Versione per la stampa
Caso Abu Omar: la Consulta dichiara inammissibile, ai sensi dell'art. 37 l. 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto, «nell'interesse della Sezione G.I.P. del Tribunale di Milano, in persona del Presidente f.f., dott. Filippo Grisolia, e del G.I.P. assegnatario del procedimento n. 1966/05, dott.ssa Caterina Interlandi».
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di ammissibilità del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato, «nell'interesse della Sezione G.I.P. del Tribunale di Milano, in persona del Presidente f.f., dott. Filippo Grisolia, e del G.I.P. assegnatario del procedimento n. 1966/05, dott.ssa Caterina Interlandi», nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in relazione alla nota (prot. n. USG/2.SP/1318/50/347) dell'11 novembre 2005 a firma del Presidente del Consiglio dei ministri, on. Silvio Berlusconi; alla nota (prot. n. USG/2.SP/813/50/347) del 26 luglio 2006 a firma del Presidente del Consiglio dei ministri, on. Romano Prodi, ed alla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 luglio 1985, n. 2001.5/707, in materia di tutela del segreto di Stato nel settore degli Organismi di informazione e di sicurezza, promosso con ricorso depositato in cancelleria il 15 giugno 2007 ed iscritto al n. 7 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2007, fase di ammissibilità.
Udito nella camera di consiglio del 26 settembre 2007 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che, con ricorso depositato il 15 giugno 2007, «nell'interesse della Sezione G.I.P. del Tribunale di Milano, in persona del Presidente f.f., dott. Filippo Grisolia, e del G.I.P. assegnatario del procedimento n. 1966/05, dott.ssa Caterina Interlandi», è stato proposto conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Presidente del Consiglio, «in relazione alle note dell'11 novembre 2005 e del 26 luglio 2006, nonché alla direttiva 30.7.1985 n. 2001.5/07 [recte: 2001.5/707], in quanto comportano un'illegittima compressione delle attribuzioni e dei poteri propri dell'autorità giudiziaria garantiti dagli artt. 101 e ss. della Costituzione»;
che, nel ricostruire, quale antefatto del conflitto, la vicenda del sequestro di persona di Nasr Osama Mustafa Hassan, detto Abu Omar, avvenuto in Milano il 17 febbraio 2003, i ricorrenti evidenziano, in particolare, che tutti gli atti di indagine del procedimento in questione erano stati depositati ai sensi dell'art. 415-bis del codice di procedura penale in data 6 ottobre 2006; che in data 5 dicembre 2006 era stato richiesto il rinvio a giudizio degli imputati e in data 9 gennaio 2007 era stata iniziata l'udienza preliminare, senza che in tale sede venisse «manifestata una qualsiasi opposizione rispetto all'allegazione agli atti dei documenti sequestrati il 5 luglio 2006 nell'ufficio del SISMi e delle registrazioni telefoniche»; che, infine, in data 16 febbraio 2007, il Giudice dell'udienza preliminare aveva emesso il decreto che dispone il giudizio nei confronti degli imputati, ivi compresi tutti gli appartenenti al SISMI;
che i ricorrenti riassumono il contenuto del ricorso per conflitto di attribuzione proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti del Giudice per le indagini preliminari in funzione di Giudice dell'udienza preliminare (dopo analogo ricorso proposto nei confronti della Procura della Repubblica di Milano), in relazione al decreto che dispone il giudizio, sottolineando come, in quel giudizio, il Giudice dell'udienza preliminare – costituendosi e sollevando a sua volta, con ricorso incidentale, conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio – avesse ribadito che, nel corso del procedimento penale in questione, non era mai stata eccepita, nelle forme e nei modi previsti dal codice di procedura penale, l'esistenza di un segreto di Stato sui documenti e sulle notizie acquisiti nel corso delle indagini e utilizzati dal giudice dell'udienza preliminare;
che, per quanto concerne l'ammissibilità del ricorso, i ricorrenti ricordano, quanto al profilo soggettivo, la «pacifica giurisprudenza» della Corte che riconosce la legittimazione del giudice per le indagini preliminari in funzione di giudice dell'udienza preliminare – quale organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene – ad essere parte di conflitti di attribuzione; e deducono, quanto al profilo oggettivo, la circostanza che oggetto del conflitto risulta essere l'illegittima compressione dei poteri propri dell'autorità giudiziaria, derivante da atti e comportamenti di altro potere dello Stato;
