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Le SS.UU. si pronunciano ancora una volta in tema di intercettazioni, confermando alcuni orientamenti già espressi, ribadendo, in particolare, che l’obbligo di motivazione del decreto del p.m., con cui si disponga l’esecuzione delle operazioni intercettative mediante impianti diversi da quelli in dotazione alla Procura, non si possa ritenere assolto con il semplice riferimento all’insufficienza o inidoneità degli impianti dell’ufficio, che si limiti a ripetere la formula legislativa; inoltre, le SS.UU. statuiscono ancora che qualora non sia assolto dal p.m. l’obbligo di motivazione così come indicato supra, non sia consentito al giudice colmare tale mancanza nel giudizio di merito o di legittimità con l’individuazione, in tali sedi, delle effettive ragioni dell’insufficienza o inidoneità degli impianti dell’ufficio, sulla base di atti del processo diversi dal decreto del p.m. e da quelli che lo integrano per relationem.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE PENALI
(omissis)
Svolgimento del processo
1. Il 21 novembre 2002 il G.I.P. del Tribunale di Napoli, in esito a giudizio abbreviato, condannava A. B. O., E. E., R. H., O. U. E., O. E., O. K., B. L. A., e O. J. A. a pene ritenute di giustizia, con le connesse pene accessorie, tutti, ad eccezione di E., per imputazione di cui all'art. 74 D.P.R. n. 309/1990, E. per imputazione di cui agli artt. 110, 112, n. 1, 81, cpv., 56 c.p., 73 D.P.R. n.309/1990; ed inoltre A., R., O., O. per imputazioni, unificate sotto il vincolo della continuazione, di cui a tale ultima disposizione normativa.
Sui gravami degli imputati e del Procuratore Generale, la Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 17 febbraio 2004, disponeva nei confronti dei predetti imputati l'espulsione a pena espiata dal territorio dello Stato, e confermava nel resto.
Premesso che la vicenda processuale aveva preso l'abbrivo da indagini effettuate in merito al sequestro di un cittadino nigeriano e nel corso di esse erano state effettuate intercettazioni di comunicazioni telefoniche, i cui esiti erano stati utilizzati per l'affermazione di responsabilità degli imputati, nel pervenire alla resa confermativa statuizione di responsabilità, la Corte territoriale disattendeva, tra l'altro, una eccezione di inutilizzabilità di tali esiti captativi. In particolare, quanto al decreto di urgenza del P.M. n. 1476/99, emesso il 30 settembre 1999 e convalidato dal G.I.P. il 1° ottobre successivo, riteneva sufficientemente esplicitate in motivazione le ragioni di eccezionale urgenza volute dalla norma; quanto ad altro decreto, n. 1730/99, pur esso emesso di urgenza dal P.M. P8 novembre 1999 e convalidato dal G.I.P. il giorno successivo, lo stesso era stato "integrato, quanto ai motivi ex art. 268.3 c.p.p., con decreto del P.M. 15.6.2001", e le circostanze esplicitate "integrano, ad avviso della Corte, i requisiti di urgenza previsti dagli artt. 267, comma 3, e 268, comma 3, c.p.p., sicché l'originaria carenza di motivazione attiene unicamente al presupposto della insufficienza o inidoneità degli impianti installati presso la Procura della Repubblica" e la integrazione motivazionale del P.M., "sulla base , peraltro di una certificazione della propria segreteria", doveva ritenersi al riguardo legittima. Alla stregua di tanto, i giudici dell'appello ritenevano "assorbite e superate le ulteriori questioni sollevate dalle difese circa l'utilizzabilità delle informative della polizia giudiziaria in ordine al contenuto delle conversazioni intercettate e circa l'utilizzabilità delle dichiarazioni rese da coimputati a seguito di contestazione del contenuto delle conversazioni intercettate". Disattendevano, inoltre, altra eccezione difensiva "concernente la mancata indicazione delle generalità dell'interprete nei verbali di intercettazione", rilevando che, "ritualmente nominato un interprete nella persona di O. S. R...., la mancata menzione negli stessi dell'interprete non determina affatto incertezza assoluta sulle persone intervenute e, segnatamente, sull'identità dell'interprete..., sia per l'esistenza agli atti del citato decreto del P.M., sia per il riferimento dei verbalizzanti a detto provvedimento..., sia, e non da ultimo, perché l'interprete risulta aver comunque sottoscritto ciascun foglio dei ed. brogliacci, a lui dovendo attribuirsi la sigla che inizia con la lettera 'O'...". Rigettavano altresì, altra eccezione "inerente alla mancata trascrizione delle conversazioni intercettate nella lingua originale...".
2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorsi i predetti imputati, O. personalmente, E. ed O. con atto a firma propria ed altro atto a firma del proprio difensore, gli altri per mezzo dei rispettivi difensori.
A. col ricorso a firma del difensore denunzia vizi di violazione di legge e di motivazione. Deduce che illegittimamente erano state disattese le eccezioni di inutilizzabilità delle conversazioni captate sulle "utenze di uso privato n. 348-6936155 e 348-7768900..., non essendo state osservate le disposizioni di cui agli artt. 267 e 268 c.p.p."; che "certamente erronea" doveva ritenersi la "identificazione ... dell'imputato nella persona usuaria delle utenze succitate"; che manca "inoltre del tutto la verifica della attendibilità delle dichiarazioni della coimputata M. P."; che illegittimamente erano state disconosciute le attenuanti generiche; che altrettanto illegittimamente non si era fatta applicazione dell'art. 649 c.p.p., per precedente giudicato in riferimento ad una sentenza della Corte di Appello di Napoli dell'I 1 dicembre 2001, ed era stata ritenuta "la inapplicabilità della disciplina di cui all'art. 81 c.p. in riferimento ai fatti giudicati con la succitata sentenza 11.12.01 della Corte di Appello di Napoli".
Con motivi aggiunti, a firma del proprio difensore, depositati il 27 febbraio 2007, il ricorrente ritorna sul primo dei profili di doglianza suindicati, rilevando che, quanto ai decreti di intercettazione telefonica nn. 1476/99 e 1730/99, convalidati poi dal G.I.P., questi erano stati emessi "sconvolgendo totalmente la prassi applicativa e senza adeguata motivazione circa la sussistenza di particolari ragioni di urgenza"; che si era disposta l'utilizzazione di impianti esterni, installati presso la Compagnia CC. di Mondragone, "senza minimamente motivare in ordine alle ragioni che giustificassero una tale anomala prassi, sia quanto alla sussistenza di eccezionali ragioni di urgenza, sia quanto alla oggettiva impossibilità dell'uso degli impianti installati presso la Procura della Repubblica di Napoli"; che "solo posteriormente al compimento delle operazioni di intercettazione risultava intervenuto il provvedimento autorizzativo del G.I.P. (provvedimento peraltro illegittimo)...".
Con altro atto pervenuto il 12 febbraio 2007, a firma dell'imputato, avente ad oggetto "motivi ulteriori di ricorso per cassazione", A., richiamate le vicende processuali, assume: che "in qualità di imputato straniero, sono venute a mancare nelle varie fasi dibattimentali... tutti i diritti di difesa inerenti, in primis, l'assistenza di un interprete, ma anche la mancata comunicazione di tutti gli atti riguardanti i procedimenti assunti a carico dell'imputato e l'inosservanza di memorie difensive, inoltre la specifica analisi e traduzione, sia a mezzo di perito nominato dalla varie Corti, che quello nominato a difesa..."; che "vi è stata totale inosservanza del predetto bis in idem", nonostante "la particolare uguaglianza dei reati contestati..."; che "vi è stata ancora, in subordine, l'inosservanza dell'art. 81 c.p...."; che, infine, "da parte delle varie Corti vi è stata l'inosservanza e la violazione agli artt. 303, comma 4, lett. e), e 304 c.p.p....".
Altro atto, ancora, a propria firma tale ricorrente ha fatto pervenire il 3 luglio 2007, col quale rievoca le vicende processuali ed ulteriormente deduce che "sono venute a mancare nelle varie fasi dibattimentali... tutti i diritti di difesa, in primis l'assistenza di un interprete, ma anche la mancata comunicazione di tutti gli atti riguardanti i procedimenti assunti a carico dell'imputato e l'inosservanza di memorie difensive..."; soggiunge che "vi è stata totale inosservanza del predetto bis in idem....; che "vi è stata l'inosservanza e la violazione agli artt. 303, comma 4, lett. e), e 304 c.p.p."; chiede, "in subordine, revoca della sentenza della Corte di Appello di Napoli, VI Sez., ai sensi dell'art. 669, comma 4...".
E., con l'atto a firma propria, assume che la Corte di Appello "non ha preso adeguatamente in considerazione i fatti, ed elementi di decisiva importanza", in riferimento al punto concernente la espulsione dal territorio dello Stato.
