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La sentenza redatta con grafia illeggibile è nulla sia per difetto di motivazione che per lesione del diritto al contraddittorio
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Svolgimento del procedimento.
Con sentenza 26-4-01 il Gip presso il Tribunale di Catania, a seguito di giudizio abbreviato, dichiarava G.F. responsabile, in concorso con altri soggetti, di ricettazione ex artt. 110, 648 c.p. e di detenzione di cocaina a fini di spaccio ex artt. 110, 648 c.p., 73 d.p.r. 309/90: con la diminuente del rito lo condannava a pena ritenuta di giustizia.
La Corte di appello di Catania con pronuncia 28-5-02 riduceva l’inflitta sanzione, confermando nel resto la decisione impugnata; l’imputato ha ora proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado deducendone la nullità ai sensi degli artt. 125, 546 c.p.p. in quanto la motivazione era stata redatta a mano, con grafia illeggibile.
Il ricorso veniva assegnato alla IV sez. penale la quale riconosceva che si era verificata la denunciata situazione: rilevato, peraltro, che in ordine alle conseguenze della stessa si registrava un contrasto giurisprudenziale, rimetteva gli atti alle Sezioni Unite.
Motivi della decisione
Le Sezioni Unite sono dunque chiamate a valutare se la sentenza redatta con grafia illeggibile sia nulla per mancanza di motivazione ovvero se ogni ipotesi di invalidità debba essere esclusa.
La questione è rilevante poiché in effetti la motivazione della sentenza impugnata è illeggibile risultando la sua stesura operata per la maggior parte, ossia in ogni riga e con riguardo a quasi tutte le parole ivi contenute, attraverso apposizione di una serie di segni grafici la cui unione non è idonea a rappresentare specifici concetti.
Al proposito si sono delineati nell’ambito della giurisprudenza di legittimità due fondamentali orientamenti, tra loro contrapposti.
In varie pronunce è stata negata la sussistenza di nullità in base alla considerazione che la parte interessata può richiedere in cancelleria, ai sensi dell’art. 116 c.p.p., una copia dattiloscritta della sentenza, puntualizzandosi che in tale evenienza il termine per proporre impugnazione decorrerebbe dal rilascio della copia leggibile, per cui non vi sarebbe indebita compressione dei diritti di impugnazione; è stato altresì segnalato che il principio di tassatività impedisce la dichiarazione di una nullità non prevista dalla legge (in particolare dall’art. 546 c.p.p.) e si è escluso che questa possa ricavarsi dall’art. 125 c.p.p. posto che l’illeggibilità non equivale a mancanza di motivazione, la quale ricorre solo in caso di mancanza grafica (Cass. 31-3-92 n. 05450 RV. 190328; Cass. 18-1-01 n. 04041 RV. 219094; Cass. 4-4-03 n. 22773 RV. 225903; Cass. 26-1-05 n. 9210 RV 230948; Cass. 17-9-04 n. 48232 RV. 231270; Cass. 4-10-05 n. 39247 RV. 232553; Cass. 28-4-06 n. 1636; si veda altresì Cass. 21-3-01 n. 21142 RV. 219575 ove è stata ritenuta manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 546 c.p. in relazione agli artt. 24 e 97 Cost. per l’omessa previsione della suddetta nullità; sotto la vigenza del codice del 1930: Cass. 17-5-71 n. 770 RV. 118633; Cass. 10-1-72 n. 4007 RV. 121250; Cass. 12-12-75 n. 3737 RV. 132857; Cass. 5-4-78 n. 7076 RV. 138254; Cass. 20-11-79 n. 11538 RV. 146507). In altre sentenze, pur confermandosi l’insegnamento sopra riportato, si è tuttavia riconosciuto che nullità deve essere ravvisata nell’ipotesi estrema di impossibilità assoluta di decifrazione della grafia, come nel caso di sopravvenuta morte del giudice estensore (Cass. 28-4-06 n. 16363, non massimata; Cass. 4-10-05 n. 39247 RV. 232553; nella vigenza del codice del 1930: Cass. 18-10-83 n. 01881 RV. 162907).
