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Penale.it - Franco Stefanelli, Riconoscimento della continuazione in fase esecutiva e condanne riportate all’estero (Nota a Corte di cassazione, Sez. I, Sentenza 11 maggio 2006 (dep. 21 settembre 2006), n. 31422)

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Franco Stefanelli, Riconoscimento della continuazione in fase esecutiva e condanne riportate all’estero (Nota a Corte di cassazione, Sez. I, Sentenza 11 maggio 2006 (dep. 21 settembre 2006), n. 31422)
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La sentenza in commento ribadisce l'inapplicabilità in fase esecutiva dell'istituto della continuazione tra una condanna inflitta da un giudice italiano ed una inflitta da un giudice straniero, previo riconoscimento, nonché l'esclusione della fungibilità della carcerazione subita all'estero.

Riconoscimento della continuazione in fase esecutiva e condanne riportate all’estero
dott. Franco Stefanelli
La sentenza, di cui si offre un brevissimo commento, si inserisce nel filone giurisprudenziale — il quale si può oramai considerare granitico — che non ritiene possibile in executivis l'applicazione, ex art. 671 c.p.p., dell'istituto della continuazione tra una condanna inflitta da un giudice italiano ed un'altra inflitta da un giudice straniero, previo il riconoscimento di quest'ultima. La ratio, che sottende la nutrita serie di pronunce che si illustra infra, appare invero di facile intuizione: l'art. 12 c.p., infatti, disciplinando i casi in cui può essere dato riconoscimento alla sentenza penale straniera, non fa menzione alcuna della disciplina della continuazione, la quale non può nemmeno essere farsi rientrare nel novero degli effetti penali di cui al n. 1 del citato articolo.
La Suprema Corte è intervenuta, come detto, già numerose volte in argomento, riscontrando le censure avanzate sempre nel senso della sentenza commentata: Cass. sez. V, 21 gennaio 2004 (dep. 23 aprile 2004), n. 19106, in Cass. pen., 2004, 3564 con nota di Pierini, Lo scomputo della pena sofferta all'estero nel caso di bis in idem internazionale e la «continuazione internazionale»; Cass. sez. I, 4 novembre 2003 (dep. 3 dicembre 2003), n. 46323, in C.E.D. Cass., 226623; Cass. sez. V, 11 febbraio 2003 (dep. 28 marzo 2003), n. 14743, in C.E.D. Cass., 224193; Cass. sez. I, 26 settembre 2000 (dep. 29 novembre 2000), in Cass. pen., 2001, 2730; Cass. sez. I, 14 giugno 1996 (dep. 9 agosto 1996), in Cass. pen., 1997, 1415. L'impostazione illustrata è stata confermata anche da una pronuncia della Consulta, con cui si è ritenuta manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 c.p., sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, Cost., nella parte in cui impedisce il riconoscimento della sentenza straniera ai fini della individuazione del vincolo della continuazione ai sensi dell’art. 671 c.p.p. (Corte cost., ord. 28 marzo 1997, 72, in Cass. pen., 1997, 2377). Le ragioni che hanno portato alla declaratoria di manifesta inammissibilità si possono riassumere a due: da un lato, il riconoscimento della sentenza straniera agli effetti della continuazione comporterebbe l’individuazione di un meccanismo tale da rendere omologabili tra loro il reato giudicato all’estero e quello giudicato in Italia nonché le pene irrogate nei due giudizi; dall'altro, l’applicazione della continuazione tra la condanna subita in Italia e le condanne all’estero determinerebbe una automatica invasione del giudicato estero al di fuori di qualsiasi meccanismo convenzionale, in contrasto con quanto previsto dall’art. 696 c.p.p.