Con l'atto a firma del difensore denunzia:
a) il vizio di violazione di legge. Deduce che "le intercettazioni in questione sono state autorizzate con il decreto del P.M. n. 319 dell'I 1.3.1999, per il periodo di 40 gg. dall'inizio delle operazioni (risalente all'8 agosto 1999). Di conseguenza, il termine ultimo andava a scadere il 17 settembre 1999. Il decreto del P.M. del 18.8.99, convalidato dal G.I.P. (il 19.8.1999) non produceva alcun effetto di proroga dell'originario termine di scadenza delle intercettazioni... Di conseguenza, le comunicazioni avvenute tra il 23.9.1999 e il 29.9.1999 sono state intercettate illegittimamente". Soggiunge che "la Corte di Appello ha violato il disposto dell'art. 268, e. 3, c.p.p., nel ritenere legittime ed utilizzabili le intercettazioni telefoniche eseguite fuori dai locali della Procura della Repubblica senza che vi fosse l'autorizzazione - che si ritiene debba essere necessariamente preventiva -per l'esecuzione delle operazioni con altri impianti, con motivazione sull'insufficienza o inidoneità degli impianti presso la Procura e la sussistenza di particolari ragioni di urgenza". Rileva, ancora, "l'inutilizzabilità dei verbali di intercettazione in quanto non sono stati trascritti i dialoghi nella lingua utilizzata dai soggetti intercettati";
b) il vizio di violazione di legge, in relazione all'art. 56 c.p., perché "erroneamente la Corte d'Appello ha ritenuto sussistenti i requisiti dell'idoneità e non equivocità degli atti posti in essere dagli imputati";
e) il vizio di "mancanza di motivazione in ordine alla concessione dell'attenuante prevista dall'art. 114 c.p.".
Con atto datato 1° febbraio 2005, personalmente sottoscritto, il ricorrente ha chiesto di "rendere ufficialmente esecutiva la sentenza" e ha dichiarato di rinunciare "ai motivi di ricorso di Cassazione".
R., dal canto suo, denunzia:
a) vizi di violazione di legge e di motivazione, in relazione agli artt. 192, 2° e, 267, 268, 3° e, 271, 530 c.p.p., in riferimento ai capi a) e b) della rubrica. Illegittimamente - deduce il ricorrente - la Corte territoriale aveva disatteso la eccezione di inutilizzabilità degli esiti delle disposte intercettazioni telefoniche. "In particolare, per quanto attiene al decreto 1476/99, lo stesso difettava di qualsiasi motivazione in ordine alle eccezionali ragioni di urgenza ed alla insufficienza degli impianti". Quanto al decreto n. 1730/99, illegittimamente si era ritenuto che, non contenendo esso alcuna motivazione, "l'inutilizzabilità fosse sanata dal provvedimento del P.M. che integrava a posteriori la motivazione". Soggiunge che "i decreti andavano, altresì, dichiarati inutilizzabili per avere il giudice di prime cure fondato la motivazione, ex art. 267 c.p.p., in ordine alla sussistenza dei gravi e/o sufficienti indizi su fonti confidenziali, non utilizzabili ai sensi dell'art. 195, 7° comma, c.p.p. e 203 c.p.p.", avendo sul punto omesso la Corte di motivare;
b) vizi di violazione di legge e di motivazione, in relazione agli artt. 192, 3° e 4° e, 530, "1° e/o 2° comma", c.p.p., in riferimento agli stessi capi a) e b) della imputazione. Premesso che la sentenza impugnata aveva ritenuto l'attendibilità delle dichiarazioni rese da alcuni coimputati, rileva che, "a prescindere da una adeguata valutazione dell'attendibilità intrinseca dei dichiaranti, non potevano essere utilizzati come riscontro i risultati di intercettazioni telefoniche... inutilizzabili";
c) vizi di violazione di legge e di motivazione in relazione agli artt. 74 D.P.R. n. 309/1990, 530, "1° e/o 2° comma", c.p.p., in riferimento al capo a) della imputazione. Avendo i giudici dato atto - deduce il ricorrente -che "l'imputato sia concorso nell'unico reato fine contestato - capo b) -trattasi, pur sempre, di un episodio isolato e contestato sotto forma di tentativo" e quindi "non poteva essere ritenuta sussistente... l'ipotesi di cui all'articolo 74";
d) vizi di violazione di legge e di motivazione, "sia in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche, sia in ordine alla mancata irrogazione della pena nei minimi edittali, sia in ordine alla mancata revoca delle pene accessorie, sia in ordine alla disposta espulsione dell'imputato a pena espiata".
O. e O., con unico atto a firma del comune difensore, denunziano:
a) "inutilizzabilità ex art. 268, 3Q comma, 271, 1° comma c.p.p., dei risultati delle intercettazioni eseguite in esecuzione dei decreti emessi in via d'urgenza n. 1476/99 e 1730/99". Quanto al secondo, "il provvedimento autorizzativo posteriore al compimento delle operazioni di intercettazione e quindi alla intromissione nelle comunicazioni private non può avere alcun effetto" e "in nessun modo il giudice può convalidare a posteriori un'attività già esaurita nel contrasto con le rigide prescrizioni codicistiche". Quanto ad entrambi, per quel che concerne le eccezionali ragioni di urgenza, di cui all'art. 268.3 c.p.p., "la motivazione della sentenza sul punto... si è esaurita nella piatta riproposizione delle sciatte peudo-argomentazioni dei decreti autorizzativi", dovendosi invece ritenere insussistenti quelle ragioni di eccezionale urgenza.; quanto alla "insufficienza ed inidoneità dei locali della Procura della Repubblica..., la sentenza si è limitata a ribadire ancora, in modo del tutto apodittico, la congruità della motivazione riguardo ad entrambi 'i requisiti di urgenza previsti dalla legge', senza quindi riservare alcuna attenzione alle critiche, pure specificamente articolate sul punto... Tanto il decreto n. 1476/99, quanto quello di convalida del 15.6.01..., si limitava(no) ad allegare la insufficienza degli impianti installati presso la sala ascolto della Procura della Repubblica...; il decreto n. 1730/99 era del tutto privo di motivazione". Soggiunge che "per completezza deve anche segnalarsi un ulteriore profilo di inutilizzabilità degli esiti delle intercettazione telefoniche..., in relazione all'art. 142 c.p.p.", perché, non essendo contestato "che le operazioni di intercettazione siano avvenute alla presenza di un interprete della lingua IBO", si era omesso di dare rilievo alla circostanza che "le generalità di quest'ultimo non figurino in nessuno dei processi verbali de quibus" ;
b) il vizio di motivazione "in relazione al mancato accoglimento della richiesta di integrazione probatoria". Ricordato che "nell'atto di appello si era poi espressamente formulata una richiesta di integrazione probatoria", si assume al riguardo che "la sentenza sorvola su di un dato invece di enorme rilevanza: l'indisponibilità originaria delle trascrizioni integrali delle conversazioni intercettate e della loro traduzione, sia pure eseguita da un interprete nominato dal P.M.", sicché "il materiale utilizzato dai giudici di merito... consiste in grandissima parte in sunti estremamente sintetici ed, in misura solo marginale, in frammenti di conversazioni estrapolati dal loro contesto... In tale ottica la richiesta di integrazione probatoria aveva la dichiarata funzione di richiamo del giudice al suo dovere di valutare criticamente... il materiale probatorio acquisito"; avendo a suo tempo il P.M. ritenuto ed il giudice condiviso la necessità di procedere alla trascrizione e traduzione di almeno una parte delle conversazioni intercettate, si era disposto di procedersi ad incidente probatorio al riguardo, ma "la indisponibilità del perito trascrittore individuato dal giudice aveva fatto però svanire nel nulla la necessità della prova de qua..." e "il giudice... aveva revocato implicitamente la sua ordinanza di ammissione dell'incidente probatorio"; ma - rilevano i ricorrenti - "è almeno dubbia la revocabilità dell'ordinanza di ammissione dell'incidente probatorio, perlomeno alle condizioni valutate dal giudice nel caso in esame". Ricordato che era stata proposta richiesta di rito abbreviato condizionata alla trascrizione e traduzione delle "medesime conversazioni oggetto dell'incidente probatorio revocato", e che essa era stata rigettata, avanzando a quel punto gli imputati richiesta di rito abbreviato non condizionato, si assume che "il rigetto della richiesta di giudizio abbreviato, insindacabile e senza rimedio, aveva determinato un obiettivo vulnus del diritto di difesa degli imputati, i quali, per non rinunciare alla riduzione dell'eventuale sanzione, si erano visti di fatto costretti a ripiegare sul giudizio abbreviato 'secco'";
e) il vizio di motivazione sul punto concernente la responsabilità di O. Si deduce - in sintesi - che illegittimamente la sentenza impugnata aveva ritenuto di identificare tale ricorrente "nel personaggio che compare in alcune (assai poche, in verità) conversazioni, al quale viene attribuito il soprannome di ". Inoltre, "accettata la identificazione dell'O. con L'Uche Bello, la Corte avrebbe dovuto controllare criticamente gli elementi probatori in relazione alle tre ipotesi accusatorie residue", mentre "la sentenza ha totalmente omesso tale doveroso adempimento";
d) il vizio di motivazione sul punto concernente la responsabilità di O. Anche al riguardo si assume che illegittimamente si era ritenuta la "identificabilità del ricorrente in uno degli interlocutori della N.";
e) il vizio di motivazione in punto di mancata concessione delle
attenuanti generiche. Tanto era stato ritenuto - si assume - con "ricorso ad
una formula stereotipata", mentre la sentenza impugnata avrebbe dovuto
rendere "manifeste le ragioni per le quali aveva ritenuto di non accedere alla
richiesta difensiva";
f) il vizio di violazione di legge, in relazione all'art. 74, 3° e, D.P.R. n. 309/1990: la Corte di appello "avrebbe dovuto escludere la circostanza aggravante... essendo risultati gli associati in numero di dieci".
