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Carlo Sotis, Illegittimità comunitaria della procedibilità a querela del falso in bilancio
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Premessa
La legge 3 ottobre 2001 n. 366 recante la delega al governo per la riforma del diritto societario esordisce all'art. 1 comma 2 con una dichiarazione di conformità alla normativa comunitaria ("La riforma, nel rispetto ed in coerenza con la normativa comunitaria?") che può sembrare pleonastica poiché sull'ordinamento giuridico italiano grava un generale obbligo di conformità al diritto comunitario in virtù del fondamentale principio di leale cooperazione iscritto all'art.10 del Trattato CE.
D'altra parte tale dichiarazione di conformità viene palesemente contradetta dalla stessa legge delega che, all'art.11 lett.a) 1), nel dettare i criteri direttivi per la redazione della fattispecie di false comunicazioni sociali, prevede, al punto 1.2.1., per le società c.d. "chiuse" - ovvero non soggette alle disposizioni della parte IV, titolo III, capo II del T.U.F. (d.lgs. n.58/98) - che qualora la condotta abbia cagionato un danno patrimoniale ai soci e creditori il delitto sia perseguibile a querela.
Tale meccanismo di procedibilità a querela è infatti in contrasto con la normativa comunitaria.
Una precisazione si impone: queste brevi note hanno come unico scopo di rendere noti i riferimenti normativi e giurisprudenziali da cui emerge il vizio di illegittimità comunitaria della subordinazione alla procedibilità a querela del falso in bilancio, senza invece prendere in considerazione i numerosi profili in cui le disposizioni penali di questa legge presentano scelte che appaiono, già da una primissima lettura, a volte inopportune, altre volte incoerenti, alltre volte addirittura così irragionavoli da lasciar trasparire dei vizi di incostituzionalità.
In questa limitata prospettiva verranno quindi esposti i tre snodi logici-normativi da cui emerge l'illegittimità comunitaria. Nell'ordine: a) i modelli normativi"analoghi" a quello voluto dal legislatore delegante italiano; b) le censure che il diritto comunitario, per voce della Corte di Giustizia, ha espresso in materia; c) la trasferibilità di tali censure al modello italiano.


a) La procedibilità a querela e il diritto penale societario: i 'precedenti' in Europa.
Il meccanismo della querela è una tecnica di selezione dei fatti costituenti reato utilizzata nei paesi dove vige il principio di obbligatorietà dell'azione penale; in ambito penale societario è stata utilizzata a vario titolo dal legislatore tedesco e spagnolo.
· Il legislatore spagnolo con il nuovo codigo pénal del 1995 ha introdotto ex novo alcune disposizioni specifiche dedicate ai reati societari (Titolo XIII "delitti contro il patrimonio e contro l'ordinesocioeconomico", capitolo XIII "dei delitti societari", artt.290-297). Tali disposizioni, invocate 'come precedente' nel corso delle roventi polemiche che hanno accompagnato l'approvazione di questa legge, prevedono effettivamente una forma di perseguibilità a querela. L'art. 296 del codigo pénal prevede infatti che "gli atti del presente capitolo (tra cui il falso in documenti sociali, previsto all'art.290 del n.c.p.) saranno perseguibili solo mediante denuncia della persona offesa o del suo rappresentante legale". Tuttavia è una querela che potremmo definire 'relativa'. Il secondo comma di tale articolo prevede infatti che "Non sarà necessaria le denuncia richiesta nel numero precedente, quando la commissione del delitto offenda gli interessi generali o una pluralità di persone" (Una presentazione di questo corpus normativo e la relativa traduzione in italiano dell'articolato è offerta da Foffani, I reati societari nel nuovo codice penale spagnolo del 1995, in Riv. trim. dir. pen. ec., 1999, p.65 s.)
· Il sistema tedesco invece nell'Handelsgesetzbuch (codice di commercio tedesco, "HGB" nel prosieguo) prevedeva all'art. 335 la sanzione amministrativa della "penalità di mora" nell'ipotesi di omessa pubblicazione del bilancio, obbligo sancito all'art. 325 dell'HGB (condotta analoga all'illecito amministrativo previsto e sanzionato nel 'nostro' art. 2626 c.c.). Tuttavia, conformemente all'art. 325 prima frase, punto 6, dell'HGB, in relazione con la seconda frase dello stesso articolo, un procedimento per l'applicazione della sanzione può essere instaurato solo a richiesta di un socio, di un creditore, della commissione interna centrale o della commissione interna della società.

