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Penale.it - Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 5 dicembre 2007 (dep. 15 gennaio 2008), n. 2115

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Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 5 dicembre 2007 (dep. 15 gennaio 2008), n. 2115
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Notifiche all’imputato ex art. 157 comma 8-bis c.p.p.: la norma, di natura processuale, è applicabile a tutti i processi in corso, salvo che l’imputato abbia effettuato un’elezione di domicilio; in caso di mera dichiarazione di domicilio il difensore di fiducia può rifiutare la notifica ma se l’accetta è suo onere portarla a conoscenza dell’imputato

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE



Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIEFFI Severo - Presidente
Dott. SANTACROCE Giorgio - Consigliere
Dott. CORRADINI Grazia - Consigliere
Dott. CAVALLO Aldo - Consigliere
Dott. PIRACCINI Paola - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da C.V., nato il ... avverso la sentenza del 29/11/2006 della Corte Militare di Appello Sezione Distaccata di Napoli;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in pubblica udienzala relazione fatta dal Consigliere Dr.ssa Grazia Corradini;
udito il Procuratore Generale Militare in persona del Dr. Garino Vittorio, che ha chiesto la declaratoria di nullità della sentenza impugnata;
udito il difensore Avv. G. T., in sostituzione dell'Avv. S., nell'interesse dell'imputato, che si è associato alla richiesta del Procuratore Generale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO



Con sentenza in data 29.11.2006 la Corte Militare di Appello ha confermato la sentenza 6.10.2005 del Tribunale Militare di Bari che aveva dichiarato il Maresciallo C.V. colpevole del reato di peculato militare continuato e lo aveva condannato alla pena di un anno ed otto mesi di reclusione militare ed alla pena accessoria della rimozione dal grado.

Al C., che svolgeva le funzioni di sottufficiale addetto ai viveri presso la mensa unica del (...) reggimento di Fanteria "(...)" in (...) e che aveva come tale il possesso di denaro o di generi alimentari della Amministrazione Militare, essendo gestore di una mensa c.d. in natura e cioè con acquisto diretto di alcune merci al dettaglio, previa gara semestrale, era stato contestato di essersi impossessato, nel periodo fra l'(...) ed il (...), di denaro o generi alimentari per un ammontare pari ad Euro 33.938,62, scaricando contabilmente generi alimentari non riportati nel menù ovvero in quantità eccessiva rispetto alle spettanze previste e anche impiegando per la confezione dei pasti derrate alimentari in misura inferiore a quella prevista per la forza da vettovagliare o ancora approvvigionandosi di derrate in quantità inferiori a quelle contabilizzate.

Le indagini avevano preso le mosse da una documentata segnalazione resa dal Maresciallo D., sottufficiale aiuto gestore nella mensa truppa e deputato al confezionamento del vitto, nel novembre del 2000, al Tenente Colonnello D.B., comandante del distaccamento in (...) del (...) Reggimento di Fanteria, concernente la esistenza di irregolarità nella gestione del vettovagliamento del reparto, che era curata direttamente dal maresciallo C., il quale utilizzava personalmente ed esclusivamente il computer in dotazione dell'ufficio, all'uopo recandosi in ufficio anche quando si trovava in licenza ed in ferie, su indicazione dell'Ufficiale di vettovagliamento Tenente L.C..

Il maresciallo D. aveva altresì riferito di essere stato minacciato, nei pressi del cancello della sua abitazione, da due persone che gli avevano intimato di lasciare stare la mensa e di essere stato chiamato in ufficio il giorno successivo dal maresciallo C. che gli avrebbe offerto la somma di L. 20.000.000 per ritirare la segnalazione presentata, dopo di che, al fine di procurarsi una documentazione da offrire in visione al tenente colonnello D.B. a suffragio delle irregolarità nella gestione della mensa, aveva prelevato dal computer in uso al C. la contabilità informatica che aveva inserito in un floppy disk poi consegnato al D.B..

Era seguita una verifica interna da parte del Tenente Colonnello F., capo del servizio Commissariato, che aveva accertato, attraverso documenti ancora esistenti in ufficio, alcune discrepanze nelle annotazioni a matita dei quantitativi di merce che risultavano superiori a quelli riportati nelle bolle di accompagnamento ed aveva chiesto chiarimento al C. che aveva cambiato colore ed aveva spiegato che la ragione delle discrepanze fra le quantità di merci che aveva assunto in carico, superiori a quelli effettivamente introitate (riferendosi sia al pane che alla frutta ed alla verdura), consisteva nella necessità di avere in cambio a fine mese quello che a lui mancava, soprattutto posate e piatti la cui mancanza era superiore a quella normale.