La posizione di chiusura della giurisprudenza di legittimità risulta contrastata da un'isolata pronuncia di merito (Corte app. Perugia, 3 maggio 1995, Ajello, in Rass. giur. umbra, 1996, 735), che, argomentando ex art. 738 c.p.p., ha ritenuto applicabile anche alle sentenze penali straniere riconosciute ed eseguite in Italia la disciplina di cui all’art. 671 c.p.p. Tale ultima impostazione è condivisa da una parte della dottrina, che ne ha sottolineato soprattutto la congruità ad un criterio di perequazione: in questo senso, si segnalano i contributi di Dean, Applicabile nella fase esecutiva la disciplina della continuazione a condanne riportate all'estero?, in Dir. pen. proc., 1997, 1388 e di Ranaldi, Sub art. 671, in Codice di procedura penale ipertestuale, a cura di Gaito, I, Torino, 2006, 2887, il quale richiama il precedente Autore; contra si segnala, invece, la posizione di Pierini, Lo scomputo della pena sofferta all'estero nel caso di bis in idem internazionale e la «continuazione internazionale», cit., 3569.

Da ultimo, anche se non in tema con l'oggetto della nota, si rileva che la sentenza in commento esclude la fungibilità della carcerazione patita all'estero, in linea con l'orientamento (esplicitamente richiamato nella motivazione) che ritiene rilevante, a tali fini, «la carcerazione patita in uno Stato straniero per un fatto-reato che sia espressione di un medesimo disegno criminoso la cui esecuzione, iniziata all’estero, sia stata portata a compimento in Italia» (Cass. sez. V, 27 novembre 2002 (dep. 6 febbraio 2003), n. 5512, in Cass. pen., 2004, 3656).

