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Le recenti modifiche apportate alla legge fallimentare impongono alcune brevi considerazioni in ordine ai reati di bancarotta, per i quali pendono i relativi procedimenti.
E’ noto che il D.Lgs.vo n. 5/2006 ha introdotto concrete novità , tra le altre, con riferimento alla qualità e fallibilità del soggetto imprenditore.
In buona sostanza il D.L.gvo richiamato ha indubbiamente ridotto l’area della fallibilità prevista dall’ originario art. 1 della L.F. 267/1942 .
In particolare la disposizione normativa in esame, al c. 2, ha delineato diversamente la figura del “ piccolo” imprenditore commerciale, statuendo la non assoggettabilità al fallimento di quell’imprenditore che abbia investito nella propria impresa un capitale inferiore a trecentomila euro e abbia realizzato ricavi lordi, calcolati sulla media degli ultimi tre anni o dall’inizio della propria attività se di durata inferiore , per un importo non superiore ad euro duecentomila.
Le modifiche introdotte successivamente con il d. lgsv 169/07 hanno tenuto conto del fatto che questa eccessiva riduzione dell’area di fallibilità impediva, sostanzialmente, di assoggettare al fallimento, ed alle conseguenti sanzioni penali, anche imprenditori di rilevanti dimensioni ed elevati livelli di indebitamento.
E’ così che le ultime modifiche, che entreranno in vigore a far data dal l’1.1.2008, hanno sostanzialmente eliminato tali eccessi di riduzione dell’area di fallibilità.
In realtà è stata eliminata definitivamente la figura del “ piccolo imprenditore” così come nota e disciplinata e sono stati introdotti alcuni requisiti e limiti al di sotto dei quali rimane operativa la citata area di non fallibilità.
In particolare, superando così anche i contrasti sorti relativamente alla individuazione dei criteri di qualificazione del piccolo imprenditore, la non fallibilità viene ancorata alla esistenza, congiunta, dei seguenti parametri:
- un attivo patrimoniale non superiore a trecentomila euro.
Viene così sostituito al criterio vago e generico dell’investimento iniziale quello più concreto( che consente un riferimento all’art. 2424 c.c.) e rilevabile dell’attivo patrimoniale. Tale attivo deve rapportarsi ai tre esercizi precedenti la data di deposito della richiesta di fallimento;
- i ricavi lordi non superiori ad euro duecentomila, con conseguente eliminazione del criterio della media dei ricavi nel triennio precedente;
-una situazione debitoria, riferita anche ai debiti non ancora scaduti, non superiore ad euro cinquecentomila.
L’onere di dimostrare la congiunta sussistenza dei tre requisiti di non fallibilità grava sul debitore.
Ma tornando alle norme attualmente vigenti e con particolare riferimento agli aspetti che in questo intervento ci preme approfondire, le modifiche alla LF influenzano senz’altro, in virtù del principio della successione temporale delle leggi penali ( art. 2 CP), i procedimenti in corso per imputazioni di bancarotta .
Orbene, è circostanza nota che le condotte costituenti fatti di bancarotta concretizzano la fattispecie penale p. e p. dagli artt. 216, 217, 223 LF solo nel caso in cui sia intervenuta la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore. In buona sostanza la dichiarazione di fallimento costituisce un elemento costitutivo del reato ( in passato una parte della dottrina aveva parlato di condizione di procedibilità ).
A questo si aggiunga che i reati di bancarotta rientrano indubbiamente nella categoria dei reati propri, stante la particolare qualità che deve essere rivestita dall’autore dei medesimi.
Ne consegue che la norma incriminatrice riferita a tali delitti deve essere considerata ( così come statuito dalle SSUU della Suprema Corte- sent. n. 1740/1987-) nel suo intero complesso di elementi, inclusi, tra questi, tutti gli aspetti rilevanti in riferimento al fatto-reato, quale, per i reati propri, la qualità del soggetto attivo.
Le disposizioni introdotte dal d.lgsvo 5/06, pertanto, portano a valutare i procedimenti pendenti alla luce del principio fissato dall’art. 2 del C.P., dovendosi far riferimento, ai fini della decisione, alla norma più favorevole al reo , essendo la legge in vigore diversa da quella vigente al momento della commissione del reato.
In buona sostanza, se il soggetto imputato di bancarotta, alla luce delle disposizioni attualmente vigenti, non riveste più la qualità soggettiva di imprenditore fallibile, verrebbe a mancare uno degli elementi costitutivi del reato, proprio per quella considerazione della norma incriminatrice che deve effettuarsi in seguito alla novatio legis intervenuta, con conseguente assoluzione dell’imputato.
La novella, dunque, si risolve in una modifica strutturale del reato riguardando la qualità del soggetto e “non attribuendo più disvalore sociale, penalmente rilevante, alla condotta in questione”, come osservato in una serie di recenti decisioni di merito (in primis Trib. Pordenone 10.10.07 a seguire Tribunale Lecce 7.11.07-Trib. Lecce 12.11.07-Trib. Lecce16.11.07 –ord.).
Il Giudice del dibattimento, pertanto, potrà accertare, di volta in volta, anche a mezzo di perizia dibattimentale a tal fine disposta, ove risultino insufficienti gli elementi raccolti in dibattimento, la sussistenza dei requisiti di non assoggettabilità al fallimento al fine di valutare la sussistenza del reato.
Analogo accertamento potrà effettuare, nell’udienza preliminare, il GUP ai sensi art. 422 c.p.p.
avv. Giovanni Bellisario - Lecce - dicembre 2007
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