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Atti sessuali con minore: la spigliatezza della vittima non implica la lieve entità del fatto
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE MAIO Guido - Presidente Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere Dott. GENTILE Mario - Consigliere Dott. FRANCO Amedeo -Consigliere Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da D.G.P., nato a ..., avverso la sentenza emessa il 29 gennaio 2004 dalla Corte d'Appello di Cagliari, Sezione Distaccata di Sassari; Udita nella pubblica udienza del 28 aprile 2006 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Amedeo Franco; Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRATICELLI Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito il difensore Avv. S.F.L..
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 14 maggio 2002 il Tribunale di Nuoro dichiarò D.G.P. colpevole del reato di cui all'art. 609 quater n.1 cod. pen., per avere compiuto reiteratamente atti sessuali, consistiti anche in congiunzioni carnali, con ..., consenziente ma minore degli anni 14, avendo all'epoca 13 anni e 10 mesi, e lo condannò alla pena di anni 6 di reclusione, oltre pene accessorie e risarcimento del danno in favore della parte civile.
La Corte d'Appello di Cagliari, Sezione Distaccata di Sassari, con la sentenza in epigrafe concesse le attenuanti generiche e quindi ridusse la pena a anni 5 di reclusione, confermando nel resto la sentenza di primo grado.
L'imputato propone ricorso per cassazione deducendo: a) Violazione e falsa applicazione dell'art. 609 quater cod. pen. per mancata applicazione del terzo comma del medesimo articolo; contradditorietà e manifesta illogicità della motivazione. Lamenta, in sostanza, che erroneamente e con motivazione manifestatamente illogica la Corte d'Appello non ha ravvisato l'ipotesi del fatto di minore gravità, pur avendo riconosciuto che nella specie non vi era stata nessuna violenza; che non vi era stata nessuna compressione della libertà della vittima; che la ragazza aveva mostrato particolare intraprendenza, tanto che era stata lei a procurare il luogo adatto per gli incontri sessuali e non aveva disdegnato di allontanarsi dalla propria città per recarsi nell'abitazione dell'uomo a Sassari; che la ragazza aveva tenuto un comportamento che sembrava "eufemistico definire disinibito e disinvolto" nonchè una "apparente maturità psico-fisica" ed una "particolare disponibilità e spigliatezza". Osserva che non doveva venire in rilievo la completezza dell'atto sessuale ma il grado di compressione della libertà sessuale della vittima, oltre che le circostanze oggettive e soggettive del fatto.
b) Mancanza e contradditorietà della motivazione in ordine alla determinazione della pena ed in particolare perchè immotivatamente la Corte d'Appello ha mantenuto la stessa pena base già determinata dal giudice di primo grado e non ha effettuato la riduzione massima per le attenuanti generiche.
c) Ribadisce la sollevata eccezione di illegittimità costituzionale che non è seriamente contrastata dalle osservazioni della Corte d'Appello. Sostiene che vi è disparità di trattamento rispetto alla legge sulla interruzione della gravidanza, specie con riferimento alla mancata distinzione legislativa tra ignoranza della età della vittima ed errore in relazione alla medesima nonchè alla non punibilità nel caso in cui i rapporti sessuali con una minore di anni 14 e maggiore degli anni 13 siano intercorsi con un soggetto anch'esso minore di età.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente esaminata la eccezione di illegittimità costituzionale che deve essere dichiarata inammissibile.
Innanzitutto deve osservarsi che, secondo la costante e comune interpretazione giurisprudenziale e dottrinale, contro la statuizione del giudice di merito che abbia dichiarato manifestatamente infondata una eccezione di illegittimità costituzionale non è consentito proporre impugnazione. E ciò per il motivo che, ai sensi dell'art. 24, secondo commma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'eccezione di illegittimità costituzionale che sia stata dichiarata manifestatamente infondata o irrilevante "può essere riproposta all'inizio di ogni grado ulteriore del processo".
Va quindi esaminata l'eccezione riproposta con il ricorso per cassazione, la quale va appunto dichiarata inammissibile per mancanza dei requisiti richiesti dall'art. 23 della legge n.87 del 1953, il quale prescrive che chi intende sollevare una questione di legittimità costituzionale deve indicare le disposizioni di legge o dell'atto avente forza di legge che ritiene viziate da illegittimità costituzionale, le disposizioni della Costituzione o delle leggi costituzionali, che si assumono violate, nonchè i termini ed i profili della questione proposta.
Il ricorrente si è invece limitato a "ribadire" l'eccezione sollevata ed a prospettare genericamente una disparità di trattamento "rispetto alla legge sulla interruzione della gravidanza" nonchè una distinzione tra ignoranza ed errore della età della vittima ed a fare riferimento alla ipotesi in cui il soggetto attivo sia anch'esso minorenne, ma ha completamente omesso di indicare sia le disposizioni legislative che ritiene viziate da illegittimità costituzionale, sia le norme o i principi della Costituzione che assume essere stati violati, sia soprattutto i termini ed i profili della eccezione sollevata.
