Versione per la stampa
La Suprema Corte, con sentenza n. 25812/2007, non scioglie la questione sottesa all'asserita abolitio criminis del reato di rifiuto di prestazione del servizio militare di leva, richiamandosi ad uno degli orientamenti in campo e disattendendo la richiesta del Procuratore Generale di rimettere il ricorso alle Sezioni Unite.
Successione mediata di leggi penali e servizio militare. In perdurante attesa delle Sezioni Unite
“Sospensione a tempo indeterminato” può equivalere, da un punto di vista letterale, ad “abolizione”? E’ questo, in estrema sintesi, l’interrogativo di fondo che la Corte di Cassazione non ha ancora univocamente sciolto, allorché si discute di quali effetti abbia comportato l’istituzione del servizio militare professionale sul delitto di cui all’art. 14, I e II co. della legge n. 230/1998.
Tutta la materia, infatti, è profondamente cambiata a seguito dell’entrata in vigore della legge delega per la riforma del servizio militare n. 331/2000, preordinata alla istituzione del servizio militare professionistico, e che ha prefigurato la sostituzione dei militari in servizio obbligatorio di leva con volontari di truppa.
In forza di tali nuove norme, ed in particolare della legge n. 226/2004, art. 1, “l e chiamate per lo svolgimento del servizio di leva sono sospese a decorrere dal primo gennaio 2005”: la Suprema Corte si è quindi più volte chiesta se quel “sospese” significhi o meno l’abolizione, di fatto, del precedente apparato difensivo basato sulla leva obbligatoria.
Il contrasto giurisprudenziale, il cui unico punto di comunanza è racchiuso nella pacifica applicazione dell’art. 2 c.p. anche alle norme integratrici del precetto penale, è ben noto: Cass. Pen. Sez. I, n. 12316/2005, Caruso, aveva preferito un’interpretazione ampia, ritenendo che il sistema complessivo introdotto dal d. lgs. n. 215/2001, come modificato dalla citata legge n. 226/2004, avesse di fatto cancellato ogni obbligo di leva, travolgendo di conseguenza anche le condanne di rifiuto di prestazione del servizio militare. Il percorso ermeneutico era stato già intrapreso, a dire il vero, dai giudici di merito (in particolare: Tribunale di Firenze, sent. 01/07/2003; Tribunale mil. di Bari, sent. 07/02/2005; Tribunale di Viterbo, sent. 21/02/2005) i quali, salva l’ipotesi di un ripristino della leva per esclusiva scelta del legislatore, ritenevano inconcepibile la perdurante applicazione dei reati volti a presidiare un obbligo di leva ormai insussistente.
Sulla medesima scia, seppur con conclusioni diverse, Cass. Pen. Sez. I, n. 23788/2005, Taboni (che discute di “ improprietà terminologica contenuta nella legge - che usa la nozione di sospensione nell'accezione di abrogazione”) e Cass. Pen. Sez. I, n. 27419/2005, Marini: queste due pronunce sollevano però per la prima volta uno spinoso problema interpretativo in quanto, pur sembrando di voler astrattamente condividere il principio dell’equivalenza fra sospensione ed abolizione, di fatto sono impossibilitate ad applicarlo giacché la legge di riforma segna la data del 31 ottobre 2005 come termine per la cessazione della chiamata alle armi mediante leva: e questa data, al momento della decisione dei ricorsi Taboni e Marini, non è ancora decorsa.
Sono quindi le pronunce del 2006 a doversi giocoforza esprimere sulla questione di diritto: per prima interviene Cass. Pen. Sez. I, n. 7628/2006, Bova (già pubblicata su www.penale.it) che, sul filone della sentenza Caruso, sancisce: “ La radicalità della modifica determina una evidente so-luzione di continuità tra i due sistemi e non appare qualificabile altrimenti che come abrogazione del servizio militare obbligatorio di leva e introduzione di un diverso apparato di difesa caratterizzato dal professionismo e dalla partecipazione su base volontaria”.
Ed ancora: “ La conseguenza è obbligata: l'abolizione del servizio militare obbligatorio (a seguito dell'introduzione di forze armate esclusivamente professionali, realizzata dalla l. 331/2000, art. 1, comma 6) abroga il delitto di rifiuto di prestare detto servizio da parte dei cittadini ad esso tenuti per chiamata di leva e determina - in forza dell'art. 2 c.p., comma 2 - la non punibilità della condotta di chi in precedenza, allorché detto servizio era obbligatorio, ha rifiutato di prestarlo ovvero la cessazione dell'esecuzione e degli effetti penali della condanna eventualmente intervenuta”.
