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Penale.it - Tribunale di Milano, sezione decima penale, sentenza 8 marzo 2007 (dep. 19 luglio 2007) n. 2161

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Tribunale di Milano, sezione decima penale, sentenza 8 marzo 2007 (dep. 19 luglio 2007) n. 2161
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Iniziative turistiche di sfruttamento sessuale Integra il delitto di cui all'art. 600 quinquies c.p. la condotta di chi si adoperi, anche in maniera non professionale, per organizzare il viaggio all'estero verso Paesi ove si pratichi la prostituzione minorile, ed allo scopo utilizzi materiale pedopornografico, anche personalmente prodotto, per confezionare materiale divulgativo e cataloghi

I) SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto del 25/5/2006 l’imputato G.S. veniva rinviato a giudizio per rispondere dei reati descritti in epigrafe.
La prima udienza, fissata per il 5/10/2006 veniva anticipata al 21/9/2006 stante lo stato di detenzione dell’imputato.
In quella sede la difesa sollevava ed illustrava le sue eccezioni preliminari ed il collegio, sentito il P.M., provvedeva con ordinanza letta in udienza ed allegata al verbale.
Sempre con ordinanza letta in udienza ed allegata al verbale il tribunale decideva sulla ammissione delle prove documentali e dichiarative richieste provvedendo, poi, alla loro assunzione.
In questa sede ci si riporta al contenuto delle citate ordinanze, ribadendo – però – quanto già osservato in quella pronunciata all’atto della ammissione delle prove atteso che la deliberazione in quel momento assunta ha rilievo anche nella esposizione dei motivi della decisione.
Il difensore aveva, in tale occasione, sollevato numerose eccezioni in particolare relative alla possibilità di acquisire i supporti video ed informatici e le trascrizioni effettuate dalla P.G. delle conversazioni telefoniche e tra presenti nonché la trascrizione del filmato realizzato da operatori della trasmissione televisiva “Le Iene”, materiale tutto presente nel fascicolo del P.M. Inoltre il difensore aveva eccepito, comunque, l’inutilizzabilità delle intercettazioni rilevando che le stesse erano state effettuate avvalendosi di impianti esterni alla Procura e che il P.M. non aveva motivato sulle ragioni che lo avevano imposto, con ciò violando il disposto dell’art. 268 co. 3 c.p.p. interpretato alla luce dei principi dettati dalle Sezioni Unite con sentenza 26/9/2003.
Va, però, ricordato che dalla documentazione esibita ai fini della valutazione delle eccezioni era emerso che al termine dell’udienza preliminare le parti avevano concordato l’inserimento nel fascicolo del dibattimento sia di tutti i supporti (video, audio, informatici) sia delle trascrizioni delle conversazioni telefoniche e tra presenti nonché della trascrizione del filmato della troupe televisiva.
Anche alla luce di tale circostanza il collegio aveva respinto le eccezioni della difesa con argomentazioni che non si ritiene di dover ripetere ed alle quali, quindi, ci si riporta in questa sede.
Ad integrazione di quanto all’epoca evidenziato, allo stato si vuole solo osservare che i supporti video, informatici ecc. sarebbero stati – comunque – acquisibili al fascicolo del dibattimento pur senza il consenso stante la loro indubitabile natura di documento ex art. 234 c.p.p.
Quanto alla asserita inutilizzabilità delle intercettazioni per la pretesa violazione dell’art. 268 co. 3 c.p.p. nella ordinanza in esame il tribunale aveva già evidenziato che “dai decreti esibiti dal P.M. ai fini della valutazione della eccezione emerge la sussistenza delle ragioni che motivavano il P.M. ad avvalersi di impianti esterni alla Procura”. Va, ora, aggiunto che le ragioni di cui si discute non erano esplicitate sulla base di mere formule di stile ma, in ossequio ai principi dettati dalla Suprema Corte, adeguatamente supportate dalla indicazione degli elementi di fatto che ne chiarivano la fondatezza. La prova in questione non è, pertanto, illegittimamente acquisita e – conseguentemente – non è soggetta alla sanzione di inutilizzabilità prevista dall’art. 191 c.p.p. E ciò a tacere del fatto che il consenso prestato all’inserimento nel fascicolo del dibattimento delle trascrizioni delle intercettazioni le rende pienamente utilizzabili superando ogni questione sul punto.  
Tornando a descrivere lo svolgimento del processo va, infine, detto che terminata l’assunzione delle prove richieste dalle parti il collegio disponeva due perizie.
La prima aveva ad oggetto la verifica del contenuto di supporti informatici già esaminati dal consulente del P.M. nonché del contenuto di un personal computer, di un cellulare e di una videocamera - acquisiti con rogatoria internazionale in Tailandia e trasmessi dall’Autorità Consolare italiana durante il processo - e la trasposizione di tutto su CD.
La seconda tendeva ad accertare l’età delle giovani ritratte in fotografie e filmati realizzati tutti dall’imputato, giovani che erano state riprese nude nel mentre esibivano le parti intime ed, anche, nel mentre si congiungevano carnalmente con il sig. G.S..  
All’esito dell’istruttoria dibattimentale P.M. e difesa concludevano come da verbale.
 
II) MOTIVI DELLA DECISIONE
1)     RICOSTRUZIONE DELLA VICENDA OGGETTO DEL GIUDIZIO
Alla esposizione dei motivi che sostengono il giudizio di colpevolezza emesso a carico dell’imputato è necessario premettere la ricostruzione della vicenda oggetto del presente procedimento, ricostruzione ovviamente operata alla luce delle risultanze dell’istruttoria dibattimentale.
Al dibattimento è emerso che nel giugno 2004 la Polizia Postale di Milano avviava un’indagine a carico di G.S. per approfondire gli spunti investigativi forniti da tale M.S..
Il sig. M.S. in udienza ha raccontato (pg. 93 e seg. verbale udienza 24/10/2006) di aver conosciuto l’imputato a Pattaya, in Tailandia, presso un ristorante e di aver cominciato a frequentarlo. Una sera i due si erano trovati in compagnia di alcuni italiani che soggiornavano lì ed uno dei presenti aveva accusato il sig. G.S. di essere un pedofilo ottenendone, in cambio, non la reazione seccata che ci sarebbe potuti aspettare, ma solo una risposta volgare (“Io sarò pure un pedofilo, ma almeno scopo”).
La condotta dell’amico non aveva allarmato il sig. M.S. che la aveva interpretata, appunto, solo come una reazione volgare. Successivamente, però, la circostanza gli era tornata in mente quando il sig. G.S. aveva iniziato a dimostrare con evidenza le sue tendenze sessuali e l’interesse che, sotto tale profilo, nutriva per i bambini.
In proposito il teste ha dichiarato che, con il sig. G.S., frequentava una piscina di Pattaya che era a disposizione dei clienti di un hotel e che, oltre ad una vasca per adulti ed una con idromassaggio, aveva anche una vasca per bambini. L’imputato si tratteneva proprio dove si radunavano i bambini e “spesso e volentieri continuava a toccarli nelle parti intime” (“Appena arrivavano i bambini lui si alzava e mi diceva “Va che belle tatine che arrivano” e si infilava nella piscina assieme … e li toccava nelle parti intime … sulla vagina, le tettine … magari loro erano seduti, lui andava e lì toccava … non avranno avuto più di dieci anni … non è che entrava in piscina e cominciava a toccare … ogni tanto si avvicinava, trac, la palpatina … passavano dieci minuti, si avvicinava all’altra bambina, trac, un’altra palpatina”). 
Una volta, poi, il prevenuto aveva portato il sig. M.S. a Siracha, una città poco distante da Pattaya, presso un grande magazzino di prodotti elettronici e, ad un certo punto, si era appartato con alcuni tailandesi con i quali aveva confabulato per un po’. Subito dopo aveva chiamato l’amico e si era recato accanto all’uscita di sicurezza ove, nascondendosi alla vista degli altri clienti, aveva mostrato al M.S. alcuni DVD pornografici invitandoli ad acquistarli. Al rifiuto dell’uomo, il sig. G.S. aveva sollecitato i tailandesi a mostrare altra mercanzia ottenendo che costoro consegnassero due DVD pedopornografici. Il sig. M.S. si è detto sicuro del contenuto dei video avendone osservato le copertine rappresentanti due bambine – che a dire del teste avevano meno di dieci anni – una delle quali completamente nuda e l’altra indossante solo una gonnellina verde. Anche in questo caso il sig. M.S. aveva opposto un deciso rifiuto alla proposta fatta dall’imputato di acquistare i DVD per vederli insieme la sera in albergo.
Non deve sorprendere che il sig. G.S. non si sia fatto scoraggiare dal disinteresse mostrato in quella circostanza dall’amico per la pedopornografia e lo abbia, successivamente, coinvolto in altre iniziative in materia.
Dalla istruttoria dibattimentale, infatti, è emerso che l’imputato trovava del tutto “normale” l’interesse sessuale per i bambini ed, anzi, non riusciva proprio a comprendere come fosse possibile che un uomo adulto che si trovava da solo in vacanza in Tailandia non approfittasse delle “opportunità” che quel “paradiso” offriva. Si vedrà meglio in seguito, difatti, che il sig. G.S. ha in più occasioni ed a più persone chiaramente detto che la Tailandia e la Cambogia gli avevano aperto orizzonti insperati ed entusiasmanti e che l’unico cruccio che lo angustiava era il fatto che “per colpa degli europei” i controlli della Polizia locale si erano fatti più severi e non era più così facile (come avveniva nei primi tempi) trovare bambini molto piccoli con i quali consumare rapporti sessuali. Del tutto estraneo al sentire dell’imputato era anche solo il dubbio che qualcuno potesse non condividere il suo entusiasmo per le interazioni sessuali con minori. Ma di ciò si dirà più approfonditamente in seguito.
Allo stato va detto che, come si è accennato, il prevenuto - anche dopo la gita a Siracha e nonostante l’atteggiamento serbato dal sig. M.S. in quella occasione – continuò ad essere prodigo di consigli ed informazioni relativi al mondo della prostituzione minorile, mostrando come quel mondo gli fosse ben noto.
In occasione di un concorso per l’elezione di “Miss Katoy” (sono detti katoy i travestiti) svoltosi in un centro commerciale di Pattaya, l’imputato confidò all’amico che quello era un buon posto per adescare bambini.
Il racconto del teste sul punto è, nella sua precisione e crudezza, desolante. Il sig. M.S. ha dichiarato: “ Mi fa “Vedi, qua è un posto buono per venire ad adescare bambini piccolini, bambini di scuola … sai, un giorno sono venuto e ho trovato una bambina con la cartella, l’ho avvicinata, gli ho fatto vedere quattro soldi e l’ho portata nei bagni del Royal Garden”. Mi fa “Guarda, non sapevo, l’ho portata dietro nei bagni, le ho dato questi soldini in mano e quando le ho sfilato le mutandine mi sono accorto che era un bambino … ero lì. Mi sono fatto fare un rapporto orale”.
Non era stata quella, del resto, la sola occasione in cui l’imputato aveva parlato delle sue esperienze sessuali, in particolare con minori poiché, a dire del sig. M.S., quello era un argomento che il prevenuto affrontava spesso, anche alla presenza di altre persone.
Nell’esame dibattimentale il sig. G.S. ha affermato che i racconti di questo tipo cui si è riferito il teste - come pure quelli di identico tenore che si possono trovare nelle trascrizioni delle conversazioni telefoniche e tra presenti e dei quali hanno anche parlato altri testimoni - erano, in realtà, delle mere “vanterie” non rispondenti al vero ed alle quali indulgeva “per farsi bello” in un ambiente - come quello degli stranieri che si trovavano in Tailandia - nel quale solo chi può vantarsi di aver avuto esperienze sessuali “particolari” è bene accetto.
Si vedrà meglio in seguito che la tesi difensiva è del tutto inverosimile poiché l’imputato, nei colloqui avuti con persone la cui testimonianza è stata assunta al dibattimento e nelle conversazioni intercettate, non si è limitato a vantarsi delle sue avventure ma ha fornito una serie di indicazioni precise e circostanziate (luoghi, modalità di adescamento, prezzi delle “prestazioni”) che dimostrano la sua approfondita conoscenza del mondo della prostituzione minorile in Tailandia. 
Allo stato va detto che, comunque, la versione del prevenuto è stata smentita dal sig. M.S. che, su domanda della difesa, ha precisato che nessuno degli altri italiani appartenenti alla comitiva frequentata da lui e dal G.S. aveva l’abitudine, esclusiva di questo ultimo, di raccontare le sue “prodezze” con i bambini. Risulta, quindi, contraddetta l’affermazione dell’imputato poiché, se nessuno vantava di avere rapporti sessuali con minori, vuol dire che non era necessario farlo per ottenere di essere accettato dagli altri.
Le scene cui l’imputato lo aveva fatto assistere, la sua insistenza per fargli acquistare DVD di contenuto pedopornografico, i grevi racconti di interazioni sessuali con bambini avevano turbato profondamente il sig. M.S. che, già nel periodo in cui si trovava in Tailandia, aveva deciso di denunziare ogni cosa una volta tornato in Italia.
E, difatti, come si è visto l’uomo si era recato presso gli uffici della Polizia postale.
La condotta serbata dal sig. M.S. nella circostanza è stata oggetto di approfondito esame da parte della difesa che è apparsa sorpresa dal fatto che il teste, che per sua stessa ammissione era “schifato” dall’agire dell’imputato, avesse continuato a mantenere rapporti con lui anche dopo il rientro in Italia.
Sul punto il sig. M.S. ha fornito una spiegazione che non solo è del tutto verosimile ma è anche confermata dalle altre risultanze dell’istruttoria dibattimentale essendosi accertato che i rapporti tra lui ed il sig. G.S. erano proseguiti su richiesta degli ufficiali di P.G. cui si era rivolto ed erano costantemente “monitorati” da loro.
Al dibattimento è emerso che la scelta operata dal sig. M.S. di collaborare con la Polizia non era stata semplice e gli aveva cagionato un profondo disagio - disagio che il teste ha anche manifestato durante la sua deposizione in udienza - e che, tuttavia, l’uomo non si è sottratto ad un incarico così ingrato per i motivi che ha riferito nel corso della testimonianza e che vale la pena di evidenziare perché rendono anche giustizia delle illazioni, neppure troppo velate, che l’imputato ha fatto su di lui. 
Il sig. M.S., difatti, ha spiegato di aver sposato una donna tailandese e di avere avuto da lei una bambina che oggi ha nove anni. Il collegio ben ricorda l’emozione e gli accenti sinceri che animavano il teste quando, in udienza, al termine della deposizione ha spontaneamente detto: “Posso aggiungere una cosa? Io frequento la Tailandia da dieci anni e nel ’92 ci andai per la prima volta. Attualmente sono ancora sposato con una cittadina tailandese. Non vuol dire niente quello che sto dicendo, però vi voglio far capire come penso io le cose là in Tailandia. Magari non vi interessa, però io ho conosciuto mia moglie che frequentava un body massage e … lì non è che l’ho voluta tirar fuori perché … non mi sono sentita di vederla lì … perché ne ero innamorato, e a tutt’oggi sono innamorato ancora di mia moglie e abbiamo una bambina di nove anni. Io ho schifo dei pedofili e tutti quelli che diffondono queste cose in Tailandia”.    
La decisione del sig. M.S. di collaborare con la Autorità Giudiziaria - sopportando durante le indagini un grave disagio personale e sottoponendosi all’atto della testimonianza in dibattimento ad un serrato e doloroso esame e controesame - non trova, quindi, fondamento in inconfessabili ragioni di rivalità, rancore, interesse patrimoniale etc., ma solo in un autentico desiderio di giustizia, nella volontà di aiutare la Polizia affinché non accadesse a bambini dell’età di sua figlia di essere vittime di abusi sessuali.
Il collegio ritiene che questo sia il primo elemento da tenere presente nella valutazione della testimonianza del sig. M.S., valutazione che – peraltro – non deve essere effettuata alla stregua dei criteri dettati dalla Suprema Corte in tema di deposizione della persona offesa provenendo da un teste – certo disponibile a collaborare – ma comunque del tutto indifferente. 
La rilevanza della testimonianza in esame, del resto, non è sfuggita alla difesa che ha sollevato alcune questioni tendenti a sminuirne la valenza processuale.
Ci si riferisce, in particolare, alla richiesta di sentire il sig. M.S. con le forme previste dall’art. 210 c.p.p., cosa che avrebbe comportato la necessità di valutare la prova secondo i criteri dettati dall’art. 192 co. 3 e 4 c.p.
Va subito detto che, anche ove si fosse acceduto a tale impostazione, nulla sarebbe mutato in punto giudizio di colpevolezza perché le prove a carico del sig. G.S. sono tante e così univoche da consentire di pervenire con assoluta tranquillità alla affermazione della sua responsabilità penale.
In ogni caso il collegio ha, con ordinanze allegate ai verbali di udienza, respinto le eccezioni sollevate dalla difesa.
Si era, in primo luogo, evidenziato che il sig. M.S. era stato sentito nella fase delle indagini preliminari con interrogatorio delegato. L’esame dell’atto – esibito dal P.M. con il consenso della difesa al solo fine della decisione sulla eccezione – ha con evidenza dimostrato che al M.S. era stato dato avviso degli obblighi e delle responsabilità che assumeva ex art. 371 bis c.p. sicché l’errata intestazione del verbale (“verbale di interrogatorio delegato”) è palesemente frutto di un mero errore materiale e non muta la natura dell’atto istruttorio assunto.
Si era, ancora, rilevato che il sig. M.S. era sottoposto a procedimento penale originato da una denunzia sporta a suo carico dall’imputato e che, in conseguenza, doveva assumere la qualità di imputato di reato connesso o collegato. Dagli accertamenti disposti dal collegio e dall’esame della denuncia (esibita ai fini della decisione sulla eccezione) è emerso che effettivamente L’imputato G.S. aveva denunciato il teste per la sottrazione – o, meglio, per la mancata restituzione – di denaro ed altri oggetti che l’imputato dichiarava di aver consegnato all’amico all’atto dell’arresto e che questi non avrebbe, poi, dato alle persone incaricate di ritirarli. Al di là della evidente strumentalità della denuncia – presentata in un momento in cui dopo il deposito degli atti conseguente alla richiesta di emissione della misura cautelare il prevenuto aveva piena contezza della collaborazione prestata dal sig. M.S. e della rilevanza delle sue dichiarazioni nel procedimento che lo vedeva indagato – il tribunale ha ritenuto che non si vertesse nella specie in alcuna ipotesi di connessione ex art. 12 c.p.p. o collegamento ex art. 371 c.p.p. ed ha respinto l’eccezione. 
E’ parso opportuno in questa sede riassumere le richieste avanzate in relazione alla testimonianza del sig. M.S. al dibattimento e le decisioni assunte poiché quelle che si sono evidenziate sono solo alcune delle eccezioni sollevate su detta testimonianza che, poi, è stata anche oggetto di illazioni, eccezioni ed illazioni che avevano l’evidente finalità di sminuirne la rilevanza probatoria.
Come le eccezioni di cui si è detto sono risultate infondate, così prive di fondamento appaiono le illazioni sollevate.
