Elemento oggettivo: accesso e mantenimento nel sistema informatico contro la volontà tacita dell’amministrazione finanziaria, per finalità diverse rispetto a quelle per le quali vale la sua autorizzazione – irrilevanza della natura delle informazioni captate; condotta di intrattenimento nel sistema per pochi secondi, non per prendere cognizione di dati sensibili, quali le informazioni fiscali, bensì puramente e semplicemente per prendere visione di dati, quali quelli anagrafici, di pubblica conoscenza e conoscibilità e non sottoposti dall’ordinamento ad alcuna forma di tutela della riservatezza: esclusione dell’elemento soggettivo atteso che il reo non si è nemmeno reso conto che vi potesse essere una tacita volontà contraria da parte dell’amministrazione finanziaria per la consultazione dei dati anagrafici.
(massima a cura dell'avv. Angelo Pignatelli)
All’esito della udienza preliminare osserva questo giudice quanto segue.
Il presente procedimento (trasmesso per competenza dalla Procura di Milano in relazione alle posizioni degli imputati C. e C.) rientra in una più ampia vicenda che ha interessato l’intero territorio nazionale, che è stata portata all’attenzione della magistratura da una denuncia del Vice – Ministro dell’Economia e delle Finanze V. che ha avuto ad oggetto una serie di interrogazioni all’anagrafe tributaria sul conto di XXX e della consorte KKK effettuate, per ragioni estranee al servizio, dagli stessi dipendenti dell’Agenzia delle Entrate nonché da militari della Guardia di Finanza.
Per quel che interessa il presente procedimento, gli imputati R. C. ed A.C. sono dipendenti dell’Agenzia delle Entrate di …….: sul loro conto è emerso che la C. ha effettuato, il giorno 27 marzo 2006, due accessi all’anagrafe tributaria, uno alle ore 12:01 e 29 secondi, che ha riguardato esclusivamente i dati anagrafici di XXX e consorte, e l’altro alle ore 12:01 e 48 secondi, che ha invece riguardato le dichiarazioni dei redditi dei predetti (“Unico” 2004); mentre il C. ha effettuato un unico accesso, il giorno 25 maggio 2006 alle ore 12:59 e 42 secondi, che ha riguardato solo i dati anagrafici di XXX e consorte (su tali circostanze cfr. foglio 4 del fascicolo del P.M.).
La peculiarità della vicenda risiede nel fatto che i due predetti imputati, nella loro qualità di dipendenti dell’Agenzia delle Entrate, erano sì abilitati all’accesso alla banca dati dell’anagrafe tributaria, ma nel caso di specie hanno indiscutibilmente agito (come d’altronde da loro stesso ammesso in sede di interrogatorio) al di fuori dell’esercizio delle loro mansioni, non avendo in corso l’Agenzia delle Entrate di …….. alcun tipo di accertamento nei confronti di XXX e consorte (cfr., sul punto, le dichiarazioni rese in sede di sommarie informazioni dalla direttrice dell’Agenzia delle Entrate di ……., fogli 4 e ss del fascicolo del P.M.).
In punto di diritto va evidenziato che, come è stato autorevolmente sostenuto (cfr. Cass., sez. 5, n° 1675/2000, Zara; Cass., sez. 5, n° 12732/2000; Cass., sez. 5, n° 44362/03, Muscia; nella giurisprudenza di merito cfr. Tribunale di Bari, 18.12.2006), il delitto previsto e punito dall’art. 615/ter c.p. si configura anche a carico di chi, pur essendo autorizzato all’accesso ad un sistema informatico per determinate finalità, utilizzi tale facoltà per finalità diverse rispetto a quelle per le quali vale la sua autorizzazione.
Invero, l’art. 615/ter c.p. punisce non solo chi si introduce abusivamente in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza (cfr. prima parte del comma 1 dell’art. 615/ter c.p.) – introduzione abusiva che è inconfigurabile in capo a colui che è autorizzato all’accesso al sistema e che è quindi munito delle chiavi necessarie per superare le misure di protezione senza violarle -, ma anche colui che, introdottosi lecitamente nel sistema, vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo (cfr. seconda parte del comma 1 dell’art. 615/ter c.p.): ebbene, il soggetto che sfrutta la sua possibilità di accesso al sistema per effettuarvi operazioni diverse rispetto a quelle per le quali è autorizzato tiene un comportamento che equivale al mantenersi nel sistema contro la volontà tacita di chi ha il diritto di escluderlo e che, pertanto, rientra nell’ipotesi prevista e punita dalla seconda parte del comma 1 dell’art. 615/ter c.p..
Pertanto, alla luce di tali principi, è configurabile l’elemento oggettivo del reato in contestazione, sotto forma di mantenimento nel sistema informatico contro la volontà tacita dell’amministrazione finanziaria, nei confronti di entrambi gli odierni imputati, che hanno acceduto all’anagrafe tributaria per conoscere dati relativi a XXX e consorte senza che tale accesso fosse giustificato dall’esercizio delle loro funzioni, e quindi per finalità diverse da quelle per le quali erano autorizzati ad accedere all’anagrafe tributaria.
Tuttavia, ritiene questo giudice che da un punto di vista dell’elemento psicologico del reato occorra procedere ad una differenziazione tra la posizione della C., che ha acceduto sia ai dati anagrafici di XXX e consorte sia anche alle loro dichiarazioni dei redditi (“Unico” 2004), e quella del C., che ha acceduto solo ai dati anagrafici dei predetti.
Questo giudice è ben consapevole del corretto orientamento giurisprudenziale secondo il quale la norma dell’art. 615/ter è posta a tutela del domicilio informatico in quanto tale, violando il quale è per ciò solo integrato il reato, irrilevante essendo la natura delle informazioni captate, se cioè riservate o meno (cfr. Cass., sez. 5, n° 11689/07, Cerbone; Cass., sez. 6, n° 3065/99, De Vecchis): ed è, infatti, per tale motivo che si ritiene che nel caso di specie il delitto in esame sia sussistente da un punto di vista dell’elemento oggettivo anche in relazione al C..
Ad avviso di questo giudice, però, la circostanza che il C., legittimato ad accedere al sistema, vi si sia intrattenuto, presumibilmente per pochi secondi, non per prendere cognizione di dati sensibili quali le informazioni fiscali, bensì puramente e semplicemente per prendere visione di dati, quali quelli anagrafici, di pubblica conoscenza e conoscibilità e non sottoposti dall’ordinamento ad alcuna forma di tutela della riservatezza, porta a ritenere che egli non si sia nemmeno reso conto che vi potesse essere una tacita volontà contraria da parte dell’amministrazione finanziaria a che egli si mantenesse all’interno del sistema per consultare i dati anagrafici di XXX e consorte.
Ed è per tale ragione che, quanto meno ai sensi del comma 3 dell’art. 425 c.p.p., vada nei suoi confronti emessa sentenza di non luogo a procedere per mancanza del dolo del reato contestato, e quindi con la formula “perché il fatto non costituisce reato”.
P.Q.M.
Letto l’art. 425 c.p.p. comma 3, dichiara il non luogo a procedere nei confronti di C. A. in ordine al reato a lui ascritto perché il fatto non costituisce reato.
Nola, 11.12.2007
Il Giudice della Udienza Preliminare
Dr. Francesco Gesuè Rizzi Ulmo