che, nel merito, il ricorso per conflitto è articolato in una serie di motivi, a premessa dei quali i ricorrenti richiamano princìpi e direttive cui la materia del segreto di Stato dovrebbe ispirarsi, desumibili tanto dalla giurisprudenza costituzionale (segnatamente dalla sentenza n. 86 del 1977), quanto dalla normativa vigente (legge 24 ottobre 1977, n. 801); e si sofferma, in particolare, sull'affermazione secondo la quale il potere di secretazione risulta circoscritto, sotto il profilo oggettivo, ai soli casi in cui sia strettamente funzionale alla salvaguardia di supremi ed imprescindibili interessi dello Stato: sicché il segreto non potrebbe in nessun caso essere apposto «per impedire l'accertamento di fatti eversivi dell'ordine democratico»;
che, del resto, il legislatore ha individuato negli artt. 202 e 256 cod. proc. pen. «il meccanismo processuale» del segreto, formalizzando le modalità di eccezione di esso e le relative conseguenze processuali: e ciò al fine di garantire che l'esercizio del potere di secretazione avvenga non soltanto nel rispetto dei limiti imposti dalla Costituzione, ma in forza di princìpi di legalità, correttezza e lealtà, secondo forme ed atti tipici;
che per contro – si dolgono i ricorrenti – il Presidente del Consiglio «ha preteso di “sbarrare” l'esercizio della funzione giurisdizionale con atti del tutto “atipici” […], così determinando un'illegittima compressione delle attribuzioni costituzionali dell'Autorità giudiziaria»;
che, in proposito, viene dedotta innanzitutto la violazione del principio di legalità con riferimento alla nota dell'11 novembre 2005 ed alla direttiva 30 luglio 1985, n. 2001.5/707, «se interpretate» alla stregua di quanto afferma il Presidente del Consiglio dei ministri nel suo ricorso: vale a dire quale divieto all'autorità giudiziaria di acquisire ed utilizzare tutte le informazioni ed i documenti attinenti ai rapporti tra Servizi italiani e stranieri;
che gli atti in questione, lungi dall'essere ipotesi eccezionali di apposizione del segreto, prospetterebbero «una generale preclusione all'autorità giudiziaria in relazione ad un lungo elenco di materie», così configurando un «anomalo onere» per il giudice di richiedere al Presidente del Consiglio una «espressa deroga» al segreto genericamente imposto: deroga alla quale resterebbe subordinato il pieno esercizio dei poteri giurisdizionali;
che ancora, secondo i ricorrenti, la medesima direttiva 30 luglio 1985, n. 2001.5/707, sarebbe illegittima, sotto un diverso e autonomo profilo, «se interpretata come vincolante per l'autorità giudiziaria in assenza di una rituale opposizione del segreto e di una successiva conferma»;
che, invero, con la direttiva citata, il Presidente del Consiglio ha effettivamente imposto ai funzionari del CESIS, del SISMI e del SISDE di opporre il segreto di Stato in relazione ad un «elenco di cose, atti, documenti e notizie» (allegate alla direttiva medesima), la cui divulgazione «appare in via di principio idonea ad arrecare pregiudizio» ai fondamentali interessi in relazione ai quali è finalizzato il segreto stesso; ma ha altresì specificato che «non sempre i documenti e le notizie contenute nell'elenco allegato sono, di per sé, concretamente idonei, se divulgati, ad arrecare danno a quegli interessi»;
che l'elenco allegato alla direttiva 30 luglio 1985, n. 2001.5/707, si fonda espressamente su di una valutazione meramente astratta della pericolosità dei documenti e delle notizie ivi indicate, demandando alla successiva fase della conferma, da parte del Presidente del Consiglio, la valutazione della sussistenza in concreto dei presupposti del segreto: in caso contrario – in assenza, cioè, di una rituale opposizione del segreto e di una sua successiva conferma, come avvenuto, secondo il ricorrente, nel caso di specie – la direttiva in esame risulta illegittima e gravemente lesiva delle attribuzioni costituzionali dell'autorità giudiziaria;
che, quale ulteriore motivo di ricorso, i ricorrenti prospettano l'illegittimità della nota del 26 luglio 2006, se con essa il Presidente del Consiglio ha inteso secretare ex post tutti i documenti e le notizie – anche quelli già acquisiti dal pubblico ministero in assenza di qualsiasi eccezione concernente l'esistenza del segreto di Stato – relativi al sequestro di Abu Omar ed, in generale, alla pratica delle cosiddette renditions;
che la classificazione di una notizia come segreta deve necessariamente essere antecedente alla sua acquisizione da parte dell'autorità giudiziaria, così come chiaramente si evince dalla normativa vigente e dai suoi lavori preparatori, pena, in caso contrario (e cioè in caso di preclusione a posteriori dell'acquisizione delle fonti di prova), l'evenienza di un uso distorto del potere di secretazione; senza considerare che la nota in questione, opponendo una secretazione generica e fondata «su di una sottile ambiguità delle espressioni utilizzate», pare inerire non già ai singoli documenti richiesti dalla Procura di Milano al Ministro della difesa, quanto piuttosto alle tematiche oggetto di questi documenti;