O. ha reso, nella Casa Circondariale di Avellino, una dichiarazione di ricorso, "riservando le motivazioni al mio difensore di fiducia"; i motivi non sono stati prodotti e con dichiarazione resa l'8 settembre 2006 nella Casa Circondariale di Lecce tale imputato ha rappresentato: "chiedo che la controscritta sentenza... passi in fatto già giudicato e rinuncio a tutti i termini di legge".
B. denunzia:
a) il vizio di violazione di legge, in relazione alla ritenuta utilizzabilità degli esiti delle intercettazioni telefoniche eseguite "nell'ambito di impianti installati presso la Stazione dei CC. di Mondragone...". Posto che i relativi provvedimenti richiedono la sussistenza di eccezionali ragioni di urgenza e che occorre fornire autonoma ed adeguata motivazione circa i presupposti di legge, "tale indefettibile obbligo motivazionale - rileva il ricorrente - non sembra sia stato assolto dalla Procura della Repubblica. Con riferimento, ad esempio, al decreto d'urgenza del P.M. n. 1476/99... si manifesta assolutamente carente la motivazione addotta, che non dà conto, in maniera precisa ed esauriente, delle ragioni per le quali gli impianti presso la Procura sarebbero stati insufficienti od inidonei alle operazioni...". Inoltre, la effettuata "integrazione ex post, in quanto successiva alla conclusione delle predette operazioni, appare senz'altro illegittima alla luce del costante orientamento della Suprema Corte di Cassazione". Soggiunge che "il decreto autorizzativo 319/99 R.R., invece, e quelli successivi, non sembrano soddisfare tali indefettibili esigenze motivazionali, dimostrandosi carenti quanto alla ponderazione e valutazione dei gravi indizi. Rileva, poi, che quanto al "problema del deposito dei risultati delle intercettazioni e della traduzione in lingua italiana degli stessi", la Corte lo "liquida in poche battute, facendo generico riferimento alla nomina dell'interprete... ed alla sigla che questi avrebbe apposto sul ed. brogliaccio delle fonoregistrazioni", mentre, "in realtà, la mancata consacrazione in un atto ufficiale delle generalità dell'interprete... non consente di ritenere raggiunta la prova della colpevolezza degli imputati, dovendosi propendere per la nullità dei verbali delle operazioni di intercettazione ex art. 142 c.p.p.";
b) il vizio di motivazione in punto di responsabilità. "E' innanzitutto pregnante - si assume al riguardo - la circostanza che il collegio giudicante abbia fondato le sue valutazioni su traduzioni riassuntive effettuate da interpreti nominati quali consulenti senza alcuna possibilità di riscontro da parte della difesa"; "non risulta agli atti alcun sequestro o rinvenimento di sostanza stupefacente, confermando in tal modo l'assenza di un quadro probatorio preciso e concordante", e "le mere conversazioni telefoniche... non forniscono la prova incontrovertibile della responsabilità dell'appellante in assenza di elementi oggettivi di riscontro che possano confermare la tesi accusatoria";
e) il vizio di motivazione, sotto il profilo che "carente e comunque contraddittoria appare la motivazione della sentenza... anche in relazione al diniego del richiesto giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti...".
O. con l'atto a propria firma assume che "secondo la motivazione di sentenza sia di primo che di secondo grado non c'è nessun reato da parte mia" e confuta poi le circostanze apprezzate dai giudici del merito nel pervenire alla affermazione della sua responsabilità.
Con l'atto a firma del proprio difensore si ripropongono, in sostanza, le stesse censure esplicitate da B., con le specificazioni del caso in ordine al punto concernente la sua responsabilità.
3. Il ricorso veniva assegnato alla IV Sezione di questa Suprema Corte, la quale, con ordinanza resa all'udienza del 14 marzo 2007 ne disponeva la rimessione a queste Sezioni Unite, ai sensi dell'art. 618 c.p.p..
Richiamate le censure proposte da R., O., O., B. e O. quanto alla dedotta inutilizzabilità degli esiti delle disposte intercettazioni telefoniche, di cui ai decreti nn. 1476/99 e 1730/99, rileva il collegio remittente che per quest'ultimo provvedimento "è pacifica la tardiva integrazione con il decreto del 15 giugno 2001, ammessa pure dall'impugnata sentenza"; per l'altro decreto, n. 1476/99, si era disposto che "le operazioni siano compiute per mezzo di impianti nella disponibilità della Compagnia CC. di Mondragone stante l'eccezionale urgenza sopradescritta, tenuto conto dell'insufficienza degli impianti installati in questa Procura". Richiamata, poi, la decisione di queste Sezioni Unite del 19 gennaio 2004, n. 919, Gatto, e quella del 24 gennaio 2006, n. 2737, Campennì, quanto alla motivazione dei provvedimenti captativi che dispongano l'uso di apparecchiature diverse da quelle in uso alla Procura della Repubblica, rileva che alcune decisioni intervenute successivamente "esprimono un certo malessere nel ridurre... ad una questione semantica la motivazione del decreto del P.M., oppure... nel non valutare il principio dell'integrabilità del provvedimento da parte del giudice dell'impugnazione o di quello della convalida... Infatti, la pronuncia del 2006 non considera l'impossibilità dell'integrazione da parte del Tribunale in sede di riesame, una volta ritenuta non praticabile quella successiva del decreto da parte del P.M. ". Rileva, poi, che "accanto a pronunce meramente ripetitive del su riferito argomento delle Sezioni Unite del 2004..., ve ne sono altre che traggono l'inidoneità dell'impianto dalla necessità di effettuare un pronto intervento nel corso di indagini relative al reato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti... senza richiedere particolari locuzioni o approfondimenti... ed altre ancora che sviluppano un percorso argomentativo antitetico..." affermando tali decisioni che "l'insufficienza o l'inidoneità degli impianti interni e le eccezionali ragioni di urgenza sono condizioni la cui effettiva esistenza rileva indipendentemente dalla motivazione del decreto autorizzativo e può essere autonomamente accertata ex post nei limiti in cui sia desumibile da dati di fatto... ". In tale contesto, "l'insufficienza con riferimento alle cose e non alle persone o ai loro elaborati non esprime un giudizio di valore ma una situazione oggettiva, sia pure con un lessico, tendente al dialettale e non purissimo, nella quale sono comprese situazioni più ampie dell'indisponibilità degli impianti... In realtà, se l'inidoneità presenta aspetti variegati collegabili non solo alla tipologia degli impianti o alle caratteristiche tecnologiche, ma anche alle necessità investigative, il concetto di insufficienza della cosa si traduce in poche determinate situazioni già illustrate.... Tuttavia, nonostante l'esatta affermazione dell'indirizzo... secondo cui l'inutilizzabilità del contenuto delle intercettazioni non può dipendere solo dalla plausibilità della motivazione, non sembra... potersi condividere l'ulteriore arresto, in base al quale i due requisiti richiesti dal terzo comma dell'art. 268 c.p.p. rilevano indipendentemente dalla motivazione del decreto autorizzatìvo, la cui natura ricognitiva della sussistenza di situazioni di fatto, oggettivamente dimostrabili, non è del tutto esclusa dalla pronuncia delle Sezioni Unite del 2004, anche se fortemente limitata"; sicché, "proprio partendo dal contenuto delle numerose decisioni della Consulta sul punto, sembra al collegio di poter raggiungere approdi meno formalistici e più aderenti al dettato costituzionale, che prevede il controllo del giudice sulla legittimità delle intercettazioni... e non sulla regolarità della sua esecuzione...". Molteplici decisioni, richiamate nella ordinanza di rimessione, "esprimono la tendenza a depurare la materia da qualsiasi inutile formalismo, risultando sanzionata soltanto la situazione in cui il P.M. si sia limitato ad un'affermazione generica ed apodittica sulle predette condizioni, quando dagli atti non sìa desumibile in alcun modo una situazione di necessità dovuta a cadenze processuali ravvicinate e concitate e non sia possibile ricorrere a motivazioni implicite o indirette". La sentenza n. 919/2004, Gatto, "conferma la legittimità della motivazione per relationem, effettuata mediante la formula ' visto il decreto del G.I.P.', purché in esso si dia ragione delle eccezionali ragioni di urgenza non indispensabili ai fini della emanazione del decreto autorizzativo del G.I.P. e la possibilità di una motivazione implicita desumibile da espressioni riferite alla situazione in atto di svolgimento della attività organizzativa dei reati fini della associazione, mentre ritiene configurabile la carenza di motivazione, ove sia
semplicemente ripetitiva della formula normativa , ma non si sofferma
sulla possibilità di ritenerla, almeno in parte, congrua rispetto al provvedimento, nonostante venga ripetuto il dato normativo (insufficiente)...
