alla sussistenza dei presupposti in diritto per disporre la confisca dei beni oggetto di sequestro, che la difesa appellante tratta alle pagg. 10 s. dell'impugnazione.
La questione è pregiudiziale in ordine alla misura di prevenzione patrimoniale poiché l’accoglimento della prospettazione in diritto proposta dalla difesa renderebbe illegittima la confisca a prescindere dalla valutazione in fatto circa la riferibilità dei beni alle attività delittuose in ordine alla quale la L. é indiziata, e cìoé la violazione dell'art.73 TU Stup..
Osservato che la possibilità dì applicare la normativa antimafia di cui alla L. 575/1965 ai soggetto di cui ai n/i 1 e 2 dell'art. 1 della L. 1423/1956 deriva dal disposto di cui all'art. 19 L. 152/1975. la difesa rileva: “il punto é che l'art.della L. 55/1990 dunque di un provvedimento legislativo successivo a quello del 1975, sembra limitare tale possibilità alle sole ipotesi in cui l'attività delittuosa da cui si ritiene derivino i proventi illeciti sia una di quella specificamente indicate nel medesimo articolo, tra le quali non é pacificamente compresa quella di cui all’art. 73 DPR 309/1990”.
Ciò premesso sostiene la difesa che la interpretazione accolta dal Tribunale "finisce per alterare il significato letterale della disposizione in esame", e trascura dati ricostruttivi di segno diverso ricavabili da sentenze prodotte dalla difesa ed "inopinatamente ritenute non rilevanti".
Ad avviso di questa Corte la doglianza in esame é giuridicamente fondata e pertanto merita accoglimento.
Devesi dare brevemente conto del quadro normativo, formatosi progressivamente, e nel quale i vari tasselli devono essere conciliati per giungere ad una interpretazione conforme ai dettami tracciati dagli artt. 12- 14 preleggi e 25 Cost.
L'art.19 L. n. 152/1975 - modificato dall'art., 13 L. n.327/1988 - stabilisce che le disposizione di cui alla legge n. 675/1965 si applicano anche alle persone indicate nell'art. 1 numeri 1 e 2 della legge n. 1423/1956.
Sul punto sorse una prima questione interpretativa sul punto se tale rinvio fosse o meno riferibile anche alle ulteriori previsioni introdotte successivamente al 1975 nella legge del 1965 e se dunque il predetto rinvio rendesse applicabili alle persone di cui all'art. 1 L. 1423/1956 le misure patrimoniali introdotte dalla L. n. 646/1982.
Secondo una parte autorevole della dottrina, le estensioni operate dalla legge 152/1975 non rendevano applicabili le misure patrimoniali introdotte della L. 646/1982 alle persone indicate dall'art.1 L. 1423/1956 poiché il rinvio disposto dall' art. 19 L. 152/1975 (ed altresì dall' art. 18 stessa L.) costituiva una sorta di "espediente pratico" per evitare la trascrizione dell'intero testo richiamato, e le ragioni di politica criminale le quali avevano suggerito l'introduzione delle misure patrimoniali non sembravano altrettanto fondate se esportate dal settore della criminalità mafiosa o del crimine organizzato in genere.
In giurisprudenza - pur segnalandosi voci discordi che limitavano la equiparazione alle misure di prevenzione personali[1]- é prevalsa la tesi più estensiva secondo cui il rinvio di cui all'art. 19 L. 152/1975 “non ha carattere materiale o recettizio, ma è di ordine formale, nel senso che, in difetto di un'espressa esclusione o limitazione, deve ritenersi esteso a tutte le norme successivamente interpolate nell'atto-fonte, in sostituzione, modificazione o integrazione di quelle originarie" con la conseguenza che le misure patrimoniali di prevenzione del sequestro e della confisca previste nei confronti delle persone indiziate di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso, si ritennero applicabili anche ai soggetti pericolosi ai sensi dell'art.1 n. 1, 2, 3 e 4 della l. n. 1423 del 1956[2].Ciò detto, occorre collocare nel sistema l'intervento costituito dall'art 14 L. n. 55/1990 - con successive modifiche apportate dall’art. 11 L. n. 172/ 1992 e dall'art. 9 L. n.108/1996 - che si trova collocato nel capo II della L. n. 55/1990, dedicato tra l'altro a definire – secondo il titolo – l'ambito diapplicazione de lle leggi 31.5.1965 n.575 e 13.9.1982 n. 646 . Per quanto qui rileva, l'art.14 cit. dispone che le misure di prevenzione di carattere patrimoniale si applicano con riferimento ai soggetto indiziati di appartenere alle associazioni di cui all'art. 1 L. 575/1965 o a quelle previste dall'art. 75 L.n. 685/1975 - attuale art. 74 DPR 309/1990 -
"ovvero ai soggetti indicati nei numeri 1) e 2) del primo comma dell'art. 1 della legge 27.12.1966 n. 1423, quando l'attività delittuosa da cui si ritiene derivino i proventi sia una di quelle previste dagli artt. 600,601,602,629, 630, 644, 648 bis o 648 ter del codice penale, ovvero di quella di contrabbando".
