REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente
Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere
Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da E.K.M., nato il ..., avverso l'ordinanza del 08/06/2007 del Tribuanel della Libertà di Bologna;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Rocco Marco Blaiotta;
sentite le conclusioni del P.G. Dr. Mario Iannelli, che ha chiesto il igetto del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il Gip presso il Tribunale di Parma ha disposto l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di E.K.M. in ordine al reato di cui al D.P.R. n.309 del 1990, art. 73. La pronunzia e' stata confermata dal Tribunale del riesame di Bologna.
2. Ricorre per cassazione il difensore deducendo due motivi.
2.1 Con il primo si lamenta violazione della disciplina processuale.
Si afferma che il giudice ha valutato la gravità del quadro indiziario tenendo conto di intercettazioni telefoniche compiute sulla base di provvedimenti illegittimi.
Infatti nei decreti autorizzatori si legge che da fonte confidenziale si è appresa l'utilizzazione da parte del ricorrente di utenze telefoniche che sono state conseguentemente sottoposte a controllo. Tali atti sono stati posti in essere in violazione dell'art. 267 c.p.p. che non consente di desumere la gravità indiziaria da informazioni anonime o da informatori non identificati.
Il Giudice del riesame non ha tenuto conto di tali censure ed ha reputato che le intercettazioni in questione siano utilizzabili perchè conformi alla disciplina processuale.
L'impossibilità di tenere conto delle risultanze delle intercettazioni telefoniche in questione mina in radice il quadro indiziario che solo su di esse si fonda.
2.2 Con il secondo motivo si deduce che il giudice ha omesso di valutare la distanza temporale del fatto commesso e l'applicabilità dell'indulto.
3. Il ricorso è infondato.
3.1 L'ordinanza impugnata evidenzia preliminarmente che, a seguito di complesse indagini, è stato possibile accertare che l'indagato, in concorso con altre persone, svolgeva una illecita attività di rifornimento di grossi quantitativi di hascisc provenienti dalla piazza di Milano, da spacciare nella zona di Parma.
E' stata conseguentemente intensificata l'attività di indagine, anche con intercettazioni telefoniche e servizi di controllo che hanno consentito di imputare all'indagato specifici episodi illeciti.
Quanto alla questione prospettata, inerente alla inutilizzabilità di alcune intercettazioni telefoniche, il tribunale da atto che nei decreti autorizzatori delle intercettazioni su tre utenze telefoniche in uso all'indagato, si afferma che esse sono state individuate sulla base di fonti confidenziali anonime.
Il collegio reputa che, tuttavia, da ciò non derivino le conseguenze volute del difesa: il richiamo dell'art. 267 c.p.p. all'art. 203 c.p.p. è espressamente limitato alla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, mentre nel caso di specie, lungi da riguardare elementi indiziari di reato a carico dell'indagato, la fonte si limita a rendere noto agli inquirenti il numero della nuova utenza utilizzata da questi.
Tale personaggio in quell'epoca era già attinto, in modo indipendente dall'utilizzazione di dette informazioni confidenziali, da gravi indizi di reità per il reato oggetto del procedimento.
Si ritiene, quindi, che l'esito delle predette intercettazioni sia pienamente utilizzabile.
Tale valutazione della disciplina legale non appare censurabile.
L'intercettazione di conversazioni costituisce un penetrante strumento investigativo che il legislatore disciplina con rigore, al fine di evitare abusi e degenerazioni ben noti.
A tal fine si richiede, quale primario requisito, l'esistenza di un grave quadro indiziario.
Proprio il timore di abusi connessi all'utilizzazione di informazioni non verificabili ha indotto il legislatore a prevedere, con la L. n. 63 del 2001, che, ai fini della verifica dell'esistenza di un grave quadro indiziario, non possa tenersi conto di acquisizioni derivanti da informatori di polizia.
E' quindi chiaro che la limitazione si riferisce all'indicato centrale "presupposto" costituito dall'esistenza di gravi indizi di reato.
Per il resto, essendosi in presenza di un'attività investigativa, la polizia giudiziaria può avvalersi di tutti gli strumenti tipici e può quindi, tra l'altro, accedere ad informazioni confidenziali che siano utili ad orientarne le mosse.
Nel caso di specie si è verificata proprio tale ultima contingenza, poichè le informazioni fornite da
fonti confidenziali sono state utilizzate solo per seguire le mosse dell'indagato, neutralizzando l'astuto espediente di mutare continuamente utenza telefonica.
D'altra parte, ad abundantiam, occorre pure constatare che il Tribunale, in relazione ad alcune imputazioni, pratica la cosiddetta prova di resistenza, evidenziando che il coinvolgimento dell'indagato emerge anche dai servizi di osservazione, dai verbali di perquisizione e sequestro e dalle dichiarazioni di altri indagati.
3-2 Quanto al secondo motivo, il Tribunale osserva che la gravità della organizzata attività di approvvigionamento di droga, la rilevanza quantitativa delle partite trattate, l'affinamento degli espedienti per evitare i controlli, come ad esempio l'incessante cambio delle utenze cellulari, consentono di desumere che si tratti di personaggio inserito in un circuito criminale di notevole spessore.
Si sottolinea altresì che egli è gravato da precedenti condanne, non svolge un'attività lavorativa ed è privo di permesso di soggiorno.
Si rimarca ancora che l'indagato non potrà fruire della sospensione condizionale della pena, dovendosi disporre la revoca dei benefici concessi con le condanne condizionalmente sospese, per una pena complessiva pari a tre anni di reclusione.
Se ne inferisce, tra l'altro, che la pena che sarà irrogata non sarà estinta per effetto del provvedimento di condono, con conseguente inapplicabilità dell'art. 273 c.p.p., comma 2.
Sulla base di tali elementi il Collegio conclude che l'unica misura cautelare appropriata è quella carceraria, anche in considerazione del fatto che il decorso del tempo non può essere considerato un elemento che da solo affievolisce sempre le esigenze cautelari.
Si tratta di valutazioni ampiamente motivate, con tutta evidenza immuni da vizi logici.
4. Il ricorso deve essere conseguentemente rigettato. Segue ex lege la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.