Tuttavia il principio di diritto sopra enunciato, secondo cui non basta un decreto del P.M. meramente assertivo ed attestativo della insufficienza o inidoneità degli impianti..., sembra contrastare in maniera silente gli approdi cui erano pervenuti le sentenze suindicate (Primavera e Policastro)...", e "peraltro la pronuncia in esame limita ulteriormente il carattere attestativo e ricognitivo del decreto del P.M. in tema di insufficienza ed inidoneità degli impianti... e pone in risalto come pure una motivazione implicita, relativa alla situazione concreta in atto ed alle necessità investigative, possa evidenziare l'inidoneità allo scopo delle linee presso gli uffici della Procura della Repubblica". In sostanza, "pure un termine, ripetitivo di quello normativo, può essere ritenuto sufficiente per le finalità proprie della motivazione, perché consente detta possibilità ed adempie alla funzione argomentativa-ricognitiva, insita nella insufficienza degli impianti"; da qui la necessità che "le argomentazioni svolte dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 919 del 2004... devono essere oggetto di approfondimento dinanzi a differenti letture già proposte con riferimento alle esigenze investigative..., al potere della Corte di Cassazione di accertare la sussistenza dei presupposti di fatto..., alla possibile validità della motivazione del decreto di convalida del G.I.P. in ordine alle due condizioni di cui al terzo comma dell'art. 268 c.p.p..".
4. Il Primo Presidente Aggiunto ha fissato l'odierna udienza per la discussione dei gravami.
Motivi della decisione
5. Premesso che tutti i ricorrenti, ad eccezione di O. (e del ricorso di A. più oltre specificamente si dirà), hanno proposto le suindicate questioni in tema di dedotta inutilizzabilità degli esiti delle disposte attività captative, le questioni proposte dalla complessa ordinanza di rimessione possono così sintetizzarsi: 1) "se l'obbligo di motivazione del decreto del P.M., con il quale si dispone l'esecuzione delle operazioni intercettative mediante impiantì diversi da quelli dell 'ufficio di Procura, sìa assolto con il semplice riferimento alla 'insufficienza o inidoneità ' di questi ultimi, senza la specificazione delle ragioni di tale carenza'''; 2) "se, nel caso di risposta negativa al primo quesito, sia possibile individuare, nel giudizio di merito o in quello di legittimità, le ragioni dell 'insufficienza o inidoneità degli impianti dell 'ufficio di Procura sulla base di atti del processo diversi dal decreto del P.M. e da quelli che lo integrano per relationem".
6.0 La elaborazione della giurisprudenza di legittimità svoltasi nell'ultimo decennio, quanto meno a partire dalla sentenza di queste Sezioni Unite 21 giugno 2000, n. 17, Primavera ed altri, è pervenuta ad esaustivi e definitivi approdi in tema di motivazione del provvedimento autorizzativo delle operazioni captative. In particolare, con tale decisione si è affrontato il tema di "quale sia l'apparato motivazionale minimo per giudicare legittimo, sotto il profilo giustificativo, il provvedimento dell'organo giudiziario che autorizzi o disponga le operazioni di intercettazione delle conversazioni telefoniche o tra presenti, che convalidi quelle disposte in via d'urgenza, o che, ove ricorra, le proroghi". E, rilevato "come non sia neppure ipotizzabile la formulazione di una regola specifica che, o si risolverebbe in generiche espressioni, o, se penetrante, sarebbe inadeguata ed anche arbitraria, perché i giudizi di valore rispondono ad altri requisiti che non possono racchiudersi in una formula che non sia quella della riaffermazione del dovere del giudice di fornire giustificazione razionale alla decisione adottata", si è affermato che "ciò che rileva è che dalla motivazione fornita, succinta e compendiosa..., si possa dedurre Viter cognitivo e valutativo seguito dal giudice e se ne possano conoscere i risultati che debbono essere conformi alle prescrizioni della legge; sicché, a chi ha titolo ad impugnare o contestare la decisione sia salvaguardato il diritto di critica e all'organo della valutazione o dell'impugnazione consentita l'attività di verifica che gli compete". In tale contesto, s'è ritenuta legittima anche una motivazione per relatìonem, quando: a) "faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria al provvedimento di destinazione"; b) "fornisca la dimostrazione che il decidente ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti alla sua decisione"; e) "l'atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall'interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l'esercizio della facoltà di valutazione, di critica e, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell'organo della valutazione o dell'impugnazione".
6.1 Con la successiva sentenza di queste Sezioni Unite del 31 ottobre 2001, n. 42792, Policastro ed altri, si è esaminato il tema, in riferimento al disposto dell'art. 268.3 c.p.p., di "quali siano i requisiti minimi perché sia soddisfatto - a pena di inutilizzabilità ai sensi dell'art. 271.1 - l'obbligo di congrua motivazione del decreto esecutivo del pubblico ministero con riferimento, da un lato, all'insufficienza o inidoneità degli impianti della Procura e, dall'altro, alle eccezionali ragioni di urgenza, giustificative, in deroga al regime ordinario, del compimento delle operazioni mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria".
Premesso che la regola di cui al precitato disposto normativo trova attuazione sia per quanto riguarda le operazioni di intercettazioni telefoniche, sia per quanto attiene alle intercettazioni di comunicazioni tra presenti, si è ricordato, innanzitutto, che, "avuto riguardo alla formidabile capacità intrusiva del mezzo di ricerca della prova nella sfera della segretezza e libertà delle comunicazioni costituzionalmente presidiata, appare assolutamente adeguato il riflesso processuale della radicale sanzione d'inutilizzabilità dei risultati delle operazioni captative ove le 'garanzie tecniche' di espletamento del mezzo - in particolare quello dell'obbligo della motivazione del provvedimento esecutivo derogatorio relativamente al duplice requisito dell'insufficienza o inidoneità degli impianti di Procura e delle eccezionali ragioni di urgenza - siano state eluse". Si è, quindi, ritenuta, nel caso di specie, quanto alle ragioni di eccezionale urgenza, integrata la motivazione del provvedimento del pubblico ministero, che disponeva la utilizzazione di apparecchiature in uso alla polizia giudiziaria, per relationem, richiamandosi al riguardo i principi già affermati dalla sentenza n. 17/2000, Primavera.
6.2 Con altra sentenza 26 novembre 2003, n. 919, Gatto, le Sezioni Unite di questa Suprema Corte, in maniera più pregnante rispetto al tema che qui interessa, hanno affrontato la questione del contenuto della motivazione del decreto del pubblico ministero circa la insufficienza o inidoneità degli impianti della Procura della Repubblica, in risposta alla sollecitazione dell'ordinanza di rimessione, che aveva osservato come la precedente sentenza n. 42792/2001, Policastro,, pur affermando la necessità di una adeguata motivazione, non avesse, tuttavia, fornito indicazioni "circa il livello di concreta specificazione che tale motivazione deve assumere in riferimento al presupposto ... della insufficienza o inidoneità degli impianti della Procura". Riaffermato che "non è neppure ipotizzabile la formulazione di una regola specifica che, o si risolverebbe in generiche espressioni, o, se penetrante, sarebbe inadeguata e anche arbitraria", queste Sezioni Unite hanno rilevato che "è l'esistenza di una obiettiva situazione di insufficienza o di inidoneità che deve emergere dalla motivazione del decreto e non la sola valutazione conclusiva operata in proposito dal pubblico ministero". Invero, "la motivazione ha la funzione di dimostrare la corrispondenza tra la fattispecie concreta considerata dal giudice o dal pubblico ministero e la fattispecie astratta, che legittima il provvedimento, e di indicare i dati materiali e le ragioni che all'autorità giudiziaria hanno fatto ritenere esistente la fattispecie concreta": essa "può richiedere uno svolgimento diffuso o poche parole", ed in quel caso di specie si è ritenuto assolto l'obbligo motivazionale "con la semplice enunciazione relativa alla 'indisponibilità di linee presso la locale Procura'", giacché "queste parole... non ripetono la formula legislativa, ma indicano una situazione obiettiva, riconducibile al concetto normativo di 'insufficienza' degli impianti, e sono idonee a rappresentare la fattispecie concreta e la sua corrispondenza con quella astratta". Posto che "è la situazione obiettiva che rileva ai fini della motivazione, ed essa ben può essere attestata dal pubblico ministero presso il quale sono installati gli impianti di intercettazione", "è solo entro tali limiti che può riconoscersi un valore attestativo al decreto del pubblico ministero", il quale "può attestare fatti che ricadono nei propri poteri di cognizione diretta, ma non situazioni, come l'insufficienza o l'inidoneità, che costituiscono il frutto di una qualificazione incontrollabile, se non si conoscono i fatti che l'hanno giustificata; fatti che, ad esempio, non possono essere taciuti nei casi... in cui l'inidoneità viene fatta dipendere non dalle condizioni materiali degli impianti, ma da particolari esigenze investigative". In conclusiva sostanza, "non basta l'asserzione che gli impianti sono insufficienti o inidonei, ma va specificata la ragione della insufficienza o della inidoneità, anche solo mediante una indicazione come quella contenuta nel provvedimento in esame, senza che in questo caso occorrano ulteriori chiarimenti sulle cause della indisponibilità".
Quanto all'altro presupposto, quello delle eccezionali ragioni di urgenza, si è, nel caso di specie, ritenuta integrata la prescritta motivazione col richiamo, per relationem, "allo specifico passo motivazionale dei decreti autorizzativi del giudice in ordine alla situazione in svolgimento dell'attività organizzativa dei reati fine dell'associazione", rilevandosi che, al riguardo, "gli approdi della sentenza Policastro non possono non essere ribaditi".