A mero titolo di esempio si ricorda che si è insinuato che non vi era certezza che le immagini pedopornografiche rinvenute nel PC dell’imputato durante la sua permanenza in Italia fossero a lui riferibili atteso che vi era stato un momento in cui il prevenuto era stato ospite presso l’abitazione del sig. M.S. cui si imputava di aver introdotto il materiale poi copiato dalla Polizia Giudiziaria. Dall’istruttoria dibattimentale è, però, emerso che il teste non avrebbe voluto ospitare il sig. G.S. e che lo aveva fatto esclusivamente perché spintovi dalla Polizia Postale che intendeva in tal modo raccogliere le “confidenze” del pedofilo e che aveva, poi, approfittato dell’occasione per riversare su CD i file contenuti nel PC dell’imputato. E, del resto, il sig. M.S. non era stato reso edotto dagli operanti della loro intenzione di copiare i file contenuti nel computer dell’imputato ed aveva appreso il contenuto degli stessi solo dopo che gli agenti avevano compiuto tale attività (cfr. testimonianza M.S.). A fronte di tali elementi non ha rilievo il fatto, evidenziato dalla difesa, che l’accesso ai documenti contenuti nel PC dell’imputato non fosse protetto da password – fatto che dimostrerebbe nell’assunto difensivo che il M.S. avrebbe potuto agevolmente immettere le immagini – poiché lo stesso nulla sapeva delle intenzioni degli operanti di operare il sequestro né conosceva il contenuto di quanto ivi contenuto.
Ancora si è adombrata una qualche “manomissione” da parte del M.S. di alcuni filmati da lui consegnati alla P.G. dopo che ne aveva ottenuto la disponibilità andando personalmente in Tailandia a riprenderli. Giova, sul punto, ricordare che il teste ha dichiarato di aver consegnato al sig. G.S. alcuni filmati personali, ove comparivano suoi familiari venuti a mancare, pregandolo di duplicarli, e di essersi recato in Tailandia – dopo l’arresto dell’imputato – per recuperarli. Il sig. M.S. ha precisato di essere riuscito nel suo intento non senza difficoltà e grazie all’intermediazione di un altro italiano residente in quel paese che, però, pretendeva un compenso in denaro. Per evitare il pagamento della somma richiesta il M.S. era partito in fretta e furia per l’Italia dove aveva scoperto che il materiale ricevuto non riguardava lui ma il G.S. e che tra i filmati, quasi completamente illeggibili perché cancellati, ve ne era uno che era parte di una registrazione più lunga che aveva avuto modo di vedere in precedenza. Per chiarezza va, in proposito, ricordato che il sig. M.S. - dopo le frequentazioni con il G.S. di cui si è parlato prima - era rientrato in Italia ed aveva preso contatto con la Polizia Postale che lo aveva pregato di continuare a mantenere relazioni con l’imputato. Tali relazioni erano durate per un periodo considerevole durante il quale il sig. M.S. aveva ospitato il prevenuto durante un suo soggiorno italiano, gli aveva presentato l’ispettore C. – introducendolo come una persona che nutriva interesse sessuale per i bambini – ed aveva anche – nei periodi di permanenza del G.S. in Tailandia – intrattenuto rapporti collegandosi con lui tramite MSN Explorer. Durante uno di questi collegamenti il G.S. gli aveva mostrato un filmato da lui realizzato per documentare un suo rapporto sessuale con una bambina. In uno dei filmati recuperati in Tailandia e consegnati alla Polizia Postale il sig. M.S. aveva riconosciuto parte di quello che aveva visto durante il collegamento via MSN Explorer. Anche in questo caso le affermazioni del teste non prestano il fianco alle critiche o, meglio, insinuazioni dell’imputato sia perché del tutto plausibili, sia perché riscontrate dalle prove documentali ed, in particolare, dal filmato di cui si è detto ove è visibile il sig. G.S. – in costume adamitico – all’interno di un appartamento che, dal confronto con altri filmati, appare con evidenza essere quello da lui occupato all’epoca in Tailandia.
Il discorso che precede consente di precisare quali siano stati i criteri adottati dal collegio nella valutazione della testimonianza del sig. M.S., testimonianza che, come si è detto non va esaminata alla stregua dei principi dettati dalla Corte in tema di deposizione della persona offesa ma che, tuttavia, è stata sottoposta egualmente ad un vaglio rigoroso anche a cagione delle sollecitazioni effettuate in tal senso della difesa.
In tale rigoroso esame, come si è detto, non si può prescindere da quanto evidenziato in precedenza sui motivi che hanno indotto il sig. M.S. a cooperare con l’Autorità Giudiziaria, motivi che dimostrano che il teste non era animato da alcun intento persecutorio ma solo da un genuino e umano desiderio di giustizia.
Ulteriori elementi che caratterizzano la testimonianza in esame sono la verosimiglianza della ricostruzione operata della vicenda nonché la linearità, logicità, coerenza e precisione del racconto.
Sulla verosimiglianza della ricostruzione va detto che la stessa, alla fine, non è stata messa in dubbio neppure dalla difesa che si è limitata a lamentare genericamente come fosse poco verosimile che il sig. M.S., “compagno di merende” dell’imputato mentre entrambi si trovavano in Tailandia, avesse poi maturato un tale disgusto per le sue abitudini da denunziarlo alla Polizia Postale. Tale rilievo, però, non attiene al profilo in esame ma alla valutazione della attendibilità del teste e, come si è visto in precedenza, trova ampia e fondata risposta nelle motivazioni addotte dal sig. M.S. e di cui si è già parlato.
L’unico aspetto relativo al merito delle dichiarazioni del teste sul quale, di fatto, si sono appuntati i rilievi del difensore attengono agli approcci che l’imputato aveva con i piccoli ospiti della piscina essendosi evidenziata l’inverosimiglianza del fatto che ciò sia potuto avvenire pur in presenza dei genitori dei minori o, comunque, di adulti. La circostanza, però, è del tutto marginale ed, in ogni caso non apre la strada ai dubbi sollevati dalla difesa: la realtà, purtroppo, ci ha abituato a situazioni quali quelle descritte dal sig. M.S. in cui gli adulti, ed anche i genitori, non si avvedono delle molestie di cui i bambini sono vittime, soprattutto quanto tali molestie avvengono in circostanze che inducono ad un minore controllo, come si verifica durante un periodo di vacanza, ed in luoghi ritenuti sicuri – quale una piscina destinata proprio ai più piccoli.
Per il resto nessun rilievo concreto è stato mosso al contenuto della testimonianza del sig. M.S. avendo, anzi, l’imputato sostanzialmente confermato di aver tenuto i discorsi da lui riferiti affermando, solo, che si era trattato di “vanterie”.
Ma che di mere vanterie non si tratti emergerà con evidenza nel prosieguo, dovendosi – allo stato – ricordare quanto già osservato sul fatto che il sig. G.S. era, comunque, l’unico del gruppo che parlava delle sue interazioni sessuali con minori e che alcuni dei racconti (si pensi a quello avente ad oggetto il rapporto orale che il prevenuto riferiva di essersi fatto praticare nel bagno da un bambino che aveva adescato in un centro commerciale) sono precisi e ricchi di particolari nonché inseriti in un più ampio discorso sui luoghi, sulle modalità di approccio e di consumazione del rapporto tanto da non poter essere frutto di fantasia. 
Né si deve dimenticare che, come si vedrà in seguito, l’imputato ha tenuto discorsi identici a quelli fatti all’amico – spingendosi anzi anche oltre – al regista della troupe de “Le Iene” e ha fatto identiche affermazioni nel corso delle conversazioni oggetto di intercettazione. Non sorprende, quindi, che il prevenuto abbia cercato di giustificare il fatto affermando che si trattava di mere vanterie, ben comprendendo il peso che le sue dichiarazioni – quali riferite dai testi e quali emergenti dalle prove dirette costituite dalle intercettazioni – potevano avere.
Quanto alla linearità e coerenza della testimonianza del sig. M.S. basti evidenziare che, come è emerso nel corso del dibattimento, non sono state effettuate se non rare contestazioni rispetto alle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari, circostanza che testimonia del fatto che la versione fornita dal teste in udienza è conforme a quella effettuata in passato. 
In ordine alla precisione del racconto va detto che il sig. M.S. non si è limitato a riferire genericamente l’accaduto ma ha ricordato ed indicato particolari (luoghi, date, persone presenti, modalità dei fatti) che non possono essere frutto di menzogna.
Ed, invero, una simile nitidezza di ricordi mal si concilia con un intento calunniatorio (del quale, peraltro, non vi è prova in atti) ed è, invece, agevolmente spiegabile alla luce della situazione in cui il teste si era venuto a trovare quando, convinto inizialmente di frequentare una persona con cui trascorrere alcuni momenti di vacanza, aveva con disgusto scoperto che l’uomo era, in realtà, un pedofilo che giungeva a vantarsi delle sue inclinazioni sessuali e delle violenze cui sottoponeva le sue vittime dimostrando di esserne tanto orgoglioso da tentare di coinvolgere gli altri nelle sue perversioni. Non stupisce che, a fronte di tanto orrore, il sig. M.S. sia stato così colpito da quanto vedeva e sentiva che ogni cosa gli si era fissata nella memoria in maniera indelebile.
Le considerazioni da ultimo svolte concorrono a fondare la valutazione espressa dal collegio sulla attendibilità del teste e sulla credibilità delle sue dichiarazioni.
Né si deve dimenticare che, dopo il rientro in Italia, il sig. M.S. aveva a lungo collaborato con la Polizia Postale, continuando a mantenere rapporti con l’imputato il cui esito riferiva costantemente agli operanti. Anche per tale motivo il teste, impegnato come era a prestare attenzione a quanto apprendeva per poterne fare un resoconto preciso, ha serbato il puntuale ricordo degli avvenimenti successivi al suo ritorno in patria che ha manifestato in udienza.
Su tale puntuale ricordo e, sull’esito delle indagini svolte dalla Polizia Postale, sostanzialmente si basa l’impianto accusatorio.
Alla collaborazione prestata dal M.S. si era, difatti, affiancata l’attività di indagine svolta dalla Polizia (sia attraverso l’attività svolta sotto copertura dall’ispettore C. – a ciò autorizzato dal P.M. - sia attraverso altre attività di indagine) e ciò, da un canto, ha consentito di acquisire significative conferme alle dichiarazioni del sig. M.S. e, dall’altro, di far emergere ulteriori – e fondamentali – prove a carico dell’imputato.
E’ per tale motivo che, nel ricostruire la vicenda oggetto del presente giudizio, è necessario – chiarita la genesi delle indagini - far riferimento non più solo alla testimonianza del sig. M.S. ma anche a tutti gli altri elementi che – insieme a detta testimonianza – concorrono a provare la penale responsabilità dell’imputato prendendo le mosse da quanto emerso nel corso dell’attività sotto copertura svolta dall’ufficiale di P.G. e dalle registrazioni delle conversazioni in atti.
L’ispettore C. ha dichiarato che M.S. si era presentato presso la Polizia Postale raccontando del suo incontro e della sua frequentazione con l’imputato in Tailandia e consegnando una audio cassetta contenente la registrazione di una conversazione intercorsa tra lui ed il G.S., conversazione della quale è stata effettuata una trascrizione acquisita in atti stante il consenso prestato dalle parti all’esito della udienza preliminare.
Il dialogo appare oltremodo indicativo delle tendenze sessuali dell’imputato che racconta della intensa attività sessuale che ha in Tailandia e delle sue preferenze dicendo: “Continuo a sborrare con un pacco di fighe … tutte giovani … sborro, sborro, sborro … anche con i katoy … c’ho delle fighettine cazzo fresche fresche … non dire niente che qua c’ho adesso ce ne ho una qua sotto … è proprio qua con la mamma”. Il riferimento alla presenza della mamma è significativo perché, come si vedrà meglio in seguito, al dibattimento è emerso che molto spesso erano le madri ad accompagnare le bambine più piccole dagli uomini che ne abusavano trattando e percependo il prezzo della prestazione sessuale.
Dalla conversazione, poi, emerge una circostanza che conferma le dichiarazioni rese da M.S. in relazione alla trattativa per l’acquisto di DVD di contenuto pedopornografico. Il sig. M.S., infatti, ricorda la vicenda all’imputato e gli chiede se ha filmati simili a “quei famosi due” ed il G.S. gli risponde che, al momento, ne ha solo “di quelli normali”, ma che è sua intenzione comprarne e registrarli sul computer “così non c’è problema di passare la dogana” al rientro in Italia.
Acquisiti tali elementi l’ispettore C. procedeva in primo luogo alla identificazione dell’imputato accertando che lo stesso trascorreva, ormai da molto tempo, circa dieci mesi all’anno in Tailandia e si tratteneva in Italia per il periodo restante, durante il quale esercitava l’attività di custode presso un campeggio in provincia di V. ove occupava un automezzo adattato a camper.
Veniva, pertanto, predisposta una attività di indagine da attuare al rientro del G.S. in patria ottenendo dal P.M. l’autorizzazione a svolgere un’attività sotto copertura ed, anche, regolari decreti di intercettazione delle conversazioni telefoniche sull’utenza cellulare dell’imputato e tra presenti, queste ultime da effettuarsi anche all’interno del camper utilizzato dal prevenuto.
 M.S., fungendo da intermediario, presentava l’ispettore (che utilizzava il soprannome Mx) come persona interessata a relazioni sessuali con bambini. Il primo approccio con il sig. G.S. avveniva il 26 agosto 2004 presso il campeggio dove veniva subito avviata l’intercettazione di conversazioni tra presenti all’interno del camper.
Prima di quel momento, però, era intervenuta un’altra conversazione tra l’imputato e M.S. il cui contenuto vale la pena di esporre perché nel dialogo vengono anticipati argomenti che, come si vedrà, il prevenuto riprenderà in seguito ed, in particolare, il suo desiderio di trasformare la sua perversione sessuale in un affare commerciale. Ed invero, in tale conversazione, avvenuta il 18/8/2004 (intercettazione su utenza mobile) il sig. M.S. stimola l’amico a parlare e questi non esita a fargli le sue confidenze intime (M.S.: “magari … magari le madri assistono anche”; G.S.: “certo … io l’ho fatta una cosa del genere”; M.S.: “ma cos’è che fanno queste qui giovani giovani”; G.S.: “una pompa, ti fanno una pompa … altre cose no, la pompa ti fa, si fa leccare”; M.S.: “giovani fino a che punto?”; G.S.: “quattordici, quindici anni … in Cambogia anche meno … a Pattaya di tredici quattordici anni, di quell’età vengono con le mamme che vengono anche loro”). Come si vede ritorna l’argomento della presenza delle mamme che accompagnavano le bambine più piccole dagli uomini che ne abusavano.
Viene, poi, introdotto un tema che tornerà in seguito e che, come si vedrà, assume rilievo nel giudizio di colpevolezza formulato a carico dell’imputato. Il sig. G.S., infatti, precisa che non aveva rapporti sessuali vaginali od anali con le bambine più piccole ma che da queste, invece, si faceva praticare sesso orale. Giova, sul punto, anticipare che agli atti sono stati acquisiti dei filmati realizzati dal prevenuto nel mentre si accoppiava con ragazze penetrandole sia in vagina che nell’ano e che è stata conferita perizia per accertare l’età anagrafica delle giovani. La dott.ssa Cn ha concluso affermando che le stesse avevano raggiunto o superato la pubertà ma che, dall’esame dei caratteri genitali non apparivano, in via di grande probabilità, infraquattordicenni. Tralasciando il discorso sulla valutazione dei dati forniti dal perito (dati che come precisato dalla dott.ssa Cn sono relativi allo sviluppo sessuale delle ragazze ritratte e che, per quanto attiene all’accertamento dell’età biologica, si basano su dati statistici significativi ma non assoluti) va, in questa sede, detto che alla luce di quanto affermato dal sig. G.S. sulle sue abitudini sessuali ed, in particolare, sul fatto che era solito praticare con le bambine più piccole solo sesso orale, non deve sorprendere che le vittime dei coiti anali e vaginali rappresentati nei filmati siano le più grandi, quelle che probabilmente avevano compiuto i quattordici anni.   
Tornado ad esaminare il contenuto della intercettazione telefonica del 18/8/2004 si evidenzia che il dialogo verte, anche, sui progetti del G.S. per il futuro in quanto l’imputato comunica al M.S. la sua intenzione di prendere una casa in affitto per poter offrire vitto e alloggio in cambio di denaro (“ci saranno anche degli utili”) ed anche ad altri fini, garantendo una casa la sicurezza che in altri luoghi non si può avere. La conversazione continua su questo piano. Il prevenuto conferma all’amico che c’è in luogo un italiano che “le procura” (“è un mio amico … è un po’ nelle rogne … è un tipo come noi, un po’ stempiato e si orienta su ragazze giovani”) ma aggiunge di non aver bisogno di intermediari (“Si, si … però lo so dove andare io”).
 Il tema dei progetti che il sig. G.S. ha per il futuro ritorna, con maggiore chiarezza nel corso del dialogo intercorso il 26 agosto 2004 in occasione del primo incontro con l’ispettore C., dialogo che è ancora più esplicito di quelli che si sono sopra sintetizzati. L’imputato dichiara subito quali sono le sue tendenze sessuali (“Non mi è mai mancata la figa anche qua in Italia, sono stato sempre abbastanza fornito di figa … ragazzine giovani … italiane … le nere, mi piacciono negrette”), descrive quali sono le modalità di approccio delle bambine che utilizza in Tailandia (“io faccio così, vado nei supermercati, nei centri commerciali, qua e là … trovo la fighetta … vuoi stare con me? Si,si … non pago mai … dopo qualche regalino lo faccio, però non ho mai pagato), distingue i casi in cui si accompagna con ragazze incaricate di intrattenere i clienti nei locali (“se vado anch’io nel bar di lavoro … c’è quella che mi fa venir voglia le do tre/quattrocento bath” - l’equivalente di circa 5/10 € - ), si lamenta della concorrenza di altri turisti che abituano le minori a compensi troppo elevati (“stan rovinando tutto perché sono troppo imbecilli quei cretini che vengono su in vacanza … tanto sto qua venti giorni … si portano dieci milioni in quindici giorni”), si duole dei divieti che sono stati introdotti e dei rischi che possono derivarne (“sai, prostituzione vietata, pornografia vietata, però vivono solo di quello e chiudono gli occhi, l’importante è che la fighetta non ti denunci, dopo puoi andare con chi vuoi, con una minorenne … una che ti viene assieme non ti denuncia, però, se proprio volessero i genitori … ci sono lì delle mamme che vanno assieme alle figlie … dopo hai paura e paghi … quelle da 16 anni in su non ci sono problemi, da 16 anni in su sono consenzienti, difficilmente vai nei casini … è se le prendi giovani giovani … che magari fanno storie”).
Ancora il sig. G.S. fornisce particolari oltremodo significativi che, come si vedrà meglio in seguito, non sono affatto frutto di menzogna o di desiderio di “vantarsi” ma reali e la cui effettività è stata confermata dalle altre prove assunte.
L’imputato, infatti, spiega che è intenzionato rientrando in Tailandia a farsi rilasciare un visto con validità annuale, poiché – diversamente – occorre lasciare il paese ogni mese, alla scadenza del visto di soggiorno. In ogni caso, precisa, per rientrare è sufficiente allontanarsi anche solo per un giorno recandosi “con un bus o un pulmino” in Cambogia dove “tanto il divertimento c’è” e dove, per divertirsi, ci si può fermare anche due o tre notti. Il sig. G.S. aggiunge che, per ottenere il visto, aveva approfittato di agenzie “esperte” della materia o dei buoni uffici di poliziotti locali corrotti (“Non ci sono agevolazioni, solo se paghi, ci sono certe agenzie che se paghi loro ti fanno … io un anno l’ho fatto tramite un poliziotto dell’immigrazione, lui ci ha preso i passaporti … ha voluto 500 bath in più ma chi se ne frega … poi ce li ha portati, però adesso ne hanno preso due o tre di questi poliziotti che fanno ‘sti sgobbi qua”). Come si vede l’imputato conosce non solo le disposizioni che regolano il soggiorno degli stranieri ma anche i modi per aggirarle e, persino, gli ufficiali corrotti cui rivolgersi. Che si tratti anche in questo caso di mere vanterie?
