Versione per la stampa
Delitti di uccisione e maltrattamento di animali: stato dell’arte tra normativa vecchia e nuova
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAPA Enrico - Presidente
Dott. PETTI Ciro - Consigliere
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere
Dott. MARMO Margherita - Consigliere relatore
Dott. SENSINI Maria Silvia - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da B.C., nato il ..., avverso la sentenza 26/05/2006 della Corte d’Appello di Catania;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott.ssa Margherita Marmo;
Udito il Procuratore Generale in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. Angelo Di Popolo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza pronunciata il 28 giugno 2004 il Tribunale di Modica dichiarava non doversi procedere nei confronti di B.C., imputato in ordine al reato di cui all'art. 727 c.p., per avere ucciso, il ... in ..., con un colpo di fucile da caccia e senza necessità, un cane di proprietà di A. F., perchè il reato era estinto per prescrizione.
Proposta impugnazione dal B., la Corte di Appello di Catania, con sentenza pronunciata il 26 maggio 2006, confermava la sentenza del Tribunale.
Ha proposto ricorso per cassazione il B. chiedendo l'annullamento dell'impugnata sentenza per i motivi che saranno nel prosieguo esaminati.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale.
Deduce il B. che il fatto, così come contestato, non sussisteva in quanto non rientrava nella previsione dell'art. 727 c.p., prima della legge di riforma 20 luglio 2004, n. 189, l'ipotesi di aver ucciso un cane con un colpo di fucile senza necessità.
Rileva il ricorrente che, nel reato di maltrattamento di animali di cui all'art. 727 c.p., ante novellam, l'incrudelimento consiste nel provocare sofferenza agli stessi sottoponendoli a condizioni di vita che non sono rese astrattamente necessarie dalle esigenze della loro custodia e che provocano comunque ingiustificate sofferenze.
Il caso in esame avrebbe invece potuto costituire il delitto di uccisione o danneggiamento di animali altrui di cui all'art. 638 c.p., ma non la contravvenzione prevista e punita dall'art. 727 c.p..
Il motivo è infondato.
Nel caso in esame è contestato al B. di aver ucciso con un colpo di fucile da caccia, senza necessità, un cane di proprietà di A.F..
L'art. 727 c.p., che, riproducendo sostanzialmente il disposto dell'art. 491 codice Zanardelli, sanzionava il maltrattamento di animali, inserito nella prima sezione del capo secondo del libro terzo del codice penale, avente ad oggetto le contravvenzioni concernenti la polizia dei costumi, prima della riforma intervenuta con la L. 1 agosto 2004, n. 189, art. 1, stabiliva, al primo e al secondo comma che "chiunque incrudelisce verso animali senza necessità o li sottopone a strazio o sevizie o a comportamenti e fatiche insopportabili per le loro caratteristiche, ovvero li adopera in giochi, spettacoli o lavori insostenibili per la loro natura, valutata secondo le loro caratteristiche anche etologiche o li detiene in condizioni incompatibili con la loro natura o abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività, è punito con ammenda da L. due milioni e L. dieci milioni. La pena è aumentata se il fatto è commesso con mezzi particolarmente dolorosi, quale modalità del traffico, del commercio, del trasporto, dell'allevamento, della mattazione o di uno spettacolo di animali o se causa la morte dell'animale.
La norma è volta a proibire comportamenti arrecanti sofferenze e tormenti agli animali, nel rispetto del principio di evitare all'animale, anche quando questo debba essere sacrificato per un ragionevole motivo, inutili crudeltà ed ingiustificate sofferenze.
Tale principio aveva trovato applicazione anche nella L. 12 giugno 1931, n 924, (modificata dalla L. 1 maggio 1941, n. 615 ) in tema di vivisezione, nel testo unico delle norme per la protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia, approvato con R.D. 5 giugno 1939, n. 1016, modificato con D.P.R. 10 giugno 1955, n. 987, nella L. 12 giugno 1913, n. 611, (con le modifiche apportate dalla L. 10 febbraio 1927, n. 292) avente ad oggetto provvedimenti per la protezione degli animali, nel R.D. 20 dicembre 1928, n. 3298, che detta alcune disposizioni sulle modalità di macellazione degli animali e che all'art. 9 prevede che per la macellazione degli animali si devono adottare procedimenti atti a produrre la morte nel modo più rapido possibile, nel testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (R.D. 18 giugno 1931, n. 773) che vieta gli spettacoli o trattenimenti pubblici che importino strazio o sevizie di animali e nel relativo regolamento (del R.D. 6 maggio 1940, n. 635, art. 130) che, in riferimento al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 70 (T.U.P.S.), indica una serie di trattenimenti vietati.