Erano quindi iniziate le indagini dell'autorità giudiziaria nel corso delle quali il P.M. aveva incaricato di una consulenza tecnica sulla contabilità del vettovagliamento del Reggimento il Capitano Fa., il quale, prendendo come parametro di riferimento le grammature e le spettanze di ciascun militare contenute nel menù del giorno stilato dal gestore e procedendo quindi a moltiplicare tali valori per la forza effettiva risultante dal rapportino giornaliero, aveva verificato che il quantitativo di generi alimentari effettivamente impiegato era inferiore a quello scaricato contabilmente dal gestore C. e che inoltre risultavano contabilizzati e scaricati generi alimentari non previsti dal menu ufficiale ovvero risultavano scaricati quantitativi, ad esempio, di spezie (in particolare di zafferano, che veniva approvvigionato e scaricato come se non fosse una spezia), di salumi relativamente al confezionamento di sacchetti viveri, di cui ben 560 soltanto il 2 ottobre 2000, di sottilette, di pesto alla genovese e di panna al di fuori di qualsiasi ragionevolezza, come 120 grammi di pesto per ogni 150 grammi di pasta e 96 centilitri di panna per ogni 120 grammi di pasta, mentre, di fatto, per duecento - trecento porzioni di pasta venivano consegnati soltanto cinque chilogrammi di pesto da allungare con olio, a fronte di una media prevista di 20 - 40 grammi di pesto per porzione e del rilievo che lo scarico abnorme di spezie era cessato proprio in concomitanza con il cambio di ditta fornitrice.

Il consulente tecnico del P.M., nella sua qualità di esperto di vettovagliamento e del programma S.A.L.V.E. (Sistema Automatizzato della Gestione Vettovagliamento dell'Esercito), aveva altresì evidenziato che nella versione del programma in uso presso il reparto indagato era stata apportata una modifica al ricettario in esso contenuto attraverso l'inserimento di spezie e formaggio fuso in ogni minestra, nonchè l'aumento in maniera sproporzionata ed inverosimile le spettanze di pesto e panna; partendo da tali raffronti il consulente tecnico aveva quantificato il danno procurato alla amministrazione militare in L.16.843.150 per generi alimentari scaricati contabilmente e non riportati nel menu ed in L. 48.871.183 per generi alimentari scaricati in quantità eccessiva rispetto alle spettanze previste.

Attraverso le testimonianze acquisite era poi emerso che il quantitativo di merce riportato nelle bolle di accompagnamento era maggiorato notevolmente rispetto a quello effettivamente consegnato e che vi erano stati anche casi di inesistente consegna di merce fatturata, mentre altre volte il menù veniva cambiato con l'aggiunta, ad esempio, di affettato ovvero erano previsti già inizialmente budini e succhi di frutta, che però non venivano distribuiti. La truppa si lamentava per la scarsezza dei viveri ed anche il sottufficiale addetto alla mensa notava che c'era insufficienza di viveri, specie quando in mensa arrivavano più militari di quanti indicati nel rapportino ai quali si provvedeva con pasta e pesto allungato con olio, tanto che l'ufficiale medico lo aveva riferito al comandante della caserma e ne aveva parlato con il Tenente L.C. il quale gli aveva risposto che quanto riferito dai soldati non era vero; l'ufficiale medico si era quindi recato con il L.C. presso la mensa ove si era reso conto che le porzioni erano soddisfacenti.

Veniva altresì accertata, attraverso le verifiche bancarie sul conto corrente intestato alla moglie del C., C.N., casalinga, la presenza di cospicui e continui versamenti proprio durante il periodo della imputazione, cessati nel momento in cui era venuta in luce la vicenda.

Sulla base di tali elementi il Tribunale Militare riteneva la responsabilità del C. in ordine al reato continuato di peculato militare rilevando che quasi tutte le derrate fornite con periodicità giornaliera pervenivano dalla ditta (...)., il che faceva pensare ad una intesa fra la stessa ed i responsabili del settore circa la verifica delle consistenze del magazzino, mentre le giustificazione del C., che si erano appuntate sulla intenzione di reintegrare un ammanco di posate utilizzando denaro ricavato dalla irregolare gestione delle derrate alimentari, erano del tutto inidonee ad escludere la rilevanza penale del fatto.