Ma, c’è di più. Il sig. G.S. dimostra di conoscere bene anche le opportunità di “divertimento” che offre la Cambogia a chi, come lui, ama avere rapporti sessuali con bambini. E della Cambogia, della possibilità di fare sesso con minori in tenerissima età, dei luoghi più idonei a questo scopo, delle modalità, dei prezzi l’imputato parlerà   ampiamente - come si vedrà meglio nel prosieguo - all’inviato della trasmissione televisiva “Le Iene” che ha realizzato un servizio sul fenomeno del turismo sessuale, servizio che è acquisito in atti con la relativa trascrizione. Anche in riferimento a queste indicazioni viene da chiedersi se si possa dare credito al G.S. quando afferma che, ancora una volta, si trattava di semplici vanterie.
 Sempre nel corso del colloquio svoltosi il 26 agosto 2004 nel camper in uso all’imputato, questi racconta della sua relazione con una ragazzina tailandese (“Io ho avuto una ragazzina per quattro mesi, una fighetta di 15 anni, 14 anni … è stata con me e non l’ho mai pagata, gli davo ogni tanto dei soldi, comprati qualcosa, comprava qualcosa per me”) e, parlando delle abitudini delle giovani tailandesi aggiunge: “non usciva mai da casa … giovane … l’ho portata fuori due volte e hanno cominciato a rompere i coglioni, italiani soprattutto … quella fighetta lì, sei un pedofilo … Dio buono, uno viene qua … devi stare attento … magari qualcuno va dalla Polizia là … lei non diceva niente, ma ‘sti qua … anche Ch l’ha vista … sei proprio un porco, fammela scopare a me … mi dai del pedofilo e vuoi scoparla tu, ma io sono un po’ più giovane di te … tu scopare questa, sognatelo!! Tu puoi darmi quello che vuoi, questa qua me la scopo io”.
Come si vedrà meglio in seguito, anche al giornalista della trasmissione “Le Iene” il sig. G.S. aveva fatto identiche confidenze raccontando che i suoi amici, quando lo vedevano in compagnia della ragazzina, lo chiamavano pedofilo ma poi, gli chiedevano di poter avere rapporti sessuali con lei (“Mi hanno detto: “Però, che carina che è, me la fai scopare?” No, glielo metto dentro tutto … tutto, ma io però! Io me la scopo! Teste di cazzo”).
Infine, nella conversazione tra presenti intercettata il 26 agosto 2004, l’imputato svela con chiarezza i suoi progetti per il futuro ed, in particolare, la sua intenzione di “mettersi in affari”. Dopo aver detto che aveva provveduto a fare un archivio delle bambine con le quali aveva avuto rapporti (“Ho un archivio di 200 film, cazzo, ne ho avute una cinquantina fotografate con le fighe, con tette con il cazzo … solo che dopo, fatalità, ho resettato il computer, ho cancellato tutto”), dopo aver aggiunto che, pur riuscendo a vivere con poco, voleva incrementare i suoi guadagni, svela il suo desiderio di avviare un’attività economica fornendo ai turisti non solo vitto e alloggio a prezzi competitivi con quelli degli alberghi e ristoranti ma anche un catalogo dei minori da usare per le avventure sessuali (“io mi faccio le foto perché mi voglio archiviare tutte le fighe … perché arrivi tu, arriva lui, arriva qua … c’è il visino … metto gli asterischi … tre stelle, il prezzo che voleva, le prestazioni … io faccio così … non voglio niente, e intanto li ospito, li faccio pagare … mangiare … vitto e alloggio, insomma però, sempre meno di quello che pagano o da Ch o da qualcun altro … quello che rimane qua un po’ conviene stare da me … per carità però siamo indipendenti. Io ogni sera adesso ultimamente facevo delle orgette a casa mia”).
Ancora una volta va segnalato che, come si preciserà dopo, della perdita dell’archivio e dei suoi progetti il sig. G.S. aveva parlato anche al giornalista de “Le Iene”.
E, del resto, l’intenzione di “mettersi in affari” non era un mero desiderio ma una seria determinazione se è vero, come è vero, che l’imputato ne aveva più volte parlato nei successivi contatti avuti con M.S., con l’ispettore sotto copertura e con altre persone, così come si rileva dalle trascrizioni delle intercettazioni.
Nel settembre 2004, infatti, era stata predisposta l’intercettazione di conversazioni tra presenti nell’abitazione di M.S. che doveva ospitare il sig. G.S. per circa dieci giorni a decorrere dal 7. Due giorni dopo era avvenuto un incontro cui aveva partecipato anche l’ispettore C. ed il cui contenuto emerge dalla trascrizione della conversazione.
In questa occasione, come altre volte in passato ma in modo ancor più esplicito, l’imputato racconta dei suoi rapporti sessuali con bambini, anche molto piccoli (“Io conosco un posto dove ci sono tutte tatine, ci sono quelle dai 12 – 13 anni a quelle di 9 – 10 anni … ma mi scopo tutte le ragazzine di dodici, tredici anni … è il senso del proibito … la pompa si, ma non le ho mai trombate … però vedevo l’altra che scopava … ne prendevo due alla volta … facevo una piccola e una grande”) ribadendo quanto già affermato nella conversazione intercettata il 18/8/2004 sulla sua abitudine di non avere rapporti sessuali vaginali od anali con le bambine più piccole dalle quali, invece, si faceva praticare sesso orale.
Nel colloquio, poi, il sig. G.S. riprende un altro discorso già fatto, quello sui suoi progetti per il futuro ampliandolo e precisandolo. Sul punto appare opportuno riportare il dialogo intervenuto tra l’imputato e l’ispettore C..
“G.S. : Un catalogo lo facciamo
 C.: facciamo come mi hai detto tu l’altra volta, metti così su un cataloghino … noi lo diamo a lui, track si organizza tutto … poi tu mi devi dare un listino di quanto costa al giorno i servizi che gli possiamo dare … diamo il servizio completo … quando arrivano noi li ospitiamo … il viaggio normale lo paghi mille euro, organizzato in questa maniera lo paghi duemila perché sei già sicuro di quello che fai
G.S. : Si, si se c’è questo qui va bene, tanto io comunque lo volevo fare un bel cataloghino in modo da selezionare belle fighe, vuoi qua vuoi là, le chiamo quando ho bisogno.”
Non deve trarre in inganno il fatto che dalla conversazione pare emergere che sia stato l’ispettore ad avanzare la proposta mentre l’imputato si è limitato ad accettarla, seppure con sicuro entusiasmo.
Non va, infatti, dimenticato che era stato il G.S. ad introdurre, nei dialoghi precedenti, il tema dello sfruttamento economico delle sue conoscenze della Tailandia, dei luoghi e, soprattutto, del mondo della prostituzione minorile.
Va, poi, evidenziato che nella prima fase della conversazione sopra riportata era stato l’imputato a fare una proposta tendente sempre a trarre vantaggi finanziari dalla sua perversione sessuale. In particolare il G.S. aveva detto: “Ho conosciuto uno quest’anno, e mi ha detto che se io gli do un filmetto anche fatto da me, da te o da M., che duri almeno un’ora e mezza, due ore … un filmetto con la classica che si scopa qua e là, ti dà anche 20.000 euro … faccio un filmetto dove ti devi scopare quattro fighe, potrei - già che ci sono - fare filmetti tailandesi un po’ little vergini, una scopata … sai che ci sono … che ci sono tutte fighettine”.
La circostanza prova che l’imputato non si era limitato ad aderire ad un progetto di altri, così cadendo nella “trappola” tesagli dall’agente sotto copertura, ma che – invece – era l’ideatore, il promotore e l’anima del turpe mercato che credeva di stare organizzando.
A conferma di tale affermazione basti ricordare che il sig. G.S. ha, come si è accennato, effettivamente realizzato filmini che lo ritraevano mentre si accoppiava con ragazze nonché fotografie di altre giovani e bambine nude e con i genitali in vista. Il materiale in questione è acquisito in atti e si aggiunge a quello rinvenuto sul PC dell’imputato - copiato su DVD dalla Polizia Postale nel periodo in cui il prevenuto era ospite di M.S. in Italia - ed a quello pervenuto a seguito della rogatoria svolta in Tailandia. L’imputato doveva essere ben deciso a “mettersi in affari” se si era immediatamente applicato al suo intento di realizzare il nuovo catalogo di cui aveva discusso con l’ispettore C. ed i film che lo ritraevano mentre aveva rapporti sessuali con “tailandesi little vergini” da vendere ad amanti del genere.
E che tale materiale fosse destinato, almeno in parte, alla realizzazione del progetto di cui si è detto emerge con chiarezza dal fatto che il G.S. aveva portato le fotografie scattate con il suo cellulare al ritorno dalla Tailandia, nel 2005, fotografie registrate in una chiavetta USB il cui contenuto aveva subito mostrato al M.S. e, soprattutto, all’ispettore C. che erano andati ad attenderlo all’aeroporto di Malpensa. Nella circostanza l’operante aveva portato il suo PC sul quale aveva di nascosto riversato il contenuto della chiavetta ed aveva provveduto ad ottenere un decreto di intercettazione delle conversazioni che si erano svolte a bordo dell’autovettura.
Ulteriore elemento che conferma la serietà delle intenzioni del sig. G.S. è una telefonata intercettata sulla sua utenza mobile il 19/9/2004 nel corso della quale l’imputato chiede al suo interlocutore, parente di un tassista tailandese, se il suo congiunto esercita ancora quella attività perché è sua intenzione utilizzarlo in caso l’affare vada in porto (“Perché adesso, se mi va bene ‘sto business, lo prenderò anche come tassista quando arrivano gli amici, magari gli dico vai a Bangkok a prenderli e portali giù a Pattaya, e allora dopo parlerò per quello per mettermi d’accordo, hai capito così se viene giù qualche amico senza star lì gli dico, telefono, guarda che arrivano alle ore tal dei tali all’aeroporto”). E’ evidente l’intenzione del sig. G.S. di offrire ai turisti un “pacchetto” il più completo possibile e, pertanto, allettante, pacchetto che avrebbe dovuto comprendere trasporto da e per l’aeroporto, vitto, alloggio e … catalogo delle bambine con cui avere rapporti sessuali.
La serietà di tale proposito è dimostrata, oltre che dai discorsi intervenuti con M.S. e C. e dai contatti con la persona che avrebbe dovuto procurare il taxi per i turisti, anche dal fatto che l’imputato aveva dato un primo concreto avvio alla redditizia attività di “intermediazione” in occasione degli incontri avuti con la troupe de “Le Iene” che si era recata in Tailandia per effettuare un servizio giornalistico sul turismo sessuale.
Detti incontri erano avvenuti a Pattaya negli ultimi giorni dell’aprile 2005. In tal senso si è espresso N.R., giornalista ed autore del servizio, che ha dichiarato di essere partito per la Tailandia il 26 aprile 2005 e di aver incontrato l’imputato il successivo 28 (cfr. verbale udienza 24/10/2006 pg. 78 e seg.).
Il filmato realizzato nella circostanza è acquisito in atti ed è stato visionato in udienza e la relativa trascrizione integrale, oggetto di consulenza disposta dal P.M., è stata depositata al fascicolo del dibattimento stante anche l’avvenuta deposizione in udienza del consulente del P.M.
Da tali documenti emerge che il primo appuntamento con l’imputato era stato fissato in un centro commerciale. Sin dalle prime battute il sig. G.S. aveva mostrato i suoi interessi sessuali e raccontato le sue “prodezze”, fornito indicazioni sui luoghi, sulle modalità e sui prezzi degli incontri con bambini, si era offerto di procurare ai suoi interlocutori – che credeva condividessero i suoi gusti – incontri con minori.
Vale la pena - per dare conto compiutamente della personalità e delle conoscenze in materia del prevenuto nonché del suo proposito di sfruttare tali conoscenze per “mettersi in affari” - riportare integralmente le sue affermazioni.
Il sig. G.S. così si esprime: “E’ una pacchia, non è mica l’Italia qua … è il paradiso! Qua non c’è alcun problema di nessun tipo per quanto riguarda il divertimento … Voi avete delle esigenze particolari? Io son di V., ma di Pattaya oramai! Due mesi l’anno vado in Italia per lavorare, faccio un po’ di soldi poi vengo qua … perché non trovi la figa, cioè trovi quelle della mia età, tardone che te la danno, ma quando sei abituato qua, chi la cerca una cinquantenne? … subito quando vengo qua io mi scateno, due o tre alla volta … Rispetto a una volta (ce ne sono di meno giovani) perché ormai con le leggi bisogna stare attenti perché con le tatine si va anche a finire in galera, c’è tanta polizia in borghese. Addirittura in Cambogia stanno chiudendo tutto, chi rompono i coglioni sono gli europei … state in Europa, cazzo e non rompete i coglioni. In Cambogia hanno fatto una conferenza e hanno destinato un tot di soldi per la Cambogia … a patto che chiudessero un po’ di queste case e, infatti, ne stanno chiudendo un fracco. E addirittura c’è la polizia europea che gira con la telecamera per filmare … Se voi avete delle esigenze particolari io qualche movimento ce l’ho, costa un po’ di più naturalmente … per ora c’ho due o tre ragazzine, che bisogna telefonare, chiedono un po’ di più, però carine! Due o tremila bath, perché c’è sempre la mamma dietro … dodici - tredici, undici- dodici anni. Ecco bisogna stare attenti che non trovi quella che ti denuncia, se c’è la mamma no, ma se c’è qualche amica magari. Ormai è diventato tutto troppo commerciale, non è più come una volta! In Cambogia c’era pieno zeppo … cazzo rompono i coglioni … gli europei …e qua gli italiani! In Cambogia puoi andare sia alla capitale che a Chinos Vil che è sul mare … (trovi bambinette) da sette anni … sei, sette anni si trova. Lì mi ricordo quando ci sono andato, si chiama “Km 11” … lì c’erano tutte ‘ste casine e le mamasan che portavano le bambinette lì. Solo che purtroppo adesso non è più così! Adesso mi son fatto questa fidanzata qua che mi è utile perché lavora. Quando è a casa mi pulisce la casa, lava, stira, fa tutto … io neanche mi lavo. Allora adesso il movimento si svolge su questa beach qua, in fondo c’è la “Soi Sei” e lì ci sono cinquanta/sessanta bar e in ogni bar ci son dentro trenta/quaranta fighe … si va dentro, due o tre di loro vengono lì, vengono per farti una pompa, per toccarti l’uccello, farti una sega … anche di pomeriggio … per qualsiasi cosa avete il mio numero di telefono e vi organizzo.”
In serata era avvenuto il secondo incontro al termine del quali il sig. G.S., dopo aver nuovamente vantato le possibilità offerte da quel “paradiso” e le sue prodezze sessuali (“Io è da tre anni che sono qua, avrò scopato quattrocento fighe, cinquecento fighe e poi altri cento katoi. Quando sono venuto qua ho detto: cazzo il paradiso esiste, è qua! Qua trovi in guro di tutto. Trovi. Con uomini, con donne, con ragazzine … tutto, hai capito? Gli unici che criticano … italiani) si era allontanato per dedicare le sue attenzioni ad una ragazza.
Il giorno dopo, sempre in un centro commerciale l’imputato presentava agli “amici” la sua nuova convivente (una giovane di ventotto anni a suo dire troppo vecchia per lui), raccontava ancora le sue “prodezze” (“Io non ho bisogno di viagra, io ho l’uccello sempre duro con ‘ste fighette qua. Prima mi carico queste fighette qua, vado a casa e questa è sempre pronta … io ho sempre l’uccello duro, cinquantacinque anni, eh! Faccio anche due scopate al giorno!”) e, infine, iniziava a parlare di affari proponendo loro una bambina per un rapporto sessuale, raccontando la sua esperienza di convivenza con una minore, dando indicazioni su come “abbordare” piccole vittime e riferendo i suoi propositi di intraprendere un “business” per sfruttare le sue conoscenze nel campo della prostituzione minorile.
Si riporta quanto detto dal sig. G.S.. “Ho parlato con un mio amico, ne abbiamo una … è molto giovane, adesso la sente … penso che vogliano diversi soldi … quasi quattro o cinquemila bath, hai capito? Bella, bellissima, giovane, hai capito? Dodici anni … di meno è molto difficile! Io l’anno scorso avevo una ragazzina di quattordici anni, è stata con me tre mesi., era sempre a casa perché … quando voleva uscire, due volte l’hanno vista i miei amici italiani: “Oh, con quella ragazzina lì, sei un porco, sei un pedofilo … però che bella che è, me la fai scopare?” Ma va a cagare, allora l’ho sempre tenuta a casa, lei ci stava volentieri. Andavamo al supermercato a fare la spesa, lei si prendeva le penne colorate, i quadernini, le bamboline e io gliele prendevo … forse era anche orfana. Dopo mi è dispiaciuto, ma ho avuto un po’ paura … Devi solo beccare una che arriva con l’autobus con lo zainetto, la vedi … io la chiamavo quando andavo alla fermata degli autobus quando vedevo quella con lo zainetto, disperse, vestite con le braghettine corte e con le ciabatte, allora le chiamavo “Vieni da me, ti ospito io” … pensa che gli davo ogni tanto cento bath … dico, comprati un paio di braghine, qualcosa … mi comprava magari un cd per me… sembrava proprio una bambina di dodici anni, era proprio una tatina! (I miei amici) mi hanno detto: “Però, che carina che è, me la fai scopare?” No, glielo metto dentro tutto … tutto, ma io però. Io me la scopo, teste di cazzo! … Si può fare anche qua. Quando sono arrivato ho girato l’interno, c’erano di quelle tatine, tre alla volta sul motorino, appena gli fai vedere un po’ di soldi .. e li è solo che bisogna essere organizzati un pochino. Il prossimo anno organizzo bene tutti i movimenti, voglio prendere un appartamentino o una stanza fuori e poi bazzicare quelle zone perché qua c’è troppo controllo”.
In serata, poi, l’imputato invitava a cena a casa sua il sig. Remisceg e si lasciava andare ai racconti più significativi concretizzando, infine, l’offerta di procurare una bambina per prestazioni sessuali.
Ancora si riporta la trascrizione integrale di quanto detto dal prevenuto.
“(In Italia) non si trova più un cazzo … Io non sono mai stato introdotto in quel giro lì (di pedofili), adesso vengo qua e mi è piaciuto, l’ho scoperto qua più che altro. Mi sono sempre piaciute le ragazze giovani, ma non pensavo di arrivare a dodici/tredici anni, questo lo faccio qua! Se le avessi in Italia lo farei anche in Italia, però sai la questione è di moneta, qua tutto sommato si poteva fare e si può fare ancora. Io quando sono venuto qua ho detto “Questo è il paradiso per me!”, poi ho scoperto la Cambogia! Una volta ci sono stato venti giorni, ho fatto la capitale, ho fatto una città sul mare, poi dopo mi sono trovato con uno un po’ anziano, settanta anni … tutto il giorno scopava. Settant’anni, tutti i giorni a volte anche due. … Abbiamo fatto venti giorni … cazzo che figata! E’ molto squallido! Son delle baracche con tutte stanzine e un letto, però vedi tutte ‘ste fighette … quando ne hai tre arrivi si e no a trentacinque anni … una ti fa una pompa, una ti sta di qua … tiri fuori da una parte, tiri fuori dall’altra, credimi è una cosa impressionante. Altro che viagra! Se ne trombano due o tre alla volta … non c’è proprio problema! Quindici anni massimo! Dai sette si parte , dai sette ai quattordici.”
