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Penale.it - Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 5 maggio 2007 (dep. 14 settembre 2007), n. 34849

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Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 5 maggio 2007 (dep. 14 settembre 2007), n. 34849
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Versione per la stampa

Diffamazione a mezzo stampa e critica politica: la Cassazione censura linguaggio e modus operandi dei nostri politici

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NARDI Domenico - Presidente
Dott. FERRUA Giuliana - Consigliere
Dott. FEDERICO Raffaello - Consigliere
Dott. MARASCA Gennaro - Consigliere
Dott. NAPPI Aniello - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da P.N. nato il ...;
contro
F.G. nato il ...;
avverso la sentenza del 31/03/2006 della Corte d'Appello di Bari;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udito in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Gennaro Marasca;
Udito il Pubblico Ministero in persona del Dott. Enrico Delehaye, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore della parte civile avvocato A.S. del foro di Salerno, che ha concluso per l'annullamento della sentenza impugnata;
Udito il difensore dell'imputato avvocato F.M. in sostituzione dell'avvocato G.A., che ha concluso per il rigetto del ricorso.
La Corte di Cassazione:
OSSERVA
F.G., consigliere di opposizione presso il comune di ..., nel corso di una intervista pubblicata dal quotidiano (OMISSIS) del  (OMISSIS), facendo riferimento ad una denuncia da lui stesso sporta contro il sindaco della citta' P.N., formulava giudizi - presenza di tangentopoli (OMISSIS) e di clientelismo come conseguenza del voto di scambio - nei confronti di quest'ultimo ritenuti offensivi.
Per tale fatto il F., con sentenza emessa dal Tribunale di Bari il 3 maggio 2005, veniva condannato alle pene di giustizia oltre al risarcimento dei danni in favore del P. costituitosi parte civile.
Con sentenza del 31 marzo 2006 la Corte di Appello di Bari, dopo avere rigettato una eccezione di incompetenza territoriale, ravvisava, ricorrendone i presupposti, nei fatti l'esercizio del diritto di critica politica ed assolveva il F. dal reato ascrittogli perche' il fatto non sussiste.
Con il ricorso per cassazione la parte civile P.N. deduceva i seguenti motivi di impugnazione:
1) la inosservanza ed erronea applicazione della legge penale per la mancanza dei presupposti - verita' dei fatti, continenza ed interesse pubblico - per ritenere l'esercizio del diritto di critica, dal momento che per il P. vi era stata soltanto la richiesta di rinvio a giudizio per alcune ipotesi di falso ideologico;
2) la mancanza e manifesta illogicita' della motivazione anche con riferimento a specifici atti del processo, dal momento che, a tutto voler concedere, nella denuncia del F. non si parlava di voto di scambio ne' di fatti corruttivi che potessero essere ricompresi nel termine tangentopoli.
La Corte non aveva compiuto una analisi per verificare per quali reati vi era stata iscrizione e per quali ragioni per altre ipotesi di reato prospettate dal F. vi fosse stata archiviazione. Infine il vizio di motivazione sarebbe ravvisabile anche con riferimento alla ritenuta continenza espressiva ed all'interesse pubblico alla notizia.
I motivi posti a sostegno del ricorso non sono fondati perche' la Corte di merito ha valutato i fatti ed ha ritenuto sussistenti i presupposti per riconoscere l'esercizio del diritto di critica politica di cui all'art. 51 c.p., con motivazione non incongrua e non manifestamente illogica.
Da quanto e' dato desumere dalle due sentenze di merito il F. rilascio' una intervista telefonica al giornale (OMISSIS) in merito alla pubblicazione di un manifesto murale con il quale aveva criticato il sindaco di (OMISSIS) in carica ricordando di averlo denunciato un anno prima per la c.d. tangentopoli (OMISSIS).
Il F. era all'epoca capo della opposizione nel consiglio comunale di (OMISSIS).
Orbene la decisione censurata appare del tutto corretta.
