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Penale.it - Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 20 novembre 2007 (dep. 14 gennaio 2008), n. 2781

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Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 20 novembre 2007 (dep. 14 gennaio 2008), n. 2781
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Il reato di cui all'art. 600-ter, comma 1, c.p. (produzione di materiale pedopornografico) e' di pericolo concreto. Ne consegue che occore provare, appunto, il pericolo di destinazione a terzi. Lo stesso reato esclude la punibilita' per quello di cui all'art. 600-quater c.p. in caso di detenzione del materiale illecito preventivamene prodotto dal soggetto (post factum non punibile).

Motivi della decisione.

In parziale riforma della decisione 14 gennaio 2003 del Giudice per le indagini preliminari di Verbania, la Corte di appello di Torino, con sentenza 14 marzo 2006, ha ritenuto M.M. responsabile dei reati previsti dagli artt. 81 cpv, 609 quater, 600 ter, 600 quater cp e – uniti sotto il vincolo della continuazione, concesse le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti ed applicata la riduzione per il rito abbreviato – lo ha condannato alla pena di anni quattro e mesi otto di reclusione oltre al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili.
La Corte territoriale si è posta il problema che l'appello era stato inoltrato sia dallo imputato sia dal Pubblico Ministero prima della vigenza della L.46/2006 per cui, ai sensi della norma transitoria dell'art. 10, la impugnazione dell'organo della accusa avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile con conseguente possibilità di proporre ricorso per Cassazione; il ricorso del Pubblico Ministero, stante il concomitante appello dello imputato, a sensi dell'art. 580 cpp, avrebbe dovuto essere convertito in appello per cui i Giudici hanno ritenuto poter superare la disposizione della norma transitoria e considerare il proposto appello equivalente al futuro ricorso in Cassazione.
Nel merito, la Corte ha rilevato come l'imputato, personaggio noto per la organizzazione di sfilate e manifestazioni mondane, si fosse messo in contato con numerose minorenni desiderose di sfondare nel settore della moda e dello spettacolo allo scopo di fare provini; le ragazze erano fotografate anche in atteggiamenti di chiara valenza sessuale e provocanti. Da tale emergenza processuale i Giudici hanno ritenuto provato il reato di cui all'art. 609 quater cp.
In relazione al delitto di pornografia minorile, la Corte territoriale non ha ritenuto che fosse elemento costitutivo della fattispecie la possibilità concreta di diffusione del materiale prodotto in ragione del bene tutelato che si incentra nell'equilibrata crescita del minore; comunque, i Giudici hanno evidenziato elementi dai quali hanno dedotto un uso non riservato delle immagini.
Per quanto riguarda il reato di cui all'art. 600 quater cp, la Corte ha osservato che l'imputato (il quale aveva realizzato e conservato le foto dal 1992 in poi) una volta introdotto il divieto di detenzione del materiale pornografico con la L.296/1998 aveva l'obbligo di disfarsi degli oggetti divenuti contra legem; pertanto, doveva rispondere della fattispecie di reato in esame.
Per l'annullamento della sentenza, l'imputato ha proposto ricorso per Cassazione deducendo difetto di motivazione e violazione di legge, in particolare, rilevando:
= che, relativamente alla conservazione dello appello del Pubblico Ministero, è stato violato il disposto dell'art. 10 L.46/2006;
= che, per quanto concerne la pornografia minorile, il principio in diritto enucleato dai Giudici di merito è errato ed in fatto non sussisteva nessuno di quegli indici sintomatici della diffusione del materiale indicati dalla sentenza 13/2000 delle Sezioni Unite;
= che il reato di cui all'art. 600 quater cp non era configurabile per la clausola di riserva contenuta nella norma dal momento che l'imputato era il produttore del materiale;
= che non è congrua la motivazione sulla quantificazione della pena.
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In merito alla prima deduzione, si osserva come, una volta entrata in vigore la L.46/2006, la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l'appello inoltrato dal Pubblico Ministero con rimessione in termine di questo ultimo per la eventuale proposizione del ricorso in Cassazione (che avrebbe dovuto essere modulato con le griglie normative dell'art. 606 cpp).
Tuttavia il provvedimento, errato alla epoca della sua emanazione, attualmente non è censurabile perché ha raggiunto lo stesso risultato ora conseguibile alla luce della sentenza della Consulta 27/2007 (che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 1 L.46/2006 nella parte in cui, sostituendo l'art. 593 cpp, escludeva che il Pubblico Ministero potesse appellare contro le sentenza di proscioglimento fatta eccezione per la ipotesi dell'art. 603 cpp).
Se i Giudici avessero ottemperato alle sequele procedimentali all'epoca corrette, una volta intervenuta la decisione della Corte Costituzionale, questo Collegio avrebbe dovuto annullare la dichiarazione di inammissibilità dello appello (con conseguente caducazione del ricorso in Cassazione del Pubblico Ministero) e rimettere gli atti alla Corte territoriale per la decisione dello appello originariamente proposto dallo organo della accusa.