Secondo un indirizzo giurisprudenziale radicalmente diverso la sentenza scritta con grafia illeggibile, o leggibile con grande difficoltà, è da ritenersi nulla per sostanziale mancanza di motivazione ex art. 125 c. 3 c.p.p. e per violazione del diritto di difesa. Precipuamente è stato rilevato: che la possibilità di ottenere una copia leggibile costituisce un rimedio empirico che non assurge a regola di carattere generale; che non può farsi carico alla parte titolare del diritto di impugnazione di sollecitare la trascrizione leggibile della sentenza; che in questo modo i termini per proporre impugnazione verrebbero ridotti o addirittura sacrificati; che la possibilità di farli decorrere dal momento del rilascio della copia leggibile si risolve in regola giurisprudenziale contra legem la quale dilaterebbe in modo incerto i tempi del processo; che non può valere il richiamo all’art. 116 c.p.p. che pone solo un corollario alle regole si divulgazione degli atti del processo, differenziando la posizione di chi abbia interesse ad ottenere copia, estratto o certificazione di singoli atti (Cass. 6-12-02 n. 02025 RV. 223707; Cass.8-11-04 n. 1310 Nascimbeni; Cass. 22-11-01 n. 45458 RV. 220606; Cass. 5-3-04 n. 12931 RV. 228636; Cass. 8-3-05 n. 15396 RV. 231325; Cass. 9-3-05 n. 19825 RV. 231358; Cass. 12-5-06 n. 18462; con riferimento ad un ordinanza illeggibile: Cass. 19-4-05 n. 19956; nella vigenza del precedente codice di rito: Cass. 10-1-72 n. 4007 RV. 121250; Cass. 12-12-75 n. 3737 RV. 132857).
Queste Sezioni Unite ritengono di aderire a tale ultimo orientamento, condividendone tutte le argomentazioni ed osservando quanto segue.
L’indecifrabilità di una sentenza, qualora essa non sia limitata ad alcune parole e non consista in semplice difficoltà di lettura superabile senza uno sforzo eccessivo, si traduce in impossibilità per la parte di individuare i motivi di fatto e di diritto su cui si basa la decisione i quali ai sensi dell’art. 546 c. 1 lett. e c.p.p. devono essere, sia pur concisamente, esposti - ossia resi visibili - con le modalità ivi indicate.
Né incide la circostanza che nessuna norma, con specifico ed espresso riferimento all’illeggibilità della motivazione, preveda una nullità: questa invero discende dall’art. 125 c.p.p. il quale dispone che “le sentenze e le ordinanze sono motivate a pena di nullità” e la sussistenza di siffatto essenziale requisito è da escludersi, sia in caso di omessa esposizione dei dati e delle valutazioni che devono giustificare il dispositivo, sia in caso di esposizione non intelleggibile. A ciò aggiungasi che la violazione del precetto posto dal cit art. 546 c.p.p., relativo alla manifestazione delle ragioni del provvedimento conclusivo del procedimento, comporta violazione del diritto al contraddittorio ex artt. 178 lett. b e c, 180 c.p.p. (e quindi una invalidità a regime intermedio), in quanto viene così pregiudicata la possibilità di ragionata determinazione in vista dell’impugnazione e di efficace difesa.
In senso contrario non può valere l’argomento adottato dall’opposto indirizzo, secondo cui la nullità sarebbe da escludersi perchè la parte può farsi rilasciare, a norma dell’art. 116 c.p.p., una copia leggibile: trattasi di soluzione criticabile sotto il profilo concettuale ed altresì in linea di principio.
Innanzitutto va osservato che non si comprende come il cancelliere potrebbe formare la “copia leggibile” ed attestarne la conformità ad un originale illeggibile; è evidente che egli dovrebbe addivenire ad un’operazione interpretativa che esula dai suoi compiti e che non offrirebbe garanzia formale di trasparenza né sostanziale di perfetta corrispondenza della copia al documento originario. In realtà si verrebbe a creare un nuovo originale e ciò è dimostrato dalla necessità che il cancelliere avrebbe di ricorrere al giudice redattore, procedura che non è prevista né tantomeno disciplinata dalla legge e che, anzi, è in contrasto con il nostro sistema, il quale consente al giudice che ha emesso il provvedimento il potere di modificarlo solo nel caso di errori materiali. D’altro canto non sarebbe consentito fare riferimento per analogia al procedimento di rettifica di questi ultimi: basti osservare che la relativa previsione, di cui all’art. 130, c.p.p., presupponendo che gli errori da correggere siano identificabili, trova la sua ragione in una situazione radicalmente diversa da quella per cui si discute.