Non vi e' dubbio che la notizia che il capo della opposizione avesse denunciato il sindaco della citta' per vari reati attinenti al funzionamento della pubblica amministrazione era di interesse pubblico, essendo interesse della cittadinanza conoscere la valutazione della opposizione sull'operato di un pubblico amministratore.
E' altrettanto fuori dubbio che quando un uomo politico assuma una iniziativa cosi' grave, come certamente e' la denuncia di un amministratore in carica, abbia il diritto - dovere di comunicare alla pubblica opinione la sua iniziativa, che ha una indubbia valenza politica, dal momento che gli elettori anche su tali fatti e comportamenti dovranno poi giudicarlo. Quanto al requisito della c.d. continenza la Corte territoriale ha spiegato che il tenore della intervista era sostanzialmente corretto.
Sono stati usati toni certamente aspri e forti per raccontare i fatti, ma mai il F. si e' abbandonato a gratuiti attacchi alla persona del P., avendo sempre censurato in modo assai chiaro il comportamento del sindaco della citta', e si e' limitato a censurare i comportamenti politici ed amministrativi dello stesso.
Quello sullo continenza delle espressioni usate e' un giudizio di merito, che per essere sorretto da una motivazione logica e congrua e' esente da censure di legittimita'.
Del resto il linguaggio di molti politici di livello nazionale, ed in alcuni casi addirittura dei leaders, si e' talmente involgarito ed e' divenuto cosi' aggressivo, che non deve meravigliare se poi rappresentanti politici locali imitino i propri capi.
In ogni caso nella presente situazione, come e' stato correttamente stabilito dalla Corte di merito, non sono ravvisabili espressioni volgari o argumenta ad hominem, ma semplicemente giudizi duri ed aspri, che sono pienamente giustificati dal contenzioso politico esistente sfociato addirittura in una denuncia penale.
Anche sul terzo necessario presupposto della verita' della notizia le critiche della parte civile ricorrente non colgono nel segno.
In primo luogo e' opportuno chiarire che a ben leggere l'articolo incriminato sembra che il F. avesse piu' che altro interesse a censurare la lentezza della giustizia, dal momento che a distanza di oltre un anno dalla presentazione della denuncia non era stato adottato alcun provvedimento dell'Autorita' Giudiziaria. Si tratta di lentezza per cosi' dire normale per gli addetti del settore, ma che stupisce un normale cittadino, perche' appare del tutto ragionevole ritenere che i procedimenti a carico di pubblici amministratori si svolgano celermente nell'interesse del denunciante e del denunciato, ma principalmente nell'interesse dei cittadini - elettori, che hanno il diritto di sapere in breve tempo se il loro sindaco sia persona che commetta reati o se l'uomo politico denunciante sia un calunniatore. Le considerazioni sul punto dei giudici di secondo grado sono, pertanto, da condividere.
Ma anche a volere considerare l'intervista del F. una critica al sindaco, va detto che la verita' della notizia appare sussistente.
Intanto vi e' da chiedersi quale sia la vera notizia riportata nel testo, introducendo cosi' un argomento non approfonditamente considerato ne' dalla Corte di merito ne' dal ricorrente.
In effetti la vera notizia sembra essere che il F., nella sua qualita' di capogruppo della minoranza in consiglio comunale, aveva presentato una denuncia per gravi fatti, denominati genericamente tangentopoli (OMISSIS), contro il sindaco della citta', assumendosi in tal modo pesanti responsabilita', ivi compresa anche una eventuale denuncia per calunnia.
Se e' questa la notizia, unita a quella della inerzia, ritenuta dal denunciante, della competente magistratura, non vi e' dubbio che essa sia vera perche' effettivamente la denuncia era stata presentata e davvero il denunciante si era lamentato per la lentezza del corso della giustizia.
Ma anche a non volere ritenere questa la vera notizia fornita ai cittadini con la intervista incriminata, si deve ritenere che il requisito della verita' della notizia sia soddisfatto anche con riferimento alle accuse mosse al sindaco, come ritenuto dalla Corte di merito.