Dal filmato si rileva che durante la cena si era presentato un amico dell’imputato accompagnato da una ragazza di sedici anni, la sorella di quella (dodicenne) che era stata offerta al sig. Remisceg. L’uomo si era trattenuto pochi minuti durante i quali aveva parlato con il sig. G.S. che, appena l’amico era andato via, aveva riferito ai suoi ospiti che c’era la possibilità di combinare l’affare.
Anche in questo caso si preferisce riportare le affermazioni del prevenuto.  
“C’ha una sorellina. Io la trovo molto carina e bella e brava, però dovete parlare con la madre. L’ho conosciuta anche io, è un bel fighino! Io non l’ho mai trombata, sono andato su che era ancora vergine. Voleva ventimila bath. (Due anni fa) era ancora vergine, voleva ventimila bath per sverginarla. (Li ha chiesti) la madre. Loro non sanno un cazzo. Loro, le bambine, non parlano neanche! (Parli tu) con la madre. Io, quando abitavo là, mi portavo la madre con la figlia, la madre la facevo stirare .. e intanto mi scopavo la figlia … Qua, invece, con questa qua sono andato in casa sua e … sua madre mi faceva i massaggi, per modo di dire … e io intanto palpavo il fighino alla tatina, Poi ho deciso di scoparla, era vergine e voleva ventimila bath! Vergine! Avevo fatto anche delle foto. Anche, per dire, un bel servizio … Avevo fatto tutto quanto bene, perché io classifico … avevo messo addirittura l’asterisco, la stellina qua e là, chi era brava, chi voleva cento, chi voleva duecento, chi voleva mille. Mi era saltato il computer … porca vacca, mi son cancellato tutto! Tutte le foto che avevo fatto! Della dodicenne c’è un filmetto! La cassetta mi è rimasta, di cassette ne ho tre o quattro … c’era lei e delle altre”.
Al termine della serata, poi, il sig. G.S. riprendeva con i suoi ospiti il discorso sulle modalità da usare per adescare i bambini e raccontava loro un fatto che aveva già confidato all’amico M.S., dicendo: “(In un centro commerciale) c’erano tutti i giochi sopra, loro giocavano ai giochetti … ti, ti, ti, ti … io andavo in giro … “ehi bella lì” e intanto gli facevo vedere i cento bath. Io scopavo lì, andavo sopra … andavo sopra a scopare, perché io sono sempre così, pronto a scopare! Quando ne vedo uno solo sono eccitato, tiro giù le braghine, via le mutandine, tocco la fighetta, tin, tin, tin, mi eccitavo … ‘Ste tatine non sanno un cazzo! Poi qualcuna sono riuscita a portarmela a casa … Tredici, quattordici anni. Mi sono fatto fare una pompa da un ragazzino una volta … avrà avuto dodici anni, c’aveva un visetto da bambina, no!? Sembrava una bambina … Era un bambino, me lo sono portato al cesso, mi ha fatto una pompa … al centro commerciale!”.
L’esame dei discorsi fatti dall’imputato durante i suoi incontri con il sig. Remisceg non lascia adito a dubbi di sorta: la precisione dei racconti, la dovizia di particolari, la quantità e qualità delle informazioni date consentono di escludere con certezza che possa trovare credito la versione difensiva che nella specie si fosse trattato di mere vanterie.
Né può sfuggire la coerenza di quanto affermato dal sig. G.S. in questa occasione con quanto aveva detto all’amico M.S. prima ed all’ispettore C. poi, coerenza che riguarda non solo l’impianto complessivo delle pretese vanterie, ma anche i particolari – ivi compresi quelli più significativi. Basti, in proposito, ricordare la convergenza della descrizione fatta della relazione intrattenuta con la ragazzina di quattordici anni, delle richieste degli amici italiani che volevano avere rapporti sessuali con lei e delle reazioni avute dall’imputato; ovvero rammentare le indicazioni fornite sui luoghi ove si potevano avvicinare i minori, sulle modalità di adescamento, sui compensi da corrispondere per i rapporti sessuali ovvero sul ruolo svolto dalle madri che accompagnavano i più piccoli; ovvero, ancora, tenere presente quanto riferito in ordine all’episodio svoltosi nei bagni del centro commerciale relativo al rapporto orale che il prevenuto si era fatto praticare da un bambino dopo aver scoperto che era un maschietto e non una femmina come aveva pensato in un primo momento. Troppe, e troppo significative, sono le convergenze per consentire di far dubitare della autenticità del racconto.
E, del resto, che il sig. G.S. non si limitasse a vantarsi di attività sessuali, conoscenze e possibilità inesistenti, emerge con chiarezza da quanto riferito dal teste Remisceg sui rapporti avuti con l’imputato dopo la cena di cui si è detto.
Il giornalista, difatti, ha riferito (pg. 79 e seg. verbale udienza 24/10/2006) che circa trenta/quaranta minuti dopo che aveva lasciato la casa dell’imputato questi gli aveva telefonato dicendogli che “l’affare” si poteva combinare e che avrebbe potuto, di lì a poco, incontrare la dodicenne che gli era stata promessa. Il teste ha aggiunto che era riuscito a prendere tempo rinviando l’incontro al giorno successivo, ma che poi l’affare non era andato in porto perché il G.S. nel corso di un’altra telefonata gli aveva fatto capire che qualcuno lo aveva avvisato di stare attento perché le persone con cui aveva trattato potevano essere giornalisti o poliziotti.
Il rapporto si era, perciò, interrotto ed il sig. Remisceg non era più riuscito a vedere il filmato della dodicenne cui l’imputato si era riferito durante la cena, filmato che era a casa del prevenuto e che la sera prima non era stato possibile visionare perché la telecamera di G.S. non funzionava. La telefonata nella quale l’imputato aveva chiuso i rapporti era giunta proprio mentre il sig. Remisceg si trovava in un centro commerciale per acquistare una telecamera (“La telefonata è avvenuta il giorno dopo. Io avevo bisogno, perché era una prova importante … non solo vedere ma filmare il filmato … mi sono ingegnato per avere un’altra telecamera funzionante. Ero in un centro commerciale e ne stavo comprando una. Chiamai G.S. e lì capii, lui mi disse “No, no, no il filmato non te lo faccio vedere … ho incontrato un amico, mi ha detto “non ti fidare di quelli lì. Possono essere della televisione o possono essere della Polizia” l’abbiamo sentito agitato” pg. 81/82 verbale cit.)
Degli incontri avvenuti in Tailandia il sig. Remisceg aveva reso edotta la Polizia Postale che, nel frattempo, stava proseguendo le indagini sia attraverso la collaborazione di M.S. - che, come si è visto manteneva rapporti con l’imputato tramite MSN Explorer – e l’attività sotto copertura dell’ispettore C. che attraverso altre acquisizioni probatorie.
Tra l’altro giova ricordare che, durante la permanenza dell’imputato presso l’abitazione di M.S. nei primi giorni del settembre 2004, gli operanti avevano acquisito copia di materiale presente nel pc del prevenuto, operazione per la quale il P.M. aveva emesso regolare provvedimento di sequestro e ritardato deposito.
Il materiale in parola, che verrà esaminato più approfonditamente in seguito, è costituito tutto da immagini realizzate sfruttando minori in attività pornografiche, così come quello, successivamente acquisito, sia in occasione del ritorno in Italia del sig. G.S. che mediante rogatoria internazionale in Tailandia.
Occorre, infatti, precisare che nel periodo in cui si era trattenuto in Tailandia l’imputato aveva promesso di portare, al suo ritorno in Italia, fotografie e filmati raffiguranti i minori con i quali aveva avuto rapporti sessuali, immagini che sarebbero dovute servire proprio per avviare, con Max Siluro e M.S., le iniziative economiche di cui avevano parlato.
Il 23/6/2005 il sig. G.S. era tornato in Italia e l’ispettore C. si era recato all’aeroporto in compagnia di M.S. ed a bordo della macchina di questi, una Nissan Almera, sulla quale era stata installata l’apparecchiatura necessaria per procedere alla registrazione delle conversazioni tra presenti debitamente autorizzata. 
In quella occasione l’imputato aveva portato le fotografie di cui si è prima detto registrate in una chiavetta USB successivamente sequestrata, mentre l’operante aveva un p.c. che aveva usato per vedere le immagini e, senza che il G.S. se ne avvedesse, copiarle.
Tali immagini, come le altre acquisite nel corso delle indagini, sono state riprodotte su cartaceo dal consulente del P.M. e su CD dal perito del Tribunale che ha verificato l’esatta corrispondenza tra quanto sequestrato e quanto visionato e stampato dal consulente.
Per quello che qui interessa va detto che all’arrivo l’imputato aveva mostrato agli amici che erano andati a prenderlo le fotografie delle giovani con le quali, per usare il suo gergo, aveva “trombato” fornendo precisazioni sulle loro capacità amatorie ed anche sulla loro età. Il colloquio è riportato nel processo verbale di trascrizione delle conversazioni tra presenti in data 24/6/2005 acquisito in atti sull’accordo delle parti. Dall’atto emerge che il sig. G.S., dopo aver narrato del rapporto sessuale avuto con una ragazza incinta, aveva precisato che le fotografie immediatamente successive ritraevano due bambine, una di tredici anni ed una di quattordici, ed aveva aggiunto che, comunque era “tutta roba giovane”.
La circostanza, come si vedrà meglio in seguito, ha significativo rilievo ai fini del giudizio di penale responsabilità dell’imputato atteso che - per i motivi che si esporranno - la minore cui l’imputato attribuisce l’età di tredici anni deve essere identificata nella ragazzina ritratta nella fotografia denominata “Mod 5” e, cioè, nella bambina che nel capo di imputazione sub 3) è indicata come una delle vittime del reato ex art. 609 quater c.p. ascritto al prevenuto.
In relazione a tale minore, quindi, dalla intercettazione ambientale sono emersi elementi che consentono di superare le valutazioni, espresse in termini di probabilità e non di certezza, della dott.ssa Cn, valutazioni che - come si è visto - sono relative allo sviluppo sessuale delle ragazze ritratte e che, per quanto attiene all’accertamento dell’età biologica (stimata come superiore ai quattordici anni), si basano su dati statistici significativi ma non assoluti. 
Il materiale di cui si discute non è che una piccola parte di quello rinvenuto all’imputato e si differenzia dal rimanente per essere di produzione, per così dire, artigianale essendo stato realizzato direttamente dal sig. G.S. con la videocamera od il cellulare anche al fine di mostrarlo ai futuri soci dell’affare che intendeva realizzare sfruttando le potenzialità economiche che offre il cd. “turismo sessuale”.
Le altre immagini presenti nel fascicolo del dibattimento, invece, sono state “scaricate” dall’imputato ed acquisite con il provvedimento di sequestro e ritardato deposito emesso quando il prevenuto era ospite del sig. M.S. in Italia, ovvero con la rogatoria internazionale effettuata, dopo l’arresto, in Tailandia.
Giova, infatti, precisare che il sig. G.S. era stato arrestato, in esecuzione del decreto di fermo emesso dal P.M., mentre – il 14/9/2005 – si stava recando all’aeroporto per imbarcarsi su un volo diretto, appunto, in Tailandia.
Il successivo 27 settembre il P.M. avanzava richiesta di assistenza giudiziaria per procedere alla perquisizione dell’appartamento in uso all’imputato a Pattaya, perquisizione che veniva eseguita il 2/3/2006 dalla Polizia locale assistita da personale della Polizia Postale di Milano.
Anche in relazione a tale atto sono state sollevate riserve poiché la difesa ha osservato che l’abitazione sottoposta a perquisizione era ubicata ad un indirizzo diverso da quello indicato nella rogatoria, mentre l’imputato ha negato di aver mai posseduto il materiale in sequestro ed ha espresso sospetti sul conto di M.S. che, a suo dire, si era recato più volte in Tailandia dopo il suo arresto ed aveva libero accesso al suo p.c.
La questione non ha particolare rilievo perché in relazione al possesso del materiale pedopornografico scaricato da internet ed acquisito con rogatoria internazionale non è stata sollevata imputazione trattandosi di reato (art. 600 quater) commesso all’estero e per il quale non si è proceduto in Italia non consentendolo l’art. 604 c.p.
Ritiene, tuttavia, il collegio che sia opportuno affrontare - seppur brevemente - le questioni sollevate dalla difesa e dall’imputato perché la detenzione di un così ingente numero di immagini realizzate sfruttando minori consente di meglio illuminare la personalità del sig. G.S. e chiarire le sue preferenze sessuali.
Quanto alla diversità tra l’indirizzo originariamente indicato nella rogatoria e quello ove si trovava l’abitazione del sig. G.S. va detto che il “mistero” è stato chiarito già nel corso dell’esecuzione dell’atto poiché – come emerge dalla annotazione inerente l’attività svolta in Tailandia – si è accertato che vi era stato un mero errore materiale nella richiesta di assistenza relativo ad uno dei numerosi numeri che compongono l’indirizzo, errore corretto prima dell’effettuazione della perquisizione.
Qualche parola in più merita l’assunto dell’imputato che ha incolpato M.S. di aver introdotto nell’hard disk le immagini pedopornografiche rinvenute, così come - del resto - aveva fatto in relazione alle altre fotografie (la cui detenzione è contestata sub 4) realizzate sfruttando minori, trovate nel settembre 2004 in Italia (quando il G.S. era ospite dell’amico) ed oggetto di sequestro e di ritardato deposito.
Si tratta, con evidenza, dell’ennesimo tentativo di screditare la testimonianza di M.S. che il prevenuto ha ben compreso essere rilevante.
Questa volta, però, il sig. G.S. ha aggiunto nuovi elementi sostenendo che il teste si recava in Tailandia accompagnato dalla moglie e dalla figlia che “spediva” nel villaggio natale della donna trattenendosi a Pattaya ove si dedicava al turismo sessuale. L’uomo, a dire dell’imputato, sarebbe stato “pizzicato” dalla Polizia e, per salvarsi, avrebbe denunciato falsamente l’amico. 
Tralasciando il fatto che la spiegazione fornita dal sig. G.S. è priva di qualsivoglia anche minimo riscontro, va detto che la stessa appare, a dir poco, fantasiosa.
Non si comprende, infatti, perché M.S. “pizzicato” in Tailandia abbia collaborato al suo rientro in Italia con la Polizia Postale che, di certo, non poteva intervenire in suo favore con le autorità tailandesi invece di offrire a queste ultime il suo aiuto per “incastrare” l’amico e guadagnarsi l’impunità. Né si può pensare che a “pizzicare” M.S. sia stata la Polizia italiana che avrebbe, poi, garantito al collaborante l’immunità: il nostro sistema prevede l’obbligatorietà dell’azione penale e non conosce istituti – tipici dell’ordinamento anglosassone – che avrebbero consentito di “patteggiare” l’impunità sicché il collaborante sarebbe stato, comunque, sottoposto a procedimento penale se avesse commesso reati del tipo di quelli che sono contestati a G.S.. Cosa che non è avventa.
Il maldestro tentativo dell’imputato di attribuire a M.S. la disponibilità delle fotografie pedopornografiche si spiega facilmente con la necessità di incolpare altri della detenzione di immagini che sono un devastante campionario di perversione e brutalità, come sempre si verifica in casi di questo genere. Ed, anzi, le fotografie rinvenute a G.S. sono, se è possibile, ancora più terrificanti di quelle che normalmente si ha modo di osservare in processi di questo tipo.
Ci si riferisce, in particolare, alle immagini contenute nella consulenza redatta da Alessandro Gobbi per il P.M. e relativa al “materiale informatico sequestrato a L’imputato G.S.” (affoliazione 00683 del P.M.). 
Qui a fotografie di minori ed adolescenti impegnate in coiti orali ed, a volte, con la bocca sporca di liquido seminale (si indicano a mero titolo di esempio le fotografie nr. 2, 17, 19, 21, 75, 76, 77, 83 etc), si alternano immagini di ragazzine penetrate con il pene (es. fotografie nr. 1, 6, 31, 71 etc) con le mani, (fotografia 58), con oggetti vari (es. fotografie 30, 55 etc) e, perfino, con frutta (fotografia nr. 80), ovvero minori impegnati in interazioni sessuali di vario genere, anche con più persone (fotografie 7, 66, 74 etc). Raccapricciante, poi, è l’immagine (fotografia nr. 59) di due bambine che praticano sesso orale ad un cane.
Della raccolta e della visione di siffatte immagini si beava l’imputato!
E ciò a tacere delle fotografie acquisite con rogatoria internazionale non oggetto di contestazione e, comunque, probanti degli interessi sessuali dell’imputato e della sua spiccata predilezione, in tale ambito, per i bambini.
Tale materiale, come si è visto, è stato sequestrato in parte dopo l’arresto del sig. G.S. quando, nel marzo 2006, veniva eseguita la rogatoria internazionale richiesta dal P.M. con l’effettuazione della perquisizione in Tailandia. In quella occasione gli operanti riuscivano solo a riversare su DVD il contenuto di un hard disk dovendo rispettare i tempi stabiliti per l’incombente. Successivamente, durante il giudizio, l’Ambasciata Italiana in Tailandia inviava tutto il materiale oggetto di sequestro e, tramite perizia disposta dal Tribunale, si accertava l’assoluta corrispondenza delle immagini, sviluppate dal consulente tecnico del P.M. dal DVD acquisito all’atto della effettuazione della rogatoria, con quelle estratte dal perito del tribunale dall’hard disk inviato dall’Autorità Consolare. 
Il sig. G.S., nel frattempo, era stato tratto in arresto nel settembre 2005 in esecuzione del decreto di fermo emesso dal P.M. e convalidato dal G.I.P., nel mentre si accingeva a partire per la Tailandia.
2)     ESAME DELLE PROVE E CRITERI DI VALUTAZIONE ADOTTATI
Nel ricostruire la vicenda processuale si è già dato conto dei criteri di valutazione adottati in riferimento ad alcune delle prove assunte.
Si intende, ora, approfondire il discorso ampliandolo anche alle altre prove e, nel farlo, si ritiene di prendere le mosse da alcune affermazioni fatte dal P.M. nella requisitoria ed, in particolare, dalle annotazioni relative alla rilevanza, che nella specie, avrebbe la cd. “prova logica”.
Il P.M. ha ricordato l’indirizzo della Suprema Corte secondo il quale “la causale del reato può essere valorizzata solo allorquando la correlazione con gli altri indizi analizzati in precedenza consente di pervenire nel quadro di una valutazione globale dell’insieme all’affermazione che il complesso indiziario ha raggiunto la soglia della rilevanza della prova. Il giudice deve dapprima esaminare e valutare gli elementi indiziari in atti e poi formulare un apprezzamento della loro concordanza”. Nel caso in esame sussisterebbe un quadro indiziario grave, univoco e concordante che ha raggiunto la soglia della rilevanza della prova.
Tale impostazione è stata criticata dalla difesa che, tra l’altro, ne ha tratto argomenti per affermare la debolezza del complessivo impianto accusatorio.
