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Notifiche ex art. 157, comma 8-bis c.p.p. sempre valide.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MAIO Guido - Presidente
Dott. PETTI Ciro - Consigliere
Dott. TARDINO Vincenzo - Consigliere
Dott. FIALE Aldo - Consigliere
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da A.G., nato ..., avverso la sentenza 23.2.2006 della Corte di Appello di Ancona;
Visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
Udita, in pubblica udienza, la relazione fatta dal Consigliere Dr. Aldo Fiale;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Dr. Di Popolo Angelo, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
Udito il difensore, Avv.to M.L., il quale ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Ancona, con sentenza del 23.2.2006, in parziale riforma della sentenza 10.12.1996 del Tribunale di Pesaro, ribadiva l'affermazione della responsabilità penale di A.G., gestore di fatto in ... del locale "...", in ordine ai reati di cui alla L. n. 75 del 1958, art. 3, n. 8 e art. 4, nn. 5 e 7, (favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione di più cittadine straniere - commessi fino al ... e, con le già riconosciute circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti, essendo stati unificati i delitti nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen., determinava la pena principale complessiva in anni uno, mesi otto di reclusione ed Euro 413,00 di multa.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'A., il quale ha eccepito:
a) violazione dell'art. 512 bis c.p.p., in quanto si sarebbe data illegittimamente lettura nel giudizio di primo grado (in seguito ad ordinanza del 28.10.1996) delle dichiarazioni rese da P.M. e da B.V. nella fase delle indagini preliminari, pur trattandosi di cittadine straniere domiciliate in Italia e che non erano state raggiunte da alcuna citazione;
b) violazione dell'art.195 c.p.p., commi 3 e 4, poichè il Tribunale avrebbe utilizzato illegittimamente la testimonianza de relato resa dall'ispettore della polizia giudiziaria B. in merito alle dichiarazioni acquisite da "una certa francesina, poi individuata dalla Questura come tale A.N. non escussa al dibattimento perchè irreperibile circa il prezzo delle prestazioni sessuali, diverso a seconda della loro entità e del luogo ove si sarebbero svolte";
c) vizio di motivazione in punto di affermazione della responsabilità, poichè mancherebbero elementi certi di prova a carico e sarebbero state incoerentemente considerate di contenuto confessorio le dichiarazioni rese dall'imputato mentre si trovava in stato di custodia cautelare;
d) vizio di motivazione in punto di determinazione della pena.
Il difensore - con "motivi aggiunti" depositati il 19.7.2007 - ha ulteriormente eccepito violazione di legge quanto alla notificazione all'imputato dell'avviso di fissazione del giudizio di appello, che
illegittimamente sarebbe stata effettuata ad esso difensore ex art. 157 c.p.p., comma 8 bis, e che, comunque, sarebbe stata ritualmente rifiutata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere rigettato, perche' infondato.
1. Non sussiste, anzitutto, il denunciato vizio della notifica effettuata ex art. 157 c.p.p., comma 8 bis.
1.1 Rileva al riguardo il ricorrente che l'avviso all'imputato della fissazione del giudizio di appello non si sarebbe potuto notificare ad esso difensore di fiducia - ai sensi dell'art. 157 c.p.p., comma 8
bis, - perchè le previsioni dell'art. 157 c.p.p. si applicano, per espressa previsione normativa, "salvo quanto previsto dagli artt. 161 e 162 c.p.p." e l'imputato medesimo, al momento della scarcerazione per cessazione della misura cautelare (16.8.1993), ai sensi dell'art. 161 c.p.p., comma 3, aveva "eletto domicilio in ..., via ..., cioè presso la sua residenza".
In ogni caso la notifica presso il difensore non poteva essere considerata valida, avendo egli espressamente dichiarato di non accettarla, come in sua facoltà.
1.2 L'art. 157 c.p.p., comma 8 bis introdotto dalla L. 22 aprile 2005, n. 60, che ha convertito con modificazioni il D.L. 21 febbraio 2005, n. 17 - all'enunciato fine di garantire la ragionevole durata
del processo in ottemperanza all'art. 111 Cost. e, quindi, di accelerare i tempi di notifica degli atti - ha previsto che, nell'ipotesi in cui sia stata effettuata nomina fiduciaria, le notifiche all'imputato non detenuto successive alla prima vengano effettuate consegnando l'atto al difensore, pure in mancanza di elezione di domicilio presso lo stesso.
