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Carlo Crapanzano, La testimonianza dei minorenni nel processo penale
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In linea di principio, e secondo quanto prevede il primo comma dell’art. 196 c.p.p., “ogni persona ha la capacità di testimoniare”. Tale principio vale come riferimento di carattere generale anche per i minorenni. Si è obiettato da alcuni che sarebbe invece preclusa tale testimonianza dall’art. 120 c.p.p. laddove prevede che “Non possono intervenire come testimoni ad atti del procedimento: a) i minori degli anni quattordici…”, ma opportunamente la giurisprudenza di legittimità ha da tempo interpretato e chiarito la portata della norma (vedi ex pluribus Cass. pen., Sez. III, 28/02/2003, n.19789 secondo la quale “l'articolo 120 del c.p.p non contiene alcun divieto alla testimonianza dei minori, giacché si limita a stabilire che i minori degli anni quattordici e gli altri soggetti appartenenti alle categorie ivi specificamente indicate (infermi di mente, ubriachi, intossicati per sostanze stupefacenti, sottoposti a misure di sicurezza detentive o a misure di prevenzione) non possono intervenire come testimoni ad atti del procedimento. Si fissa in tal modo solo una generale inidoneità delle persone catalogate ad assolvere alla funzione di garanzia che la legge prevede per il compimento di determinate attività (per esempio, le ispezioni e le perquisizioni), nelle quali l'interessato ha diritto di farsi assistere da persona di fiducia. La minore età di un testimone, quindi, non incide sulla sua capacità di testimoniare, che è disciplinata dal principio generale contenuto nell'articolo 196, comma 1, del c.p.p, bensì, semmai, sulla valutazione della testimonianza e, cioè, sulla sua attendibilità: è in tale prospettiva che opera lo speciale regime dettato dall'articolo 498, comma 4, del c.p.p per l'esame del minore, affidato al presidente dell'organo giudicante e condotto sulla base di domande e contestazioni proposte dalle parti, eventualmente con l'ausilio di un familiare o di un esperto psicologo, salva la facoltà di consentire la deposizione in forma ordinaria, quando l'esame diretto non possa nuocere alla serenità del testimone”.
 
Tuttavia, ovviamente, l’assunzione della testimonianza di un minorenne, proprio perché tale, deve avvenire con criteri e modalità che la Legge si è sforzata di individuare, ma che inevitabilmente lasciano insoddisfatti magistrati, avvocati, psicologi, psichiatri, neuropsichiatri infantili, criminologi.
 
L’enorme problema che si pone dunque dinanzi a chi deve valutare la testimonianza del minorenne, si appalesa  sotto un duplice aspetto: la capacità di deporre del minorenne e la veridicità del racconto (e ciò vale a maggior ragione quando il minorenne sia anche parte offesa e vittima del reato). In tal senso Cass. pen., Sez. III, 11/07/2003, n.39959.
Sul primo aspetto, e cioè la capacità di deporre, in linea generale, il secondo comma dell’art. 196 c.p.p. prevede che “Qualora, al fine di valutare le dichiarazioni del testimone, sia necessario verificarne l'idoneità fisica o mentale a rendere testimonianza, il giudice anche di ufficio può ordinare gli accertamenti opportuni con i mezzi consentiti dalla legge”.
Ma nel caso di minorenne, dovrà seguirsi una via parzialmente diversa.
Proprio allo scopo di dare delle linee guida al modus operandi (anche se con specifico riferimento a testimoni minorenni vittime di abusi sessuali), nel 1996 è stata redatta la ormai famosa “Carta di Noto” che è stata modificata nel 2002.
Essa è entrata quasi di forza a far parte di criteri e valutazioni dei quali tengono conto i Giudici per l’attendibilità di testimoni minorenni, e spesso è citata in molte sentenze di merito e di legittimità (vedi ad esempio Corte di Appello di Brescia, 02/07/2004).
 