In particolare il difensore ha rilevato che, nel caso in esame, il P.M. si era concentrato sulle parole del sig. G.S. tentando di far diventare oggettivo ciò che non lo era e, sostanzialmente, mutando quello che era un giudizio morale sull’imputato in prova dei fatti a lui contestati. Le parole del prevenuto, però, erano - appunto - solo parole, una sorta di “confessione” stragiudiziale cui non si poteva attribuire alcun rilievo probatorio.
Le, pur apprezzabili, argomentazioni della difesa non possono trovare accoglimento atteso che nella specie non si discute di un quadro indiziario grave univoco e concordante, ma pur sempre indiziario, bensì di fonti di prova ed, anche, di prove dirette che, tutte, concorrono a fondare il giudizio di colpevolezza formulato a carico del sig. G.S..
Nessuno può dubitare, invero, che sia prova diretta la testimonianza resa dal sig. M.S. in ordine, quanto meno, ai comportamenti tenuti dall’imputato alla sua presenza e da lui direttamente percepiti.
Giova, in proposito, ricordare che il teste ha – tra l’altro - riferito di aver visto il sig. G.S. molestare sessualmente i bambini che frequentavano la piscina dell’albergo di Pattaya, di aver ricevuto la proposta di acquistare filmati pedopornografici, di aver visionato – collegandosi con lui via MSN Explorer – la registrazione di un rapporto sessuale del prevenuto con una ragazzina.
Della attendibilità di questa testimonianza si è già detto ampiamente in precedenza e alle considerazioni ivi espresse ci si riporta.
Al momento si ribadisce solo che nella valutazione di questa come delle altre testimonianze il tribunale si è rigorosamente attenuto ai criteri indicati dalla Corte che  ha più volte affermato che “in tema di valutazione della prova, e con specifico riguardo alla prova testimoniale, il giudice, pur essendo indubbiamente tenuto a valutare criticamente, verificandone l’attendibilità, il contenuto della testimonianza, non è però certamente tenuto ad assumere come base del proprio ragionamento l’ipotesi che il teste dica scientemente il falso o si inganni su ciò che forma l’oggetto essenziale della propria deposizione, salvo che sussistano specifici e riconoscibili elementi atti a rendere fondato un sospetto di tal genere. Ciò significa che, in assenza di siffatti elementi, il giudice deve partire invece dal presupposto che il teste, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua conoscenza e deve, perciò, limitarsi a verificare se sussista o meno incompatibilità fra quello che il teste riporta come certamente vero, per sua diretta conoscenza, e quello che emerge da altre eventuali fonti probatorie di pari valore” (Cass. sez. I, 27/3/1992 nr. 3754, conf. Sez. I 23/3/1994 nr. 653, Sez. I 3/8/1993 nr. 7568, Sez. IV 17/9/1990 nr. 12486).
E’ per tale motivo che, dato per presupposto che nessuno dei testimoni abbia “scientemente detto il falso” ovvero si sia “ingannato su ciò che formava oggetto della deposizione”, si è effettuata una valutazione critica di ciascuna testimonianza procedendo ad una rigorosa analisi sia della credibilità del teste sotto il profilo, ad esempio, della sua indifferenza rispetto alle parti in causa sia dell’attendibilità del contenuto della deposizione, con riguardo tra l’altro alla coerenza e logicità del racconto ed alla verosimiglianza della versione fornita.
Qualche ulteriore considerazione va svolta in ordine alla utilizzabilità ed alla valenza probatoria della testimonianza quando la stessa abbia ad oggetto le dichiarazioni dell’imputato.
Va, in proposito, evidenziato che in tal caso non si può dubitare che il teste riferisca ciò che è a lui noto per scienza diretta in quanto oggetto della sua deposizione è esclusivamente il racconto di quello che il prevenuto ha, a lui o alla sua presenza, detto. In questa ipotesi, quindi, la testimonianza è prova del fatto che l’imputato si è espresso nel modo riferito dal teste.  
In ogni caso, poi, anche ove si volesse ritenere che si verta in ipotesi di testimonianza indiretta, si dovrebbe, tuttavia, ricordare che, se la fonte cui il teste de relato si è riferito per la conoscenza dei fatti è l’imputato, le dichiarazioni rese da detto teste sono pienamente utilizzabili anche nel caso in cui non venga escussa la fonte diretta di conoscenza “data la sostanziale differenza tra l’ipotesi in cui il dichiarante si riferisce ad una terza persona informata dei fatti … e quella in cui il riferimento sia fatto all’imputato del medesimo processo, già giuridicamente o fisicamente presente in giudizio ed in grado di replicare, nonché in considerazione della possibilità di ampia difesa garantita all’imputato dalla facoltà prevista dall’art. 494 c.p.p.” (Cass. Sez. I, 28/10/1998 nr. 11320).
L’affermazione che precede consente di superare la questione, che pure si è posta, del contrasto esistente tra le testimonianze e le dichiarazioni dell’imputato che, non solo è stato fisicamente presente in giudizio ed in grado di replicare, ma ha concretamente replicato fornendo la sua versione dei fatti nel corso dell’esame. Orbene il sig. G.S. non ha, sostanzialmente, negato di aver fatto le affermazioni riferite dai testi ed, in particolare, da M.S., limitandosi a sostenere che si trattava di pure vanterie non rispondenti al vero. Tale assunto, però, non solo non inficia l’attendibilità della testimonianza ma, anzi, la rafforza in quanto è lo stesso imputato a dire che quei racconti e quelle confidenze sono, effettivamente, avvenuti.
Né si può obiettare che il teste non può comunque riferire sul contenuto delle dichiarazioni rese dall’imputato stante il divieto sancito dall’art. 62 c.p.p. Come, difatti, osservato dalla Corte con indirizzo che si ritiene di condividere “il divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell’imputato o dell’indagato, sancito dall’art. 62 c.p.p., essendo diretto ad assicurare l’inutilizzabilità di quanto raccolto al di fuori degli atti garantiti dalla presenza del difensore e pervenuto attraverso la testimonianza di chi dette dichiarazioni abbia ricevuto in qualsiasi maniera, presuppone che dette dichiarazioni siano state rese nel corso del procedimento e non anteriormente o al di fuori del medesimo: il divieto, in quest’ultima ipotesi, non può, infatti, operare assumendo l’oggetto della testimonianza, nel suo contenuto specifico, valore di fatto storico percepito dal teste e, come tale, valutabile dal giudice alla stregua degli ordinari criteri applicabili al detto mezzo di prova” (Cass. Sez. VI 9/12/1998 nr. 12904). Dalla narrazione della vicenda che si è fatta emerge con evidenza che le dichiarazioni di cui si discute sono state rese dal sig. G.S. a M.S. anteriormente e fuori del procedimento, in occasione del soggiorno di questo ultimo in Tailandia in un momento in cui non aveva neppure ancora deciso di prendere contatto con la Polizia Postale. Tali dichiarazioni, quindi, hanno valore di “fatto storico percepito dal teste, come tale valutabile dal giudice alla stregua degli ordinari criteri applicabili al detto mezzo di prova” criteri di cui si è ampiamente detto in precedenza.
Da ultimo, ma non per ultimo, va ribadito che le considerazioni che precedono riguardano unicamente – come si è già detto – l’ipotesi in cui il teste si è riferito alle dichiarazioni dell’imputato e non certamente ciò che è a lui noto per avervi assistito direttamente, seppure in parte.
Non è certamente, difatti, una forma di testimonianza indiretta “la rappresentazione di fatti ai quali il teste abbia assistito solo per una parte, ma che tuttavia consenta di ricostruire per intero, sia pure in via di logica consequenzialità, i medesimi fatti nella loro totalità” atteso che “la ratio dell’art. 195 c.p.p. consiste non nell’impedire, sempre e comunque, qualsiasi esposizione di fatti non verificatisi sotto gli occhi del dichiarante, ma semplicemente nel consentire un controllo di conoscenza” (Cass. Sez. I, 6/5/1998 nr. 5285).
Le stesse considerazioni valgono in relazione ai criteri adottati nella valutazione della testimonianza del sig. Remiscegh che, per la sua conoscenza dei fatti, si è riferito sia a quanto dichiarato dall’imputato che a quanto da lui direttamente percepito.
Oggetto della deposizione in esame, invero, sono state sia le affermazioni del sig. G.S. - peraltro riprodotte nel filmato in atti che costituisce prova documentale anche autonomamente valutabile – sia i comportamenti da questi tenuti alla presenza del teste.
Basti, in proposito, ricordare la condotta serbata dal prevenuto durante la cena svoltasi a casa sua quando aveva ricevuto l’amico e la compagna sedicenne di questo ultimo ed aveva “trattato” la prestazione sessuale a pagamento di una dodicenne vergine. Il teste non ha assistito alla intera trattativa ma all’incontro tra i due e, però, ha avuto conferma che questa fosse avvenuta e che aveva avuto esito positivo quando, nella stessa, serata aveva ricevuto la telefonata dell’imputato che gli aveva proposto di incontrare nel giro di pochi minuti la bambina oggetto dell’accordo.
Tali circostanze, direttamente percepite dal teste, consentono di ricostruire, per intero, il fatto nella sua totalità e costituiscono prova della mediazione prestata dal sig. G.S. nel meretricio della dodicenne.
Passando ad esaminare le altre prove ed i criteri di valutazione utilizzati vengono in rilievo, in primo luogo, le intercettazioni telefoniche ed ambientali.
Anche in riferimento a tali prove la difesa ha rilevato l’impossibilità di porle a fondamento di un giudizio di colpevolezza evidenziando che le dichiarazioni autoaccusatorie in esse contenute dovevano essere ritenute una sorta di “confessione” stragiudiziale e che, in un sistema che non conosce prove legali, perfino la confessione resa in dibattimento non è idonea a dimostrare la penale responsabilità con la conseguenza che a quella resa fuori dal processo non si può attribuire rilievo necessitando la stessa di prova a conforto.
Le argomentazioni del difensore non possono trovare accoglimento perché in contrasto con il prevalente indirizzo della Corte, cui il collegio ritiene di aderire, secondo il quale “gli indizi raccolti nel corso delle intercettazioni telefoniche possono costituire fonte diretta di prova della colpevolezza dell’imputato e non devono necessariamente trovare riscontro in altri elementi esterni, qualora siano: a) gravi e cioè consistenti e resistenti alle obiezioni e quindi attendibili e convincenti; b) precisi e cioè non generici e suscettibili di diversa interpretazione altrettanto o anche più verosimile; c) concordanti e cioè che non contrastano tra loro e più ancora con altri dati o elementi certi” (Cass. Sez. IV 2/4/2003 – 21/5/2003 nr. 22391 che richiama sentenza Cass. Sez. IV 17/10/1991 nr. 1035).          
Giova precisare che il principio che precede è stato affermato dalla Corte in una ipotesi in cui il ricorrente lamentava che l’affermazione di responsabilità era stata fondata sul solo risultato delle conversazioni telefoniche intercettate, conversazioni dal significato non univoco ed, a suo dire, interpretate dai giudici di merito “oltre il loro obiettivo significato” dando alle stesse “un significato negativo per l’imputato”. Orbene, la Corte, ha sostenuto che “il contenuto di conversazioni intercettate è valutabile a fini probatori anche quando le stesse vengano effettuate con linguaggio cui non attribuisce rilevanza alle parole usate e ritiene che le stesse abbiano invece un diverso significato”.
Nella specie questo ulteriore problema non si pone poiché le parole utilizzate dall’imputato sono assolutamente univoche e ad esse non occorre, a fini probatori, attribuire un significato diverso da quello che obiettivamente hanno.
Nel caso in esame, quindi, è necessario solo verificare se sussistono gli elementi che devono contraddistinguere gli indizi raccolti durante le intercettazioni perché gli stessi possano costituire fonte diretta di prova della colpevolezza dell’imputato e, cioè, se detti indizi sono gravi, univoci e concordanti nel senso indicato dalla Corte.
In proposito si osserva che le conversazioni di cui si discute – e che sono state ampiamente riportate in precedenza – forniscono indizi consistenti in ordine non solo e non tanto alle tendenze sessuali dell’imputato genericamente considerate quanto, piuttosto, in relazione alla età delle vittime, al tipo di interazioni sessuali che l’uomo aveva con le bambine a seconda dell’età delle stesse, alle possibilità e modalità di adescamento di minori, alle sue conoscenze del mondo della prostituzione minorile sia in Tailandia che in Cambogia cioè, in breve, alla sussistenza stessa dei fatti che sono stati addebitati al G.S.. Tali consistenti indizi non hanno trovato obiezioni di sorta non potendosi ritenere tale l’affermazione del prevenuto che quanto da lui detto più volte nelle conversazioni intercettate, ripetuto ai testi ivi compresi i giornalisti de “Le Iene” e contenuto nella registrazione effettuata, sia solo una vanteria priva di fondamento. 
E, del resto, la precisione dei particolari forniti dall’imputato nelle conversazioni in esame non lascia adito a dubbi di sorta non essendosi il sig. G.S. limitato a dare generiche indicazioni che potevano far pensare ad una improvvida vanteria ma avendo riferito elementi concreti in ordine a quanto sopra già evidenziato nonché ai luoghi, alle modalità di approccio, e perfino al costo delle prestazioni in relazione all’età dell’abusato ed alla natura della prestazione resa. Tale precisione consente pacificamente di escludere che alle affermazioni risultanti dalle intercettazioni si possa dare una interpretazione diversa da quella operata dal P.M. e, segnatamente, quella offerta dal prevenuto che alla luce di queste, come del resto delle altre prove, appare del tutto inverosimile.
Infine va segnalata l’assoluta concordanza degli elementi emersi dalle diverse intercettazioni sia tra loro che rispetto agli altri dati acquisiti. Si è già visto come le affermazioni fatte dal prevenuto nel corso delle numerose conversazioni intercettate siano reiterate e quasi sovrapponibili.
Va, ora aggiunto, che le stesse trovano ampio e sicuro conforto in altri dati certi.
Basti, in proposito, ricordare quanto osservato nella parte della sentenza dedicata alla ricostruzione della vicenda oggetto del giudizio relativamente, ad esempio, ai contatti telefonici intrattenuti dopo i primi incontri con l’ispettore C. per reperire un mezzo di trasporto ed un autista che garantisse il servizio stabile da e per l’aeroporto ai turisti del sesso che l’imputato intendeva far giungere in Tailandia nell’ambito del “business” che voleva avviare.  
Ovvero basti porre mente a quanto emerge dal filmato delle Iene e dalla testimonianza di Remiscegh in relazione alle conoscenze che il prevenuto aveva dell’ambiente della prostituzione minorile ed all’attività da lui in concreto svolta per fornire una bambina di dodici anni da sverginare dietro compenso in denaro.
Alla luce di quanto sin qui evidenziato il collegio ritiene di poter affermare, con assoluta certezza, che le intercettazioni telefoniche ed ambientali di cui si discute siano caratterizzate da quegli elementi che, secondo l’insegnamento della Corte, le rendono fonti dirette di prove.
Proseguendo nell’esame delle prove utilizzate e dei criteri di valutazione seguiti va segnalato che, a fondare il giudizio di colpevolezza, concorrono anche le copiose prove documentali.
Tra queste deve essere sicuramente inserita la registrazione della trasmissione realizzata dalla troupe de “Le Iene” che rappresenta, tramite la videoregistrazione, quanto direttamente avvenuto alla presenza dei giornalisti e quanto a loro dichiarato dall’imputato. Del contenuto della registrazione si è già ampiamente parlato.
Va, ora, aggiunto che detta registrazione costituisce prova documentale in quanto documento figurativo (non essendo caratterizzato dalla scrittura ma dalle immagini)    a contenuto dichiarativo (contenendo le affermazioni dell’imputato) e, come tale, deve essere valutata ex art. 192 co. 1 c.p. dal giudice che, nella motivazione, deve unicamente dare conto dei risultati acquisiti e dei criteri adottati.
I risultati acquisiti, come si è detto, sono stati già ampiamente esposti.
Quanto ai criteri adottati si evidenzia che la prova di cui si discute non è stata contraddetta neppure dall’imputato che si è limitato a ribadire che anche le affermazioni fatte in quelle occasioni erano mere vanterie ed, addirittura, - quando la tesi della vanteria appariva evidentemente insostenibile – a negare di aver detto o fatto le cose che dal filmato emergeva avesse, invece, detto e fatto sostenendo che la registrazione era incompleta e lasciando intendere che, forse, era addirittura manomessa. La circostanza, però, è stata smentita dal teste Remiscegh che, più volte interpellato sul punto dal difensore, ha dichiarato che il filmato riversato in atti è quello integrale che era stato realizzato e, poi, consegnato alla Polizia Postale.
Considerazioni simili si devono fare in relazione alle altre prove documentali acquisite: le immagini scaricate da internet o realizzate dal sig. G.S. e sequestrate, tutte oggetto di consulenza tecnica o di perizia.
In proposito va in questa sede ribadito quanto già osservato sul contenuto di tali documenti e sulla inverosimiglianza delle argomentazioni addotte dall’imputato per negare che quelle immagini ( quelle non da lui realizzate) fossero a lui riferibili.
Maggior approfondimento merita l’esame delle prove costituite dalle consulenze effettuate dalle parti e dalla perizia disposta dal collegio per cercare di determinare l’età delle giovani che comparivano nelle fotografie e nei filmati realizzati dall’imputato.
Il dott. Bruni, consulente del P.M. aveva esaminato due filmati estratti da un CD ed alcune fotografie presenti in un file denominato “Foto Ledi” contenuto in una chiavetta USB, mentre oggetto della consulenza effettuata per conto della difesa dalla dott.ssa Trenchi erano stati nove filmati, diversi da quelli prima indicati.
Va subito osservato che il dott. Bruni aveva immediatamente evidenziato che la pessima qualità delle immagini influiva profondamente, e negativamente, sull’accertamento peritale e, anche per questo motivo, era giunto a conclusioni espresse in termini di incertezza circa l’età di tutte le giovani rappresentate nelle fotografie (“vi può essere il ragionevole sospetto ma … il margine di errore può essere discreto, potendosi proporre i 15 anni come età media, con margini di oscillazione in più o meno di 2 anni”) con l’eccezione di quella che veniva individuata con la dicitura “Mood 5” per la quale aveva concluso che appariva “possibile proporre un’età infraquattordicenne”. A tale conclusione il consulente del P.M. era giunto, in particolare, osservando il volto della ragazzina ed, in particolare, la pienezza della bolla di Bichat, una bolla adiposa presente nella zona delle guance dei bambini che, con il crescere dell’età, tende ad attenuarsi.
A minore cautela è improntata la consulenza della dott.ssa Trenchi che, lungi dal lamentare la cattiva qualità delle immagini, è riuscita a trarre dalla visione dei filmati una serie di elementi anche difficilmente osservabili (quali ad esempio smagliature madreperlacee alla regione dei glutei a suo dire presenti in due soggetti) che la hanno indotta ad affermare che le giovani ritratte avevano tutte superato i 16 anni ed, in almeno quattro casi, i 18 anni.