A giudizio del Collegio - nella consapevolezza del diverso orientamento espresso da alcune pronunzie di questa Corte - presupposto di operatività della norma è esclusivamente la previa rituale effettuazione di una prima notifica, all'imputato "a piede libero", riferendosi a tale prima notifica l'incipit dello dell'art. 157 c.p.p. "salvo quanto previsto dagli artt. 161 e 162 c.p.p.", in considerazione della ratio della nuova disposizione, rivolta a consentire un tendenziale e generalizzato risparmio di tempi attraverso l'automatica notificazione degli atti ulteriori al difensore di fiducia.
La notificazione presso il difensore fiduciario (che diviene domiciliatario per legge del proprio assistito) e' del tutto equiparabile, ai fini della conoscenza effettiva dell'atto, alla notifica personale all'indagato/imputato e detta equiparazione non costituisce una mera fictio iuris, poiche' la limitazione del potere di autonomia dell'indagato/imputato e' ampiamente giustificata dalla natura e dalla sostanza del rapporto professionale che intercorre tra questi e l'avvocato difensore nominato di fiducia.
Ritenere che l'art. 157 c.p.p., comma 8 bis non possa essere applicato in tutti i casi nei quali l'imputato abbia previamente dichiarato o eletto il domicilio per le notificazioni ai sensi dell'art. 161 c.p.p., significa limitare l'applicazione delta nuova disposizione normativa ad ipotesi marginali e non attua la perseguita esigenza generale di garantire la celerita' del processo tenuto conto dell'obbligo di deontologia professionale del difensore, anche se non domiciliatario volontario del suo assistito, di portare a conoscenza di questi tutti gli atti processuali a lui diretti personalmente e che lo riguardano, nonche' dell'onere dell'imputato di mantenersi in contatto con il proprio difensore di fiducia, allo scopo di tenersi al corrente degli sviluppi del procedimento, del quale egli e' comunque a conoscenza.
Deve ritenersi, piuttosto, che l'indagato/imputato possa, in qualsiasi momento, escludere la domiciliazione ex lege con dichiarazione o diversa elezione di domicilio esplicitamente ed espressamente formulata in tal senso.
Ne' elementi decisivi di segno contrario possono trarsi (diversamente da quanto affermato nelle sentenze della Sez. 5^, 27.2.2007, n. 8108, ric. Landra e 6.12.2005, n. 44608, ric. Rizzato):
- dalla collocazione della nuova disposizione in esame nel contesto dell'art. 157 c.p.p.; trattandosi di collocazione sicuramente impropria, poiche' - nonostante la rubrica dell'articolo interpolato - la norma e' destinata a produrre una ricaduta non sulle modalita' di espletamento della "prima notificazione all'imputato non detenuto", bensi' sull'attivita' successiva a tale momento;
- dalla circostanza che, in sede di conversione del D.L. n. 17 del 2005, e' stato eliminato dall'art. 161 c.p.p., il comma 4 bis, introdotto dall'art. 2, comma 2, di tale D.L. ove veniva previsto che "in caso di nomina di difensore di fiducia le notificazioni alla persona sottoposta alle indagini o all'imputato, che non abbia eletto o dichiarato domicilio, sono eseguite mediante consegna al difensore"; poiche' trattavasi di previsione ultronea, in quanto la consegna al difensore era ed e' comunque gia' prevista dallo stesso art. 161, comma 4; - dalla constatazione che, nella Relazione governativa al D.L. 21 febbraio 2005, n. 17, si enunciasse testualmente "vengono aggiunte due nuove disposizioni agli artt. 157 e 161 c.p.p., allo scopo di rendere piu' celeri e sicure le notificazioni all'imputato non detenuto che abbia nominato un difensore di fiducia senza provvedere a dichiarare o eleggere domicilio ai sensi dell'art. 161 c.p.p."; poiche' deve tenersi conto dei sostanziali mutamenti apportati al provvedimento originario in sede di conversione in legge e comunque le disposizioni di nuova emanazione di inquadrano in un corpus normativo nel quale interagiscono e devono essere lette in una visione sistematica e teleologica.