Fondamentalmente, essa prevede che i professionisti specificamente formati a raccogliere le testimonianze dei minorenni (rectius la attendibilità dei minorenni), debbano utilizzare metodologie e criteri riconosciuti come affidabili dalla comunità scientifica di riferimento; esplicitare i modelli teorici utilizzati, così da permettere la valutazione critica dei risultati. Il punto importante da sottolineare, però, è che “la valutazione psicologica non può avere ad oggetto l’accertamento dei fatti per cui si procede”. Cioè, e in termini più semplici, quanto raccolto dalle dichiarazioni dei minorenni deve solo servire a chiarire al Giudice che il minorenne è idoneo o meno a rendere testimonianza, ma è inibito a chi effettua la perizia, di valutare attendibili gli eventuali fatti raccontati dal minore: questo è compito che spetta esclusivamente al Giudice.
Quindi, mentre la valutazione sulla capacità a rendere testimonianza può essere affidata a un perito, la veridicità o meno del racconto del minorenne deve essere affidata al Giudice. Infine, la Carta “consiglia” che la sede privilegiata per l’escussione del minorenne è l’incidente probatorio e auspica che il perito incaricato dal Giudice di effettuare l’indagine psicologica del minore, rappresenti che “le attuali conoscenze in materia non consentono di individuare dei nessi di compatibilità od incompatibilità tra sintomi di disagio e supposti eventi traumatici”.
 
Se il minorenne è in tenera età, spesso accade che vi sia un coinvolgimento “testimoniale” dei genitori, ma bisogna subito dire che non può acquisirsi la testimonianza resa da questi ultimi. E’ infatti sempre auspicabile il coinvolgimento testimoniale diretto del minorenne (in questo senso Cass. pen., Sez. III, 12/02/2004, n.18058). Infatti, “…è viziata da inutilizzabilità ai sensi dell'art. 195 c.p.p. la testimonianza indiretta allorché il giudice abbia omesso di procedere, nonostante la richiesta della difesa, all'assunzione del testimone diretto, anche nel caso in cui quest'ultimo sia persona minore di età” (Cass. pen., Sez. III, 28/11/2001, n.1948).
 
Solo in rari ed eccezionali casi, la giurisprudenza ha ammesso la testimonianza indiretta: “In tema di reati contro la libertà sessuale le dichiarazioni rese dal minore in sede di incontro videoregistrato presso il servizio psichiatrico alla presenza di un funzionario o agente di polizia giudiziaria possono essere oggetto di testimonianza "de relato" da parte dell'ufficiale di p.g. ai sensi dell'art. 195 c.p.p.” (Cass. pen., Sez. III, 15/05/2001, n.23423).
 
 
Conseguentemente, “… anche i bambini in tenera età sono in grado di ricordare ciò che hanno visto e soprattutto ciò che hanno subito con coinvolgimento diretto, pur spettando al giudice di valutare con particolare attenzione la credibilità del dichiarante e l'attendibilità delle dichiarazioni. In una tale prospettiva, nel caso di minore-parte offesa (la cui deposizione ben può essere assunta anche da sola come fonte di prova della responsabilità), si spiega, nella prospettiva di controllo sulla «credibilità soggettiva», la possibilità di procedere alla verifica dell'«idoneità mentale» (articolo 196, comma 2, del c.p.p.), rivolta ad accertare se il minore stesso sia stato nelle condizioni di rendersi conto dei comportamenti tenuti in pregiudizio della sua persona e possa poi riferire in modo veritiero siffatti comportamenti. Trattasi, in ogni caso, di indagine psicologica particolarmente proficua in materia di reati sessuali, ma sicuramente non obbligatoria in mancanza di elementi che giustifichino una pretesa incapacità della vittima, pur se bambino. Inoltre, pur nel caso di accertamenti peritali disposti ex articolo 196, comma 2, gli esiti di questi, da un lato, non precludono affatto l'assunzione della prova dichiarativa (come espressamente enunciato al comma 3 dell'articolo 196, che fissa il principio dell'insussistenza di una necessaria cronologia temporale tra l'assunzione della testimonianza e gli accertamenti stessi), e, dall'altro, non possono comunque avere alcuna valenza deterministica ai fini decisionali, vigendo il principio che non è possibile demandare a uno o più periti la verifica dell'attendibilità del testimone e che spetta pur sempre al giudice il vaglio critico delle nozioni acquisite attraverso l'attività svolta dai periti” (Cass. pen., Sez. III, 06/03/2003, n.36619)
 