che le note del Presidente del Consiglio dell'11 novembre 2005 e del 26 luglio 2006 risulterebbero, inoltre, gravemente lesive delle attribuzioni proprie dell'autorità giudiziaria in quanto prive di motivazione: ogni atto relativo al segreto di Stato reca infatti – secondo il rimettente – la necessità della motivazione in relazione alla concretezza del pericolo, ad essa legandosi la legittimità del potere di secretazione;
che viene, inoltre, dedotta la violazione del principio di correttezza e lealtà, sotto il profilo della contraddittorietà del comportamento dell'esecutivo, il quale dapprima avrebbe vietato all'autorità giudiziaria l'acquisizione di tutta una serie di informazioni relative ai rapporti tra il Servizio segreto italiano e quelli stranieri; poi, nel corso delle indagini, avrebbe costantemente rassicurato la medesima autorità giudiziaria circa l'inesistenza di un segreto di Stato sulla vicenda Abu Omar; infine, ad indagini concluse, avrebbe riaffermato l'esistenza del segreto tanto sul sequestro, quanto sulle cosiddette extraordinary renditions, come del resto dimostrerebbe la nota stampa della Presidenza del Consiglio del 5 giugno 2007, che, sebbene documento privo di valore legale, denota appieno l'atteggiamento oscillante dell'esecutivo nei confronti della autorità giudiziaria;
che una ulteriore censura a sostegno del conflitto viene dedotta con riferimento alla mancata comunicazione della nota dell'11 novembre 2005 e della nota del 26 luglio 2006 al Comitato Parlamentare per i servizi di informazione e di sicurezza e per il segreto di Stato, da parte del Presidente del Consiglio;
che tale procedura, disciplinata espressamente dall'art. 16 della legge n. 801 del 1977, vale a demandare al Comitato parlamentare la funzione di controllo – di legittimità e di merito – della secretazione apposta dal Presidente del Consiglio: con la conseguenza che la relativa omissione comporta una grave illegittimità dell'operato del Presidente del Consiglio, che ha così eluso il controllo parlamentare;
che, infine, i ricorrenti deducono, in via subordinata, l'illegittimità della secretazione in questione, perché apposta su fatti che, integrando ipotesi di fatti eversivi dell'ordine costituzionale, non potrebbero mai essere coperti dal segreto di Stato;
che tali fatti, nelle intenzioni del legislatore del 1977 e sulla scorta degli insegnamenti della Corte costituzionale, risultano essere non soltanto quelli che mettono in pericolo l'assetto democratico-parlamentare dell'ordinamento, ma anche quelli che contrastano con i princìpi supremi sanciti dalla Costituzione e, quindi, innanzitutto, con la garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo: e non par dubbio – concludono i ricorrenti – che il sequestro di persona in questione, al pari di ogni extraordinary rendition, comporti molteplici e gravi violazioni dei diritti umani e, in particolare, del diritto alla libertà ed alla sicurezza, alla libertà dalla tortura e dai trattamenti crudeli, come stigmatizzato anche dalla risoluzione del Parlamento europeo del 14 febbraio 2007;
che, alla luce di tali censure, i ricorrenti concludono chiedendo, in via istruttoria, che sia ordinata al predetto Comitato parlamentare di controllo «la trasmissione delle eventuali comunicazioni del Presidente del Consiglio in merito alle note dell'11 novembre 2005 e del 26 luglio 2006, nonché delle relative determinazioni adottate in sede di controllo»; ed al Presidente del Consiglio dei ministri «l'esibizione di ogni altro atto, diverso da quelli impugnati, con cui il segreto in questione sarebbe stato apposto»;
che, nel merito, i ricorrenti chiedono che la Corte dichiari che non spetta al Presidente del Consiglio dei ministri «vietare all'autorità giudiziaria l'acquisizione e l'utilizzazione di tutte le informazioni ed i documenti attinenti ad un “elenco di materie” e subordinare il pieno esercizio della funzione giurisdizionale in tali materie ad un'espressa deroga del Presidente del Consiglio»; che non spetta, altresì, al suddetto organo «secretare notizie e documenti ex post, dopo che gli stessi siano stati legittimamente acquisiti dall'autorità giudiziaria», né «secretare notizie e documenti senza indicarne le ragioni essenziali»; in via subordinata, chiedono che la Corte dichiari che non spetta al Presidente del Consiglio «disporre la secretazione di atti e notizie riguardanti le extraordinary renditions in quanto eversive dell'ordine costituzionale»; con conseguente annullamento «in parte qua» delle note dell'11 novembre 2005 e del 26 luglio 2006, nonché della direttiva 30 luglio 1985, n. 2001.5/707.