b) L'incompatibilità con il diritto comunitario.
L'art. 6 della direttiva del Consiglio 9 marzo 1968, 68/151/CEE (c.d. 'prima direttiva') prescrive che "gli Stati membri stabiliscano adeguate sanzioni per il caso di mancata pubblicazione del bilancio e del conto profitti e perdite", come prevista dall'art.2 n.1 lett. f) della stessa direttiva.
La Corte di giustizia CE, chiamata a valutare la conformità del sistema tedesco all'esigenza di stabilire "adeguate sanzioni" prevista nella 'prima direttiva' (Corte di giustizia 4 dicembre 1997, C-97-96, Daihatsu Deutschland,) si è preventivamente interrogata su quali interessi debbano essere tutelati attraverso l'opera di coordinamento della disciplina societaria in tema di bilancio svolta dal diritto comunitario.
In proposito la Corte ricorda che la norma di riferimento è l'art. 54, n.3 lett. g) del Trattato Ce (ora art.44 n.3, lett.g), nella versione consolidata dal Trattato di Amsterdam), dove si dichiara che tale coordinamento deve"proteggere tanto gli interessi dei soci come dei terzi" (punti 17-20 della sentenza).
La Corte afferma quindi che "la pubblicità dei conti annuali mira principalmente ad informare i terzi che non conoscano o non possano conoscere sufficientemente la situazione contabile e finanziaria della società" (punto 22).
La Corte conclude affermando che " l'art. 6 della prima direttiva va interpretato nel senso che esso osta alla legge di uno Stato membro che preveda solo per i soci, i creditori nonché la commissione interna centrale o la commissione interna di una società il diritto di chiedere la sanzione" (punto 23 della sentenza).
Nel solco di questa giurisprudenza poi la Corte di giustizia CE ha modo di affermare ancora più chiaramente che tale sistema, rappresentando la mancata previsione di sanzioni adeguate, comporta la violazione da parte della Repubblica federale di Germania degli obblighi comunitari (Cfr. Corte di giustizia 29 settembre 1998, C-191-95, Commissione CE/Repubblica federale di Germania, punto 68; su questa sentenza v. anche Riondato, Osservatorio della Corte di giustizia delle Comunità europee, in Diritto penale e processo, 1998, p.1393).
Per dirla con il linguaggio penalistico italiano insomma il bene giuridico tutelato dalle disposizioni penali dedicate al bilancio societario non può essere schiacciato sui soli interessi - patrimoniali e non - dei soci e creditori, configuarndosi invece nella funzione strumentale collegata alla veridicità e compiutezza del bilancio societario ( v. per tutti Pedrazzi, Società commerciali (disciplina penale), in Dig. disc. pen., 1997, p.352); proprio in considerazione di questa sua funzione 'pubblica' (nel senso più immediato del termine, ovvero di strumento rivolto al pubblico) la sua tutela non può essere subordinata alle sole esigenze dei soci e dei creditori dato che questi rappresentano solo alcuni dei destinatari dell'informazione societaria.


c) Incompatibilità tra la normativa comunitaria e il 'nascituro' diritto italiano.
Intanto, a scanso di equivoci, va ricordato che, come affermato anche dalla nostra Corte costituzionale, le statuizioni della Corte di giustizia sono a pieno titolo diritto comunitario al pari delle disposizioni contenute nei Trattati e negli atti di diritto derivato; ad esse quindi spetta il principio di prevalenza sul diritto interno e di diretta applicabilità (Così Corte cost.23 aprile 1985 n.113).
La sussunzione del caso italiano in tale normativa ci pare imposta da alcune considerazioni di carattere logico-normativo.
In primo luogo le pronunce della Corte di giustizia sono intervenute sull'ipotesi di mancata pubblicazione del bilancio, ipotesi dalla carica lesiva del bene in gioco decisamente inferiore a quella di un bilancio esistente ma falso perchè idoneo ad ingannare . Quindi appare evidente che quanto espresso per l'ipotesi residuale a maggior ragione debba valere per il presidio penalistico che occupa una posizione centrale nella tutela della correttezza dell'informazione societaria.
In secondo luogo non possono esservi dubbi che il bene giuridico tutelato dalla fattispecie prevista all'art. 11 lett. a) n.1 della l.366/01 non sia il patrimonio ma proprio il bene strumentale della veridicità e compiutezza dell'informazione societaria. Il legislatore infatti nel descrivere la direzionalità offensiva della condotta parla di "fatti materiali non rispondenti al vero ' idonei ad indurre in errore i destinatari dell'informazione' con l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico'", subordinare quindi la tutela di questo bene (veridicità/compiutezza dell'informazione societaria rivolta al pubblico) al danno di un altro bene (il patrimonio) è 'necessariamente' un macroscopico esempio di sanzione inadeguata rispetto a quanto detto sub b).
Infine, il meccanismo di perseguibilità a querela dettato nella legge delega è di tipo 'assoluto', contrariamente al sistema spagnolo che invece lascia aperta la possibilità di procedere d'ufficio rispettando così gli obblighi comunitari.

Conclusione
L'illegittimità comunitaria della procedibilità a querela del delitto di false comunicazioni sociali risulta quindi manifesta.
Una precisazione si rende tuttavia necessaria: il diritto comunitario non impone la natura penale della tutela e meno ancora una tutela penale ancorata a determinati cornici edittali; esso pone un obbligo di sanzioni adeguate, e ritiene che la procedibilità a querela, in considerazione della natura e della titolarità del bene giuridico, renda tale sanzione inadeguata alle esigenze di tutela. Su questo profilo il legislatore soffre di una tipica limitazione di sovranità imposta dagli obblighi comunitari.
A questo punto anche in considerazione dell'inquadramento costituzionale della legge delega da una parte e dell'adempimento degli obblighi comunitari dall'altra emergono alcuni interrogativi.
· quali effetti discendono dal vizio di illeggittimità comunitaria di una legge delega che pone essa stessa in apertura l'obbligo di conformità al diritto comunitario? Deve il legislatore delegato adempiere allo specifico meccanismo voluto dal legislatore delegante, anche se esso risulta in contrasto con un principio/criterio direttivo di portata più ampia posto nello stesso testo dallo stesso legislatore delegante?
· Se per avventura il legislatore delegato non formulasse il delitto in questione come procedibile a querela come dovrebbe risolvere la Corte costituzionale il dissidio tra un profilo di incostituzionalità per eccesso di delega ex art.76 Cost. e un profilo di illegittimità comunitaria (che gode come noto della copertura costitruzionale offerta dall'art.11 Cost.).
· Se, come invece è assai più probabile e anche più comprensibile, il legislatore delegato formulerà il delitto in questione subordinandone la procedibilità alla presentazione della querela quali strumenti giuridici offrono, rispettivamente l'ordinamento giuridico italiano e comunitario, per garantire il rispetto della normativa comunitaria?


- dott. Carlo Sotis - dottorando di diritto penale italiano e comparato - ottobre 2001

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