Secondo i primi commentatori, la norma aveva inteso limitare solo ad alcune categorie di soggetti ritenuti particolarmente pericolosi la applicabilità delle predette norme allo scopo di migliorarne la efficacia e la funzionalità, delimitando l'ambito soggettivo di applicazione della normativa in esame, e così concentrando tutta l'attività di indagine verso i casi più gravi concernenti i soggetti "a pericolosità altamente qualificata": in particolare sottolineava una dottrina autorevole che il legislatore, lungi da lasciare l’individuazione di tali soggetti alla discrezionalità del giudice, aveva tassativamente individuata, elencandole compiutamente, le attività delittuose così stabilendo "una sorta di presunzione iuris et de iure di pericolosità qualificata". Ed invero l'elencazione di delitti rilevanti era stata era stata via via arricchita con i citati successivi interventi legislativi muovendo dalla originaria previsione dell'art.630 CP, con l'inserimento del riferimento agli artt. 629, 648 bis, 648 ter CP, fino al riferimento all'art. 644 CP ed al contrabbando.
Circa la novellazione che apportava il riferimento al1'art.644 CP mette conto di notare che era stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. dell'art. 14, comma 1, della legge 19 marzo 1990, n. 55, come modificato dall'art. 11 del D.L. 31 dicembre 1991, n. 419. Il giudice remittente aveva osservato che la nota citata prevedeva l'applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali di cui agli artt. 2bis e segg. della legge n. 575 del 1965 "anche nei confronti di coloro che, pur non essendo inquadrabili all'interno delle associazioni di stampo mafioso, si può ritenere tuttavia che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose, quando queste ultime concretino i reati specificamente indicati", ed aveva ritenuto che la norma fosse costituzionalmente illegittima in quanto non includeva tra tali illeciti i reati di usura previsti dall'art.. 644 c.p. e dall'art. 644-bis del codice penale, mentre "fra le attività delittuose che realizzano l'intento che il legislatore tendeva ad evitare" doveva ritenersi "sicuramente compreso il delitto di usura, per la sua funzione di riutilizzo altamente remunerativo di capitali provenienti da attività poste in essere dalle associazioni mafiose", così che la mancata inclusione dei reati di usura e usura impropria fra quelli elencati nell’art. 14 della legge n. 55, del 1990 rendeva ad avviso del giudice remittente la norma in discorso "censurabile per irragionevolezza e disparità di trattamento di situazioni fra loro parificabili".
Essendo "sopravvenuta la legge 7 marzo 1996, n. 108, la quale all'art. 9 della legge n. 108 del 1996" che aveva modificato l'elenco di reati cui si riferiva la disposizione impugnata, includendovi il reato di usura previsto e punito dall'art. 644 del codice penale, la Corte costituzionale aveva disposto la restituzione degli atti al giudice a quo per una nuova valutazione della rilevanza alla luce dello jus superveniens [3].
Si é fatto cenno a tale questione di costituzionalità ed alla soluzione disposta della Corte Costituzionale poiché la vicenda indica come che sia la questione che la risposta del Giudice delle leggi si siano mosse nell'ottica secondo la quale la elencazione di attività delittuose di cui
all'art.14 L. 75/1990 ha carattere tassativo e le eventuali lacune di tutela non possono essere colmate dall'interprete tua devono essere valutate ed eventualmente colmate dal legislatore.
Nello stesso senso depone il precedente giurisprudenziale di legittimità invocato dalla difesa, avendo il S.C. affermato che. "le misure di prevenzione di carattere patrimoniale, previste dall'art.14 comma primo legge 19 marzo 1990 n. 55 non possono applicarsi a chi è sospettato di finanziare le proprie attività con il danaro ricavato dal traffico di stupefacenti da lui sTolto" in quanto tali misure non sono dirette "a impedire in via generale il reimpiego del denaro di provenienza illecita da parte di persone socialmente pericolose in senso generico" e "tali misure non possono estendersi oltre i casi espressamente previsti" [4].
