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Pedopornografia: la linea rigorosa della Cassazione in tema di rilevanza penale e lesione del bene protetto anche della mera detenzione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MAIO Guido - Presidente
Dott. PETTI Ciro - Consigliere
Dott. TARDINO Vincenzo - Consigliere
Dott. FIALE Aldo - Consigliere
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da M.A. nato il ..., avverso la sentenza del 05/05/2006 della Corte d’Appello di Milano;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in Pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. TARDINO VINCENZO LUIGI;
udito il Procuratore Generale in persona del Dott. DI POPOLO A. che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO E DIRITTO
Per il reato continuato di detenzione di materiale pornografico (art. 600 quater c.p M.A. era stato dalla Corte d'Appello di Milano condannato, con i doppi benefici, ad anni uno e mesi sei di reclusione. Avverso la decisione (5.5.2006) ricorreva per cassazione il difensore, deducendo l'illegittimità costituzionale, in relazione agli artt. 2, 3, 24, 25, 27 e 111 Cost. della normativa contestata; nonché la violazione di legge. L'illegittimità costituzionale sotto i due profili della indeterminatezza delle previsione, in contrasto con il principio di legalità e tassatività delle norma penali, di uguaglianza e di libertà (... il bene tutelato, che è quello del diritto ad un'infanzia serena, è certamente cospicuo; ma non si può, esprimendo un'istanza solo moralistica, condannare un uomo solo perché si compiaccia di scene pornografiche o pedopornografiche, quando non abbia in alcun modo partecipato alla realizzazione del prodotto e non ne ritragga un vantaggio economico e, soprattutto, non lo divulghi). La Costituzione, del resto, nel sancire la tutela dei diritti inviolabili dell'uomo, tutela entro certi limiti il diritto di disporre liberamente della propria sessualità: se, perciò, la sessualità di un soggetto si trovi ad essere gratificata attraverso la lettura di un fumetto pornografico che ritragga minori non può essere in alcun modo censurata: essendo incoercibile l'inclinazione sessuale di coloro che si siano procurati o, comunque, dispongano di materiale pornografico, a prescindere da una qualunque cooperazione nella realizzazione di qualsiasi attività a danno dei minori. La violazione di legge era rapportata all'omessa trasmissione del provvedimento autorizzativo delle indagini L. n. 269 del 1998, ex art. 14 (... la mancata trasmissione dell'autorizzazione non avrebbe potuto essere emendata durante la celebrazione del giudizio abbreviato; e la relativa attività doveva, comunque, essere ritenuta illegittima, con conseguenza inutilizzabilità quando, come nel caso di specie, le attività relative erano state demandate ai Carabinieri); alla contestazione di ipotesi delittuosa esclusa dal novero degl'illeciti, in relazione ai quali è consentito il ricorso ad agente provocatore (con conseguente inutilizzabilità).
Il ricorso è infondato e va respinto, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Premesso che, nella lettura della sentenza impugnata il reato si assumeva provato nella sua materialità sulla base degli atti, e per avere lo stesso imputato ammesso di essersi collegato ad alcuni siti internet che offrivano immagini pedopornografiche, sulle altre doglianze erano stati del pari espressi giudizi plausibili e, comunque, idonei alla tenuta della decisione.
E infatti, quanto alla doglianza sull'omessa trasmissione del provvedimento autorizzativi delle indagini L. n. 269 del 1998, art. 14 (da cui la contestata utilizzabilità delle prove acquisite) era stato osservato come l'autorizzazione, che originariamente non era stata inserita nel fascicolo dello stralcio, in realtà esisteva: tanto che era stata acquisita nel corso del giudizio abbreviato su disposizione del giudice. Peraltro era stato dato atto che la posizione del M. era stata stralciata da un procedimento più ampio, che aveva avuto origine da un'indagine di p.g. rivolta a localizzare "providers" che gestivano i predetti siti; e che, pertanto, l'imputazione del M. era, in primis, scaturita dalle predette indagini.
