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Penale.it - Alberto Cianfarini, Limiti all'ammissibilità dei testi nel caso di omessa indicazione delle circostanze sulle quali l'esame dovrà vertere: la Cassazione e i suoi insegnamenti

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Alberto Cianfarini, Limiti all'ammissibilità dei testi nel caso di omessa indicazione delle circostanze sulle quali l'esame dovrà vertere: la Cassazione e i suoi insegnamenti
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In data 18.10.2006 il Tribunale di Palmi in composizione collegiale, con ordinanza, si è pronunciato sull’importante tema della rilevanza della mancata indicazione, nell’ambito della citazione ex art.468 c.p.p., delle circostanze su cui deve vertere l’esame del teste.

Il caso in breve. Il PUBBLICO MINISTERO, già legittimato dal Presidente del collegio in sede di autorizzazione alla citazione, aveva ritualmente richiesto l’ammissione delle prove testimoniali ex art.493c.p.p., scatenando – in questo modo - le eccezioni della difesa.

Secondo la prospettazione della difesa il P.M., nel depositare ex art.468 c.p.p. la lista testi, aveva indicato genericamente e, comunque, in modo non sufficientemente specifico (e\o comunque omesso di indicare), le circostanze su cui l’esame si sarebbe dovuto esplicare.

La prova testimoniale richiesta dal P.M. risulterebbe, in sostanza per la difesa, lacunosa sotto il profilo del giudizio di rilevanza.

In effetti il pubblico ministero aveva indicato nella sua, scarna ma bastevole, richiesta:

x imputati vedi foglio allegato e decreto che dispone il giudizio in atti per il reato di cui all’art.XXX, RICHIEDE

autorizzarsi la citazione, per l’esame sulle circostanze rispettivamente indicate, dei seguenti soggetti:

dott.XXXYYY,

in sostanza il pubblico ministero aveva rinviato, per relationem, agli atti conosciuti alle parti evidenziando sia la rubrica dell’articolo del codice penale, asseritamene violato, sia la condotta\imputazione inserita nel decreto che dispone il giudizio, alle parti ovviamente noto (queste sono le uniche circostanze rispettivamente indicate cui alludeva il pubblico ministero).

Sul tema il Tribunale di Palermo[1] (e la dottrina[2]) si è cimentato analizzando l’origine storica dell’istituto, nell’ambito del processo penale accusatorio contemporaneo, logicamente distinguendo due fasi.

Vediamo in cosa consistono queste due fasi concettualmente distinte.

La prima fase si sviluppa al momento del controllo effettuato dal Presidente del Tribunale, con la funzione di escludere soltanto le testimonianze vietate dalla legge e quelle manifestamente sovrabbondanti (art. 468 comma 2° c.p.p.) [3].

La seconda fase si ha al momento della valutazione della rilevanza delle testimonianze, la quale sarà effettuata dal collegio, nella fase introduttiva al dibattimento, ex art.493\495 c.p.p.

Nel momento indicato dall’art.495 c.p.p. il Collegio ha sufficienti elementi per valutare la rilevanza o meno delle prove testimoniali indicate dalle parti.

A questo punto c’è da chiedersi a cosa serva, a quale funzione specifica assolva l'indicazione normativa circa le circostanze sulle quali deve svolgersi l'esame dei testi, prevista ex art. 468 c.p.p.?. Perché il legislatore non ha previsto una specifica sanzione all’omissione delle circostanze?.

A ben leggere l’indicazione delle circostanze su cui i testi debbono riferire non assolve alla funzione di evidenziare la rilevanza della prova (già peraltro precedentemente ammessa) ma, più semplicemente, consentire – alla controparte - la citazione di testi non
compresi nella propria lista al fine di esercitare il diritto alla prova contraria ex art. 468 comma 4o c.p.p..