Relativamente al delitto previsto dall'art. 600 ter cp, il Collegio non ritiene discostarsi dalla sentenza delle Sezioni Unite 31 maggio 2000, Bove (le cui conclusioni condivide e recepisce ed alla cui elaborata motivazione rimanda) che si sono espresse escludendo la necessità sia della sussistenza di un fine lucrativo in capo allo sfruttatore del minore sia di una organizzazione di tipo imprenditoriale.
Le Sezioni Unite hanno chiarito come il Legislatore abbia voluto reprimere, predisponendo una tutela anticipata e complementare a quella della libertà sessuale, condotte prodromiche che mettono a repentaglio lo sviluppo del minore, mercificando il suo corpo ed immettendolo nel circuito della pedofilia.
In base a questa impostazione, i Giudici hanno concluso che, per il perfezionamento della fattispecie, necessita che la condotta dello agente abbia una consistenza tale da implicare il concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto; la norma mira ad impedire la visione del minore ad una cerchia indeterminata di pedofili e, di conseguenza, non configura la ipotesi di reato la produzione pornografica destinata a restare nella sfera strettamente privata dello autore.
Il ricordato pericolo, prosegue la sentenza delle Sezioni Unite, sul piano probatorio deve essere accertato dal Giudice di merito facendo ricorso ad elementi sintomatici della condotta idonei a significare come la produzione del materiale non sia finalizzata ad un appagamento personale, ma a circolare all'esterno.
Ora, la Corte territoriale, pur discostandosi dal principio di diritto enucleato dalle Sezioni Unite, ha evidenziato sicuri indici rilevatori del pericolo, connotato con il requisito della concretezza, di cui trattasi; l'apparato argomentativo sul punto è congruo, logico, corretto e, pertanto, insindacabile in questa sede.
Invero, la Corte ha avuto cura di precisare come l'imputato avesse il consenso delle giovani allo utilizzo del materiale prodotto (che, almeno in alcuni casi, è stato mostrato a terzi) e detenesse in auto una cartella di foto pornografiche, in tale modo, dimostrando che era pronto ad esibirle. A tali argomenti evidenziati dai Giudici di merito, già sufficienti a sostenere la conclusione sul tema, si può aggiungere come l'utilizzo contemporaneo di molte minori per la produzione delle foto pornografiche sia un segnale significativo della pericolosità concreta della condotta.
Per quanto concerne il reato previsto dall'art. 600 quater cp, la Corte osserva come il Legislatore abbia intero punire la detenzione del materiale pornografico che costituisce l'ultimo anello di una catena di variegate condotte antigiuridiche, di lesività decrescente, iniziate con la produzione dello stesso e proseguita con la sua commercializzazione, cessione, diffusione ecc.
In tale contesto, deve escludersi dal novero dei soggetti attivi coloro che hanno prodotto il materiale ed in relazione ai quali la detenzione costituisce un post factum non punibile.
Il rapporto tra le due norme è risolto dalla clausola di riserva espressa inserita nello art. 600 quater c. 1 cp la quale impedisce che il soggetto, che ha realizzato alcune delle condotte previste dall'art. 600 ter cp, possa essere chiamato a rispondere anche della fattispecie di detenzione di materiale pornografico; il conflitto apparente di norme è superato in favore della applicazione della più grave (art. 600 ter cp). Di conseguenza, la Corte deve annullare senza rinvio la impugnata sentenza limitatamente al capo sub C perché il fatto non è previsto dalla legge come reato ed eliminare, dal computo della pena effettuato dai Giudici di merito, il relativo incremento apportato a titolo di continuazione (mesi sei di reclusione).
Per quanto concerne il regime sanzionatorio, si rileva che i Giudici sono partiti dal minimo edittale per il delitto più grave (pornografia minorile), hanno applicato il massimo della decurtazione per le attenuanti generiche, valutate prevalenti alle aggravanti ed applicato un aumento ex art. 81 cpv cp di un anno per il reato sessuale; l'entità di tale incremento è stato spiegato a causa della pluralità dei soggetti passivi, e della protrazione nel tempo della condotta.
In tale modo, la Corte di Appello ha correttamente giustificato l'esercizio del suo potere discrezionale sulla quantificazione della pena.
PQM
La Corte annulla senza rinvio la impugnata sentenza limitatamente al reato sub C (art. 600 quater cp) perché il fatto non è previsto dalla legge come reato ed elimina la relativa pena di mesi sei di reclusione; rigetta, nel resto, il ricorso.
Roma, 20 novembre 2007
Dep. 14 gennaio 2008
(per gentile concessione del Circolo dei Giuristi Telematici).
 
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