Venendo al caso concreto, il decreto impugnato ha respinto la prospettazione sopra riassunta della difesa appellante in forza dell'insegnamento desumibile da recente pronuncia della S.C. che affronta la questione qui controversa.
Secondo tale decisione la norma di cui all'art.14 L.50/1975 "in realtà non ha innovato" l'assetto risultante dalla normativa precedente quella precedente, ma "ha voluto soltanto rendere più agevole l'applicazione delle misure di prevenzione patrimoniale ogni qualvolta si ritenga che il proposto abbia tratto provento dalle specifiche attività delittuose elencate nell'articolo 1 della legge 55/90”.
Insegna la Corte di Cassazione che "nei casi previsti da tale legge non vi è, quindi, bisogno di dimostrare che il soggetto vive abitualmente di tali proventi, essendo sufficiente che il bene da sequestrare e poi confiscare costituisca il provento di uno di quei reati. Per l'applicazione di misure di prevenzione patrimoniale con riferimento ad illeciti diversi da quelli specificamente indicati nell'articolo 1 della legge 55/90 in caso di pericolosità generica vi è, invece, bisogno che il proposto viva, almeno in parte, dei proventi dei delitti commessi. Trattasi, quindi, di istituti diversi e di conseguenza la normativa precedente, che non è stata abrogata espressamente, non si può ritenere implicitamente abrogata" [5].
Già si sono delineate le premesse riguardanti la ratio legis nella elaborazione della dottrina e, soprattutto, la tassatività dei riferimenti normativi ai tipi di attività delittuosi che per presunzione legislativa sono parificate alla delinquenza di tipo mafioso agli specifici fini della disposizione di misure di prevenzione patrimoniali.
In tale contesto non sembra a questa Corte condivisibile la operazione interpretativa svolta nella decisione sopra citata.
Invero non sembra potersi concordare con l'affermazione secondo cui trattasi di istituti diversi, riguardanti da un canto i soggetti pericolosi ex art. 1 numeri 1 e 2 L. 1423/1956 e d'altro canto i proposti che abbiano "tratto provento dalle specifiche attività delittuose elencate nell'articolo 1 della legge 55/90".
A tale conclusione sembra ostare il testo del citato art.14 1° comma ultima parte L. n.55/1990.
Invero, come univocamente sembra doversi ricavare dalla formulazione letterale e dalla connessione sintattica delle proposizioni, la norma - dapprima traccia un riferimento I) ai soggetti indiziati di appartenenza alle associazioni di tipi mafioso ex art. 1 L. 575/1965, o a alle associazioni finalizzate al traffico di stupefacenti ex art.74 TU STup ( già art. 75L.685/1975, e II) ai soggetti indicati nelle fattispecie di pericolosità definite ai citati numeri 1 e 2 dell'art.1 L.1423/1956 - e quindi, nell'ambito dei casi che si ricavano da tale ultimo riferimento ai numeri 1 e 2 dell'art.1 L. 1423/ 1956, ritaglia un più ristretto novero di ipotesi che si realizza "quando l'attività delittuosa da cui si ritiene derivino i proventi sia una di quelle previste dagli articoli 629, 630, 644, 648-bis o 648-ter del codice penale, ovvero quella di contrabbando".
Il finale riferimento alle attività delittuose elencate sembra inequivocamente comportare una restrizione rispetto all'ambito di casi ricavabile dal riferimento alle fattispecie di pericolosità di cui ai citati numeri 1 e 2 dell'art. 1 L. 1423/1956 : fattispecie queste ultime che sono richiamate nella loro interezza, e dunque comprendendo nel richiamo gli elementi di fattispecie che consistono nella dedizione abituale a traffici delittuosi (n.1) e nell'abituale anche solo parziale sostentamento della vita con i proventi di delitti (n.2).
Del resto, lo stesso intitolato del capo in cui si trova l'art.14 cit. suffraga la tesi secondo cui il legislatore voleva chiarire e determinare l'ambito di applicazione delle leggi n. 575/1965 e n. 646/1982, e ciò non concorda con la tesi che qui non si condivide in base alla quale tale obiettivo di determinazione non avrebbe avuto ragion d'essere.