Ma a questo punto, in seno alla Corte di legittimità, emerge un singolare quanto evidente contrasto: “ Questo Collegio non ritiene che la nuova normativa abbia comportato la totale e generalizzata eliminazione del servizio militare obbligatorio, dal momento che, anzi, esso continua ad essere previsto in riferimento a specifiche situazioni e a determinati casi eccezionali riferiti anche al tempo di pace (L. n. 331 del 2000, art. 2). Di qui il richiamo che questo Collegio ritiene di dover fare, in materia di successione di leggi penali, all'art. 2 c.p., comma 4” (così infatti Cass. Pen., Sez. I, n. 16228/2006 e, similmente, Cass. Pen., Sez. I, n. 42399/2006).
L’udienza dello scorso 6 giugno 2007 poteva quindi costituire l’ottima occasione per rimettere il ricorso alle Sezioni Unite e sciogliere l’annoso contrasto, ma la Corte ha disatteso le richieste in tal senso del Procuratore Generale decidendo di aderire, peraltro acriticamente, all’orientamento restrittivo che esclude l’ abolitio criminis.
Il 4 luglio 2007 è stata quindi depositata la pronuncia n. 25812/2007, di seguito riportata, che perpetua l’incertezza applicativa e lascia aperto il dilemma sulla complessiva fattispecie.
In attesa di un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite, chi scrive non può non sottolineare come anche stavolta il legislatore del 2001, con una normazione atecnica e poco coraggiosa, abbia offerto il destro ad un’esegesi ballerina ed ondivaga, soprattutto perché legata ad un dies a quem, quello del 31 ottobre 2005, che tradisce inaccettabili disparità di trattamento a seconda del momento di decisione dei differenti ricorsi di legittimità. Difatti, per quanto appare evidente, pur con tutti gli sforzi ermeneutici possibili, che la nozione di “sospensione” non possa farsi coincidere con quella di “abolizione”, è altrettanto indubitabile che il disvalore sociale connesso al rifiuto di prestare il servizio di leva sia attualmente inesistente in seno alla collettività.
Di queste opposte esigenze la giurisprudenza – si spera – deve farsi carico nella sua più ampia composizione.
Luigi Levita
Specializzato nelle professioni legali
Dottore di ricerca
luglio 2007
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Cassazione Penale, Sez. I, sent. n. 25812/2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE
(omissis)
ha pronunciato la seguente sentenza
(omissis)
Motivi della decisione
Questa Corte di legittimità ha già avuto modo di precisare (Cass, Sez. 1^, 28 aprile 2006, ric. Cracolici, RV 234503; Cass. Sez. 1^, 2 maggio 2006 ric. Brusaferri, RV 233446; Cass. Sez. 1^ 18 maggio 2006, ric. Lampedone, RV 234839; Cass. Sez. 1^, 6 luglio 2006 rc. Grammatica, RV 235003) che l’intervenuta sospensione del servizio militare di leva ridisegna la fattispecie penale del delitto di rifiuto della relativa prestazione eliminando il disvalore sociale della condotta incriminata. Ne consegue che il D.Lgs. n. 215 del 2001, art. 7, così come la L. 14 novembre 2000, n. 331, art. 1, comma 6 (" Le Forze armate sono organizzate su base obbligatoria e su base professionale secondo quanto previsto dalla presente legge"), devono essere considerati norme integratrici del precetto penale e che, con riferimento alle situazioni da essi disciplinate, trova applicazione l'art. 2 c.p., comma 4 (" se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile"); sicché la sospensione del servizio di leva comporta la non punibilità della condotta di chi in precedenza, essendo obbligato a tale servizio, ha rifiutato di prestarlo. E' il caso di aggiungere che questo Collegio non ritiene che la nuova normativa abbia comportato la totale e generalizzata eliminazione del servizio militare obbligatorio, dal momento che, anzi, esso continua ad essere previsto in riferimento a specifiche situazioni e a determinati casi eccezionali riferiti anche al tempo di pace (L. n. 331 del 2000, art. 2). Di qui il richiamo che questo Collegio ritiene di dover fare, in materia di successione di leggi penali, all'art. 2 c.p., comma 4 (e non già al comma 2 di tale norma, come è stato ritenuto da questa stessa Sezione nella sentenza n. 12316 del 10 febbraio 2005, Caruso, CED-231721). Del resto, le Sezioni Unite Penali di questa Corte hanno chiarito che deve applicarsi il comma 3 (oggi 4) e non l’art. 2 c.p., comma 2 in presenza di successione di leggi con effetto parzialmente abrogativo in relazione a quei fatti, commessi prima dell'entrata in vigore delle nuove norme, che non siano riconducibili alle nuove fattispecie criminose (Cass., SS.UU., 26 marzo 2003 n. 25887, Giordano, CED-224605).
La sentenza impugnata merita quindi di essere annullata senza rinvio perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione, Prima Sezione Penale, annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
Così deciso in Roma, il 6 giugno 2007.
Depositata in cancelleria il 4 luglio 2007.
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