Pur non sussistendo un effettivo contrasto tra le due consulenze – che come si è detto avevano oggetto diverso – il tribunale ha ritenuto di disporre una perizia su tutto il materiale esaminato dai consulenti di parte. La decisione assunta trovava fondamento nel fatto che, da un canto, era stata contestata la stessa rilevanza scientifica degli elementi utilizzati dal dott. Bruni e, dall’altro, che la dott.ssa Trenchi, pur apparentemente più sicura delle conclusioni raggiunte, aveva ancorato tali conclusioni a caratteristiche fisiche (quali ad esempio lo sviluppo mammario e pilifero dei soggetti rappresentati) che è nozione comune varino a seconda delle razze senza, sostanzialmente, affrontare con serietà il problema. In particolare il consulente aveva descritto i vari momenti dello sviluppo puberale riferendosi agli stadi relativi all’accrescimento delle ghiandole mammarie ed allo sviluppo dei peli pubici rifacendosi alle tabelle comunemente usate per le giovani di razza caucasica senza adeguare i valori in esame a quanto indicato dai, pochi ma pur esistenti, studi relativi ai soggetti asiatici. Né va dimenticato che la dott.ssa Trenchi aveva evidenziato altre caratteristiche fisiche che – come si è visto – era almeno problematico cogliere con chiarezza stante la pessima qualità delle immagini.
E, difatti, la dott.ssa Cn - nominata perito del tribunale – ha tenuto ad evidenziare già nella parte introduttiva della sua relazione che “le immagini sono di pessima qualità in quanto spesso sfocate e “compresse”, con scarsissima risoluzione, senza possibilità di miglioramento o di correzione affidabile” e che tale dato sarebbe stato, nella relazione peritale, “frequentemente alla base della impossibilità di applicazione di tecniche cliniche e antropologiche”.  
Il metodo seguito dalla dott.ssa Cn è ineccepibile sotto il profilo del rigore scientifico. Dopo aver illustrato le metodologie utilizzate per determinare l’età biologica ed aver evidenziato la estrema difficoltà di pervenire ad una conclusione certa quando il soggetto da analizzare non può essere sottoposto ai necessari esami ed accertamenti perché è visibile unicamente in immagini, il perito ha indicato i parametri utilizzati, e concretamente utilizzabili, nella specie in quelli sessuali non senza effettuare una precisazione che - come si vedrà in seguito - ha significativo rilievo segnalando la differenza tra pubertà (quale può emergere dall’utilizzo dei parametri sessuali) ed età biologica. Sul punto nella relazione si dice che “se per pubertà si intende il processo di progressiva maturazione dei caratteri sessuali … è ben evidente che la scansione cronologica degli eventi è possibile solo per ampie fasce, la cui elaborazione in stadi è finalizzata solo alla valutazione dell’età sessuale e non di quella biologica” e, nell’elencare le fasce di cui si è detto, si precisa che si tratta di “stadi” che indicano, in riferimento ai caratteri sessuali, solo l’età media in cui tali caratteri si presentato “per bambine e ragazze europee, insieme alle età medie per ciascuno stadio, tenendo presente l’impossibilità di effettuare una equiparazione tra maturazione sessuale ed età”.
Le stadiazioni cui il perito si è rifatto per tentare di determinare lo sviluppo puberale delle giovani rappresentate e ricavarne la probabile età biologica prendono in considerazione l’accrescimento delle mammelle e le modificazioni dell’aureola e del capezzolo (“peraltro con estesa variabilità individuale” cfr. perizia pg. 12) nonché lo sviluppo dei peli pubici, caratteri sessuali che sono stati utilizzati nelle tabelle di Tanner in relazione alle bambine e ragazze europee ma che non sono sic et simpliciter applicabili ai soggetti tailandesi (come, invece, ha in sostanza fatto la dott.ssa Trenchi). Importanti studi, difatti, hanno dimostrato che alcuni caratteri sessuali si sviluppano nei soggetti non appartenenti al gruppo etnico su cui è stata tarata la scala di Tanner in fasce di età diverse (cfr. rispetto allo sviluppo del pelo pubico delle tailandesi Wacharasindu 2002 citato ed utilizzato in perizia) mentre, d’altro canto, le classificazioni di cui si è detto “non considerano le modificazioni morfologiche di grandi e piccole labbra dei genitali esterni che si presentano ben sviluppate e pigmentate alla pubertà che, nei soggetti tailandesi si presenta tra gli 8 e i 13 anni (in media a 10/11 anni)”.
Tutto ciò premesso la dott.ssa Cn procede con estrema cautela alla valutazione dello sviluppo puberale delle giovani rappresentate nelle fotografie e nei filmati e formula, quanto alla loro età biologica, conclusioni in termini di probabilità.
Nella perizia, infatti, si dice che “non vi è evidenza di soggetti prepuberi (tutti i soggetti “interpretabili” in questo senso hanno raggiunto e/o superato la pubertà)” e che “non sono presenti elementi tecnici – scientifici per motivare una diagnosi di raggiungimento o non raggiungimento del 18° anno di età”.
L’analisi compiuta dalla dott.ssa Cn e le conclusioni cui la stessa è pervenuta devono, ovviamente, essere utilizzate nel senso più favorevole all’imputato atteso che il perito, anche se solo in via di “grande probabilità”, ha affermato che i soggetti rappresentati nelle fotografie e nei filmati “non sono al di sotto dei 14 anni”.
Tale affermazione, peraltro, necessita di alcune precisazioni.
In primo luogo, difatti, va detto che l’estrema prudenza con la quale si è espressa il perito – che pure ha utilizzato un metodo caratterizzato da estremo rigore scientifico – e la sua conclusione in ordine alla assenza di elementi tecnici - scientifici sufficienti per motivare una diagnosi di raggiungimento o meno del 18° anno di età smentiscono le categoriche affermazioni della consulente della difesa che, sulla base del ragionamento meno rigoroso e degli elementi più generici di cui si è detto in precedenza, ha senza alcun dubbio sostenuto che almeno quattro delle nove ragazze riprese nei filmati avevano raggiunto la maggiore età.
In secondo luogo, poi, si rileva che il fatto che, in via di grande probabilità, le ragazze ritratte nelle immagini in atti abbiano compiuto i 14 anni non ha rilievo alcuno ai fini della sussistenza dei reati ex artt. 600 ter co. 3 e 600 ter comma 1 rispettivamente contestati ai capi 2) e 5) atteso che i delitti in questione puniscono la condotta di chi sfrutta per la realizzazione di materiale pornografico minori degli anni 18 e distribuisce o divulga materiale pornografico prodotto con minori degli anni 18.
Da ultimo, ma non per ultimo, si ricorda che le considerazioni svolte dalla dott.ssa Cn e le conclusioni cui la stessa è pervenuta si basano su dati statistici, certo significativi, ma non assoluti e tali, quindi, da poter essere letti, ed eventualmente corretti, alla luce delle altre risultanze dibattimentali.
Sotto tale profilo si rammenta che la pubertà è “il processo di maturazione dei caratteri sessuali … e la scansione cronologica degli eventi è possibile solo per ampie fasce”, che non vi è coincidenza assoluta tra pubertà ed età biologica e, quindi, neppure tra sviluppo dei diversi caratteri sessuali ed età biologica potendosi solo parlare di una certa connessione tra i diversi stadi dello sviluppo e l’età media cui ogni stadio, approssimativamente, si riferisce e che, tra l’altro, la pubertà nelle tailandesi si presenta tra gli 8 ed i 13 anni e, cioè, in media a 10/11 anni.
A fronte di tali dati, che appaiono all’evidenza del tutto probabilistici od – al più statisticamente apprezzabili – stanno le risultanze dell’istruttoria dibattimentale.
Non si può, infatti, dimenticare che in tutte le confidenze fatte dall’imputato ai testi e da costoro riferite al dibattimento, in tutte le conversazioni intercettate, nel filmato de “Le Iene”, il sig. G.S. ha sempre, costantemente, reiteratamente sostenuto di intrattenere rapporti sessuali con ragazze che avevano, al più, 15/16 anni. La impossibilità affermata dal perito di formulare una diagnosi di raggiungimento o meno del 18° anno può essere, quindi, superata alla luce delle prove assunte che dimostrano, con certezza, che le giovani non avevano compiuto i 18 anni.
Ma vi è di più. I risultati della perizia, difatti, non solo non si pongono in contrasto con le altre emergenze processuali, ma le confermano.
In proposito vale la pena di ricordare che l’imputato, nei colloqui avuti con i testi e nelle conversazioni intercettate, ha sempre dichiarato di avere rapporti vaginali od anali solo con le ragazze più grandi tra quelle cui si accompagnava limitandosi, con le più piccole, ad altri tipi di interazioni sessuali. Orbene, le uniche immagini in cui si possono osservare le plurime penetrazioni anali e vaginali compiute dall’imputato su giovinette sono i filmati esaminati dal consulente tecnico della difesa e dalla dott.ssa Cn che ha affermato, sia pure solo in via di “grande probabilità” che i soggetti femminili ivi rappresentati avevano compiuto i 14 anni. E’ evidente come tale conclusione, lungi dallo smentire le risultanze delle prove sopra indicate, le conferma concorrendo a dimostrare che, appunto, il sig. G.S. aveva detto il vero quando aveva ripetutamente affermato “(quelle giovani giovani) una pompa, ti fanno una pompa … altre cose no, la pompa ti fa, si fa leccare …quattordici, quindici anni … io conosco un posto dove ci sono tutte tatine, ci sono quelle dai 12 – 13 anni a quelle di 9 – 10 anni … ma mi scopo tutte le ragazzine di dodici, tredici anni … è il senso del proibito … la pompa si, ma non le ho mai trombate … però vedevo l’altra che scopava … ne prendevo due alla volta … facevo una piccola e una grande” aggiungendo “quelle dai 16 anni non ci sono problemi”. E, difatti, con “quelle dai 16 anni” si accoppiava senza problemi davanti alla telecamera, mentre con le altre, quelle più piccole tra le quali - come si vedrà tra breve - vi era sicuramente una bambina che non aveva compiuto i 14 anni intratteneva rapporti sessuali di tipo diverso (“la pompa, ti fanno una pompa”).
E che il prevenuto avesse rapporti sessuali completi con infradiciottenni che sfruttava per realizzare il materiale pornografico di cui si è detto è confermato perfino dalla dott.ssa Trenchi che, pur nella sua ansia di sostenere che le giovani che comparivano nei filmati erano adulte, non ha potuto evitare di ammettere che, almeno in riferimento ad alcune di loro, si poteva solo dire che avevano più di 16 anni. 
Infine, e la questione riguarda l’imputazione sub 3) e l’aggravante ex art. 600 sexies comma 1 contestata al capo 5), va detto che, almeno in riferimento ad una delle ragazzine raffigurate nelle immagini dall’istruttoria dibattimentale sono emersi elementi univoci che consentono di affermare con certezza che si tratta di persona minore degli anni 14.
Ci si riferisce alla bambina ritratta nella fotografia identificata con la dicitura Mod 5.
La dott.ssa Cn, analizzando l’immagine non esprime alcun giudizio neppure in riferimento al raggiungimento della pubertà della piccola poiché le mammelle “non sono valutabili per posizione e risoluzione”. Pochi elementi, poi, il perito può trarre dallo sviluppo del pelo pubico stante la presenza di peluria che non è possibile stabilire se sia stata rasata. Con molta prudenza, allora, la dott.ssa Cn si arrischia ad affermare che quel carattere sessuale è valutabile intorno allo stadio Tanner PH3. Dall’esame delle relative tabelle si rileva che tale stadio, per le tailandesi, è collocabile in una fascia di età che va dai 12.1 ai 14.1 anni (età media 13.1 anni). Dalla perizia, quindi, non emergono elementi per affermare che la bambina in oggetto abbia più di 14 anni.
Emerge, invece, dalla consulenza del dott. Bruni che per tale minore “appare possibile proporre un’età infraquattordicenne alla minore”.
Gli elementi più probanti sulla età della bambina si rilevano, però, dalle altre prove.
Si è già detto che la fotografia di cui si discute era contenuta nella chiavetta USB che l’imputato aveva portato al ritorno dal suo ultimo soggiorno in Tailandia e che, in quella occasione, l’ispettore C. si era recato all’aeroporto con M.S., utilizzando l’autovettura di questi ove era stato predisposta l’apparecchiatura necessaria per intercettare le conversazioni tra presenti. Nella circostanza, poi, l’operante aveva visionato, e riversato sul suo PC, le immagini portate da G.S. che, nel mostrarle, le aveva commentate. Tali immagini sono state, successivamente trasferite su cartaceo dal consulente tecnico del P.M. (attività che è stata verificata dal perito nominato dal Tribunale che ha accertato l’assoluta corrispondenza del materiale acquisito con quello trasfuso nella consulenza) ed esaminate dal dott. Bruni, nella fase delle indagini preliminari, e dalla dott.ssa Cn in giudizio.
Non vi può essere, quindi, alcun dubbio che le fotografie visionate dall’ispettore C. al rientro del prevenuto in Italia e da questi commentate siano quelle oggetto di consulenza.
I commenti fatti in quella occasione dal sig. G.S. sono oltremodo significativi e dimostrano che tutte le giovani ritratte (con l’unica eccezione, forse, della ragazza incinta identificabile con le sigle “Laj 1” e “Laj 4”) sono “tutta roba giovane … quattordici anni” e che in particolare una “era una bambina di 13 anni”. La bambina di 13 anni è, con certezza, identificabile in quella raffigurata nella fotografia contraddistinta dalla sigla “Mod 5” in virtù non solo di quanto prima si è detto in relazione alle indicazioni in tal senso contenute nella perizia, ma anche di quanto rilevato dal dott. Bruni. Né tale affermazione è contraddetta dalle conclusioni della perizia che, oltre ad essere state formulate in via di probabilità, si riferiscono ai soggetti che, per tutti i caratteri sessuali osservabili, potevano essere “valutati” in maniera più approfondita mentre non sono estensibili a quelle giovani, tra le quali in particolare Mod 5, delle quali non era apprezzabile lo sviluppo mammario. E, tuttavia, lo sviluppo del pelo pubico, in relazione a Mod 5 e solo a lei, ha indotto la dott.ssa Cn a valutarla collocabile - con tutte le cautele del caso – in uno stadio Tanner 3. Si ricorda che tale stadio, secondo gli studi cui il perito si è rifatto e con tutte le precisazioni sopra enunciate, per le ragazze tailandesi corrisponde ad un’età media, appunto, di 13 anni, età che è quella dichiarata proprio dall’imputato.
Ne consegue che, almeno in riferimento ad una delle minori ritratte nel materiale fotografico e video prodotto dall’imputato, si può dire con certezza che abbia meno di 14 anni.
Quanto sin qui evidenziato dimostra la fondatezza della affermazione fatta all’inizio di questa parte della sentenza: l’affermazione che nella specie non si discute di un quadro indiziario grave univoco e concordante, ma pur sempre indiziario, bensì di fonti di prova ed, anche, di prove dirette che, tutte, concorrono a fondare il giudizio di colpevolezza formulato a carico del sig. G.S..
E’ per puro scrupolo, quindi, che il collegio ritiene di affrontare l’argomento utilizzato dal P.M. nelle sue conclusioni: la possibilità di pervenire, con certezza, alla affermazione della penale responsabilità dell’imputato “nel quadro di una valutazione globale dell’insieme” che consente di affermare “che il complesso indiziario ha raggiunto la soglia della rilevanza della prova”.
Anche ove si volessero valutare le prove, o fonti di prova, dirette di cui si è fin qui parlato come meri indizi si dovrebbe, tuttavia, dire che si tratta degli indizi gravi, precisi e concordanti dalla cui esistenza, a norma dell’art. 192 co. 2 c.p.p., può essere desunta l’esistenza di un fatto.
E’ fuor di dubbio, invero, che le testimonianze, le conversazioni intercettate, i documenti figurativi (fotografie, filmati) ivi compreso quello a contenuto dichiarativo (video della trasmissione televisiva), la perizia e le consulenze che in precedenza si sono tutti valutati singolarmente evidenziandone la “valenza qualitativa individuale”, apprezzati unitariamente – come pure si è fatto segnalando la pluralità, la convergenza, l’inequivoca destinazione finalistica degli elementi e la conseguente possibilità di pervenire, in base ad essi, ad un’univoca interpretazione - confluiscono tutti “verso un’univocità indicativa che dà la certezza logica dell’esistenza del fatto da provare”; che, nella specie, “nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, di tal che l’insieme assume quel pregnante ed univoco significato dimostrativo che consente di ritenere conseguita la prova logica del fatto; prova logica che non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta (o storica)” (S.U. 4/6/1992 nr. 6682).
3)     I REATI CONTESTATI
Prima di affrontare l’esame delle diverse ipotesi criminose contestate all’imputato appare opportuno premettere alcuni brevi cenni sulla ratio delle incriminazioni introdotte con la legge 269/1998 in materia di pornografia minorile, legge che – così come modificata dalla novella 228/2003 – è quella che trova applicazione nella fattispecie.
I fatti contestati al sig. G.S. sono stati commessi, al più tardi, sino al giugno 2005 (data del rientro in Italia dell’imputato dall’ultimo soggiorno in Tailandia) e non possono essere assoggettati alla disciplina introdotta con L. 38/2006, successiva alla loro consumazione e che deve essere ritenuta, sia complessivamente considerata sia valutata in riferimento ad alcune delle ipotesi oggi ascritte al prevenuto, meno favorevole della precedente. Ma di ciò si dirà meglio in seguito.
Al momento va ricordato che, come osservato dalla Suprema Corte, con la normativa in esame “l’ordinamento appresta una tutela anticipata della libertà sessuale del minore, reprimendo quei comportamenti prodromici che … ne mettono a repentaglio il libero sviluppo personale con la mercificazione del suo corpo e l’immissione nel circuito perverso della pedofilia” (Cass. S.U. 31/5 – 5/7 2000 nr. 13).
In tal senso, del resto, è l’espressa intenzione del legislatore che, all’art. 1 della legge 269/1998, indica quale obiettivo della normativa “la tutela dei fanciulli contro ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale a salvaguardia del loro sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale” con ciò uniformandosi ai principi delle convenzioni e delle deliberazioni internazionali in materia (Convenzione dei diritti del fanciullo di New York del 1989 ratificata in Italia nel 1991 e dichiarazione della Conferenza mondiale di Stoccolma del 31/8/1996).
La precisazione appena effettuata non è di stile atteso che, come si vedrà affrontando i problemi interpretativi posti dalle fattispecie contestate, è a tali principi che il tribunale si è attenuto nell’affrontarli e risolverli.
Passando ad esaminare le diverse ipotesi criminose si ritiene di trattare per ultime quelle ex art. 600 ter, rispetto alle quali occorre affrontare questioni più complesse e di prendere le mosse dalle altre, che pongono minori problemi in punto di diritto e di valutazione della prova e, segnatamente, da quella contestata al capo 4) che è, peraltro, l’imputazione rispetto alla quale anche la difesa in sede di conclusioni non ha sollevato dubbi in punto di diritto o pregnanti obiezioni in tema di prova limitandosi ad alcune annotazioni relative alla asserita difficoltà di ricondurre con certezza all’imputato la disponibilità del materiale pedopornografico.
In particolare il difensore ha rilevato che nessun problema potrebbe porsi se nell’acquisizione del materiale in questione non vi fosse stata l’intermediazione del sig. M.S. che aveva ospitato il prevenuto presso la sua abitazione nel periodo in cui era avvenuto il sequestro di quanto contenuto nel personal computer – peraltro non protetto da alcuna password – e che ben avrebbe potuto immettervi il materiale pedopornografico.