6.3 Da ultimo, con la sentenza di queste Sezioni unite 29 novembre 2005, n. 2737/2006, Campennì, si è affrontato il tema della possibilità o meno, per il pubblico ministero, di integrare la motivazione del provvedimento di autorizzazione all'utilizzo di impianti di intercettazione diversi da quelli in dotazione della Procura della Repubblica. Si è rilevato che, in presenza dei due presupposti voluti dalla norma - che gli impianti presso l'ufficio giudiziario siano insufficienti o inidonei e sussistano ragioni di eccezionale urgenza -, "a rendere legittima l'attività captativa per mezzo di impianti esterni all'ufficio giudiziario è, altresì, necessario che il magistrato renda apposito provvedimento al riguardo; non solo, ma è necessario anche che tale provvedimento sia motivato", giacché "solo la sua motivazione dà, a sua volta, contezza che il magistrato medesimo ha accertato la esistenza dei due suindicati presupposti, ha proceduto alla valutazione relativa 'al contemperamento dei due interessi costituzionali protetti', ha proceduto ad 'un corretto uso del potere attribuitogli'...". Se, quindi, solo il decreto motivato rende legittimo il ricorso a quegli strumenti operativi, non in dotazione all'ufficio di Procura, "tale condizione deve essere assicurata ed assolta prima che l'attività medesima venga posta in essere: l'assolvimento di tale obbligo funge, difatti, da condizione legittimante la futura attività captativa, e non può, perciò, che precederla". E se "l'attività captativa svolta con quelle diverse modalità esecutive, derogatorie della regola generale, in tanto è legittima in quanto un provvedimento al riguardo sia stato reso ed esso dia contezza che quel previo dovuto controllo sia stato in effetti compiuto..., a fronte della suindicata ratio dell'istituto"... non è dato ritenere la possibilità di uno iato temporale tra esecuzione della attività intercettativa e provvedimento motivato della parte pubblica...". Ciò posto, "una attività 'integrativa' del pubblico ministero può legittimamente ipotizzarsi, e sempre nella richiesta forma documentale, solo nel caso in cui egli si determini a rendere la relativa dovuta motivazione al riguardo anche in un momento successivo a quello in cui si sia, eventualmente, disposta l'attività intercettativa con quelle derogatorie modalità, ma tale motivazione deve intervenire, comunque, prima del compimento dell'atto, ossia prima che si proceda a quelle attività captative: è, difatti, solo il compimento dell'atto che segna il discrimine invalicabile entro cui la motivazione deve essere resa...". Si è ulteriormente chiarito che, "proprio perché ogni delibazione in ordine al quomodo di tale attività intercettativa si appartiene al magistrato inquirente, il potere di integrazione motivazionale al riguardo - negli invalicabili termini suindicati, cioè prima del compimento dell'atto - è riservato al pubblico ministero, non al giudice (tanto meno in sede di riesame o di appello nel procedimento incidentale de liberiate, allorché quella attività captativa sia stata già posta in essere)", e ciò sia perché "non è dato, innanzitutto, al giudice, sotto un profilo di ordine generale, di integrare un atto di parte, ancorché pubblica", sia perché al giudice non è dato, "proprio per quella riserva di attribuzione delibativa al pubblico ministero..., di sostituirsi a quest'ultimo nel rendere una motivazione giustificatrice, che quello non ha affatto reso, circa la adozione di una scelta tecnica nel compimento dell'atto, piuttosto che di altra".
Tanto precisato, si è altresì puntualizzato, richiamando anche quanto già affermato dalla sentenza n. 919/2004, Gatto, che "il requisito della inidoneità o insufficienza degli impianti installati presso la Procura della Repubblica - e quindi il ricorso legittimo ad impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria - deve essere valutato anche in riferimento alla relazione intercorrente tra le caratteristiche delle operazioni di intercettazione nel caso concreto e le finalità perseguite attraverso tale mezzo di ricerca della prova, quindi non in astratto, ma con riguardo alle concrete ed obiettive caratteristiche dell'indagine nel cui contesto si inseriscono le operazioni di intercettazione, in relazione alla necessità di acquisire, con sollecitudine, eventuali elementi utili alle indagini, di effettuare un pronto intervento nel corso delle indagini medesime, di non creare ritardi nell'azione investigativa".
Infine, si è confermativamente richiamato quanto già affermato nella sentenza n.42792/2001, Policastro, sul punto relativo alla motivazione circa la sussistenza di eccezionali ragioni di urgenza, ritenendosi, nella specie, "congniamente prospettata ed apprezzata, a fini motivazionali, la evocazione di una situazione che, inducendo a ritenere la sussistenza di una attuale attività delinquenziale associativa ed attuati va di connessi reati-fine, era sufficientemente indicativa della 'gravità del pregiudizio per le indagini che solo la deroga potrebbe evitare'..., e, quindi, della assoluta urgenza di prontamente intervenire ai fini della acquisizione degli elementi di prova, per neutralizzare quella grave ed allarmante attività delittuosa attualmente posta in essere".
7. La giurisprudenza di legittimità delle sezioni semplici di questa Suprema Corte, formatasi dopo la sentenza delle Sezioni Unite n. 919/2003, Gatto, ha confermato la espressa lettura ampia del significato di insufficienza o inidoneità degli impianti in uso all'ufficio di Procura, evidenziando, in sostanza, una nozione di inidoneità di tipo funzionale di tali impianti, comprendente non solo una obiettiva situazione di fatto che renda necessario il ricorso ad impianti esterni (come la indisponibilità di linee o di apparecchiature presso l'ufficio, o il non funzionamento materiale delle stesse), ma anche la concreta inadeguatezza al raggiungimento dello scopo, in relazione al reato per cui si procede ed alla tipologia di indagine necessaria all'accertamento dei fatti, in relazione, cioè, alle caratteristiche concrete delle operazioni captative e alle finalità investigative perseguite (Sez, VI, 9 dicembre, 2004, n. 163/2005, Foti; Sez. VI, 9 dicembre 2004, n. 165/2005, Leanza; Sez. I, 3 febbraio 2005, n. 115255, P.M. in proc. Gallace; Sez. I, 23 giugno 2005, n. 34814, D'Agostino ed altri; Sez. I, 14 novembre 2005, n. 1033/2006, cerchi ed altri; Sez. I, 17 febbraio m2006, n. 11576, Vecchione ed altro; Sez. IV, 19 ottobre 2006, n. 38018, De Carolis; Sez. II, 11 gennaio 2007, n. 7380, Messina ed altro; Sez. VI, 8 marzo 2007, n. 21861, Morabito ed altri; Sez. VI, 15 novembre 2005, n. 25255, Bove ed altri).
E quanto ai distinti presupposti della insufficienza o inidoneità, che hanno diversità strutturali che diversamente si atteggiano quanto all'espletamento dell'obbligo motivazionale, si è confermato che non è necessaria alcuna ampia motivazione circa la indisponibilità degli impianti, tale situazione attestando di per sé la oggettiva sussistenza della causa impeditiva all'uso di quegli impianti; mentre una motivazione più ampia è necessaria quando si prospettino esigenze investigative (Sez. IV, 4 ottobre
2004, n. 46551, Antonietti ed altri). Sulla premessa che la inidoneità degli impianti può essere la conseguenza di una molteplicità di cause, s'è ulteriormente chiarito che se il controllo su di essa può richiedere una più estesa motivazione, dovendosi dare atto, a volte, anche di valutazioni afferenti alla tipologia delle indagini, quello afferente alla insufficienza richiede un livello di specificazione meno elevato, giacché l'espressione "insufficienti" non può che avere riguardo ad una situazione di mancanza, ristrettezza o scarsità dei mezzi (Sez. VI, 26 settebre 2006, n. 40668, Cangiano; Sez. VI, 8 gennaio 2007, n. 14118, Aquino). S'è, ancora, chiarito che la insufficienza o inidoneità degli impianti interni sono oggetto di accertamento da parte del pubblico ministero e non è richiesta alcuna certificazione ad estema conferma di tale accertamento (Sez. VI, 16 giugno
2005, n. 28521, Ciaramitaro).
Quanto al principio affermato dalla sentenza delle Sezioni Unite, n. 2737/2006, Campennì, sulla non integrabilità del decreto del pubblico ministero dopo l'inizio delle operazioni intercettati ve, esso ha trovato conferma in alcune successive decisioni delle sezioni semplici (cosi, ad esempio, Sez. V, 6 aprile 2006, n. 16558, P.G. e p. e. in proc. Molinari ed altri).