Il Collegio non condivide, pertanto, le conclusioni alle quali e' pervenuta la 5^ Sezione di questa Corte Suprema, con la citata sentenza n. 44608/2005, Rizzato, secondo le quali la previsione dell'art. 157 c.p.p., comma 8 bis, sarebbe riferibile alla sola ipotesi in cui debba procedersi a nuova notificazione all'imputato nei cui confronti la precedente notificazione sia stata eseguita a norma del medesimo art. 157 c.p.p., comma 8 (cioe' mediante deposito nella casa comunale, avviso affisso sulla porta dell'abitazione e comunicazione a mezzo di lettera raccomandata): conclusioni peraltro difformi da quelle raggiunte da Cass., Sez. 4^, con la sentenza 21.11.2005, n. 41649, ric. Sandrini e da Cass., Sez. 6^, con la sentenza 1.6.2006, n. 19267, ric. Casilli (pronunzia, quest'ultima che, in presenza di nomina fiduciaria, ha ritenuto irrilevante, ai fini della successiva notificazione del decreto di citazione in appello, il domicilio dichiarato dall'imputato all'atto della scarcerazione).
1.3 Il difensore di fiducia non soltanto ha pur sempre la possibilita' di proporre deduzioni per la valutazione, da parte del giudice ex art. 420 bis c.p.p., del rilievo probabilistico del buon esito della citazione dell'imputato - in quanto la disposizione dell'art. 157 c.p.p., comma 8 bis, non e' richiamata dal medesimo art. 420 bis c.p.p., comma 1 (a differenza dell'art. 161 c.p.p., comma 4) ai fini dell'esclusione della probabilita' di effettiva conoscenza - ma puo' anche interrompere l'automatismo delineato dall'art. 157 c.p.p., comma 8 bis, dacche' la stessa norma prevede che egli "puo' dichiarare immediatamente all'autorita' che procede di non accettare la notificazione".
La Corte territoriale pero' - nella fattispecie in oggetto - ha considerato "tardivo" il rifiuto di accettazione dell'avvocato Lucio Monaco, perche' "avvenuto sette mesi dopo l'entrata in vigore della norma e solo in occasione della notifica del decreto di citazione".
Secondo un orientamento dottrinale (recepito, nella giurisprudenza di merito, dalla Corte di Appello di Bologna con l'ordinanza n. 2773 del 14.6.2005), l'espressione "immediatamente", contenuta nella norma citata, va intesa nel senso che l'intenzione di non accettare le notificazioni debba essere comunicata dal difensore contestualmente al deposito della nomina fiduciaria ovvero comunque, senza apprezzabile indugio, dopo tale deposito.
Il Collegio condivide detta interpretazione e ritiene che l'avverbio "immediatamente" non e' ricollegabile al momento in cui e' intervenuta la notificazione dell'atto al difensore domiciliatario per legge, non essendo razionalmente configurabile una previa situazione di assoluta incertezza e non potendo riconoscersi al difensore medesimo un'attivita' dilatoria dei tempi di svolgimento del processo (con conseguenze riflettentisi sulla prescrizione del reato). Il contrario orientamento introduce, altresi', ulteriori elementi di dubbio nei casi di utilizzazione delle forme di notificazione al difensore previste dall'art. 148 c.p.p., comma 2 bis.
Nel senso che la dichiarazione di non-accettazione deve logicamente precedere l'esecuzione dell'attivita' di notifica e non puo' essere ad essa contestuale si e' pure gia' espressa la 6^ Sezione di questa Corte Suprema, con la sentenza 1.6.2006, n. 19267, ric. Casilli. Elemento decisivo inoltre, nella fattispecie in esame, e' la circostanza che (per quanto e' dato ricavare dagli atti) il rifiuto di accettazione venne opposto dall'avvocato M. soltanto all'ufficiale giudiziario notificante (in data 11.1.2006), mentre non venne comunicato all'autorita' giurisdizionale procedente l'unica comunicazione in tal senso (affollata al fol. 10 del fascicolo del giudizio di appello) risulta, infatti, quella dell'avv.to R. B., difensore di fiducia del coimputato non ricorrente C.S.. Deve concludersi, pertanto, che il difensore in ogni caso non ottempero' correttamente al disposto del secondo periodo dell'art. 157 c.p.p., comma 8 bis.
2. Legittime devono poi ritenersi la lettura e l'acquisizione al fascicolo del dibattimento (stabilite con ordinanza del 28.10.1996) - ai sensi dell'ar.t 512 bis c.p.p. - delle dichiarazioni rese da P.M. e da B.V. nella fase delle indagini preliminari.
Al riguardo va rilevato che la norma in oggetto costituisce il meccanismo di recupero delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari dal cittadino italiano o straniero residente all'estero, prevedendo la possibilita' della lettura quale strumento acquisitivo delle stesse.