In sostanza, su questo primo punto, deve rilevarsi che il provvedimento autorizzativi delle indagini di p.g. - acquisito dal giudice nel corso del procedimento con il rito abbreviato - è, com'è noto, un atto che, essendo stato emesso dal P.M. nel corso delle indagini preliminari, doveva già essere inserito nel fascicolo trasmesso al giudice per l'udienza preliminare. La relativa omissione deve dirsi meramente occasionale e, per certi aspetti, giustificata: per la predetta ragione che la posizione dell'imputato era stata stralciata dal fascicolo più voluminoso, e relativo a numerosi altri indagati, e del quale non era stata fatta copia integrale degli atti. In ogni caso, l'acquisizione da parte del giudice di quell'atto, considerato essenziale per decidere sulle eccezioni preliminari del difensore dell'imputato, deve dirsi del tutto legittima in qualsiasi fase del procedimento - trattandosi, appunto, di un documento che già doveva trovarsi allegato al fascicolo -; ma anche perché l'art. 441 c.p.p., comma 5, prevede espressamente anche il potere del giudice di disporre una vera e propria integrazione probatoria anche nel giudizio abbreviato. Del pari infondato la lagnanza, secondo la quale l'attività di contrasto era stata affidata ai Carabinieri piuttosto che alla polizia postale: appunto perché, come si evince dalla normativa competente, la possibilità data alla polizia postale di svolgere indagini ... deve dirsi estensiva, piuttosto che limitativa, rispetto ai poteri di ricorrere alle forze ordinarie di p.g..
Le altre eccezioni di inutilizzabilità, argomentate sotto altri profili (...), vanno ancora respinte, in linea con le articolate e puntuali esemplificazioni della Corte di merito. Non sussisterebbe, cioè, alcuna illegittimità nell'aver tratto spunto dalle indagini regolarmente autorizzate e svolte, al fine dell'accertamento di reati ex art. 600 ter c.p. - per il quale sono ammesse le ricerche per via telematica -, per verificare la commissione del reato di cui all'art. 600 quater c.p., rispetto al quale solo gli accertamenti iniziali sarebbero semmai da considerare inutilizzabili. In questo senso, la sentenza n. 37074/2004 della Suprema Corte - con la quale si afferma l'inutilizzabilità, ai fini della prova del reato oggetto di causa, soltanto degli elementi acquisiti tramite l'attività di contrasto di cui al sopra citato art. 14. Si vuole dire che, nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione nella predetta sentenza - prodotta per esteso dalla difesa - si trattava di un'ipotesi in cui gli elementi di prova a carico della parte indagata erano stati pacificamente acquisiti esclusivamente attraverso un'attività di agente provocatore espletata ai sensi della L. 269 del 1998, art. 14 - che limita, appunto, la liceità dell'attività di contrasto solo al fine di perseguire delitti diversi da quelli di cui all'art. 600 quater c.p.. nel caso di specie, invece, dall'attività di contrasto è derivata - come si legge nel testo della sentenza impugnata - solo l'iscrizione nel registro degli indagati - che non è, di per sé un atto di indagine -, perché l'attività investigativa posta a conferma dell'ipotesi accusatoria è stata svolta successivamente con i mezzi (Ndr: testo originale non comprensibile): non risultando assolutamente sufficiente l'attività d'indagine autorizzata e svolta per l'accertamento dei reati di produzione e commercializzazione del materiale pedopornografico, ai fini dell'accertamento dei reati di cui all'art. 600 quater c.p. nei confronti dell'imputato M.: la cui detenzione di materiale pedopornografico è stata verificata alla stregua di accertamenti bancari, di successivi atti di perquisizione e di sequestro, nonché sugli esiti della consulenza tecnica disposta dal P.M..
Quanto, poi, alla proposto eccezione di costituzionalità, vanno ribadite le già espresse decisioni di manifesta infondatezza, e secondo le quali: la L. n. 269 del 1998, essendo volta ad offrire una tutela privilegiata ed esaustiva del minore. Sanziona sia l'offerta di materiale procurato tramite lo sfruttamento sessuale dei minori, sia la risposta a quell'offerta (configurandosi come due facce dello stesso fenomeno).
Appare, invero, a questa Corte che qualsiasi espressione della propria personalità e libertà possa essere considerata lecita e costituzionalmente garantita nella misura in cui la sua esplicazione non comporti danno per altre persone: specialmente se si tratti di soggetti incapaci di difendersi e impossibilitati ad operare delle liberi scelte. Anche perché è indubbio che tutta l'attività organizzata ai fini della produzione, diffusione e messa in commercio di certe immagini (...) esiste e si perpetua solo perché vi è a monte una domanda: un pubblico, cioè, di consumatori che intende acquistarle e detenerle. Pertanto, il comportamento di chi accede ai siti e versa gli importi richiesti per procurarsi il prodotto è altrettanto pregiudizievole di quello dei produttori. Ed è questa la ragione, per la quale, del tutto legittimamente, il legislatore punisce anche quelle condotte che concorrono a procurare una grave lesione alla libertà sessuale e individuale dei minori coinvolti.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 20 settembre 2007.
Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2007
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