Il secondo aspetto da valutare, e cioè la veridicità del racconto del minorenne, è strettamente legato al primo (capacità di deporre) e non meno problematico. Nella maggioranza dei casi, dovuti purtroppo al fatto che spesso i minorenni siano testimoni di abusi sessuali da loro subìti, la sede più appropriata per l’esame del testimone minorenne è l’incidente probatorio, con le garanzie costituzionali e processuali riservate a tutte le parti del processo. In tale sede, sotto il profilo della veridicità del racconto, bisognerà preventivamente valutare la modalità per l’escussione del testimone. Non v’è dubbio alcuno, che il Giudice che avrà disposto l’incidente probatorio, ordini che si proceda con tutte le cautele possibili, perché anzitutto devono essere tutelate le esigenze del minorenne. Egli può stabilire particolari modalità per procedere all'incidente probatorio, che reputi necessarie od opportune. Fra queste particolari modalità di assunzione della prova, ad esempio rientra sicuramente anche la forma scritta, laddove sia consigliata o imposta dall'esigenza di proteggere la fragile emotività del minore e di assicurare nel contempo la genuinità della deposizione:“Il ricorso alla forma scritta, non costituisce una lesione del principio del contraddittorio, giacché all'incidente probatorio partecipano necessariamente il pubblico ministero e il difensore dell'indagato e ha diritto di partecipare anche il difensore della persona offesa (articolo 401, comma 1, del c.p.p.), e tutti costoro hanno diritto di proporre al giudice le domande e le contestazioni da rivolgere al testimone ai sensi del combinato disposto degli articoli 401, comma 5, e 495, comma 4, del c.p.p. Questa forma scritta, inoltre, neppure configura una deroga al principio dell'oralità, dovendosi intendere per tale il principio, fondamentale nel rito accusatorio, che vieta le prove scritte precostituite, cioè formate fuori del processo, mentre nella suddetta modalità di svolgimento dell'incidente probatorio la prova non si viene precostituita fuori del processo, ma si forma nell'udienza camerale in contraddittorio tra le parti” (Cass. pen., Sez. III, 25/05/2004, n.33180).
 
Ma “l’inesistenza nel sistema normativo di preclusioni o limiti alla capacità del minore a rendere testimonianza (art. 196 c.p.p.) non affranca il giudice dal dovere di controllarne le dichiarazioni con impegno assai più solerte e rigoroso rispetto al generico vaglio di credibilità cui vanno sottoposte le dichiarazioni di ogni testimone. In particolare, nei reati a sfondo sessuale - dei quali il minore è frequentemente vittima e il suo contributo non è normalmente sottraibile alla ricostruzione del fatto - il giudice deve accertare la sincerità della testimonianza del minore, con l'esercizio di una straordinaria misura di prudenza e con un esame particolarmente penetrante e rigoroso di tutti gli altri elementi probatori di cui si possa eventualmente disporre. A tal fine, può rivelarsi necessario il ricorso agli strumenti dell'indagine psicologica per verificare, sotto il profilo intellettivo e affettivo, la concreta attitudine del minore a testimoniare, la sua credibilità, la sua capacità a recepire le informazioni, a raccordarle tra loro, a ricordarle e a esprimerle in una visione complessa, da stimare in relazione all'età, alle condizioni emozionali che regolano le sue relazioni con il mondo esterno, alla qualità e alla natura dei suoi rapporti familiari. E ciò anche al fine di escludere che una qualunque interferenza esterna, talvolta collegata allo stesso ambiente domestico nel quale l'abuso sessuale non di rado si consuma, possa alterare la genuinità dell'apporto testimoniale” (Cass. pen., Sez. III, 28/02/2003, n.19789).
 
In conclusione, come si  è visto, non esistono riferimenti normativi e quindi processuali, tali da delimitare i confini entro i quali debbono essere valutati i due elementi fondamentali per procedere all’esame del testimone minorenne (capacità di testimoniare e veridicità delle dichiarazioni). Tuttavia, grazie al contributo fondamentale della psicologia, della psichiatria, della neuropsichiatria infantile, della criminologia, della giurisprudenza di merito e di quella di legittimità, l’esame testimoniale del minorenne è ormai prossimo a quelle garanzie costituzionali di tutela poste alla base del nostro (non perfetto) sistema giuridico.
avv. prof. Carlo Crapanzano - agosto 2007
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