Tuttavia, altro filone giurisprudenziale, rinvenibile soprattutto in alcune decisioni della V Sezione, ha rilevato che "in realtà la motivazione richiesta dall'art. 268, comma 3, c.p.p., è destinata appunto a garantire l'effettiva anteriorità dell'autorizzazione giudiziaria relativa sia all'ammissione sia alle modalità esecutive dell'intercettazione, perché una approvazione ex post potrebbe valere a legittimare anche operazioni di polizia sottratte alla garanzia giurisdizionale prevista dall'art. 15 della Costituzione"; e "tuttavia questa funzione di documentazione, più che di giustificazione, della motivazione richiesta dall'art. 268, comma 3, c.p.p., esclude che ai fini della garanzia costituzionale... sia sufficiente una verifica a posteriori di una qualche sua plausibilità". Se ne è desunto che, "come risulta dal tenore letterale dell'art. 268, comma 3, c.p.p...., l'insufficienza o l'inidoneità degli impianti interni e le eccezionali ragioni di urgenza sono condizioni la cui effettiva esistenza rileva indipendentemente dalla motivazione del decreto autorizzativo e può essere autonomamente accertata anche ex post, nei limiti in cui sia desumibile da dati di fatto, come ad esempio il registro delle intercettazioni in corso presso gli impianti della Procura della Repubblica". S'è ulteriormente chiarito che "del resto, essendo l'inutilizzabilità un'invalidità processuale, i suoi presupposti di fatto possono essere accertati direttamente, e indipendentemente dalla motivazione dei decreti ex art. 268, comma 3, c.p.p., dalla stessa Corte di Cassazione, che è giudice anche del fatto rispetto alle questioni di validità degli atti del procedimento". La conclusione che se ne è tratta è che, "benché la motivazione dei decreti autorizzativi debba certamente riferirsi ai presupposti di ammissibilità della deroga alla regola enunciata dalla prima parte dell'art. 268, comma 3, c.p.p., tuttavia l'esigenza di rispettare la garanzia costituzionale impone di verificare distintamente ed autonomamente, ove possibile, sia l'esistenza dei presupposti materiali della deroga, sia l'esistenza stessa di una motivazione preventiva all'uso degli impianti di intercettazione esterni agli uffici della Procura della Repubblica. E il fatto che la garanzia della motivazione non sia da sola sufficiente esclude che la verifica a posteriori possa essere solo testuale, rendendo effettivo e meno casuale l'esito del controllo giurisdizionale" (Sez. V, 12 gennaio 2006, n. 7039, Gandolfo; Sez. V, 12 gennaio 2006, n. 10449, Di Stefano; Sez. V, 8 febbraio 2006, n. 6788, Santapaola; Sez. V, 12 aprile 2006, n. 16956, Pulvirenti; Sez. V, 12 aprile 2006, n. 16960, Mugeri; Sez. V, 10 luglio 2006, n. 26358, Cristaldi: nei casi di specie si sono disattese la eccezione di inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni sul rilievo che la motivazione dei provvedimenti autorizzativi era stata, successivamente all'inizio delle relative operazioni, integrata da successiva nota con la quale la deroga alla regola dettata dall'art. 268, comma 3, c.p.p., era stata giustificata anche sulla base di un'attestazione redatta da funzionario di cancelleria per documentare l'indisponibilità e l'inidoneità degli impianti interni).
Nella stessa scia si è posta anche la sentenza della Sez. VI, del 31 maggio 2006, n. 33533, Carbone, la quale ha rilevato che "questa Corte in recenti pronunce rese dopo l'intervento della decisione delle Sezioni Unite (29 novembre 2005, dep. 24 gennaio 2006, n. 2737, Campennì), si è espressa nel senso, condiviso dal Collegio, che la insufficienza o la inidoneità degli impianti interni e le eccezionali ragioni di urgenza che giustificano il ricorso a impianti in dotazione alla polizia giudiziaria o di pubblico servizio, sono condizioni la cui effettiva esistenza rileva indipendentemente dalla motivazione del decreto autorizzativo e può essere autonomamente accertata ex post dalla Corte di cassazione, nei limiti in cui sia desumibile dai dati di fatto"; e che la Corte di Cassazione ha la facoltà di risolvere la relativa questione, "essendo anche giudice del fatto rispetto alla dette questioni".
Torna utile, infine, annotare che la Sez. II, con sentenza del 15 febbraio 2006, n. 7788, Navarria, ha affermato - come dalla relativa massima, in C.E.D. Cass., n. 233348 - che, "in tema di esecuzione delle operazioni di intercettazione di conversazioni o comunicazioni, se il decreto con cui il pubblico ministero dispone l'utilizzo di impianti diversi da quelli installati nella Procura della Repubblica è motivato, o integrato nella motivazione, in un momento successivo alla sua emissione e ad operazioni di ascolto già iniziate, i risultati intercettativi utilizzabili sono soltanto quelli raccolti da quel momento in avanti, e sono invece inutilizzabili i risultati intercettativi raccolti dall'inizio delle operazioni e sino al momento dell'intervento tardivo sulla motivazione del decreto".
A tale ultimo filone giurisprudenziale appare riferirsi l'ordinanza di rimessione, quando - come si è già richiamato - rileva che, dopo le precitate sentenze di queste Sezioni Unite, alcune decisioni "esprimono un certo malessere nel ridurre... ad una questione semantica la motivazione del decreto del P.M., oppure... nel non valutare il principio dell'integrabilità del provvedimento da parte del giudice dell'impugnazione o di quello della convalida...", ulteriormente aggiungendosi che "accanto a pronunce meramente ripetitive del su riferito argomento delle Sezioni Unite del 2004..., ve ne sono altre che traggono l'inidoneità dell'impianto dalla necessità di effettuare un pronto intervento nel corso di indagini relative al reato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti... senza richiedere particolari locuzioni o approfondimenti...", essendosi altresì ritenuto - come s'è visto - che "l'insufficienza o l'inidoneità degli impianti interni e le eccezionali ragioni di urgenza sono condizioni la cui effettiva sussistenza rileva indipendentemente dalla motivazione del decreto autorizzativo e può essere autonomamente accertata ex post nei limiti in cui sia desumibile da dati di fatto...".
8. Come, del resto, traspare dal rievocato percorso ermeneutico, le suindicate pronunce delle Sezioni Unite di questa Suprema Corte si pongono come distinti e progressivi momenti di un percorso interpretativo unitario, inducente a conclusioni sistematicamente compiute, esaustivo in riferimento alle tematiche esaminate, rispettoso della lettera della norma e della ratio che la informa, in un ambito - è appena il caso di ricordare - che per la rilevanza costituzionale degli interessi protetti e "la formidabile capacità intrusiva del mezzo di ricerca della prova nella sfera della segretezza e libertà delle comunicazioni costituzionalmente presidiata", su cui diffusamente si sono soffermate tali decisioni come molteplici altre del Giudice delle leggi - non può tollerare deroghe, scorciatoie, pigrizie o, peggio, radicali omissioni.
Tali approdi esegetici ed interpretativi vanno, perciò, in questa sede confermati e ribaditi, non scorgendosi valide ragioni per discostarsene.
In particolare, per quel che nel caso di specie più direttamente rileva, quanto alla motivazione del decreto del p.m. reso ai sensi dell'art. 268.3 c.p.p., non può non ribadirsi che, quali che siano le espressioni lessicali usate (che possono anche essere estremamente concise, come nel caso in cui si dia atto della indisponibilità degli impianti), "ciò che rileva è... che si possa dedurre Yìter cognitivo e valutativo seguito... e se ne possano conoscere i risultati che siano conformi alle prescrizioni di legge" ed "è l'esistenza di una obiettiva situazione di insufficienza o di inidoneità che deve emergere dalla motivazione del decreto e non la sola valutazione conclusiva operata in proposito dal pubblico ministero"; e ciò in ossequio alla esigenza che la motivazione debba "dimostrare la corrispondenza tra la fattispecie concreta considerata dal giudice o dal pubblico ministero e la fattispecie astratta, che legittima il provvedimento", dovendosi perciò indicare "i dati materiali e le ragioni che all'autorità giudiziaria hanno fatto ritenere esistente la fattispecie concreta".
La indicazione di tali dati materiali e delle ragioni apprezzate nel ritenere realizzata la fattispecie concreta costituiscono, quindi, compendio ineludibile del provvedimento del p.m. al riguardo per ritenere assolto l'obbligo motivazionale; la mera enunciazione di un conclusivo giudizio, avulso da quei dati fattuali ritenuti sussistenti unitamente alle ragioni che hanno indotto al consequenziale divisamente espresso, non dà affatto contezza dell'iter cognitivo e valutativo seguito dal magistrato, e sottrae "a chi ha titolo ad impugnare o contestare la decisione... il diritto di critica e all'organo della valutazione o dell'impugnazione... l'attività di verifica che gli compete". L'uso di una formula che si limiti a ripetere quella legislativa non è, di per sé, idonea ad assolvere all'obbligo motivazionale al riguardo, perché si limita ad esprimere, in maniera apodittica ed autoreferenziale, un conclusivo giudizio, ma non indica alcun concreto e fattuale percorso argomentativo, che a quel conclusivo giudizio deve presiedere e che deve dialetticamente giustificare.
Ed in tale contesto neppure può sfuggire all'obbligo motivazionale una congrua indicazione delle ragioni della deroga alla regola generale in riferimento alla tipologia delle indagini da svolgersi. Se, difatti, va confermata e ribadita quella nozione di inidoneità di tipo funzionale di tali impianti, di cui sopra si diceva - comprendente non solo una obiettiva situazione di fatto che renda necessario il ricorso ad impianti esterni, ma anche la concreta inadeguatezza al raggiungimento dello scopo, in relazione al reato per cui si procede ed alla tipologia di indagine necessaria all'accertamento dei fatti, in relazione, cioè, alle caratteristiche concrete delle operazioni captative e alle finalità investigative perseguite - rimane che di tali esigenze il magistrato debba, comunque, dare motivata contezza, certo senza "particolari locuzioni o approfondimenti", come evoca l'ordinanza di rimessione, ma nondimeno in maniera comunque idonea ad assolvere all'obbligo di congniamente esplicitare le ragioni della deroga in relazione a tale ritenuta inidoneità funzionale: non può, quindi, che confermarsi e ribadirsi, anche al riguardo, che i ravvisati e ritenuti motivi della deroga "non possono essere taciuti nei casi... in cui l'inidoneità viene fatta dipendere non dalle condizioni materiali degli impianti, ma da particolari esigenze investigative" (Sez. Un., n. 919/2003, Gatto).