Con i motivi di appello la difesa dell'imputato aveva sottolineato come le considerazioni del consulente tecnico del P.M. fossero arbitrarie, essendo fra l'altro lo stesso "non esperto di consulenze", e comunque smentite dalle circostanze che il menu giornaliero subiva continue modifiche ed aggiunte anche a causa della forza in eccesso da vettovagliare, come era accaduto nei giorni 14 e 24 settembre 1999 e 30 maggio 2000 e che tutti i quantitativi di merci indicate nelle bolle di accompagnamento venivano inseriti in contabilità ed aveva altresì rilevato la inattendibilità del teste D. che era mosso dal proposito di subentrare all'imputato nella gestione della mensa e la mancanza di spiegazione in ordine alla archiviazione della posizione del Tenente L.C. nonostante la sua posizione di diretto coinvolgimento nella gestione della mensa, nonchè, infine, la mancanza di prova circa l'elemento psicologico del reato di peculato militare con riguardo alla interversio possessionis ed all'animus rem sibi abendi.

Nel rispondere ai motivi di appello la Corte Militare di Appello ha ritenuto che lo scarico impressionante ed abnorme di alcuni alimenti, come spezie, formaggio fuso (sottilette), panna e pesto, spesso con consumi giornalieri superiori a quelli mensili previsti, confortato dalla accertata modifica del programma S.A.L.V.E., di cui aveva la disponibilità esclusiva il C. che andava in ufficio anche quando era in ferie per impedire che altri si intromettessero nel programma, a fronte della scarsità di cibo lamentata dalla truppa ed anche dagli addetti alla cucina che erano costretti ad allungare il pesto con l'olio per arrivare ad un condimento appena accettabile, unitamente allo scarico di viveri non indicati nel menu e non distribuiti ed al reperimento di bolle di accompagnamento per importi diversi da quelli caricati, rendesse irrilevanti le tesi difensive dell'imputato circa l'eccesso, riscontrato pochissime volte, della forza da vettovagliare.

La stessa Corte ha ritenuto altresì che i difficili rapporti fra il teste D. e l'imputato non potessero intaccare la attendibilità del teste poichè le sue segnalazionI trovavano conferma in altre testimonianze e nelle risultanze oggettive degli accertamenti effettuati dal P.M. che ne confermavano la veridicità e che nel contempo la archiviazione della posizione del L.C. non inficiasse la prova a carico del C. che era direttamente e personalmente responsabile della gestione della mensa.
Da ciò ha tratto il convincimento che l'imputato, attraverso l'artificioso carico e scarico di viveri, con le opportune cointeressenze dei fornitori adombrate dalla consulenze tecnica anche se non riscontrate attraverso l'istruttoria, avesse tratto una diretta utilità economica, poi confluita nei conti correnti intestati o contestati alla moglie dell'imputato, non avendo neppure l'imputato osato sostenere che i viveri scaricati e non distribuiti e quelli contabilizzati in eccesso fossero rimasti nella disponibilità della Amministrazione.

Ha proposto ricorso per Cassazione la difesa dell'imputato chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.

All'odierna udienza il Procuratore Generale Militare ha concluso per la declaratoria di nullità del giudizio di appello stante la notificazione del decreto di citazione in appello, quanto all'imputato, a mani del difensore di fiducia non domiciliatario.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorrente ha lamentato con tre separati motivi:

- Nullità della sentenza impugnata ai sensi dell'art. 178 c.p.p., lett. c), in relazione agli artt. 157 e 158 c.p.p., poichè il decreto di citazione a giudizio in appello era stato notificato, quanto all'imputato, presso il difensore di fiducia pur non avendo l'imputato, con l'atto di nomina del difensore in data 9.1.2001, eletto domicilio presso lo stesso, bensì presso il (...) Reggimento di Fanteria "(...)" in (...);