In tali disposizioni l'oggetto di tutela è il sentimento di pietà e di compassione che l'uomo prova verso gli animali e che viene offeso quando un animale subisce crudeltà e ingiustificate sofferenze.
Scopo dell'incriminazione è quindi di impedire manifestazioni di violenza che possono divenire scuola di insensibilità delle altrui sofferenze.
Del resto anche l'esegesi storica della norma contenuta nell'art. 727 c.p., ante novellam conduce a tale conclusione.
Mentre l'art. 685 del codice penale del 1859 puniva soltanto coloro che "in luoghi pubblici” incrudeliscono contro animali domestici, configurando una contravvenzione che trovava collocazione tra quelle riguardanti l'ordine pubblico, nel codice Zanardelli la contravvenzione contenuta nell'art. 491 c.p. era inserita tra quelle concernenti la pubblica moralità ed erano soppresse le limitazioni della pubblicità del luogo ed della natura domestica dell'animale.
Successivamente l'art. 727 codice Rocco, (ante novellam del 22 novembre 1993, n. 473) tutelava il sentimento di pietà nei confronti degli animali, qualsiasi essi siano e in qualunque luogo si trovino,
mentre il reato di cui all'art. 727 c.p., nella formulazione introdotta con la L. 22 novembre 1993, n. 473, vigente all'epoca della commissione dell'illecito, sembra introdurre nell'ordinamento la tutela dell'animale inteso come essere vivente (v. Cass. Pen. sez. 3, sent. 13 ottobre 1998, n.12910) in quanto prende in considerazione la sofferenza degli animali in relazione alla loro natura e alle loro caratteristiche, anche etologiche.
Peraltro la disposizione, anche in quanto inserita nella sezione prima del capo secondo del titolo primo del libro terzo, avente ad oggetto le contravvenzioni concernenti la polizia dei costumi, risulta tutelare esclusivamente il sentimento di humana pietas nei confronti degli animali, essendo ancora embrionale in tale materia, diversamente dalla normativa in materia di tutela dall'inquinamento, in cui oggetto della tutela è la salvaguardia dell'ambiente e la salute di ogni essere vivente (v. in proposito sentenza Cass. Pen. sez. 3, 23 gennaio 2004, n 8147), il concetto di tutela dell'animale in sè, come facente parte dell'ambiente in cui l'uomo è inserito.
A sua volta la L. 20 luglio 2004, n. 189, art. 1, comma 1, ha introdotto, dal 1 agosto 2004, nel libro secondo del codice penale (dei delitti in particolare) al capo III, il titolo IX bis, avente ad oggetto “i delitti contro il sentimento per gli animali", l'art. 544 bis c.p., "Uccisioni di animali" che sanziona con la reclusione da tre mesi a tre anni chiunque, per crudeltà o senza necessità cagiona la morte di un animale" e l'art.544 ter c.p., "maltrattamento di animali” che, al comma 1, sanziona con la reclusione da tre mesi a un anno o con la multa da Euro 3.000,00 a 15.000,00, chiunque per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche.
Tale ultimo articolo, al terzo comma, statuisce che la pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell'animale.
Nel suddetto titolo sono inoltre inseriti anche l'art. 544 quater c.p. e l’art. 544 quinquies c.p., che sanzionano rispettivamente spettacoli o manifestazioni che comportino sevizie o strazio per gli animali e l'organizzazione o la direzione di combattimenti tra animali.
Rileva il Collegio che tra la contravvenzione di cui all'art. 727 c.p. ed i delitti contro il sentimento degli animali introdotti dall’art.1 della legge 1 agosto 2004, n. 189, ed in particolare, l'art. 544 bis e ss. c.p. sussiste continuità normativa, sia con riferimento al bene protetto sia per l'identità delle condotte, con la conseguenza che correttamente, in quanto norma più favorevole al reo, è stata ritenuta applicabile, nel caso in esame, la previgente disposizione di cui all'art.727 c.p., configurando essa una contravvenzione e non un delitto come i successivi reati sanzionati dell'art. 544 e ss c.p..
Le disposizioni contenute nella contravvenzione di cui all'art. 727 c.p., ante novellam (la citata legge n. 189 del 2004) sono infatti rifluite integralmente negli artt. 544 bis, ter, quater e quinquies c.p..
Il maltrattamento di animali, prima disciplinato come contravvenzione dall'art. 727 c.p., è quindi divenuto delitto ai sensi dell'art. 544 bis e ss. c.p. mentre l'attuale norma contenuta nell'art. 727 c.p., introdotta sempre della L. 1 agosto 2004, n. 189, art. 1, comma 3, contempla esclusivamente l'abbandono di animali.