Quanto, poi, al momento in cui deve intervenire la motivazione del provvedimento del magistrato, reso ai sensi del precitato art. 268.3 c.p.p., non può non rilevarsi, ancora una volta, che la norma richiede un "provvedimento motivato": è necessario, quindi, che non solo vi sia un decreto del p.m., ma che questo sia motivato. Se la sussistenza del decreto dà contezza che la determinazione di avvalersi di impianti esterni si appartiene, in effetti, al magistrato, è solo la sua motivazione che dà a sua volta contezza della ritenuta, ed espressa, sussistenza delle condizioni di legge che abilitano a quelle diverse modalità captative e dà, nel contempo, atto che il magistrato "ha proceduto alla valutazione relativa 'al contemperamento dei due interessi costituzionali protetti', ha proceduto ad 'un corretto uso del potere attribuitogli', anche nell'ambito delle 'altre garanzie richieste..., che attengono alla predisposizione materiale dei servizi tecnici necessari per le intercettazioni telefoniche', alle 'garanzie di ordine più propriamente tecnico', sì da assicurare il necessario controllo 'che si proceda alle intercettazioni autorizzate, solo a queste e solo nei limiti dell'autorizzazione'...".
Non può, dunque, affatto condividersi l'assunto della giurisprudenza sopra evocata, secondo cui "l'insufficienza o l'inidoneità degli impianti interni e le eccezionali ragioni di urgenza sono condizioni la cui effettiva esistenza rileva indipendentemente dalla motivazione del decreto autorizzativo e può essere autonomamente accertata anche ex post, nei limiti in cui sia desumibile da dati di fatto...". Al contrario, quelle condizioni, di insufficienza o inidoneità degli apparati interni, in tanto possono rilevare in quanto non solo se ne prospetti la reale sussistenza fattuale, ma anche in quanto tale sussistenza sia stata accertata e ritenuta dal magistrato, conseguentemente apprezzata e fatta propria dallo stesso, sia stata valutata nel contesto del "contemperamento dei due interessi costituzionali protetti"; ancora una volta, è ineludibile l'obbligo del magistrato di dar conto, attraverso congruo apparato motivazionale, della sussistenza di quelle condizioni impeditive all'uso degli impianti interni, e, conseguentemente, del divisamento espresso di procedere comunque, attraverso le diverse modalità consentite dalla legge, alle programmate operazioni intercettative: valutativa ed esplicativa attività, questa, che non può non svolgersi attraverso una appagante trama motivazionale che, ab imis, come vuole la norma ("provvedimento motivato"), deve connotare il reso provvedimento captativo. Non v'è, quindi, che ribadire che "ciò che al riguardo si richiede dalla legge non è solo un provvedimento, nella forma del decreto, ma anche che tale provvedimento sia 'motivato', e solo tale decreto motivato... rende legittima l'attività che si intende intraprendere", ai sensi non solo del già citato art. 268.3 c.p.p., ma anche dell'art. 15.2 della Costituzione, che prescrive che la limitazione della libertà e della segretezza delle comunicazioni "può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge".
Posto, poi, che la integrazione del provvedimento in tanto può rilevare in quanto intervenga prima della esecuzione delle relative operazioni captative, per tutte le ragioni già indicate nella sentenza n. 2737/2006, Campennì, di queste Sezioni Unite (ed a quelle argomentazioni e d uopo in questa sede rinviare, nella qui ulteriomente confermata condivisione di quei percorsi logico-argomentativi), pure deve ribadirsi che, secondo quanto già ritenuto in tale ultima pronuncia di queste Sezioni Unite, un potere di integrazione al riguardo è ravvisabile solo in capo al pubblico ministero: è solo al magistrato inquirente, difatti, che si appartiene la delibazione in ordine al quomodo dell'attività intercettati va, non è dato al giudice, sotto un profilo di ordine generale, di integrare un atto di parte, ancorché pubblica, né, tanto meno, è dato al giudice medesimo di sostituirsi al magistrato inquirente nel rendere una motivazione giustificatrice che quello non ha affatto reso, in ordine alla adozione di una scelta tecnica nel compimento dell'atto piuttosto che di altra.
Se, quindi - come si è di già ritenuto e qui si conferma - un potere di integrazione al riguardo non può essere ritenuto attribuito al giudice (sì è chiarito, "tanto meno in sede di riesame o di appello nel procedimento incidentale de libertate, allorché quella attività captativa sia stata già posta in essere"), a maggior ragione non può certo riconoscersi al giudice di legittimità alcun potere al riguardo, soprattutto nel senso dì ritenere egli la sussistenza di condizioni di legge che il giudice del merito non ha affatto esplicitato, sulle quali non si è in alcun modo motivatamente intrattenuto, che non ha costituito oggetto di alcuna sua espressa valutazione motivazionale. E quando si assume che, "essendo l'inutilizzabilità un'invalidità processuale, i suoi presupposti di fatto possono essere accertati direttamente, e indipendentemente dalla motivazione dei decreti ex art. 268, comma 3, c.p.p., dalla stessa Corte di Cassazione, che è giudice anche del fatto rispetto alle questioni di validità degli atti del procedimento", deve per contro rilevarsi che il giudice di legittimità è giudice del fatto non nell'apprezzamento e nella valutazione di merito dello stesso, ma solo nel controllo - attività tipica del giudizio di legittimità - del rispetto della regola che presiede al prescritto percorso procedimentale, nel suo incedere in procedendo. In subiecta materia, il "fatto" che il giudice di legittimità deve accertare è se sussista un provvedimento del p.m., che disponga l'uso di apparecchiature esterne all'ufficio di Procura, e se tale provvedimento sia congniamente motivato, come la norma richiede. E se tale ultima condizione non sussiste, non può, certo, egli rendere in sede di legittimità una motivazione che chi era obbligato a rendere non ha reso, giacché in tal caso non di attività di controllo di legittimità si tratterebbe, ma di sostanziale sostituzione del giudice (addirittura di legittimità) al pubblico ministero, in una abnorme supplenza di attività specificamente riservata al magistrato inquirente.
9. Ad entrambi i quesiti che l'ordinanza di rimessione propone deve, quindi,darsi risposta negativa. Ad ulteriore conferma, difatti, di quanto già ritenuto da queste Sezioni Unite nella decisioni sopra richiamate, va ribadito, ai sensi dell'art. 173.2 disp. att. c.p.p., che l'obbligo di motivazione del decreto del pubblico ministero, con il quale si dispone la esecuzione delle operazioni intercettative mediante impianti diversi da quelli in dotazione all'ufficio di Procura, non può ritenersi assolto col semplice riferimento alla "insufficienza o inidoneità" degli impianti dell'ufficio di Procura (che ripete solo il conclusivo giudizio racchiuso nella formula legislativa), ma esso richiede la specificazione delle ragioni di tale carenza, che in concreto depongono per quella conclusivamente ritenuta "insufficienza o inidoneità".
Ed ove a tale obbligo motivazionale il magistrato inquirente non abbia assolto, tale mancanza non è dato colmare dal giudice nel giudizio di merito o di legittimità, con la individuazione, in tali sedi, delle effettive ragioni dell'insufficienza fi inidoneità sulla base di atti del processo diversi dal decreto del p.m. e da quelli che lo integrano per relationem.
10.0 Ciò posto, risulta dagli atti qui rimessi che con decreto (n. 1476/99) del 30 settembre 1999, h. 14,10, il pubblico ministero presso il Tribunale di Napoli, nel corso di indagini per ipotesi di reato di cui all'art. 74 D.P.R. n. 309/1990, dispose la intercettazione delle conversazioni o comunicazioni sulla utenza n. 0348-6936XXX, in uso a persona non identificata, soprannominata "This man". Si esplicita in tale provvedimento che tale intercettazione è "assolutamente indispensabile per la prosecuzione delle indagini..., potendo dal ritardo derivare grave pregiudizio per le indagini stesse in quanto non sarebbe possibile conoscere né le modalità ed il luogo di arrivo in Italia dell'ingente quantitativo di sostanza stupefacente proveniente dall'estero, né i compartecipi dell'organizzazione". Si dispose che "le operazioni stesse siano compiute per mezzo di impianti nella disponibilità della Compagnia CC. di Mondragone stante l'eccezionale urgenza sopradescritta, tenuto conto dell'insufficienza degli impianti installati in questa Procura". Come annota la sentenza impugnata, tale decreto venne convalidato dal G.I.P. il 1° ottobre 1999.
Successivamente, con altro decreto (n. 1730/99) dell'8 novembre 1999, h. 14,05, lo stesso pubblico ministero, sempre nel corso delle indagini per il suindicato titolo di reato, dispose l'intercettazione delle conversazioni o comunicazioni sull'utenza n. 0348-7768XXX in uso a tale N. Si esplicita in questo provvedimento che le "attività di indagine hanno evidenziato che uno dei soggetti coinvolti nell'illecito traffico di stupefacenti, tale Nwadi, si dovrà mettere in contatto in data 9 nov. 99 (il giorno successivo al reso provvedimento) con una donna keniota per un ordinativo di droga di ca. 3 kg...". Si dispose in tale provvedimento che "le operazioni stesse siano compiute per mezzo degli impianti installati nella sala ascolto CC. di Mondragone": null'altro al riguardo si esplicita. Tale decreto venne convalidato dal G.I.P. il 9 novembre 1999. Come annota la sentenza impugnata, esso, unitamente all'altro suindicato decreto di urgenza del P.M., venne "integrato, quanto ai motivi ex art. 268.3 c.p.p.", con decreto del pubblico ministero del 15 giugno 2001, quivi evidenziandosi "la insufficienza degli impianti esistenti presso la sala ascolto della Procura" e la "loro inidoneità in quanto le conversazioni intercettate avvengono tra persone di nazionalità nigeriana in dialetto IBO: di qui la necessità della costante presenza di un interprete per la simultanea traduzione e della contestuale presenza dei verbalizzanti per le immediate indagini di riscontro soprattutto in relazione alle conversazioni relative all'arrivo in Italia dei correi trasportanti sostanze stupefacenti dall'estero, che abbisognano di un immediato intervento della p.g."..