Considerato che in questa fase del giudizio, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la Corte costituzionale è chiamata a delibare senza contraddittorio in ordine all'ammissibilità del conflitto di attribuzione, sotto il profilo della sussistenza della «materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza»;
che, sotto il profilo soggettivo, il giudice per le indagini preliminari, in funzione di giudice dell'udienza preliminare, è legittimato a sollevare conflitto, avuto riguardo alla giurisprudenza di questa Corte che riconosce ai singoli organi giurisdizionali la legittimazione ad essere parti di conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, in quanto, in posizione di piena indipendenza garantita dalla Costituzione, competenti a dichiarare definitivamente, nell'esercizio delle relative funzioni, la volontà del potere cui appartengono (da ultimo, in conflitto ex art. 68 Cost., sentenza n. 304 del 2007 e ordinanza n. 24 del 2006);
che, tuttavia, la legittimazione in concreto del giudice dell'udienza preliminare a sollevare conflitto in tanto sussiste in quanto l'atto impugnato sia suscettibile di incidere direttamente sul contenuto dei provvedimenti giurisdizionali che il giudice dell'udienza preliminare è chiamato ad emettere (decreto che dispone il giudizio di cui all'art. 429 del codice di procedura penale o sentenza di non luogo a procedere di cui all'art. 425 dello stesso codice) e quindi «sull'esercizio dei poteri attinenti alla giurisdizione dello stesso giudice» (in conflitto ex art. 68 Cost., sentenza n. 294 del 2002);
che, nella specie, il conflitto è stato sollevato dopo l'emissione del decreto che dispone il giudizio e la trasmissione dei relativi atti al giudice del dibattimento, sicché il giudice dell'udienza preliminare, non essendo più titolare in atto del potere giurisdizionale in ordine al giudizio medesimo, difetta della relativa legittimazione;
che le considerazioni dianzi svolte trovano conferma anche nella incerta enunciazione di quale sia l'organo confliggente, risultando il conflitto testualmente sollevato «nell'interesse della Sezione G.I.P. del Tribunale di Milano, in persona del Presidente f.f., dott. Filippo Grisolia, e del G.I.P. assegnatario del procedimento n. 1966/05, dott.ssa Caterina Interlandi»;
che, peraltro, la legittimazione attiva della Sezione G.I.P. del Tribunale di Milano, quale articolazione ordinamentale dell'ufficio giudiziario di appartenenza, non è configurabile, non potendosi riconnettere all'ufficio, in quanto tale, alcuna funzione giurisdizionale propria e, dunque, alcuna lesione di attribuzioni costituzionalmente presidiate;
che analoghi rilievi valgono anche in riferimento alla posizione del Presidente (effettivo o, come nella specie, facente funzioni) di detta sezione, essendo incarico privo di attribuzioni giurisdizionali proprie;
che, pertanto, va dichiarata l'inammissibilità del ricorso.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile, ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto, «nell'interesse della Sezione G.I.P. del Tribunale di Milano, in persona del Presidente f.f., dott. Filippo Grisolia, e del G.I.P. assegnatario del procedimento n. 1966/05, dott.ssa Caterina Interlandi», con il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 settembre 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 26 settembre 2007.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
|