- Erronea applicazione della legge penale, nonchè illogicità e/o contraddittorietà della motivazione con riferimento alla valutazione della prova testimoniale nel processo penale.
La Corte di merito aveva ignorato ovvero minimizzato le tesi difensive basandosi sulle ipotesi della consulenza del Capitano Fa. benchè questi, fra l'altro non esperto di consulenze e che aveva ammesso di non avere seguito criteri certi per la quantificazione del danno, avesse riconosciuto che era impossibile quantificare l'importo esatto degli scarichi di generi alimentari effettuati a causa delle variazioni del menu ufficiale dovute alle continue modificazioni della forza da vettovagliare ed al ritardo con cui arrivava il rapportino giornaliero della forza, ed avesse, per converso, riscontrato che il rapportino della forza vettovagliata era regolarmente inserito in contabilità, che il menu ufficiale veniva firmato, oltre che dal C., dal Tenente L.C., quale ufficiale responsabile del servizio, dal Dirigente del Servizio Sanitario e dal Comandante del Reggimento e che tutti i quantitativi indicati nelle bolle di accompagnamento delle merci erano stati regolarmente inseriti nella contabilità.
La stessa Corte aveva altresì attribuito valore pregnante alla deposizione del principale teste d'accusa Maresciallo D. benchè si trattasse di teste interessato che aveva esibito fotocopie di documenti eseguite in assenza dall'ufficio dell'imputato, pur non rientrando nell'elenco delle persone autorizzate ad accedere ai sistemi automatizzati in uso al (...) Reggimento di Fanteria (...) ai quali aveva quindi attinto in mancanza di autorizzazione, con possibilità di manomissione dei dati contabili, tanto che anche il teste M., esperto informatico, era intervenuto proprio per risolvere problemi di funzionamento del programma S.A.L.V.E.
Inspiegabilmente la posizione del Tenente L. C. era stata archiviata pur non essendo lo stesso certamente marginale nella vicenda, essendo al contrario emerso che il L. C. era il diretto superiore dell'imputato e firmava tutti i documenti contabili insieme all'imputato.

- Violazione dell'art. 215 c.p.m.p., nonchè carenza, illogicità e/o contraddittorietà della motivazione del provvedimento impugnato.
La Corte di merito aveva ritenuto la sussistenza del peculato militare benchè la prova documentale (fatture e bolle di accompagnamento attestanti l'avvenuto carico e scarico delle merci) fosse incompatibile con la ipotesi accusatoria e benchè mancasse la prova certa anche dell'animus rem sibi abendi e/o dell'interversio possessionis, tale non potendo essere neppure quella consistente nei versamenti in denaro transitati nel conto corrente della moglie dell'imputato in mancanza di dimostrazione che fossero ascrivibili ad attività illecite dell'imputato.

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo il ricorrente deduce la nullità del giudizio di appello stante la nullità assoluta della notificazione del decreto di citazione in appello in quanto eseguita presso il difensore di fiducia invece che presso il domicilio eletto dall'imputato, con atto in data 1.9.2001, in via (...), presso il (...) Reggimento di fanteria "(...)" in (...), dove avrebbe dovuto essere eseguita.

A tale doglianza ha aderito il Procuratore Generale Militare presso questa Corte, il quale ha richiamato gli artt. 157 e 158 c.p.p. per desumerne la insanabilità della nullità perchè eseguita al di fuori del domicilio eletto dall'imputato e quindi da ritenersi omessa.

Occorre subito rilevare che in realtà nel caso in esame, a seguito della prima notificazione eseguita correttamente, ai sensi dell'art.158 c.p.p., a mani proprie della persona interessata, nel luogo in cui il C. risiedeva per ragioni di servizio, trattandosi di un militare in attività di servizio, l'imputato ha dichiarato il proprio domicilio, ai sensi dell'art. 161 c.p.p., comma 1, in via (...).

Pur non essendo diverse le conclusioni, non si è trattato di una elezione di domicilio, poichè, nell'eleggere il domicilio a norma dell'art.162 c.p.p., l'imputato è tenuto ad indicare anche le generalità del domiciliatario (art. 62 disp. att. c.p.p.) ed in assenza di tale indicazione non può parlarsi di elezione di domicilio.

Le notificazioni successive alla prima, secondo le norme processuali vigenti fino alla entrata in vigore della L. 22 aprile 2005, n. 60, dovevano essere eseguite nel domicilio dichiarato o eletto e solo in caso di mancanza, insufficienza o inidoneità di tale domicilio ovvero in caso di impossibilità successiva della notificazione nel domicilio dichiarato o eletto, presso il difensore anche se non domiciliatario (art. 161 c.p.p., commi 1, 2, e 4).

Nel vigore della disposizione sopra indicata anche le notificazioni successive alla prima avrebbero dovuto essere pertanto eseguite, nel caso di specie, nel domicilio dichiarato poichè l'imputato, pur avendo nominato un difensore di fiducia, non aveva scelto di eleggere domicilio presso lo stesso.

