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Penale.it - Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 20 settembre 2006 (dep. 25 ottobre 2006), n. 35763/2006 (1504/2006)

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Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 20 settembre 2006 (dep. 25 ottobre 2006), n. 35763/2006 (1504/2006)
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Augurare sventura non e' minaccia

                        REPUBBLICA ITALIANA
                     IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
                       SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FOSCARINI Bruno - Presidente
Dott. MARINI Pierfrancesco - Consigliere
Dott. AMATO Alfonso - Consigliere
Dott. FUMO Maurozio - Consigliere
Dott. DUBOLINO Pietro - Consigliere
ha pronunciato la seguente
                              SENTENZA
sul ricorso proposto da R.A. avverso la sentenza del Giudice di Pace di Genzano del 10 marzo 2005;
Visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
Udita, in udienza pubblica,  la relazione fatta dal Consigliere, Dott. Pierfrancesco Marini;
Udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
                 
La Corte osserva:
Il Giudice di Pace di Genzano, con sentenza 24.03.2005, ha condannato R.A. alla pena di Euro 350,00 di multa quale responsabile di ingiurie e minacce (reati ritenuti in continuazione) rivolte a C.L. attraverso messaggi sms a mezzo di telefono cellulare; fatti accertati fra il luglio e l'agosto 2003.
L'imputato ricorre per cassazione deducendo:
1) Mancanza o manifesta illogicità della motivazione; non solo non risulterebbe accertato il testo dei messaggi sms asseritamente offensivi, ma la stessa riconducibilità della scheda telefonica all'imputato trarrebbe da una dichiarazione interessata della effettiva intestataria B.K. e da dichiarazioni testimoniali non convincenti (M.llo F. in punto di riconoscimento della voce dell'imputato chiamato al telefono cellulare indicato dalla persona offesa);
2) Inosservanza o erronea applicazione della legge penale quanto al ritenuto reato di minaccia.
Il primo motivo di gravame è manifestatamente destituito di ogni fondatezza.
L'impugnata sentenza, invero, ha con tutta evidenza esaustivamente esposto gli elementi di prova a carico dell'imputato, coniugando coerentemente in senso univocamente accusatorio:
a) l'interruzione, nel luglio 2003, del rapporto sentimentale tra persona offesa e imputato;
b) le dichiarazioni accusatorie della persona offesa con riferimento ai messaggi sms ingiuriosi e intimidatori;
c) la disponibilità in capo all'imputato della scheda telefonica utilizzata nell'occorso, così come dichiarato dalla B.
Ha poi del tutto logicamente ritenuto attendibile la B. laddove costei ha riferito che fu l'imputato, con il quale ella aveva intrattenuto in precedenza una relazione sentimentale, a chiederle di intestarsi la scheda ..., trovando tale dichiarazione puntuale conferma nella circostanza che fu proprio l'imputato a rispondere al corrispondente numero telefonico digitato dal M.llo F. in sede di prime indagini; e, d'altra parte, poichè lo stesso M.llo F. aveva chiesto al R. di recarsi in caserma per ritirare gli effetti personali e l'interlocutore non si qualificò per persona diversa e non interessata, è incensurabile che il giudice di merito abbia ulteriormente valorizzato il deposto del pubblico uffuciale anche laddove il teste ha dichiarato "sembrargli" all'apparecchio la voce dell'imputato.
A fronte di tale motivazione, il ricorso si risolve, quanto al primo motivo, nella pretesa di diverso e più favorevole apprezzamento degli elementi di prova veicolandone una lettura riduttiva e domestica della intera vicenda.
Fondato, viceversa, è il secondo motivo di gravame.
La sentenza impugnata, invero, non spende alcuna parola in punto alla valenza intimidatoria delle frasi contestate nel relativo capo imputazione (capo B) e deve dirsi, in effetti, che le stesse, consistendo nelle frasi "ignorante, farai la fine di tuo padre ..., tanto non vai avanti al tuo baretto ..., perderai tutto, illusa", non integrano il reato di minaccia; non può parlarsi di minaccia, infatti, quando il male non sia prospettato come dipendente dalla volontà dell'agente, come è  nella fattispecie, rappresentando le frasi niente più che un "auspicio" o una "previsione" dell'imputato che l'attività della persona offesa (la gestione di un "baretto") non sarebbe andata a buon fine ("perderai tutto, illusa"), così come avvenuto in altra occasione per il di lei genitore ("farai la fine di tuo padre").
Consegue che la sentenza deve essere annullata senza rinvio limitatamente al reato di minaccia contestato al capo B) perchè il fatto non sussiste; il relativo aumento di pena per continuazione, pari a Euro 13,00 di multa, deve essere eliminato (sicchè la pena resta determinata in Euro 337,00 di multa); dichiara inamissibile il ricorso nel resto.
  P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato al capo B) (art.612 c.p.) perchè il fatto non sussiste ed elimina il relativo aumento di pena per continuazione di Euro 13,00 di multa; dichiara inamissibile nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2006.
 
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