La questione sollevata dalla difesa è stata già ampiamente affrontata in precedenza e, pertanto, ci si riporta alle argomentazioni svolte. Al presente si intende solo ribadire che al dibattimento non sono emersi elementi di sorta che facciano ritenere, od anche solo sospettare, che il sig. M.S. avesse un qualsivoglia motivo per accusare falsamente l’imputato ed, ancor di più, per creare ad arte prove a suo carico. Né si può dire che la ragione di una tale acrimonia potrebbe essere ricercata nella denuncia sporta dal sig. G.S. a carico del teste per la asserita sottrazione di beni e valori di sua proprietà: la denunzia è stata presentata dopo l’arresto, avvenuto nel settembre 2005, mentre il rinvenimento del materiale pedopornografico risale all’anno precedente.
La natura delle immagini che si è descritta in precedenza esime il collegio dall’affrontare la questione, pure dibattuta in dottrina prima della riforma del 2006, delle caratteristiche che il materiale deve avere per essere considerato penalmente rilevante. Qui non si discute, certo, di bambini vestiti che abbiano un atteggiamento ammicante idoneo sollecitare l’erotismo dell’adulto, ovvero nudi ma non impegnati in espliciti atti sessuali. Qui si parla di minori impegnati in interazioni sessuali di vario genere, anche con più persone, ovvero in coiti orali con un uomo adulto ed, a volte, con la bocca sporca del suo liquido seminale, di bambine penetrate con il pene, con le mani, con oggetti vari, con frutta e, perfino, di due bambine che praticano sesso orale ad un cane.
Nessun problema pone, anche, l’esame della fattispecie contestata al capo 1) non apparendo fondate le questioni sollevate dalla difesa in fatto – questioni che sono facilmente superabili alla luce della ricostruzione della vicenda processuale sopra effettuata e della indicazione delle prove e dei criteri di valutazione adottati – ed in diritto.
Sotto il primo profilo va detto che non ha alcuna rilevanza che la minore vittima del delitto ex art. 600 bis non sia stata identificata attesi gli elementi raccolti che dimostrano con certezza la sua esistenza, la relazione di convivenza che aveva avuto con il sig. G.S. e i rapporti che aveva intrattenuto con lui. 
Sul punto si ricorda che più volte l’imputato ha parlato (cfr. intercettazioni, filmato de “Le Iene”, testimonianze sopra esaminate) della ragazzina di 14/15 anni con la quale aveva convissuto precisando anche che la piccola conduceva una vita ritirata, che quando l’aveva presentata agli amici la sua tenera età era così evidente da procuragli l’accusa di pedofilia, che alcuni gli avevano chiesto di avere rapporti sessuali con lei, che a tali proposte aveva reagito riaffermando il suo diritto esclusivo di possesso e, con ciò, chiarendo la natura dei rapporti sessuali che aveva con lei (io la scopo, io glielo metto tutto dentro, solo io).
E, del resto, era certamente abitudine del sig. G.S. convivere con giovanissime tailandesi se è vero, come è vero, che in un video acquisito in atti si possono osservare, all’interno dell’appartamento del prevenuto, questi ed una ragazzina (sulla cui età non sono stati raccolti elementi ma che appare certamente giovane) impegnata nello svolgimento di faccende domestiche.
La bambina infrasedicenne di cui si parla al capo 1) era stata avvicinata dall’imputato con le stesse modalità che G.S. consiglia ai suoi diversi interlocutori ( C., Remiscegh) di adottare per approcciare bambini, portata a casa e qui tenuta per un periodo di tempo apprezzabile. In cambio dell’accudimento personale e della casa nonché delle prestazioni sessuali la piccola riceveva vitto, alloggio e piccole somme di denaro consegnatele per acquistare abbigliamento (comprati una gonnellina, una braghetta) ovvero, quando accompagnava l’imputato a fare la spesa, qualche giocattolo (la bambolina).
Alla fine, però, il sig. G.S. si era risolto – seppur a sentir lui con dispiacere – ad allontanarla temendo di essere scoperto e perseguito per la sua relazione con una bambina (cfr filmato de “Le Iene”).
A fronte di tali elementi, desumibili dalle prove esaminate in precedenza ed ora richiamate, non possono trovare accoglimento le argomentazioni della difesa che ha sostenuto la mancanza di prova in ordine sia alla relazione con una infrasedicenne che ai rapporti sessuali con la stessa aggiungendo che secondo le voci correnti nella comunità degli italiani che dimoravano a Pattaya l’imputato intratteneva relazioni con ragazze che avevano almeno 20 anni e che la sua ultima compagna in ordine di tempo aveva circa 30 anni.
E’ superfluo dire che alle voci correnti non può essere attribuito alcun rilievo processuale. Tuttavia va detto che il fatto che il sig. G.S. avesse una relazione con una trentenne emerge anche da una prova documentale utilizzabile per la decisione: il filmato de “Le Iene”. Durante l’incontro con i giornalisti, infatti, l’imputato presenta loro la sua compagna dicendo che la stessa ha 28 anni ma aggiungendo, anche che, per lui, era troppo vecchia essendo abituato ad avere accanto ragazze “molto molto” più giovani, al massimo ventenni.
In ogni caso si osserva che il fatto che il sig. G.S. intrattenesse relazioni anche con maggiorenni nulla dice in ordine alla sua frequentazione di minorenni. E’ lo stesso imputato che, sempre durante l’incontro con i giornalisti, mostra di essere pienamente a conoscenza delle opportunità che Pattaya offriva sia con ragazze giovani ma non minorenni – quelle che afferma si potevano trovare nei locali, che si avvicinavano al cliente e lo eccitavano toccandolo nelle parti intime, che costavano più delle bambine – sia, se si avevano “esigenze particolari” con i bambini. E’ lo stesso imputato che, nell’occasione di cui si sta parlando, dichiara di aver sempre avuto una predilezione per le persone molto più giovani di lui, non essendo interessato a relazioni con coetanee, ma di aver sperimentato solo in Tailandia l’ebbrezza dei rapporti con minori molto piccole (12, 13 anni).
Né si può dire, come ha fatto la difesa, che da un punto di vista logico non è sostenibile che una persona con interessi sessuali di tipo pedofilo si congiunga anche con ragazze maggiorenni.
In proposito, per sgombrare il campo da qualsiasi dubbio, vale la pena di ricordare quale sia lo stato attuale della scienza in materia.
Nei vari DSM succedutisi nel tempo (III APA 1980; III-R APA 1987; IV APA 1994) si è tentato di affrontare il problema della definizione di pedofilia e delle possibilità di diagnosi, ma i risultati non appaiono convincenti. Da un’originaria definizione di pedofilia legata alla presenza di ricorrenti impulsi sessuali e fantasie sessualmente eccitanti riguardanti un’attività sessuale con uno o più bambini prepuberi, si è passati ad una definizione che descrive la pedofilia come caratterizzata da “fantasie impulsi sessuali o comportamenti ricorrenti, e intensamente eccitanti sessualmente, che comportano attività sessuale con uno o più bambini prepuberi”.
L’inserimento tra gli elementi caratterizzanti la pedofilia dei “comportamenti” dimostra proprio la necessità di tentare di ancorare la diagnosi ad un dato di fatto suscettibile di una verifica oggettiva. Si era, infatti, accertato che tutti gli strumenti diagnostici utilizzati non consentivano di raggiungere neppure un significativo grado di approssimazione. Tra i metodi diagnostici che si ritenevano più validi e che, invece, si sono dimostrati sostanzialmente inaffidabili vi è la misurazione delle risposte erettili a vari stimoli erotici che comporta la misurazione dei cambiamenti nella circonferenza peniena attraverso alcune apparecchiature: si è riscontrato che il risultato dell’esame poteva essere falsato dal soggetto che vi si sottoponeva. Si ripeteva, quindi, un po’ il fenomeno che si era osservato per la cd. “macchina della verità” i cui risultati sono ampiamente utilizzati in altri ordinamenti e che il nostro legislatore - a ragion veduta - non consente di utilizzare non solo per l’assenza, nel nostro sistema, di prove legali ma anche in considerazione, proprio, della inaffidabilità di tali risultati. A fronte di tali incertezze Marshall (1997) rilevava che dai suoi archivi risultava che quasi il 60% dei molestatori exrtafamiliari di bambini e più del 75 % di quelli infrafamiliari non mostravano prove di pulsioni o fantasie ricorrenti di tipo deviante, con ciò dimostrando che una valutazione in qualche modo attendibile poteva essere fatta solo ancorandosi al dato contenuto nel DSM IV (APA 1994): i comportamenti.
E’ proprio tenendo conto della difficoltà di formulare una diagnosi di pedofilia ed, anche, di dare un concreto contenuto a tale perversione che il legislatore del 1996 e, successivamente, quello del 1998 non hanno introdotto nel nostro sistema un reato di “pedofilia” limitandosi a sanzionare condotte aggressive della sfera della libertà sessuale e della riservatezza del corpo dei minori da qualsivoglia adulto poste in essere. Il che equivale a dire che, nel nostro ordinamento, è pedofilo chi ha rapporti sessuali con un bambino.
Da un punto di vista scientifico, invece, il discorso che si è fatto tende a chiarire che non è possibile una diagnosi certa di “pedofilia”, che comportamenti pedofili possono essere sicuramente tenuti da persone che intrattengono anche relazioni sessuali con adulti e, quindi, che pulsioni sessuali di tipo pedofilo sono compatibili con una sessualità che si estrinseca anche in interazioni sessuali “normali”.
Tornado ad esaminare le questioni sollevate dalla difesa in relazione alla contestazione di cui al capo 1) va detto che, come infondate appaiono quelle in punto fatto di cui si è sin qui parlato, parimenti prive di fondamento si palesano quelle in punto di diritto.
Il difensore, in proposito, ha rilevato che nella specie il delitto ex art. 600 bis comma 2 c.p. non è configurabile difettando l’utilità economica che il legislatore ha previsto come corrispettivo degli atti sessuali compiuti su minore degli anni 16. Ciò che viene, difatti, contestato all’imputato è di aver fornito alla bambina “ospitalità” in cambio delle prestazioni sessuali, ospitalità che – al più – può essere considerata una forma di utilità economica indiretta in quanto consente all’ospite di non affrontare le spese del suo mantenimento.
Proprio tale ultima affermazione priva di pregio l’argomentazione difensiva poiché fornire ad un minore il vitto e l’alloggio e, cioè, gli indispensabili mezzi di sussistenza in cambio delle sue prestazioni sessuali equivale a corrispondere allo stesso una utilità, non solo economicamente valutabile, ma direttamente economica soprattutto in un paese come la Tailandia ove – come è pacificamente emerso al dibattimento – la condizione di indigenza della popolazione e, soprattutto, dei bambini è tale che un tetto ed un pasto costituiscono per tanti un vero e proprio miraggio.
Né è superfluo ricordare che, perfino in relazione alla diversa ipotesi di sfruttamento della prostituzione del maggiorenne previsto dall’art. 3 co. 2 nr. 8 L. 75/1958, la giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere che l’utilità che lo sfruttatore deve ricevere affinché sia integrato il delitto può consistere in qualsiasi utile derivante dall’accordo illecito intervenuto con la prostituta di beneficiare della sua attività e, quindi, nell’alloggio, nel vitto, nel vestiario.
Le due fattispecie, ovviamente, non sono comparabili atteso che nello sfruttamento della prostituzione del maggiorenne si richiede l’esercizio di un’attività di meretricio dalla quale l’agente tragga utili e non rileva se questi intrattenga relazioni sessuali con la vittima, mentre rimane fuori del precetto penale la condotta del cliente che si congiunge carnalmente con la prostituta. Nel reato ex art. 600 bis secondo comma, invece, è proprio l’agire del cliente che viene in risalto ai fini della integrazione della fattispecie.
A ben guardare tale previsione è proprio un’applicazione dell’intento del legislatore espresso nell’art. 1 L. 269/1998 “la tutela dei fanciulli contro ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale a salvaguardia del loro sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale”. A differenza delle parallele ipotesi ex art. 609 bis e quater c.p., infatti, quella di cui ci si occupa appresta una tutela più incisiva in favore dell’infrasedicenne prevedendo che sia sanzionata la condotta di chi compie, con lui, atti sessuali anche con il suo consenso ma in cambio di denaro od altra utilità senza che sia necessario che la condotta dell’agente - come richiesto dall’art. 609 bis c.p. - sia connotata da violenza, minaccia o realizzata in presenza delle altre condizioni previste dalla norma, né che tra l’autore e la vittima sussistano - come stabilito dall’art. 609 quater co.1 nr. 2 c.p. -   rapporti di familiarità o soggezione che dimostrano l’assenza di un consenso valido.
Le considerazioni che precedono consentirebbero di pervenire ad un giudizio di colpevolezza anche in assenza di un’ulteriore circostanza emersa al dibattimento. Si è, difatti, accertato che l’imputato corrispondeva alla sua piccola convivente somme di denaro, certo molto modeste, ma per lei importanti.
Il difensore, peraltro, rendendosi ben conto del rilievo che assume ai fini della sussistenza del reato la dazione del denaro di cui parla il sig. G.S. ha sostenuto che non si trattava del pagamento delle prestazioni, ma di semplici regalie, di atti di liberalità e che, in conseguenza, mancava la prova che fosse intervenuta una qualche forma di pagamento per gli atti sessuali compiuti.
A smentire il difensore è intervenuto proprio l’imputato che nel raccontare la sua relazione con la minore ha fatto un esplicito confronto tra i costi, molto contenuti, sopportati per averla a sua disposizione, quelli - altrettanto se non più modesti - affrontati in cambio di rapporti sessuali occasionali con altri bambini ed i prezzi - più elevati - richiesti dalle prostitute maggiorenni che lavoravano nei locali, con ciò espressamente collegando la dazione di danaro alla prestazione sessuale.  
Né si può convenire con la difesa quando osserva che non vi è, comunque, prova che le regalie di cui il prevenuto parla non siano, in realtà, anche esse delle “vanterie” fatte ancora una volta per acquistare importanza agli occhi degli altri. Della infondatezza di questo assunto si è già detto ampiamente ed, al momento, si aggiunge solo che non si vede quale rilievo avrebbe potuto assumere la figura del sig. G.S. con gli amici per il fatto che raccontava di dare soldi alla bambina sua convivente e che, comunque, i particolari da lui forniti in relazione ai consigli che dava alla minore su come impiegare il denaro ed in ordine all’impiego che questa, invece, ne faceva non possono essere frutto di invenzione.
Passando ad esaminare il merito della imputazione sub 3) va ricordato che al dibattimento si è raggiunta la prova che la minore - raffigurata nelle fotografie effettuate dall’imputato con il suo cellulare e portate in Italia nel giugno 2005 per mostrarle a Max Siluro e M.S. ed indicata con la sigla Mod 5 - abbia meno di 14 anni.
La fotografia ritrae una bambina stesa su un letto, completamente nuda ed a gambe divaricate mentre mostra le parti intime
Si è sostenuto che non vi è prova che l’imputato abbia compiuto atti sessuali con minori ed, in particolare, con quella indicata con la sigla Mod 5 e che, in conseguenza, non è provata la sussistenza stessa del delitto ex art. 609 quater contestato.
Di contro si osserva, quanto alle interazioni sessuali che l’imputato intratteneva con bambini, che è sufficiente ricordare ciò che si è detto nella parte introduttiva della sentenza. Dalle prove dichiarative e da quelle documentali nonché dalle intercettazioni, infatti, emergono con evidenza i rapporti sessuali che il sig. G.S. aveva intrattenuto con minori degli anni 14. Basti ricordare il rapporto orale che si era fatto praticare da un bambino, dopo aver scoperto che si trattava di un maschietto e non di una femminuccia come aveva pensato, rapporto che aveva compiutamente descritto – con modalità identiche – al M.S. prima ed al Remiscegh dopo. Basti rammentare il racconto preciso della sua gita in Cambogia dove, insieme ad un settantenne, aveva abusato di più bimbi (di sei/sette anni) che venivano venduti ai turisti dalle madri: la descrizione minuziosa non solo delle modalità, ma anche dei luoghi in cui avvenivano i rapporti (le squallide stanzette ricavate nelle baracche) testimonia della verità di quanto riferito. Basti, ancora, porre mente a tutti i resoconti particolareggiati delle interazioni sessuali con minori avute in Tailandia.
E, del resto, per ottenere i favori delle vittime il sig. G.S. sapeva perfettamente come fare: conosceva i posti in cui si potevano adescare i bambini (quelli che fermava allo stazionamento degli autobus o avvicinava nelle sale gioco o nei centri commerciali) e quelli dove si esercitava stabilmente la prostituzione minorile (es il famigerato km 11 in Cambogia), era esperto delle modalità di approccio nell’uno e nell’altro caso, era compiutamente informato dei costi da affrontare. 
E, ciò, a tacere del fatto – non contestato ma oltremodo significativo – che il prevenuto è stato visto da M.S. nel mentre molestava sessualmente bambini nella piscina di un albergo.
Quanto alla asserita mancanza di prova della commissione di atti sessuali in danno della piccola “Mod 5”, va ricordato che la fotografia che ritrae la bambina – nuda su un letto, con le cosce divaricate e le parti intime in mostra – è stata effettuata dal sig. G.S. e portata, insieme alle altre dello stesso genere sempre da lui prodotte, agli amici M.S. e Max Siluro nell’ambito degli accordi intercorsi in particolare con quest’ultimo e finalizzati al commercio di materiale pedopornografico ed alla creazione di una struttura di accoglienza e supporto per turisti sessuali interessati a relazioni con minori. Si tratta, in buona sostanza, di materiale che costituisce il nuovo embrione di quel catalogo di bambini (indicati con sigle, prezzi e prestazioni) che l’imputato aveva già creato in passato schedando i piccoli con cui si era accoppiato. Quel catalogo era andato perso ed il prevenuto ne stava creando un altro fotografando i minori che aveva abusato sessualmente.
La fondatezza di questa affermazione, del resto, è confermata dallo stesso G.S. nella conversazione svoltasi all’atto del suo rientro in Italia, il 24/6/2005, a bordo dell’autovettura di M.S.. In quella occasione, infatti, l’imputato nel mostrare le fotografie racconta le sue “prodezze” con le giovani che vi sono ritratte (“mentre la trombavo, la bambina lì mi faceva una pompa. Simpaticissima ‘sta figa qua … trombava come una cosa … era una bambina di tredici anni … tutta la sua fighetta)
Risulta, in conseguenza, provato il compimento di atti sessuali con infraquattordicenni che integra compiutamente il delitto ex art. 609 quater contestato al capo 3).
Residuano da esaminare le imputazioni sub 1) e 5) che il collegio ritiene di dover trattare unitariamente perché ambedue relative ad ipotesi delittuose previste dall’art. 600 ter c.p.  
Per chiarezza espositiva è opportuno prendere le mosse dalla imputazione ex art. 600 ter co. 1 c.p. contestata al capo 5).
Si ascrive al sig. G.S. di aver realizzato, anche in tempi diversi ed in esecuzione del medesimo disegno criminoso, materiale pedopornografico da vendere a terzi sfruttando giovani tailandesi minorenni..
In punto di fatto la difesa ha contestato che il materiale in questione fosse con certezza riferibile all’imputato osservando che lo stesso è stato acquisito nel corso della rogatoria effettuata in Tailandia e rintracciato in un’abitazione che non era nella disponibilità del sig. G.S.. Il luogo ove tale materiale era custodito, poi, sarebbe stato indicato da una fonte confidenziale, cosa che renderebbe inutilizzabile anche la perquisizione ed il successivo sequestro. In ogni caso, infine, dalla consulenza emerge che tutto il materiale è stato trasferito in “blocco” da un hard disk e ciò potrebbe essere avvenuto, ad opera di persone non identificate, in un momento in cui si era già avuta notizia dell’indagine ed era già intervenuto M.S..