Risulta, infatti, che dalla denuncia indicata sia scaturita, anche se a distanza di alcuni anni, una richiesta di rinvio a giudizio del P. per delitti di falso in atto pubblico.
Per altri fatti, invece, venne disposta l'archiviazione degli atti; non e' dato sapere se l'archiviazione venne disposta per insussistenza dei fatti o per prescrizione dei reati, come sembra ipotizzare la Corte territoriale.
E' certo, pero', che per i fatti denunciati come tangentopoli (OMISSIS) vi e' stata una richiesta di rinvio a giudizio del P. con un primo vaglio da parte di un magistrato che ha ritenuto sostenibile l'accusa in dibattimento ed ha ritenuto necessaria una verifica dibattimentale della vicenda.
Cio' dimostra che i relativi fatti meritavano di essere portati alla attenzione della Magistratura, indipendentemente dall'esito finale del processo e fatta salva, ovviamente, la presunzione di innocenza dell'imputato fino alla sentenza definitiva.
La parte ricorrente ha, pero', sostenuto che i reati per i quali era stato chiesto il rinvio a giudizio non avevano niente a che fare con la denunciata tangentopoli (OMISSIS), che evoca ben altri reati.
Siffatta tesi non puo' essere accolta perche' nel linguaggio comune ed anche giornalistico il termine tangentopoli sta ad indicare un modo di amministrare disinvolto e non rispettoso delle regole legali; con tale termine in effetti si vogliono indicare vari reati commessi da pubblici amministratori, che vanno da casi di vera e propria corruzione, ad ipotesi di illecito finanziamento dei partiti ed a fatti di ricettazione e di falso.
Interpretato in tal senso il termine usato nella intervista, i reati di falso in questione contestati al capo di una amministrazione sono certamente espressione di un uso disinvolto dei propri poteri ; ci si puo' lamentare che il termine sia troppo enfatico e che per la situazione data era forse un po' eccessivo, ma argomentare dall'uso di tale parola che l'imputato abbia dato una notizia falsa, o meglio non vera, non e' possibile perche' sarebbe contro ogni logica.
Anche su tale punto la sentenza impugnata non merita, quindi, censure sotto il profilo della legittimita'.
Ma il ricorrente ha sostenuto che il termine voto di scambio usato nell'intervista evocava il reato di cui al D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, art. 96, reato per il quale non vi era stata alcuna denuncia del P. e per il quale, quindi, non era stato disposto alcun rinvio a giudizio.
Anche tale prospettazione non coglie nel segno.
In effetti il F. nell'intervista ha sostenuto che si era in presenza di un clientelismo esasperato che connoterebbe ogni decisione amministrativa e che cio' sarebbe conseguenza del voto di scambio.
L'accusa, quindi, era tutta politica, nel senso che il P. accusava il sindaco di fare una politica clientelare.
Cosa questa, peraltro, per nulla originale perche' del c.d. clientelismo sarebbe permeata tutta la politica nazionale, specialmente quella meridionale, se si vuole prestare fede ai nostri politici che si accusano l'un l'altro di favorire, sia a livello locale che nazionale, i propri elettori e le proprie clientele.
Il termine voto di scambio in tale contesto politico all'evidenza non e' stato utilizzato dal P. nel senso tecnico proprio del legislatore e della giurisprudenza penale, ma come espressione sintetica ed icastica per affermare che venivano favorite dalla politica del sindaco le sue clientele.
Si tratta di critica politica, dunque, forte ed aspra, ma non di attribuzione di un fatto reato specifico come erroneamente pretende il ricorrente.
In conclusione ricorrevano tutti i presupposti per ritenere sussistente nel caso di specie, come ha fatto la Corte di merito, la esimente dell'esercizio del diritto di critica.
Per le ragioni indicate il ricorso deve, pertanto, essere rigettato ed il ricorrente condannato a pagare le spese del procedimento.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del procedimento.
 
Cosi' deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 maggio 2007.
Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2007
 
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