Ricorda il Collegio che in relazione a fattispecie analoga a quella in esame questa Corte ha specificato che "tra il reato di cui all'art. 727 c.p. e quello introdotto all'art. 544 ter c.p. dalla legge n. 189 del 2004, sussiste continuità normativa non solo per l'identità della rubrica, (maltrattamento di animali), ma anche perchè sono rimaste identiche le condotte punibili.
Non vi è stata quindi abolitio criminis della condotta prevista nel testo originario della norma che è stata invece integralmente sussunta nel nuovo art. 544 ter c.p., (v. Cass. Pen. Sez. 3, sent. 5 dicembre 2005, n. 46784 e Cass. Pen sez. 3, sent. 26 aprile 2005, n. 21744).
Il nuovo delitto si configura come reato a dolo specifico, nel caso in cui la condotta lesiva dell'integrità e della vita dell'animale - che può consistere sia in un comportamento commissivo come omissivo - sia tenuta per crudeltà, e a dolo generico quando essa è tenuta, come nel caso in esame, senza necessità.
Ritiene in proposito il Collegio che nel concetto di necessità che esclude la configurabilità della contravvenzione di cui all'art. 727 c.p. ante novellam del 2004 e dei delitti di cui agli attuali artt. 544 bis e ss. c.p., è compreso lo stato di necessità di cui all'art. 54 c.p. e ogni altra situazione che induca all'uccisione o al danneggiamento dell'animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l'aggravamento di un danno alla persona o ai beni ritenuto altrimenti inevitabile e tale stato di necessità non è neppure stato dedotto nel caso in esame.
Deve quindi applicarsi la legge sostituita, il pregresso art. 727 c.p., quale norma che disciplina integralmente la fattispecie in esame e che è più favorevole al reo rispetto ai delitti di cui agli artt. 544 bis e ss. c.p..
Diversa fattispecie è invece quella prevista dall'art. 638 c.p., alla quale fa riferimento il ricorrente, così come modificata dalla legge 20 luglio 2004, art. 1, comma 2, che ha introdotto l'inciso “salvo che il fatto costituisca più grave reato".
Tale norma stabilisce infatti che chiunque, senza necessità, uccide o rende inservibili o comunque deteriora animali che appartengono ad altri è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a lire seicentomila.
Detta disposizione è contenuta nel titolo tredicesimo del libro secondo del codice penale, avente ad oggetto i delitti contro il patrimonio, in cui il bene protetto è la proprietà privata dell'animale, sicchè, pur potendo coincidere l'elemento oggettivo con quello descritto nell'art. 727 ante novellam e nell'attuale 544 ter c.p. (quando si sia in presenza di animali domestici), muta l'elemento soggettivo, costituito, nel reato di cui all'art. 638 c.p., dalla coscienza e volontà di produrre, senza necessità, il deterioramento, il danneggiamento o l'uccisione di un animale altrui e in cui, diversamente dalla contravvenzione di cui all'art. 727 ante novellam e dal delitto di cui all'art. 544 ter c.p., in cui è tutelato il sentimento per gli animali, è tutelato l'animale come un bene patrimoniale e in cui, quindi, la consapevolezza dell'appartenenza di esso ad un terzo soggetto, parte offesa, è un elemento costitutivo del reato.
Considerato che il fatto storico dell'uccisione dell'animale con un fucile da caccia e senza necessità è stato contestato nella sua integrità al ricorrente, il quale è stato quindi posto grado di difendersi in ordine alla contravvenzione di cui all'art. 727 c.p., vigente all'epoca dei fatti contestati e meno grave rispetto al delitto di cui agli artt. 544 e ss. c.p.; rilevato che comunque questi non ha interesse a che gli venga contestato il delitto di cui all'art. 638 c.p., che comunque, oltre ad essere più grave della contravvenzione di cui all'art. 727 c.p., ante novellam n. 189 del 2004, concorrerebbe formalmente con essa, va respinto il primo motivo di ricorso.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione di cui agli art. 606 c.p.p., lett. B) ed E).
Deduce il ricorrente che la deposizione della testimone A., posta a fondamento della decisione, non era mai stata assunta nel giudizio, avendo il giudice emesso sentenza nella fase degli atti preliminari e non essendo stato riaperto il dibattimento nella fase di appello.
Il secondo motivo è generico e comunque privo di rilevanza in quanto il giudice di merito ha dichiarato l'estinzione del reato per prescrizione maturata prima dello stesso decreto di citazione a giudizio con riferimento alla contravvenzione di cui all'art. 727 c.p. ante novellam e richiesta, del resto, anche dallo stesso difensore dell'imputato, oltre che dal pubblico ministero.
Va quindi respinto il ricorso con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2007.
Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2007
|