 
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GEMELLI Torquato - Presidente
Dott. BARDOVAGNI Paolo - Consigliere
Dott. GIORDANO Umberto - Consigliere
Dott. PEPINO Livio - Consigliere
Dott. CORRADINI Grazia - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da M.E., nato il ..., avverso l' ordinanza del 09/05/2005 del Tribunale di Roma;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dr. Bardovagni Paolo;
lette le conclusioni del P.G. Dr. Ciampoli Luigi (conformi).
OSSERVA
Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale monocratico di Roma, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha respinto istanze avanzate nell'interesse di M.E., concernenti:
1) l'applicazione della disciplina del reato continuato ai fatti separatamente giudicati con sentenze del Tribunale di Milano in data 25.5.2001, del Pretore di Roma in data 30.9.2003 e - all'estero - del Tribunale del Principato di Monaco il 23.5.1995, riconosciuta nello Stato;
2) la fungibilità della pena espiata all'estero per tale ultima condanna rispetto a quelle poste in esecuzione in Italia;
3) l'ineseguibilità della sentenza pronunciata dal Pretore di Roma per omessa o invalida notifica dell'estratto contumaciale.
Il difensore dell'interessato ha proposto ricorso per cassazione denunciando "violazione dell'art. 606 c.p.p., art. 81 c.p., per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nella specie dell'art. 81 c.p."; nella parte finale dell'atto di impugnazione  "fa inoltre rilevare che nessuna motivazione idonea vi è relativamente alla fungibilità della pena espiata nel Principato di Monaco con le pene applicate nelle sentenze di Roma e Milano".
Con una serie di istanze e memorie successivamente pervenute, interessato e difensore hanno sollevato numerose ulteriori doglianze sia in ordine all'esecutività della sentenza del 30.9.2003 (punto della
decisione non investito dal gravame), sia relativamente ad altre questioni non trattate dal provvedimento impugnato.
In proposito va osservato:
1) richiesta di trattazione del ricorso in udienza pubblica (memoria depositata l'11 febbraio 2006): essendo impugnato un provvedimento non emesso nel dibattimento, il gravame va trattato in camera di consiglio senza intervento dei difensori (art. 611 c.p.p.), indipendentemente dalla sezione cui è assegnato;
2) omessa notifica degli avvisi relativi al procedimento concluso con la sentenza del 30 settembre 2003: questione non esaminata dal giudice dell'esecuzione, estranea alle sue competenze - limitandosi le sue funzioni al controllo dell'esecutività del titolo, non della validità del procedimento di cognizione - e oltretutto non proposta con il ricorso;
3) non esecutività della detta sentenza: la doglianza è preclusa perchè non ha formato oggetto del ricorso (in ogni  caso, non è fornita alcuna puntuale replica alla motivazione del giudice a quo, che ha rilevato la rituale notifica dell'estratto contumaciale a mani del difensore ai sensi dell'art. 161 c.p.p.; nè rileva l'asserita rinuncia di questi al mandato, che non ha effetto finchè non venga sostituito: art. 107 c.p.p., comma 3;
4) richiesta di restituzione nel termine per impugnare la sentenza del 30.9.2003: questione tardivamente prospettata, che non risulta sottoposta al giudice dell'esecuzione né è stata da questi esaminata; se del caso, va autonomamente sollevata davanti al giudice che sarebbe competente sull'impugnazione (art. 175 c.p.p., comma 4);
5) "bis in idem", in quanto la detta sentenza avrebbe ad oggetto fatti già precedentemente giudicati: la questione non è stata sottoposta al giudice dell'esecuzione ed è logicamente incompatibile con la richiesta di applicazione della disciplina del reato continuato, che presuppone illeciti diversi, pur se legati da un unico programma delittuoso.
Tanto premesso, manifestamente infondate si rivelano le doglianze avanzate con il ricorso. 
Quanto alla continuazione, l'ordinanza impugnata ha preliminarmente escluso l'applicabilità dell'istituto alla condanna riportata nel Principato di Monaco, sulla  scorta del pacifico principio giurisprudenziale secondo cui non è applicabile "in executivis" la continuazione tra reato giudicato in Italia e reato giudicato all'estero, previo riconoscimento della relativa sentenza penale straniera, producendo quest'ultimo nell'ordinamento nazionale i soli effetti indicati nell'art. 12 c.p., tra i quali non è compreso, neanche "sub specie" di effetto penale della condanna ai sensi del  comma 1, n. 1 del citato articolo, il regime del reato
continuato, che presuppone un giudizio di merito e, quindi, il riferimento a categorie di diritto sostanziale (reati e pene) che si qualificano soltanto in ragione del diritto interno (Corte Cost. 24/28.3.1997  n. 72; Cass., Sez. 1^, 4.11/3.12.2003, Colombani, e precedenti conformi).
Quanto ai fatti giudicati in Italia, il giudice a quo ha ritenuto non ravvisabile il vincolo della continuazione - che presuppone l'anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già insieme presenti alla mente del  reo nella loro specificità, almeno a grandi linee (situazione ben diversa da una mera inclinazione a reiterare nel tempo  violazioni della stessa specie, anche se dovuta a una determinata scelta di vita o ad un programma generico di attività delittuosa da sviluppare nel tempo secondo contingenti opportunità) - attesa la distanza temporale tra i fatti e il diverso oggetto dei reati di ricettazione, l'uno risalente al 1994 e relativo a certificati di deposito della Banca di Roma,  l'altro commesso nel 1996-1997 e concernente analoghi certificati dell'Istituto Bancario San Paolo di Torino. 
Con il gravame vengono prospettate censure di mero fatto, che evidenziano le analogie delle modalità esecutive e il fine di profitto, elementi di ambiguo e non probante significato, essendo indicativi di professionalità nell'illecito, e non di una specifica e congiunta ideazione dei vari episodi.
Del pari manifestamente infondata è la doglianza relativa alla fungibilità della carcerazione subita all'estero.
La giurisprudenza ha infatti evidenziato che in tanto possibile computare la detenzione all'estero, in quanto essa sia relativa ad un fatto per cui si è proceduto in Italia (Cass., Sez. 4^, 12/28.8.1989, Biagiotti).
Nel caso in cui abbiano proceduto sia l'autorità giudiziaria  nazionale, sia quella straniera, deve trattarsi di condotta  naturalisticamente unica, parte di un "iter criminis" iniziato in uno Stato e proseguito nell'altro (ad es., acquisto di droga all'estero e sua importazione in Italia: cfr. Cass., Sez.  5^, 27.11.2002/6.2.2003, Kotan, in motivazione), situazione non ravvisabile nel caso di specie fra la tentata truffa per cui ha proceduto l'autorità monegasca e le ricettazioni commesse nel territorio nazionale.
Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile.
Consegue la condanna al pagamento delle spese della procedura e - non emergendo ragioni di esonero - di una somma  alla Cassa delle ammende, congruamente determinabile in Euro 500,00.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Prima Penale, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 11 maggio 2006.
Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2006
 
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