A seguito però della entrata in vigore dell'art. 157 c.p.p., comma 8 bis, introdotto con D.L. 21 febbraio 2005, n. 17, convertito con modificazioni nella L. 22 aprile 2005, n. 60, le notificazioni successive alla prima devono essere invece eseguite, in caso di nomina di difensore di fiducia, mediante consegna al difensore, il quale può dichiarare immediatamente alla autorità che procede di non accettare la notificazione.

Si tratta pacificamente di una disposizione di natura processuale applicabile anche ai processi in corso, con la conseguenza che correttamente, nel vigore dell'art. 157 c.p.p., comma 8 bis, il Presidente della Corte Militare di Appello, come risulta dagli atti esaminati da questa Corte, trattandosi di una questione procedurale per cui la Corte di Cassazione è giudice anche del fatto, ha disposto che la notificazione all'imputato del decreto di citazione a giudizio in appello dovesse essere eseguita, così come è stata eseguita, mediante consegna al difensore.

Il richiamo, operato nel decreto del Presidente della Corte Militare di Appello, all'art. 157 c.p.p., senza specifica indicazione del comma 8 bis, non poteva trarre in errore poichè il comma 8 bis è l'unico comma che riguarda le notificazioni successive alla prima, quale era quella in esame che interessava addirittura un giudizio di appello.

Non rileva poi il richiamo operato dal ricorrente all'art. 158 c.p.p., relativo alla "prima notificazione all'imputato in servizio militare", poichè tale disposizione si applica ed è stata applicata alla prima notificazione e non invece a quelle successive che rientrano, tutte, nella previsione del novellato art. 157 c.p.p..

La notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello è quindi correttamente avvenuta, ratione temporis, a mani del difensore il quale la ha accettata, con la conseguenza che aveva l'obbligo deontologico e giuridico di fare pervenire l'atto all'imputato ovvero di comunicare immediatamente alla autorità giudiziaria procedente che si trovava nella impossibilità di farlo, cosa che non è avvenuta.

L'allargamento delle ipotesi di notifica presso il difensore di fiducia anche indipendentemente dalla elezione di domicilio assume invero, nella novella legislativa, il significato di attribuire a tale difensore un preciso onere - già sussistente in base alla normativa pregressa ed in particolare agli obblighi di deontologia professionale ex art.161 c.p.p., comma 4, - di portare effettivamente a conoscenza dell'assistito tutti gli atti personali che lo riguardano, anche se non domiciliatario del suo assistito, salva la possibilità di rivolgersi immediatamente al giudice per comunicare che non intende più accettare le notificazioni, in situazioni in cui non può più assolvere tale onere.

Ciò comporta che la notificazione presso il difensore di fiducia è del tutto equiparabile, ai fini della conoscenza effettiva dell'atto, alla notifica all'imputato personalmente, poichè rientra negli obblighi di deontologia professionale del difensore la consegna dell'atto al proprio assistito, ovvero, in alternativa, il rifiuto dell'atto se non può consegnare effettivamente l'atto al destinatario.

In ogni caso, la eventuale nullità della notificazione perchè non eseguita presso il domicilio dichiarato o eletto, in base ad una giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte, anche a seguito di Cass. Sez. Un. n.119 del 2004, Palumbo, rv. 229540, non integra una omissione della notificazione ex art. 179 c.p.p., ma dà luogo, in quanto attinente soltanto alla eventuale violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, ad una nullità di ordine generale a norma dell'art. 178 c.p.p., lett. c), soggetta alla sanatoria speciale di cui all'art.184 c.p.p., comma 1, alle sanatorie generali di cui all'art. 183 c.p.p. ed alle regole di deducibilità di cui all'art. 180 c.p.p.; sanatoria verificatasi nel caso in esame poichè il difensore è comparso all'udienza davanti alla Corte Militare di Appello e nulla ha eccepito.

D'altronde la citata sentenza Palumbo ha affermato pure il principio che l'imputato che intenda eccepire la nullità assoluta della citazione o della sua notificazione non può limitarsi a denunciare la inosservanza delle regole processuale, ma deve rappresentare al giudice di non avere cognizione dell'atto e indicare gli specifici elementi che consentano l'esercizio dei poteri officiosi di accertamento da parte del giudice (rv. 229541).
Ne consegue che nel caso di specie la eventuale nullità della notificazione avrebbe dovuto essere accompagnata dalla specifica indicazione degli elementi che avrebbero impedito al difensore di consegnare il decreto di citazione all'imputato, il che nella specie non è avvenuto, con conseguente sanatoria della eventuale nullità anche sotto tale profilo.