Ciò premesso in diritto, va osservato che come si desume dalla sintetica proposta formulata dal PM in data 16.1.2006 (in relazione alla segnalazione dei CC in data 26.9.2006) e come é confermato dal certificato penale della L., la pericolosità di cui é indiziata la prevenuta é riferibile alla violazione dell'art.73 DPR 309/1990.
A carico delle stessa risultano varie condanne definitive per violazione dell'art. 73 TU Stup. (talvolta circostanziato ai sensi del 5° comma) qualificato per fatti commessi dal 1990 all'ottobre 2004.
Nella occasione del 4.8.2005 che condusse all'arresto della L. a carico della stessa erano invero sequestrati g. 14 circa di cocaina di cui ella tentava di sbarazzarsi medesima oltre ai consueti accessori (bilancino e documentazione relativi a contatti personali).
Circa una ulteriore notizia di reato p. e p. art. 73 TU Stup. a carico di L., del figlio N.M. e di altri la difesa ha documentato la archiviazione. Vedasi sul punto la motivazione di non proficua sostenibilità dell'accusa della richiesta formulata dal PM in data 26.5.2006, accolta con decreto del GIP presso il Tribunale di Torino in data 20.7.2005, allegata alla memoria difensiva depositata 26.7.2006: trattasi del fatto di cui a p.21 della segnalazione dei CC .
Non risultano precedenti da cui desumere indizi concreti di pericolosità riferibile ai delitti di cui all'ultima parte, e neppure in relazione al delitto di cui all'art.74 TU Stup., in base alle risultanze agli atti ed in particolare quelle del certificato penale, richiamate quali "precedenti penali e pendenze penali" dalla segnalazione dei CC (§ 5 e all.6), ed anche tenuto conto della citata archiviazione e del fatto che anche in esito all'arresto dell'agosto 2005 risulta agli atti l'atto di avviso di conclusione indagini in data 2.2.2006 che formula a carico della imputazione di violazione monosoggettiva dell'art.73 TU Stup. aggravato dalla recidiva reiterata specifica.
Non ci sono dunque elementi di fatto sui quali possa fondatamente ritenersi che la pericolosità qualificata ex art. 1 L. 1423/1956 della
L. si estrinsechi in relazione ai delitti richiamati dall'art. 14 L. 15/1990.
Per quanto sin qui osservato reputa la corte che la lamentela svolta dal 3° motivo di appello vada accolta, con la conseguente revoca delle confische disposte nel gravato provvedimento.
Segue la revoca dei restanti sequestri disposti nella presente procedura e la restituzione di quanto ancora in sequestro ai rispettivi aventi diritto (art. 2 ter comma 5 I parte L. 575/ 1965).
Sono assorbite le altre argomentazioni svolte nel 1° motivo.
Non sono invece accoglibili le doglianze di cui al 1° ed al 2° motivo di appello.
Al 1° motivo di appello, la difesa argomenta sulla dedotta modestia dei risultati investigativi derivanti dall'arresto dell'agosto 2005, sulla ritenuta scarsità delle condanne, sulla provata archiviazione della notizia di reato di cui a f. 21 della segnalazione dei CC.
A quest'ultimo proposito già si é dato conto della archiviazione decretata dal GIP presso il Tribunale di Torino, anche per denotare come gli atti non forniscano elementi concreto nel senso di una prospettiva associativa di delitto.
Ciò premesso tuttavia, in ordine alla pericolosità qualificata ex art. 1 n/i 1 e 2 L. 1423/1956 della L., occorre rilevare che la dedizione al traffico delittuoso ed il fatto che almeno in parte la donna viva con i proventi del delitto p. e p. dall'art.73 TU STup. é sufficientemente dimostrata in considerazione delle risultanze del certificato penale e del più recente arresto del 4.8.2005 .
Emergono infatti cinque condanne per violazione dell'art.73 TU Stup. che si dipanano in modo costante nel tempo a far data dal 1990.
La pericolosità specifica ed attuale é altresì manifestata dal sequestro di stupefacente nonché di denaro contante e dall'arresto dell'agosto 2005, nel quale é emersa documentazione indiziaria di permanenti contatti personali anche con soggetti pregiudicati (relazione dei CC p. 5 ).
Emerge altresì l'inutile notifica dell'avviso orale in data 24.1.2005.