La norma medesima e' stata modificata dalla L. 16 dicembre 1999, n. 479, art. 46 entrata in vigore dopo la pronuncia ed il deposito della sentenza di primo grado nella vicenda processuale che ci occupa e, anteriormente a tali modifiche, consentiva la lettura, e quindi la utilizzabilita' a fini decisori di dichiarazioni siffatte, ancorandole al requisito della cittadinanza anziche' a quello della residenza ed a prescindere dalla circostanza che le stesse fossero divenute irripetibili successivamente al compimento, ponendo la sola condizione della omessa citazione del teste ovvero della non comparizione pure a seguito di citazione.
In seguito alla riforma, invece, la lettura delle dichiarazioni del cittadino italiano o straniero residente all'estero, anche se rese a seguito di rogatoria internazionale - in deroga al principio del contraddittorio - e' subordinata non piu' alla mera omessa citazione, bensi' alla mancata comparizione in giudizio nonostante regolare citazione ed anche all'assoluta impossibilita' dell'esame dibattimentale.
Il potere discrezionale del giudice di disporre la lettura delle dichiarazioni in oggetto e' altresi' condizionato - con previsione che esisteva anche nella precedente formulazione della norma - dalla previa valutazione degli "altri elementi di prova acquisiti", il cui contesto serve a giustificare la decisivita' della lettura e la necessita' di integrare il materiale probatorio gia' acquisito qualora non sia di per se' sufficiente a formare il convincimento del giudice medesimo.
Nella fattispecie in esame va considerata legittima la lettura delle dichiarazioni accusatorie rese da P.M. e da B. V. secondo la disciplina del previgente art. 512 bis c.p.p.. poiche' le stesse sono state considerate utilizzabili ai fini decisori alla stregua del requisito della cittadinanza, anziche' quello della residenza, in una situazione di oggettiva irreperibilita' delle due donne (essendo stata espletata anche rogatoria internazionale senza esito positivo) ed a prescindere dalla circostanza che le loro dichiarazioni fossero divenute irripetibili successivamente al compimento.
Quanto alle questioni di diritto intertemporale riguardanti la sorte delle dichiarazioni acquisite a norma dell'art. 512 bis prima della novella del dicembre 1999, aderisce infatti il Collegio all'interpretazione giurisprudenziale secondo la quale il principio "tempus regit actum" deve essere riferito al momento delta acquisizione della prova, sicche' questa rimane utilizzabile ai fini della decisione anche se successivamente viene mutata la cornice normativa (vedi Cass., Sez. 3^: 28.11.2006, Spezzani; 9.7.2004, n. 30132, Morello e 29.11.2000, n. 12291, Tassev ed altro).
L'art. 526 c.p.p., comma 1 bis, (introdotto dalla L. 1 marzo 2001, n. 63 sul "giusto processo") - secondo il quale la colpevolezza dell'imputato non puo' essere provata sulla base di dichiarazioni provenienti da chi, per libera scelta, si e' sempre volontariamente sottratto all'esame da parte dell'imputato o del suo difensore - non opera nel caso in cui l'utilizzazione delle dichiarazioni rese nelle indagini preliminari avvenga in forza di legittima applicazione dell'art. 512 bis c.p.p., in quanto la situazione disciplinata da tale disposizione normativa configura un'ipotesi di oggettiva impossibilita' di formazione della prova in contraddittorio prevista dall'art. 111 Cost., comma 5.
L'art. 111 Cost., comma 5 demanda, infatti, alla legge la regolamentazione dei casi "in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o per accertata impossibilita' di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita".
Ne consegue che la irreperibilita' del teste, che pure e' conseguenza di un atto volontario, non determina automaticamente la inutilizzabilita' delle precedenti dichiarazioni, ma e' un dato neutro che assume valenza ai fini dell'art. 526 c.p.p., comma 1 bis, solo qualora sia connotata dalla volonta' di sottrarsi all'esame (vedi Cass., Sez. 1^, 6.7.2006, n. 23571, Ogaristi). Una connotazione siffatta, pero', nella specie, non e' desumibile da prova diretta ne' da presunzione ricollegabile alla citazione per il dibattimento (mai avvenuta).