Il richiamo all’art. 116 c.p.p. è in realtà improprio: tale norma attribuisce al soggetto interessato il diritto ad ottenere una copia degli atti processuali ed è indiscusso che questa debba essere leggibile se leggibile è l’originale, il che è cosa diversa dal farsi rilasciare un atto che provveda a “leggere” l’originale indecifrabile; al contempo va riconosciuto che la parte deve essere posta in condizione di comprendere il contenuto di un atto prima ed indipendentemente dal rilascio di una copia dello stesso ed al proposito è significativo che l’art. 544 c. 1 c.p.p. preveda, quale regola primaria, la redazione immediata della motivazione della sentenza, onde se ne possa dare lettura, anche in forma riassuntiva, immediatamente dopo quella del dispositivo (art. 545 c. 2 c.p.p.).
Inoltre v’è il problema dell’impugnazione che il soggetto legittimato, oltre al dovere, ha il diritto di esercitare tempestivamente, mentre nel caso in cui egli, per poterla proporre, dovesse richiedere una copia della sentenza si determinerebbe un indebito rinvio di detto diritto; inoltre i termini di cui all’art. 585 c. 1 c.p.p. verrebbero a decorrere da un momento estraneo alla legge, quello del rilascio della copia, a meno di voler stabilire che la copia leggibile, debba essere depositata con nuovi incombenti informativi e decorrenze a norma del citato articolo: il che, da un lato, dimostrerebbe che in effetti si è irritualmente creato un secondo originale e, per altro verso, comporterebbe un ulteriore decorso del tempo in contrasto colla regola della ragionevole durata del giusto processo.
Se poi la parte non avesse richiesto la copia e l’illeggibilità venisse eccepita in sede di impugnazione dovrebbe pervenirsi al rigetto di quest’ultima a causa di mancato esperimento dell’attività in questione ovvero il giudice ad quem dovrebbe provvedere a che sia acquisita “copia leggibile”; ognuna delle due soluzioni è inaccettabile: la prima perché, verrebbe a penalizzare la parte per non avere tenuto un comportamento dall’esito incerto, che del resto esula dai suoi doveri; la seconda perché, qualora anche fosse trasmessa la copia leggibile, sarebbe ormai pregiudicato il diritto a proporre valida impugnazione.
In sintesi, a dimostrazione che l’orientamento disatteso è privo di rigore giuridico e sistematico, si osserva che, se una nullità è suscettibile di sanatoria per effetto di un atteggiamento dell’interessato sussumibile nelle ipotesi di cui all’art. 183 c.p.p. (il che indubbiamente si verificherebbe nel caso in cui detto interessato ottenga una copia, redatta in termini leggibili, della sentenza e, nell’impugnarla, non ne contesti la conformità all’originale), la configurabilità della medesima, invece, non può essere negata in radice ponendo a carico alla parte, al di fuori di una previsione normativa, un determinato incombente, salvo poi, a fronte di risultato negativo dell’adempimento, recuperare l’invalidità, così come effettuato nei precedenti giurisprudenziali in cui si ravvisa la nullità della sentenza solo qualora non sia più possibile decifrarla, ad esempio nel caso di morte dell’estensore.
Infine, va escluso che la sentenza scritta a mano ed illeggibile sia una “minuta” in funzione di originale, della quale il cancelliere non ha curato la trasformazione in originale, minuta suscettibile quindi di successive operazioni e precisamente di redazione in termini comprensibili, affidandosi la scritturazione ad un dattilografo, anche con l’aiuto dell’estensore: tale tesi, sostenuta in alcuni precedenti pronunciati nella vigenza del codice di rito del 1930 con specifico richiamo all’art. 30 disp. att., sarebbe ora prospettabile con riferimento all’art. 154 disp att. del nuovo codice, la quale norma riporta disposizioni identiche a quelle di cui al menzionato art. 30.
In senso contrario a detta impostazione, va segnalato che in realtà la sentenza, una volta depositata e firmata, oltre che dal presidente e dall’estensore, anche dal cancelliere ex art. 548 c. 1 c.p.p., con apposizione della data di detto deposito, diviene automaticamente l’originale, risultando esaurito il procedimento di formazione di quest’ultimo.
Alla luce di tutte le svolte considerazioni deve quindi affermarsi il principio secondo cui l’illeggibilità di una sentenza comporta una nullità a regime intermedio la quale deve essere eccepita o rilevata ai sensi degli art. 180 e segg. c.p.p.
Nella fattispecie in esame l’imputato ha dedotto ritualmente nel proprio ricorso l’invalidità de qua e pertanto s’impone, con riguardo alla di lui posizione, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello la quale procederà a nuovo giudizio al termine del quale dovrà essere redatta una sentenza di agevole lettura.
Per questi motivi
La Corte annulla la sentenza impugnata nei confronti di G.F., con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catania. Così deciso in Roma il 28 novembre 2006
Depositato in data 28 dicembre 2006
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