Il Tribunale di Palmi, di contrario avviso, nella sua ordinanza che si commenta motivava: “il Tribunale sentite le richieste di prova delle parti così decide: quanto alla richiesta del pubblico ministero il Tribunale le ammette tutte, ad eccezione della richiesta di ammissione dei sig. dott.XXXYYY,……..Sembra infatti al Tribunale che la (parola illeggibile, forse, omessa) indicazione di riferimenti fattuali o di specifici atti istruttori ai quali agganciare questi mezzi di prova impedisca da un lato l’instaurazione di un corretto contraddittorio con le controparti e dall’altro non consente al Tribunale neppure una sommaria delibazione dei temi di prova richiesti, della loro rilevanza, della loro utilizzabilità processuale…………….

In pratica il Tribunale di Palmi non ammetteva il teste del pubblico ministero sulla scorta delle seguenti affermazioni:

1) Omessa indicazione di riferimenti fattuali o di specifici atti istruttori ai quali agganciare il mezzo di prova richiesto;

2) Violazione del principio del corretto contraddittorio;

3) Impossibilità per il collegio di effettuare neppure una sommaria delibazione dei temi di prova richiesti, della loro rilevanza, della loro utilizzabilità processuale…………….
 
 
Iniziamo l’analisi dell’ordinanza, ovviamente non adesiva, dal punto 3.

Come si diceva sopra il momento dell’ammissione e della rilevanza si ha nella fase dell’autorizzazione del Presidente, ove lo stesso effettua la valutazione di esclusione delle prove vietate dalla legge, quelle manifestamente superflue e quelle irrilevanti (art. 190 c.p.p. richiamato dall’art. 468 comma 2° c.p.p. primo periodo).

Il concetto di rilevanza della prova è indicato nell’art. 187c.p.p. norma che apre il libro III, titolo I, la quale indica quale deve essere l'oggetto della prova ossia, in sostanza, l’imputazione, la punibilità, la determinazione della pena o della misura di sicurezza; la rilevanza della prova è analizzata nel citato art. 190 c.p.p..

In pratica il Tribunale di Palmi, con l’ordinanza che con questa nota si commenta, ha contraddetto sé stesso ammettendo la prova del pubblico ministero in fase di autorizzazione ex art. 468 2°c. c.p.p., e non ammettendola nella fase di cui all’art. 495 1c° c.p.p..
 
 
Per quanto riguarda i punti 1 e 2 di cui sopra il Tribunale, sempre con la sua ordinanza, nulla riferiva circa la presenza del dott.XXXYYY nella fase dell’udienza preliminare ove aveva svolto la funzione di consulente tecnico del PUBBLICO MINISTERO nell’ambito di un incidente probatorio con perizia ex art.392, 2°c, c.p.p…

In pratica il Tribunale di Palmi, anche qui contraddittoriamente, configurava una lesione del principio del corretto contraddittorio attraverso l’omessa indicazione di riferimenti fattuali o di specifici atti istruttori ai quali agganciare il mezzo di prova del dott.XXXYYY (in pratica le circostanze su cui l’esame deve vertere) senza nulla riferire della sua specifica funzione precedentemente svolta.

Il dott.XXXYYY aveva svolto la funzione di consulente di parte nell’ambito del procedimento più garantito del nostro rito, qual è appunto la perizia in incidente probatorio: era, quindi, noto a tutti (o doveva essere noto) che il dottXXXYYY aveva svolto le funzioni di consulente del pm: su quali circostanze avrebbe mai potuto e dovuto riferire?..

L’ordinanza non ammissiva del consulente non appare, quindi, pienamente condivisibile anche alla luce di tutta la giurisprudenza di legittimità.

La Suprema Corte[4], sullo specifico punto, insegna che anche in assenza dell’indicazione nella lista testimoniale delle circostanze su cui i testi debbono deporre, qualora sia possibile dedurre per relationem che la persona indicata era tra i protagonisti dei fatti articolati nel capo di imputazione e le circostanze erano ricompresse nei capi d’accusa (o in altri atti che dovevano essere noti alle parti)[5], il soggetto, ex art. 468 c.p.p., andava comunque ammesso.

Sempre secondo la Cassazione[6], poiché la ratio dell'art. 468 c.p.p. è quella di tutelare le parti del processo contro l'introduzione di eventuali prove a sorpresa e di consentire loro la tempestiva predisposizione di proprie controdeduzioni, l'obbligo della indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame dei testimoni, imposto dal primo comma dell'art. 468 c.p.p., è necessario solo quando le circostanze si discostino dal capo di imputazione, ampliandone così la tematica che si intende proporre nell'istruttoria dibattimentale.