3. Infondata e' pure la doglianza di pretesa violazione dell'art. 195 c.p.p., comma 4, quanto alla ritenuta utilizzabilita' delle affermazioni "de retato" (circa le confidenze ricevute da A. N., le cui dichiarazioni dirette sono state ritenute non acquisibili ex art. 512 c.p.p., stante la prevedibile irreperibilita' della donna) contenute nella deposizione resa in sede dibattimentale dal vice-ispettore della P.S. B.A.. Va evidenziato, in proposito, che:
- la nuova formulazione della disposizione normativa anzidetta - introdotta dalla L. 1 marzo 2001, n. 63, art. 4 - dispone che "gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalita' di cui all'art. 351 c.p.p. e art. 357 c.p.p., comma 2, lett. a) e b)";
- sulla base della norma transitoria posta dalla L. n. 63 del 2001, art. 26, comma 1, si deve ritenere che il testo novellato dell'art. 195 c.p.p., comma 4, si applica anche "nei processi penali in corso alla data di entrata in vigore" della novella legislativa (6 aprile 2001).
La testimonianza B., pero', e' stata materialmente assunta circa cinque anni prima di tale entrata in vigore ed il Collegio condivide, al riguardo, le conclusioni alle quali e' pervenuta la sentenza 1.3.2006, n. 7352, ric. Maffioli ed altri, della 1^ Sezione di questa Corte Suprema (gia' recepite dalla sentenza 28.11.2006, ric. Spezzani di questa 3^ Sezione) e le argomentazioni ivi svolte, secondo le quali la L. n. 63 del 2001, modificando l'art. 195 c.p.p., comma 4, ha introdotto non un divieto di utilizzazione ma uno specifico divieto di acquisizione probatoria, sicche' deve ritenersi pienamente utilizzabile la deposizione di un ufficiale della polizia giudiziaria sul contenuto di dichiarazioni di testimoni, avvenuta (come nel caso in esame) prima dell'entrata in vigore della nuova legge.
La 2^ Sezione - con la sentenza 8.3.2002, n. 9532, Borragine - ha pure avuto modo di osservare che dalla norma transitoria posta dalla L. n. 63 del 2001, art. 26, per quanto riguarda l'applicazione del principio "tempus regit actum", traspare la volonta' del legislatore di assicurare la tutela delle esigenze economia processuale, come sembrano indicare i commi 3 e 5 di detta norma, che escludono espressamente la retroattivita' di alcune rilevanti disposizioni che attengono al regime di utilizzabilita' degli atti.
Da cio' consegue che la deposizione resa dal teste B. correttamente e' stata ritenuta utilizzabile ed e' stata utilizzata nella sua interezza nel presente processo.
4. La Corte di merito ha valorizzato, ai fini dell'affermazione di responsabilita', il complessivo materiale probatorio acquisito agli atti processuali e la motivazione della sentenza impugnata appare esauriente e corrispondente alle premesse fattuali acquisite, in quanto essa esamina tutti gli elementi decisivi a disposizione e fornisce risposte coerenti alle obiezioni della difesa. La pronuncia di condanna si fonda, invero (al di la' di ogni valutazione riferita alle dichiarazioni rese dall'imputato mentre si trovava in stato di custodia cautelare), non su elementi meramente indiziali bensi' su:
- la denuncia presentata da tale I.R.;
- le dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari da P. M. e B.V.;
- le deposizioni testimoniali degli agenti di P.S. B. e M.. Essi si recarono nel locale gestito dall' A., ove vennero informati dei prezzi e delle modalita' necessari per avere rapporti sessuali di vario tipo con le ragazze che ivi lavoravano ed il M. concordo' con la P. un rapporto sessuale completo, consegnando a lei L. 300.000 e L. 250.000 al cameriere (rinvenute poi queste ultime nella cassa del locale), al fine di potere uscire in compagnia della donna.
I giudici di merito non hanno mancato di considerare le eccezioni difensive (in particolare quelle riferite alle dichiarazioni di altri testimoni, i quali avevano dichiarato di non essersi mai accorti che nel locale avvenisse una qualche attivita' di prostituzione) e razionalmente ne hanno affermato l'inconsistenza; mentre le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione dei fatti e dell'attribuzione degli stessi alla persona dell'imputato non sono proponibili nel giudizio di legittimita', quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente solleciti la rilettura del quadro probatorio e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.
5. La pena risulta determinata - infine - con legittimo e motivato riferimento ai criteri direttivi di cui all'art. 133 cod. pen., essendosi tenuto conto, in particolare, della oggettiva entita' dei fatti e dei precedenti penali (anche specifici) dell' A., razionalmente ritenuti indicativi di un'accentuata capacita' a delinquere.
6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Cosi' deciso in Roma, il 20 settembre 2007.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2007
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