Per completezza può anche osservarsi che, qualora dovesse poi ritenersi che il ricorrente abbia fatto rinvio per relationem alla eccezione sollevata in sede di appello e che tale rinvio fosse ammissibile, l'eccezione sarebbe manifestatamente infondata per i motivi tutti perspicuamente ed esaustivamente indicati dalla Corte d'Appello e che qui dovrebbero intendersi richiamati.
Ritiene il Collegio che il primo motivo sia infondato, in quanto la motivazione con la quale la Corte d'Appello ha ritenuto che non potesse ravvisarsi la ipotesi di minore gravità è priva di errori di diritto e di vizi logici.
La giurisprudenza di questa Suprema Corte, invero, ha ripetutamente affermato che l'attenuante del fatto di minore gravità è applicabile quando, avuto riguardo ai mezzi, alle modalità esecutive ed alle circostanze dell'azione, sia possibile ritenere che la libertà sessuale personale della vittima sia stata compromessa in maniera non grave, ed implica la necessità di una valutazione globale del fatto, non limitata alle sole componenti oggettive del reato, bensì estesa anche a quelle soggettive ed a tutti gli elementi menzionati nell'art. 133 cod. pen. (cfr Sez. III, 8 giugno 2000, Nitti, m. 217.708; Sez. III, 24 marzo 2000, Improta, m.216.568; Sez. III, 1 luglio 1999, Scacchi, m.215.077); che l'attenuante di cui all'art. 609, comma 3, cod. pen. non risponde ad esigenze di adeguamento del fatto alla colpevolezza del reo, ma concerne la minore lesività del fatto in concreto rapportata al bene giuridico tutelato e, quindi, assumono rilievo il grado di coartazione esercitato sulla vittima e le condizioni, fisiche e mentali, di quest'ultima, le caratteristiche psicologica, valutate in relazione all'età, l'entità della compressione della libertà sessuale ed il danno arrecato alla vittima anche in termini psichici (cfr Sez. III, 24 marzo 2000, Improta, m.216.568; Sez. III, 29 febbario 2000, Pziello Della Rotonda, m. 215.954; Sez. III, 28 ottobre 2003, El Kabouri, m.226.865).
Ciò posto, non si rinviene nessuna contradditorietà nella motivazione della Corte d'Appello, la quale ha sì posto in evidenza la particolare intraprendenza della ragazza (la quale si procurava addirittura il luogo più adatto per gli incontri amorosi e si allontanava dalla propria città anche per andare a casa dell'imputato), che questa aveva tenuto un un comportamento che era "eufemistico definire disinibito e disinvolto", che aveva una "apparente maturità psico-fisica" ed una "particolare disponibilità e spigliatezza", ma ha ritenuto queste circostanze rilevanti ai fini del riconoscimneto delle attenuanti generiche e della valutazione del dolo dell'imputato, mentre le ha ritenute irrilevanti, o quanto meno non decisive, ai fini del riconoscimento della ipotesi di minore gravità.
A questo fine, invero, la Corte d'Appello, conformemente del resto al costante orientamento giurisprudenziale dianzi ricordato, ha esattamente tenuto conto soprattutto dell'entità della compressione della libertà sessuale e del danno arrecato alla vittima anche in termini psichici, e ha osservato, da un lato, che era irrilevante la circostanza che non vi era stata violenza o minaccia o abuso di autorità o abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della ragazza dal momento che proprio l'assenza di tali elementi rendeva applicabile la disposizione in esame (e non l'ipotesi aggravata di cui all'art. 609ter) e, dall'altro, che si era trattato di penetrazione vaginale reiterata, la quale, nonostante la ragazza fosse consenziente, aveva costituito per la stessa un esperienza pur sempre traumatica in considerazione del fatto che si era trovata ad avere il primo rapporto sessuale completo quando aveva soltanto 13 anni e 10 mesi (con un coinvolgimento anche affettivo e con una delicata estrinsecazione della personalità) e soprattutto del fatto che ciò era avvenuto da parte di un adulto che invece avrebbe dovuto avere una sorta di obbligo morale di protezione ed una particolare cautela nei confronti della minore, evitandole appunto che "vivesse l'esperienza sempre traumatica della deflorazione con un uomo maturo".
Ritiene il Collegio che si tratta di considerazioni che non possono ritenersi manifestamente illogiche e che quindi non sono sindacabili da questa Corte.
Il Collegio ritiene che la sentenza impugnata abbia fornito una congrua, specifica ed adeguata motivazione anche in ordine alla determinazione della pena, che è stata dal giudice del merito valutata conforme a giusitizia e proporzionata alla entità del fatto ed ai suoi risvolti particolari.
D'altra parte il giudice di primo grado aveva determinato la pena base non solo in considerazione delle modalità e della gravità dell'azione criminosa, ma soprattutto in considerazione dei numerosi e specifici precedenti penali dell'imputato.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile la sollevata eccezione di illegittimità costituzionale.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 28 aprile 2006
Depositato in data 12 ottobre 2006
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