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Chi assume un clandestino deve prendere visione del permesso di soggiorno; l'esibizione della sola richiesta non basta, neppure per poter invocare la propria buona fede
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FAZZIOLI Edoardo - Presidente Dott. MOCALI Piero - Consigliere Dott. BARDOVAGNI Paolo - Consigliere Dott. URBAN Giancarlo - Consigliere Dott. PIRACCINI Paola - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da G.M., nato il ..., avverso la sentenza del 20/12/2005 della Corte d'Appello di Milano; Visti gli atti, la sentenza ed il procedimento; Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott.ssa Paola Piraccini; Rilevato che il Procuratore Generale nella persona del Consigliere Dott. Consolo chiedeva l'inammissibilità del ricorso. Rilevato che il difensore non è comparso.
FATTO E DIRITTO
La Corte d'Appello di Milano confermava la sentenza di condanna emessa dal Tribunale della stessa città nei confronti di G.M. per il reato di cui alla L. n. 286 del 1998, art. 22, per aver occupato alle proprie dipendenze una cittadina extracomunitaria priva del permesso di soggiorno.
Rilevava che l'imputato aveva sostanzialmente ammesso il fatto limitandosi a sostenere che aveva ritenuto in buona fede di poterlo fare in quanto la donna gli aveva mostrato la richiesta per ottenere il permesso di soggiorno.
Secondo la Corte il principio di buona fede non era invocabile da parte dell'imputato in quanto a lui incombeva l'obbligo di prendere visione del permesso di soggiorno prima di assumere la cittadina extracomunitaria, non essendo sufficiente la semplice richiesta.
Inoltre il G. conosceva la situazione della donna in quanto abitava vicino alla sua trattoria; la pena appariva congrua visto che vantava precedenti penali proprio in materia di violazione delle norme sul lavoro.
Contro la decisione presentava ricorso l'imputato deducendo:
- Manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui dava per scontato che egli conoscesse la condizione di clandestina della donna solo perchè abitava vicino alla sua trattoria, e nella parte in cui non aveva valutato che l'assunzione della donna era stata limitata ad una sola settimana di prova, dopo di che, non avendo ricevuto il permesso di soggiorno, la licenziava;
- Contrasto tra dispositivo e motivazione nella parte in cui aveva ritenuto che la pena non potesse essere convertita, mentre nel dispositivo veniva confermata la sentenza di primo grado che invece aveva concesso la conversione;
- Intervenuta prescrizione del reato.
La Corte ritiene che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile in quanto richiede di effettuare una rivalutazione degli elementi di fatto posti alla base della decisione. La motivazione appare invece del tutto congrua e logica non potendo l'imputato invocare la sua buona fede, visto che doveva sapere che la legge richiede il permesso di soggiorno per poter assumere una cittadina extracomunitaria, e visto che anche un'assunzione in prova costituisce instaurazione di un rapporto di lavoro.
Il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500,00 alla Cassa delle Ammende. P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2006.
Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2006
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