10.1 Se per un verso entrambi tali provvedimenti del 30 settembre e dell'8 novembre 1999 danno, in effetti, congrua contezza delle ravvisate eccezionali ragioni di urgenza che hanno indotto il magistrato a disporre quelle operazioni captative secondo la deroga indicata dall'art. 268.3 c.p.p. -si trattava di indagini svolte in riferimento ad imputazione di cui all'art. 74 D.P.R. n. 309/1990, in un contesto in cui si ipotizzava come imminente il compimento di reati-fine: e non v'è che da richiamare al riguardo quanto già ritenuto dalle sentenze n. 42792/2001, Policastro, n. 919/2003, Gatto, e n. 2737/2006, Campenni -, per altro verso, quanto al presupposto della insufficienza o inidoneità degli apparti in dotazione all'ufficio di Procura, appare evidente che col decreto dell'8 novembre 1999 (n. 1730/99) si dispose, per quelle operazioni captative, puramente e semplicemente l'uso degli impianti installati presso la sala di ascolto dei CC. di Mondragone: ne verbum quidem sulla insufficienza o inidoneità degli impianti interni all'ufficio di Procura.
Con l'altro decreto del P.M. (n. 1476/99) si esplicito che il ricorso a quegli stessi impianti esterni veniva disposto "tenuto conto della insufficienza degli impianti installati in questa Procura": viene, così, espresso solo il conclusivo giudizio, secondo la dizione portata dalla formula legislativa, ma esso non è assistito da alcuna congrua specificazione delle ragioni di tale insufficienza, che in concreto avrebbero dovuto deporre per quella conclusivamente ritenuta "insufficienza".
Posto, poi, che la integrazione motivazionale da parte del P.M. è postumamente intervenuta, pacificamente, dopo la esecuzione di quelle operazioni captative, con provvedimento del 15 giugno 2001, non può, dunque, non ritenersi, secondo quanto si è sopra diffusamente argomentato, la violazione della regola indicata dal precitato art. 268.3 c.p.p., con la conseguente sanzione della inutilizzabilità dei relativi esiti captativi, ai sensi dell'art. 271.1 c.p.p..
11.0 La sentenza impugnata ha fondato la confermativa statuizione di responsabilità dei ricorrenti (si dirà tra poco dei rinuncianti) sugli esiti di tali intercettazioni telefoniche. Essa, quindi, rimanendo così assorbiti gli altri proposti motivi di gravame, va annullata innanzitutto nei confronti di R., O., O., B. ed O., che tale questione hanno ritualmente proposto.
Per A. va chiarito che il suo ricorso originario, datato 28 ottobre 2004, a firma del difensore, è inammissibile, essendo del tutto generici ed aspecifici i motivi riguardanti la inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni telefoniche, quelli relativi alla "identificazione (certamente erronea) dell'imputato nella persona, usuaria delle utenze succitate...", alla "ritenuta inapplicabilità dell'art. 81 c.p. in riferimento ai fatti giudicati con la succitata sentenza 11.2.01 Corte di Appello di Napoli...", al diniego delle attenuanti generiche, a fronte dell'apparato argomentativo esplicitato al riguardo da entrambe le sentenze di merito; mentre è del tutto irrilevante il rilievo che mancherebbe "inoltre del tutto la verifica della attendibilità delle dichiarazioni della coimputato J. V. P.", giacché su altri elementi si fonda decisivamente l'espresso giudizio di responsabilità.
Rilievi specifici sulla eccezione di inutilizzabilità del contenuto delle predette intercettazioni sono intervenute solo con l'atto contenente "motivi ad integrazione del ricorso...", pur esso a firma del difensore, datato, 26 febbraio 2007, quando il termine per proporre impugnazione si era ormai perento. Tali motivi aggiunti non valgono, evidentemente, a sanare la genetica inammissibilità del proposto gravame.
Il ricorso di E. è pur esso inammissibile per sopravvenuta rinuncia, ritualmente espressa dal ricorrente.
Inammissibile è anche il ricorso di O.. Questi - come s'è detto - ha reso, nella Casa Circondariale di Avellino, una dichiarazione di ricorso, "riservando le motivazioni al mio difensore di fiducia"; i motivi di ricorso non sono, tuttavia, stati prodotti e successivamente, con atto dell'8 settembre 2006, tale ricorrente ha rinunciato al ricorso. Trattasi, quindi, non già di inammissibilità sopravvenuta, per rinuncia, ma ancor più radicalmente di inammissibilità originaria, ai sensi del combinato disposto degli artt. 591.1, lett. e) e 581, lett. e), c.p.p..
E tuttavia nei confronti di tali imputati deve affermarsi l'effetto estensivo della impugnazione proposta dagli altri ricorrenti suindicati, ai sensi dell'art. 587 c.p.p., trattandosi di motivo accolto, afferente alla oggettiva inulilizzabilità degli esiti delle disposte intercettazioni telefoniche, non esclusivamente personale. E queste Sezioni Unite, con la sentenza del 24 marzo 1995, n. 9, Cacciapuoti, hanno già avuto modo di affermare che il "fenomeno processuale dell'estensione dell'impugnazione (in processo plurisoggettivo per lo stesso reato, o in procedimento cumulativo) in favore del coimputato non impugnante (o l'impugnazione del quale sia dichiarata inammissibile), di cui all'art. 587 c.p.p., si risolve nella prospettazione di un evento (quale il riconoscimento, in sede di giudizio conclusivo sull'impugnazione, della fondatezza del motivo non esclusivamente personale dedotto dall'impugnante diligente), al verificarsi del quale, operando di diritto come rimedio straordinario capace di revocare il giudicato in favore del non impugnante, rende questi partecipe del beneficio conseguito dal coimputato".
11.1 Per gli stessi motivi, l'effetto estensivo va riconosciuto anche nei confronti di F. C. (riconosciuta colpevole del reato sub g) della rubrica, ex artt. 56 c.p., 73 D.P.R. n. 309/1990), M. J. N. (riconosciuto colpevole del reato associativo) e I. V. (riconosciuta colpevole del reato sub h), ex art. 73 D.P.R. n.309/1990). Tali imputati ebbero a concordare la pena in appello, ai sensi dell'art. 599.4 c.p.p. (pagg. 17-19 della sentenza impugnata) e non hanno proposto ricorso: non può non valere anche per loro il citato effetto estensivo della impugnazione dei ricorrenti diligenti, potendosi proporre questione, anche in presenza di un accordo sulla pena ai sensi dell'art. 599.4 c.p.p., di sussistenza o meno di una situazione sussumibile nella previsione dell'art. 129 c.p.p..
Ed a conclusioni analoghe deve pervenirsi anche nei confronti di M. P., condannata in primo grado per il reato associativo e per reati ex art. 73 D.P.R. n. 309/1990 (capi a), e) ed e) della imputazione), che fu parte nel giudizio di appello ancorché sul solo gravame proposto dal Procuratore Generale: anche nei suoi confronti non può non determinarsi l'effetto estensivo dei gravami proposti dagli impugnanti diligenti.
12. L'annullamento della sentenza impugnata nei confronti di tutti i succitati imputati, con assorbimento, allo stato, degli altri motivi di ricorso proposti, va disposta con rinvio, non senza rinvio come richiesto dai difensori dei ricorrenti presenti all'odierna udienza. E' d'uopo, difatti, riesaminare nella competente sede di merito se sussistano o meno altri e diversi elementi di prova utilmente utilizzabili per la eventuale affermazione di responsabilità (la ed. "prova di resistenza"), tale ricognizione propriamente di merito non essendo praticabile in questa sede di legittimità, tanto più che la sentenza impugnata - che in misura del tutto preponderante e talora esclusiva si è soffermata sugli esiti captativi in questione nella evidentemente ritenuta assorbente loro decisività - pure richiama per alcuni ricorrenti dichiarazioni accusatorie (di M., pag. 32; di F., pagg. 36 e ss.; di B. L., pag. 40).
13. Conclusivamente, la sentenza impugnata va annullata nei confronti di tutti gli attuali ricorrenti (A., E., R., O., O., O., B., O.) e, per l'effetto estensivo, anche nei confronti di F. C., M. J. N., I. V. e M. P., con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli.
P.Q.M.
La Corte annulla la sentenza impugnata nei confronti di tutti i ricorrenti e, per l'effetto estensivo, anche nei confronti di F. C., M. J. N., I. V. e M. P., con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli.
Roma, 12 luglio 2007
Il componente estensore Il Presidente
Francesco Marzano Giovanni Pioletti
Depositato in Cancelleria, Roma 26 luglio 2007
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