Il primo motivo di ricorso è quindi infondato.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta sostanzialmente la erroneità della valutazione della prova che però è avvenuta sulla base di una corretta applicazione dei principi giuridici discendenti dall'art. 192 c.p.p., e di criteri logici incensurabili in questa sede, attraverso la individuazione ed il coordinamento di più prove convergenti che hanno consentito di appurare i meccanismi, specificamente indicati nella parte espositiva della presente sentenza, attraverso cui il C. si appropriava sia dei viveri sia del denaro, in caso di acquisto diretto.

Non è vero che la consulenza del Capitano Fa. fosse basata su ipotesi, mentre al contrario il consulente ha limitato la quantificazione del danno a quello che era certo sulla base di calcoli matematici non contestabili, trascurando volutamente altri conteggi su cui non vi era certezza matematica.
Le incertezze della consulenza Fa. non riguardano quindi quanto accertato bensì quanto la consulenza non è riuscita ad accertare o meglio a quantificare.

Non rileva poi la circostanza che il capitano Fa. fosse o meno esperto in materia di perizie poichè ciò non inficia la correttezza della sua attività che deve essere verificata sulla base dei metodi e dei risultati ottenuti - che non meritano censura - e non sulla sua esperienza come perito del Tribunale.

Neppure la responsabilità del Tenente L.C., la cui posizione è stata archiviata, rileva in questa sede anche perchè si sarebbe trattato, comunque, di una responsabilità aggiuntiva, per omessa vigilanza, rispetto a quella del C. e non sostitutiva di quella del C. che pacificamente era il soggetto che operava in via esclusiva nel carico e nello scarico delle merci, sia dal punto di vista materiale che da quello contabile.

Anche le tesi della difesa dell'imputato, prospettate nei motivi di appello, sono state vagliate dalla Corte di merito per escluderne peraltro la concludenza sotto tutti i profili addotti con motivazione congrua e condivisibile.

Infine, pure con riguardo alla deposizione del maresciallo D. è stata vagliata correttamente la attendibilità del teste le cui dichiarazioni sono state riscontrate da tutte le altre risultanze processuali convergenti.

La ipotesi che fosse stato il D. ad alterare la contabilità è fuori dalla realtà poichè la copiatura dei dati è avvenuta dopo che il suddetto teste aveva già denunciato il fatto al Comandante del Corpo e non vi è prova di una manipolazione del programma e dei file da parte di terzi, mentre il Tenente Colonnello F. ha ricevuto la confessione stragiudiziale della manipolazione da parte del C. che "aveva cambiato colore".

Anche il secondo motivo di ricorso è quindi infondato.

Il terzo motivo è pretestuoso.

E' evidente che la documentazione contabile doveva essere almeno formalmente regolare poichè ciò costituiva il mezzo attraverso cui avveniva ed era contemporaneamente occultata la appropriazione, ma ciò non escludeva la appropriazione bensì la confermava in conseguenza delle discrasie ed incongruenze interne (ad esempio in relazione al consumo definito "assurdo" delle spezie, del pesto e della panna), delle divergenze fra i quantitativi di merce acquistata in base alle annotazioni a matita e quelli risultanti dalle bolle di accompagnamento e fra quantità di merci assunte in carico e quelle effettivamente introitate, oltre che dei mancati riscontri esterni.

La prova della appropriazione è poi insita non solo e non tanto nella esistenza di somme transitate nel conto corrente della moglie casalinga e priva di redditi del C., di cui il C. non ha saputo dare spiegazione e che sono cessate nell'esatto momento in cui è stato scoperto il reato (il che è comunque un dato di per sè concludente), quanto nel mancato rinvenimento di viveri e di fondi presso la amministrazione, in eccedenza rispetto a quelli contabilizzati e che dovevano essere stati, pertanto, medio tempore distratti dal C. che ne aveva la disponibilità materiale e contabile in via esclusiva.

Il ricorso deve essere pertanto respinto perchè infondato sotto tutti i profili addotti, con le conseguenze di legge in punto di spese processuali (art. 616 c.p.p.).

P.Q.M.



Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2007.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2008

 
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