La Suprema Corte afferma pertanto che l'obbligo stesso è rispettato non solo quando le circostanze sono indicate nella lista testimoniale con richiamo diretto al capo di imputazione, ma anche quando (come deve ritenersi nel caso in esame) sia possibile dedurre per relationem (i verbali delle operazioni compiuti in sede di perizia) che la persona indicata era (come nel caso di specie) tra i protagonisti dei fatti articolati nel capo di imputazione e le circostanze sulle quali era chiamato a deporre erano ricompresse nello stesso o in altri atti che devono essere noti alle parti.
 
 
Dall’insegnamento della Suprema Corte emergono, quindi, due concetti fondamentali:
 
 
A. la circostanze su cui il teste deve riferire non debbono essere esplicate dal pubblico ministero quando il teste\consulente è uno dei protagonisti delle vicende narrate nel capo d’imputazione il quale ultimo funge da delimitatore delle circostanze su cui è possibile riferire;

B. la lista testi si integra, per relationem, con tutto il materiale sicuramente inserito nel fascicolo del dibattimento e, quindi, noto alle parti ex art.466 c.p.p. o, sempre secondo la ratio dell’insegnamento della Suprema Corte, nel fascicolo del PUBBLICO MINISTERO in virtù della discovery ex art.415 bis c.p.p.. La Cassazione patrocina (tutte le massime sono in questo senso) il concetto di integrazione della lista di parte “per relationem” con tutti gli atti conosciuti e\o conoscibili per legge
 
 
Il Tribunale di Palmi, quindi, ha – con l’ordinanza in commento - statuito in modo non pienamente condivisibile nel momento in cui non ammetteva la deposizione di un teste, consulente del pubblico ministero per le specifiche motivazioni cui sopra, sulla scorta della semplice omessa indicazione delle circostanze su cui doveva vertere l’esame testimoniale, circostanze già abbondantemente conosciute alla difesa.

Il dott.XXXYYY aveva infatti partecipato all’effettuazione della perizia, appunto in quella veste di consulente di parte e tale circostanza era a tutte le parti nota poiché agli atti del fascicolo del dibattimento vi erano i verbali delle operazioni cronologicamente compiute da parte del perito e di tutti i consulenti i quali, tutti, avevano interloquito tra loro e, quindi, si presentavano nel dibattimento nella loro veste ufficiale già rivestita nel particolare rito ex art.392 c.p.p..

Non vi era, quindi, alcuna violazione del diritto di difesa.
 
 
 

dott. Alberto Cianfarini - magistrato in Palmi - ottobre 2006

(riproduzione riservata)
 
 
 
[1] Ordinanza del 21 maggio 1996
 

[2] Alfredo Galasso citato alla nota 3

[3] Alfredo Galasso,nel commentare l’ordinanza di cui al punto 1 (Palermo 20-01-1997) scrive inoltre che il codice di procedura penale è strutturato in modo da favorire la più ampia ammissione possibile del materiale probatorio nel dibattimento, dovendo il giudice escludere soltanto le prove vietate dalla legge, quelle manifestamente superflue e quelle irrilevanti (art. 190 c.p.p.). Il concetto di rilevanza della prova è poi strettamente connesso con l'art. 187 c.p.p. che indica quale deve essere l'oggetto della prova. Sulla base di tale premessa è da considerarsi irrilevante la prova che non verte sugli elementi indicati nell'art.187 c.p.p. (imputazione, punibilità,determinazione della pena o della misura di sicurezza). Sul punto vedi www.pa.itd.cnr.it/web/progetti/Andreotti/Didattica/Pubblici/AOr3.html

[4] tra le molte, Sez. 3, Sentenza n. 41691 del 2005 . anche in particolare, Sez. 3^, 03/09/1999 n. 10504, Cola, rv. 214444.

[5] secondo il ricorrente vi era almeno la necessità del generico richiamo alle contestazioni di cui ai capi di imputazione.

[6] sempre la Sez. 3, Sentenza n. 41691 del 2005
 
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