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Pubblichiamo l'Ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite con cui la Quinta Sezione della Corte di Cassazione ha inteso devolvere lo stridente conflitto in punto di fallibilità del cd "piccolo imprenditore" dichiarato fallito in epoca antecedente alla riforma.
Stante l'interesse per la decisione, la udienza pubblica di discussione è stata fissata con grande urgenza e, infatti, la questione verrà affrontata il prossimo 28 Febbraio.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
UDIENZA PUBBLICA
DEL 13/11/2007
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
Dott. FAZZIOLI EDOARDO PRESIDENTE
1.Dott.ROTELLA MARIO CONSIGLIERE
2.Dott.NAPPI ANIELLO
3.Dott.BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
4.Dott.DIDONE ANTONIO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA / ORDINANZA
sul ricorso proposto da
1) Nxxxxxi LEONARDO N. IL **/**/****
avverso SENTENZA
del 15/03/2007
della Corte di Appello di Firenze
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA
la relazione fatta dal Consigliere relatore
BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Udito il Procuratore Generale che ha concluso per l'annullamento della sentenza perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato
I FATTI
Con atto del 28 giugno 2007 Nxxxxxi Leonardo proponeva ricorso al giudice di legittimità avverso la sentenza del 15 marzo 2007 con la quale la Corte di Appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza resa il 27.03.06 dal Tribunale della stessa città, lo aveva condannato alla pena, così ridotta, di mesi due e giorni 20 di reclusione, con conversione della pena detentiva nella multa di euro 3.040,00.
A sostegno dell'impugnazione il ricorrente illustrava un unico motivo di doglianza, denunciando la violazione dell'art. 606 letto b) c.p.p., per inosservanza o erronea applicazione della legge penale o "di altre norme di cui si deve tener conto nell' applicazione della legge penale".
Così il ricorso.
Si doleva in particolare il ricorrente della violazione dell'art. 2 co. 3 C.P., giacchè la sentenza impugnata aveva negato l'applicazione della nozione di piccolo imprenditore escluso ex lege dall'applicazione della novellata legge fal1imentare e, quindi, dalla conseguente disciplina penalistica in materia di bancarotta, sul presupposto che il fallimento, nel caso in esame, era stato dichiarato prima dell' entrata in vigore del D.L.vo 5/2006 e che, in forza della disciplina transitoria portata dall'art. 242 L.F., permangono gli effetti del1e sentenze fallimentari pronunciate prima della riforma legislativa in materia.
Osservava in proposito l'impugnante che dalla relazione del Curatore fa11imentare, dalla sua testimonianza nel processo e dalla stessa sentenza dichiarati va del fallimento, risulta che la società r.l. del quale l'imputato era legale rappresentante rientra nei parametri in disciplina esclude l'applicabilità della forza dei quali la vigente disciplina fal1imentare.
Sosteneva altresì il ricorrente che "poiché la norma di cui al citato articolo 1 D.L. vo 5/2006, non penale ma integrativa delle norme penali formulate negli articoli 216 e 217 R.D. 267/1942 è state modificata rispetto alla norma vigente alla data di commissione dei fatti ascritti all'imputato, in modo più favorevole a questo non rendendo più soggetta a fallimento la società nella quale e per la quale lo stesso ha agito, in applicazione del disposto dell'art. 2 comma terzo del codice penale avrebbe dovuto pronunciarsi sentenza di assoluzione ".
DIRITTO
Il ricorso pone all'attenzione del giudice di legittimità un 'unica questione e precisamente se, in relazione ai reati di bancarotta, in seguito all'entrata in vigore del D.L.vo 09.01.2006 n.5 che ha modificato la nozione di piccolo imprenditore non più assoggettabile a procedura fallimentare, debba trovare applicazione o meno il principio di cui all'art. 2 co. 4 C.P., con la conseguenza di escludere la sussistenza del reato in ipotesi di condotta realizzata nella vigenza della precedente normativa fa11imentare da persona la quale, in forza del novum legislativo, attualmente non sarebbe sottoposto a fallimento, e questo pur in presenza del portato della norma transitoria di cui al citato D. L.vo, che fa salvi gli effetti delle procedure concorsuali pendenti al momento dell'entrata in vigore della legge di riforma.
Questa sezione della Suprema Corte ha avuto modo di affrontare a più riprese la questione giuridica sottoposta alla sua delibazione dal ricorso in esame, pervenendo a soluzioni'non omogenee.
Con una prima decisione (est. Sandrelli; ASN 200719297 - RV 237025) la sezione ha ragionato richiamando l'art. 150 del D. L.vo 5/06 il quale, nell'introdurre la novellata disciplina in materia societaria, porta i seguenti principi di disciplina transitoria: "i ricorsi per dichiarazione di fallimento e le domande di concordato fallimentare depositate prima dell'entrata in vigore del D. l. va n. 5 del 2006, nonché le procedure di fallimento e di concordato fallimentare pendenti alla stessa data,sono definiti secondo la legge anteriore".
Tale disciplina transitoria, per questa prima decisione, ha vigore anche per quanto riguarda la individuazione dell'imprenditore assoggettabile a fallimento e, dunque, alla nozione di piccolo imprenditore, con la conseguenza che "la modifica innovativa portata dal D.L.vo 9.02.2006 n. 5 non è suscettibile di meccanica trasposizione nelle dinamiche della successione delle leggi penali".
Con una successiva decisione, sent. 18.10.2007, preso Nardi, est. Fumo, ric. R***o, in attesa di pubblicazione, ( NDR. nelle more pubblicata e disponibile in Penale.it) altro collegio della stessa sezione ha sostenuto che il novum legislativo ha integrato il precetto penale, giacchè la dichiarazione di fallimento (e quindi la "fallibilità" dell'agente) è elemento costitutivo dei delitti di bancarotta rilevando ai fini della tipicità oggettiva del fatto - reato, con la conseguenza che deve trovare applicazione il principio di cui all'art. 2 co. 4 c.p. nell'ipotesi, come quella attualmente all'esame della Corte, in cui il piccolo imprenditore condannato in forza della disciplina previgente, chieda l'annullamento della condanna perché modificata l’ipotesi delittuosa.
Tanto premesso, in applicazione dell'art. 618 c.p.p. e tenuto conto della circostanza che il contrasto giurisprudenziale appare destinato a ripetersi con frequenza attesa la cospicua giacenza di ricorsi di legittimità analoghi in materia, si reputa opportuno rimettere l'esame del ricorso alle sezioni unite di questa Suprema Corte.
P. Q. M.
La Corte, rimette il ricorso alle Sezioni Unite.
Così deciso in Roma, addì 13 novembre 2007
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