In proposito va subito precisato che la questione riguarda, al più, i filmati riproducenti i rapporti sessuali dell’imputato con le giovani tailandesi, filmati che, effettivamente, sono stati acquisiti nel corso della rogatoria a differenza delle fotografie scattate dal sig. G.S. con il suo cellulare che, come si è visto, erano state caricate su chiavetta USB, portate in Italia per mostrarle a M.S. e Max Siluro e da questi copiate sul suo PC. Va, comunque, evidenziato che era quantomeno intenzione del prevenuto portare agli amici anche i filmati che ritraevano le sue prodezze sessuali e che solo per un errore non era stato in grado di farlo poiché aveva mal utilizzato un programma di masterizzazione copiando sulla chiavetta l’indice dei filmati ma non il contenuto (cfr. testimonianza C. pg. 41 verbale udienza 24/10/2006).
I filmati sono stati, poi, ottenuti con rogatoria ma la circostanza appena riferita consente di superare i sospetti (perché di meri sospetti si tratta e non certo di dubbi men che mai ragionevoli) sollevati dalla difesa e basati sul trasferimento “in blocco” del materiale sull’hard disk poi sequestrato: il sig. G.S. doveva caricare il supporto che avrebbe portato in Italia ed ha, perciò, caricato in unica soluzione e probabilmente in prossimità della partenza tutto il materiale sull’hard disk per trasferirlo sulla chiavetta USB, senza riuscire nell’ultima operazione.
Nessun dubbio vi è sulla utilizzabilità della prova.
Si ricorderà che all’atto della esecuzione del sequestro ci si era resi conto che, per mero errore materiale, nella richiesta di assistenza era stato mal indicato uno dei numerosi numeri che componevano l’indirizzo e che, ottenuta la correzione, si era proceduto al sequestro. Il luogo ove doveva essere eseguito l’atto, però, non era stato indicato da una fonte confidenziale.
E’ pur vero che l’ispettore Malandrino ha fatto riferimento sul punto ad un informatore, ma è vero anche che dalla annotazione in data 10/3/2006 acquisita in atti in conseguenza del consenso prestato al termine dell’udienza preliminare emerge che il luogo era stato indicato da una persona, il cui nominativo è riportato nella nota, che era stato raggiunto telefonicamente da M.S. e che aveva accompagnato gli operanti sul posto. Tale particolare è, evidentemente, sfuggito al difensore.
Quanto alla riferibilità dei filmati al sig. G.S. non possono sollevarsi dubbi di sorta atteso che l’uomo ritratto nel mentre ha rapporti vaginali ed anali con le giovani è l’odierno imputato che, come è emerso dalla visione di un video effettuata in aula di udienza, durante gli amplessi curava il posizionamento della telecamera evidentemente per essere certo che riprendesse integralmente la scena.
Superate queste obiezioni residua da affrontare se il fatto ascritto al sig. G.S. integri il reato in contestazione.
Giova, a tal punto, riprendere il discorso che si è fatto all’inizio del presente paragrafo sulla finalità che il legislatore ha inteso attribuire alla normativa introdotta con L. 269/1998 e sui principi affermati dalla Suprema Corte proprio in tema di 600 ter co. 1 c.p.
Già nella prima fase di applicazione della legge era stata sollevato il problema del significato da attribuire al termine “sfrutta” usato dal legislatore poiché detto termine richiama quello utilizzato dall’art. 600 bis c.p. per indicare un’attività criminosa che ha un contenuto patrimoniale o, comunque, economicamente valutabile.
Sul punto si sono espresse le Sezioni Unite chiamate a pronunciarsi sulla questione “se il fatto di sfruttare minori degli anni diciotto al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico postuli, o non, lo scopo di lucro e/o l’impiego di una pluralità di minori”.
La Corte ha rilevato che, in assenza di precedenti giurisprudenziali, era stata la dottrina sino a quel momento a fornire contributi interpretativi, dottrina che nell’esegesi della norma “muove dalla terminologia usata dal legislatore, il quale adopera una formula lessicale implicante necessariamente l’impiego di minori, quindi non di uno o più minori, ma di una pluralità indefinita numericamente di soggetti passivi. In un tale quadro di riferimento, l’orientamento maggioritario ritiene che il verbo sfruttare, utilizzato dal legislatore, implichi la finalità di lucro, o commerciale, nell’impiego di minori per la realizzazione di esibizioni pornografiche, in quanto il legislatore, con l’uso del termine in parola, ha voluto sanzionare una condotta abituale e parassitaria consistente nel valersi dell’attività altrui, che presuppone la finalità di lucro, sì da escludere quelle attività che si risolvano nell’appagamento di riservati e occasionali fini lussuriosi, ovvero nella occasionale, perversa, utilizzazione di un singolo fanciullo per lo scopo anzidetto. E’ opinione pressoché concorde che proprio la finalità che deve porsi l’agente comporti condotte tipiche che abbiano sostanziale carattere di imprenditorialità, per quanto embrionali e semplificate possano essere le forme organizzative”.   
In contrario, osserva la Corte, “gli argomenti adoperati dalla dottrina … maggioritaria, in sostanza, si riducono al criterio semantico, sia quando valorizzano l’uso legislativo del plurale per indicare i soggetti passivi del reato, sia quando concepiscono il verbo “sfruttare” come sinonimo di “utilizzare economicamente” o, addirittura, di “utilizzare in modo imprenditoriale”. Ma il criterio semantico non sembra correttamente applicato, anzitutto perché “sfruttare” nel linguaggio comune è sinonimo di “trarre frutto o utile” in genere, non necessariamente utile di tipo economico; e in secondo luogo perché, laddove la nozione di sfruttamento minorile è usata nello stesso contesto semantico (commi primo e quarto dell’art. 600 ter per indicare il materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento di minori), in un caso (quarto comma) la nozione di sfruttamento è qualificata dall’aggettivo sessuale, sicché tale qualifica appare esplicativa, e non alternativa, rispetto alla nozione generica di sfruttamento usata nel primo caso (comma primo). Se ne deve concludere che nell’art. 600 ter c.p. il legislatore ha adottato il termine “sfruttare” nel significato di utilizzare a qualsiasi fine (non necessariamente di lucro), sicché sfruttare minori vuol dire impiegarli come mezzo, anziché rispettarli come fine e come valore in sé: significa, insomma, offendere la loro personalità, soprattutto nell’aspetto sessuale, che è tanto più fragile e bisognosa di tutela quanto più è ancora in formazione e non è ancora strutturata”. (S.U. 5/7/2000 nr. 13).
Altra questione, affrontata e risolta dalla Corte nella sentenza appena richiamata, è quella della natura da attribuire all’ipotesi ex art. 600 ter co. 1 c.p., questione che il giudice di legittimità ha trattato proprio richiamandosi all’intento del legislatore evidenziato nell’art. 1 più volte citato.
Sul punto la Corte così si è espressa: “Poiché il delitto di pornografia minorile di cui al comma 1 dell’articolo 600 ter c.p. – mediante il quale l’ordinamento appresta una tutela penale anticipata della libertà sessuale del minore, reprimendo quei comportamenti prodromici che, anche se non necessariamente a fine di lucro, ne mettono a repentaglio il libero sviluppo personale con la mercificazione del suo corpo e l’immissione nel circuito perverso della pedofilia – ha natura di reato di pericolo concreto, la condotta di chi impieghi uno o più minori per produrre spettacoli o materiali pornografici è punibile, salvo l’applicabilità di altri reati, quando abbia una consistenza tale da implicare concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico”.
Alla luce di tali principi – assolutamente condivisibili ed ai quali il collegio non può che adeguarsi – è agevole affermare che, nel caso in esame, è pienamente integrata la fattispecie ex art. 600 ter co. 1 c.p. così come vigente all’epoca dei fatti.
E’ pacifico, invero, che il sig. G.S. abbia sfruttato sessualmente numerose minorenni per realizzare materiale pornografico fotografando con il suo cellulare minori nude e con le parti intime esposte ed, alcune, anche impegnate in atti sessuali e riprendendo con la sua cinepresa i rapporti vaginali ed anali che aveva con altre giovinette. Il numero e la qualità dei “prodotti” sarebbe già sufficiente, a parere del collegio, a dimostrare che la condotta serbata dal prevenuto ha quella “consistenza tale da implicare concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico” di cui parla la Corte.
Ma vi è altro. Il pericolo, nella specie, è reso ancor più concreto per aver l’imputato portato ai suoi amici le fotografie non solo per mostrarle loro ma anche per provare che era capace di realizzare un secondo catalogo, dopo quello andato perso, delle piccole prostitute da mettere a disposizione dei clienti dell’attività che stava tentando di organizzare nel settore del turismo sessuale infantile. Si ricordi che, all’epoca, il prevenuto riteneva di star trattando seriamente l’affare (tanto da attivarsi per reperire anche un mezzo di trasporto per i futuri clienti) ed, in questa ottica, aveva mostrato ai due le immagini.
Se, con le fotografie nel giugno 2005 non sono arrivati anche i filmati, è solo perché il sig. G.S. non è stato in grado di riversarli sulla chiavetta USB che aveva con sé; ma i filmati erano stati realizzati – e, difatti, sono stati trovati – ed erano destinati ad essere venduti a persone interessate ad un “filmetto regolare con la classica che si scopa qua e là … filmetti tailandesi un po’ little vergini”. E che non di vanterie si trattava ma di proposte effettivamente ricevute emerge dall’intercettazione ambientale del 9/9/2004 nella quale l’imputato informa Max Siluro di aver conosciuto un uomo che gli aveva promesso anche 20.000 euro in cambio di “un filmato anche fatto da me … che duri almeno un’ora e mezza, due ore”.
Ciò che ha impedito all’imputato di realizzare i suoi progetti è solo l’intervenuto arresto, ma il fatto non incide sul concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico stante quanto prima osservato in ordine alla effettiva “esibizione” delle fotografie – peraltro al fine di una successiva utilizzazione per scopi commerciali – e la destinazione dei filmati al mercato degli “appassionati” del genere.
Analoghe, seppur lievemente diverse, considerazioni si devono svolgere in riferimento al delitto ex art. 600 ter co. 3 contestato sub 2).
Va subito precisato che il discorso che si farà riguarderà unicamente la diffusione e divulgazione di notizie finalizzate all’adescamento ed allo sfruttamento sessuale di minori dovendosi fare una necessaria distinzione in punto di diritto tra questa contestazione e quella - effettuata nel medesimo capo di imputazione - relativa alla diffusione e divulgazione del materiale realizzato dall’imputato sfruttando sessualmente minorenni. Il dettato normativo, difatti, è chiaro prevedendo il comma 3 dell’art. 600 ter c.p. che la fattispecie in esame è configurabile “al di fuori delle ipotesi di cui al primo e secondo comma” ed escludendo, quindi, il concorso tra i due diversi reati ex commi 1 e 3. Nella specie si è visto che l’imputato è stato tratto a giudizio per, e ritenuto responsabile del, delitto ex art. 600 ter comma 1.
La precisazione vale, anche, a sgombrare il campo da alcune obiezioni sollevate dalla difesa che, riferendosi proprio alla distribuzione e divulgazione del materiale pornografico, ha affermato che il termine “distribuzione” è stato utilizzato in modo atecnico dal P.M. per indicare la diffusione, termine – questo - che non era presente nella dizione normativa vigente all’epoca dei fatti ed è stato inserito solo con la novella del 2006. Da ciò deriverebbe che, per aversi comportamento penalmente rilevante, occorrerebbe la consegna del materiale pornografico. Le considerazioni svolte sulla impossibilità di configurare il concorso di reati tra la produzione e la divulgazione di materiale pornografico esimono il collegio dall’affrontare la questione.
Né detta questione potrebbe essere proposta, e difatti la difesa non lo ha fatto, in relazione alla diversa condotta - sempre contestata al sig. G.S. al capo 2) - di divulgazione di notizie e informazioni finalizzate all’adescamento dei minori ed alla prostituzione minorile. A tale ipotesi, infatti, non si può riferire l’obiezione sollevata dal difensore né è applicabile la giurisprudenza della Corte che, in riferimento solo alla distribuzione di materiale pornografico, ha ritenuto non integrata la fattispecie nella ipotesi in cui detto materiale sia scambiato telematicamente tra due persone e configurabile, in questo caso, il diverso e meno grave reato ex art. 600 quater.
Nella specie, come si è visto, il sig. G.S. aveva dato le informazioni di cui si discute all’amico M.S., all’ispettore C. ed a N.R.: non si può dubitare che la comunicazione delle suddette notizie, anche in tempi diversi, a più persone costituisca “divulgazione” nel significato previsto dalla norma. In tal senso, peraltro, si è sempre espressa la giurisprudenza in relazione a tutte le fattispecie in cui la condotta punita è la divulgazione (cfr. art. 663 bis c.p. ora depenalizzato) affermando che la stessa si realizza nel momento in cui la cosa – o nel caso in esame la notizia – esce dalla sfera di disponibilità dell’agente e diviene, quindi, potenzialmente accessibile ad un numero indeterminato di persone.   
Quanto al contenuto delle “notizie o informazioni” si osserva che il carattere di “novità” delle stesse – che secondo il difensore deve contraddistinguerle perché il fatto assuma rilevanza penale – non è richiesto dalla norma.
La spiegazione di tale “omissione” è agevole se si ricorda quanto si è detto in precedenza sulle finalità della normativa che tende a prestare “una tutela penale anticipata della libertà del minore, reprimendo quei comportamenti prodromici che … ne mettono a repentaglio il libero sviluppo personale con la mercificazione del suo corpo e l’immissione nel circuito perverso della pedofilia”. A fronte di tale finalità ci si chiede in base a quali elementi possa essere valutata la novità della informazione o notizia che, in assenza di questo requisito, non sarebbe idonea a porre in pericolo il libero sviluppo del minore: la soluzione potrebbe trovarsi solo escludendosi tale carattere unicamente in relazione alle notizie che costituiscono fatti notori o di comune esperienza. Sarebbe, pertanto, notizia non nuova la affermazione che in Tailandia è diffusa la prostituzione minorile, ma non certo l’informazione sui luoghi in cui incontrare bambini soli o sulle modalità di approccio che, invece, costituisce quel comportamento prodromico idoneo a mettere a repentaglio il libero sviluppo personale dei fanciulli.
Nella specie la questione assume unicamente rilievo formale poiché, come è emerso dalla narrazione dei fatti, l’imputato ha fornito un così rilevante numero di notizie e informazioni sui luoghi da frequentare, sulle modalità da seguire per ottenere che i bambini seguissero l’abusante, sull’entità delle somme da pagare, sulla prostituzione minorile in Cambogia e sulle “procedure” da osservare per approfittare di quella opportunità, da rivelarsi una fonte preziosa, una vera e propria miniera in materia.
Né, a smentire quanto sopra, vale osservare – come ha fatto la difesa – che le notizie erano false in quanto frutto di mera vanteria e, pertanto, non penalmente rilevanti. Della impossibilità che le reiterate affermazioni dell’imputato fossero solo vanterie si è già detto ampiamente. Va, ora, aggiunto che l’elemento evidenziato in favore del sig. G.S. - il fatto che i suoi confidenti non abbiano avuto la possibilità di “sperimentare” direttamente la bontà delle informazioni ricevute - è contraddetto dal fatto di segno contrario (e la circostanza appare risolutiva) che la prima volta in cui il prevenuto ha avuto l’occasione di provare con i fatti la verità dei racconti, lo ha fatto riuscendo ad organizzare – in poche ore – un incontro a pagamento tra N.R. ed una bambina di 12 anni. Se l’incontro non ha avuto luogo è solo perché il giornalista ha preso tempo rinviando il tutto all’indomani.
Non è vero, quindi, che la bambina non “esiste nel mondo fenomenico”, così come sostenuto dal difensore. La minore c’era, era in vendita ed il sig. G.S. era in grado di trattare l’affare ed, anzi, lo aveva già concluso.
4) CONCLUSIONI E TRATTAMENTO SANZIONATORIO
Alla luce degli elementi sopra esaminati e delle considerazioni svolte il collegio ritiene di dover formulare, con certezza, un giudizio di penale responsabilità nei confronti del sig. G.S..
Non possono essere concesse le attenuanti generiche non potendosi valutare positivamente a tal fine nessuno dei criteri indicati dall’art. 133 c.p.
Alla concessione delle attenuanti ostano, in particolare, la gravità dei fatti (quale emerge dalla valutazione dei singoli episodi contestati e dalla reiterazione degli stessi), l’intensità del dolo dimostrata dalla particolare pervicacia di cui il prevenuto ha dato prova e la personalità dell’imputato che, lungi dal mostrare ravvedimento per il suo agire, ha sia prima del giudizio che in corso di processo palesato il suo profondo disprezzo per le sue giovani vittime, viste solo come strumenti del suo piacere sessuale.
Tutti i delitti contestati possono essere unificati ex art. 81 cpv. c.p. apparendo palesemente esecutivi del medesimo disegno criminoso.
Reato più grave è quello contestato al capo 5) punito con pena edittale più elevata.
Valutati i criteri dettati dall’art. 133 c.p. stimasi equa la pena di anni 14 di reclusione ed € 65.000,00 di multa (p.b. per il reato più grave già ritenuta la continuazione interna al capo anni 6 e mesi 2 di reclusione ed € 30.000,00 di multa aumentata ex art. 600 sexies co. 1 c.p. ad anni 9 e mesi 3 di reclusione ed € 45.000,00 di multa, aumentata ad anni 12 e mesi 3 di reclusione per la continuazione con il reato sub 3), ad anni 13 di reclusione ed € 55.000,00 di multa per la continuazione con il reato sub 1), ad anni 13 e mesi 9 di reclusione ed € 60.000,00 di multa per la continuazione con il reato sub 2 ed all’inflitto per la continuazione con il rimanente reato).
All’affermazione di penale responsabilità dell’imputato segue, per legge, la sua condanna al pagamento delle spese processuali.
La condanna comporta l’applicazione delle pene accessorie previste dalla legge ed, in particolare, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici ex art. 29 c.p., l’interdizione legale durante l’espiazione della pena ex art. 32 c.p., l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente la tutela e la curatela ex art. 609 nonies c.p., l’interdizione perpetua da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado nonché da ogni ufficio o servizio in istituzioni o strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori ex art. 600 septies c.p.
Del materiale in sequestro va ordinata, per legge, la confisca e la distruzione.
P.Q.M.
Visti gli artt. 533 – 535 c.p.p.
dichiara
Sampech Giorgio colpevole dei reati ascritti unificati ex art. 81 cpv. c.p. e lo
condanna
alla pena di anni quattordici di reclusione ed € 65.000,00 di multa nonché al pagamento delle spese processuali.
Visti gli artt. 29 – 32 – 609 nonies – 600 septies c.p.
dichiara
l’imputato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici, in stato di interdizione legale durante la pena, interdetto in perpetuo da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado nonché da ogni ufficio o servizio in istituzioni o strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori, interdetto in perpetuo da qualsiasi ufficio attinente alla tutela ed alla curatela.
Visti gli artt. 600 septies – 240 c.p.
ordina
la confisca e distruzione di quanto in sequestro.
Visto l’art. 544 co. 3 c.p.p.
indica
 in giorni novanta il termine per il deposito della motivazione della sentenza.
Milano, lì 8/3/2007                                                   Il presidente/estensore
                                                                               dott.ssa Annamaria Gatto
 
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