A prescindere dalle questioni relative alle misure patrimoniali - che sono assorbite da quanto poc'anzi motivato - va aggiunto che risulta dalla segnalazione dei CC ( pagg. 4 e 7 ) che la L. non ha svolto ed attualmente non svolge attività lavorativa documentata degna di nota, vantando del solo reddito della pensione di invalidità e tuttavia risulta disporre di cospicue somme di denaro.
Anche a tenere conto delle odierna produzioni documentali [6] non può ragionevolmente pensarsi che al sostentamento della donna non abbia contribuito la sua dedizione - indubitabile per quanto si é rilevato, e, connotata da attualità rispetto alla decisione di I grado - allo spaccio di sostanze stupefacenti.
Tanto basta a rigettare il 1° motivo di appello.
Quanto alla doglianza relativa alla eccessiva durata della disposta misura la difesa al 2° motivo di appello ha argomentato in base alla modestia della pericolosità della L. ed alle sue cattive condizioni di salute.
In proposito deve rilevarsi quanto segue.
La durata della dedizione allo specifico tipo di delitto che emerge dal certificato penale manifesta una allarmante intensità di dolo e così una spiccata capacità a delinquere che si é pienamente manifestata ancora in occasione dell'arresto dell'agosto 2005 quando la prevenuta cercò di disfarsi del quantitativo di droga illecitamente detenuto a fini di spaccio senza farsi intimorire dall’arrivo dei CC.
Le cattive condizioni di salute origina da patologia che nella memoria della L. vengono collocate a far data dal 1992.
Orbene, non può non rilevarsi come siffatta patologia non abbia impedito alla predetta di dedicarsi alle illecite attività per cui é stata varie volte condannata ed ancora di recente arrestata.
Ciò detto, reputa questa corte che, alla luce del rilevante grado della pericolosità quale poc’anzi delineata, la durata dianni tre quantificata dal Tribunale sia del tutto congrua e proporzionata alle esigenze di controllo sussistenti nel caso concreto nei confronti di L.R..
Il decreto impugnato deve dunque essere riformato con revoca della misura di prevenzione patrimoniale della confisca, e merita per il resto conferma.
P.Q.M.
V/i gli artt. 1 e 4 L.1423/1956, 2 ter comma 5° c 3ter comma 2° L. 75/65 e 14 L.55/1990,
in riforma del decreto in data 31.5.2007 del Tribunale di Torino,
revoca le confische disposte dal Tribunale nella presente procedura ed ordina la restituzione agli aventi diritto dei beni e delle attività ancora in sequestro e precisamente :
- conto corrente n…. intestato a L.R. acceso presso San Paolo IMI di Torino, filiale …, Via …. con giacenza di euro 73.409,45
- conto deposito amministrato n…. acceso presso la Banca San Paolo IMI di Torino, filiale .., via…. ed intestato alla L.R. con valori mobiliari depositati pari ad euro 130.000,00;
- box auto sito all'interno dello stabile in Torino, via…intestato a N.I. e censito a Catasto Fabbricati come segue: Foglio xxxx, parcella xxx, sub xx, nat. C6 di metri quadri n. 15.
Ordina al passaggio ingiudicato del presente decreto la cancellazione della trascrizione del sequestro del predetto bene immobile, con esonero da responsabilità del competente conservatore dei registri immobiliari.
Manda per le esecuzioni degli altri dissequestri e restituzioni ai CC di Chivasso con facoltà di subdelega.
Conferma nel resto il decreto impugnato.
Alla Cancelleria gli adempimenti di legge .
Torino. 31.10.2007
Il Consigliere Estensore
Il Presidente
[1] Cass. Pen. 10.6.1993, Muto , Cass. Pen.,1994,1645
[2] così Cassa. Pen., 21.1.1993, Calandro + altri, Cass. Pen.1994,728; sost.conf.già Cass. Pen., 11.12.1989, Marcellino, Giust. Pen., III, 495 e più di recente Cass. Pen. 28.10.1999, n.5063, Gangi
[3] Corte Cost. (Ord) 3.4.1997, n.81.
[4] Cass. Pen. n. 3390 del 14.7.1994, CED 201067, Maisto.
[5] Cass. Pen. n. 12662 del 19.11.2003, CED, Zippo e altro, in motivazione
[6] Le fatture della ditta di trasporto riferiscono infatti alla attività dell’ex marito della L. il quale però risulta essersi rifatto una vita e che dunque con i proventi delle una attività doveva anche mantenere se stesso e al sua nuova famiglia; né va trascurato che le fatture nulla dicono sugli utili se non si considerano le spese di gestione.
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