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Intercettazioni: possono valere come prova anche se criptiche
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLE ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
Dott. LEONASI Raffaele - Presidente Dott. DE ROBERTO Giovanni - Consigliere Dott. DI VIRGINIO Adolfo - Consigliere Dott. ROTUNDO Vincenzo - Consigliere Dott. FIDELBO Giorgio - Consigliere
ha pronunciato la seguente SENTENZA
sui ricorsi proposti da R.E. e R.S. avverso la sentenza 11 maggio 2004 della Corte d'Appello di Napoli; Visti gli atti, la sentenza denunciata ed i ricorsi; Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere De Roberto; Udite le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dr. Antonio Mura, che ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi;
FATTO E DIRITTO
1. Con sentenza 11 maggio 2004 la Corte d'Appello di Napoli confermava la decisione 27 ottobre 2003 del Giudice dell'udienza preliminare dello stesso Tribunale che aveva condannato R.E. e R.S. alle pene ritenute di giustizia in ordine ai reati di cui agli artt. 416, 1° e 5° comma c.p. (perchè si associavano tra loro e con altre persone non identificate, nonchè con G.P., G.F., C.A., L.M., M.M., B.C. e C.G. costituendo una stabile struttura organizzativa con suddivisione di ruoli e utilizzando abitualmente come base operativa locali siti in Napoli e Torre Annunziata, allo scopo di commettere una pluralità indeterminata di delitti connessi, di illecita importazione dal Montenegro, di vendita, di messa in vendita, di cessione e ricezione a qualsiasi titolo, di distribuzione, di commercio, di acquisto, di trasporto, di consegna e di illecita detenzione di TLE) e 2 della legge 18 gennaio 1994, n.50, aggravato ai sensi dell'art.7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n.203, convertito dalla legge 12 luglio 1991, n.203 (perchè introducevano o detenevano nello Stato TLE di contrabbando in quantitià superiore a 15 kh, avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis c.p., ovvero al fine di agevolare l'attività dell'associazione mafiosa denominata clan G.).
Rilevava la Corte territoriale che doveva disattendersi quanto dedotto dal R.E. secondo cui vi sarebbe stato un accordo con G.P. del tutto episodico per chiudere un'operazione di contrabbando rimasta in sospeso. Infatti, dalle intercettazioni ambientali era risultato, non soltanto che i G. praticavano anche il contrabbando, ma fossero, al contempo, interessati ad affiliarsi ai gruppi specializzati più forti e che quindi l'imputato volle potenziare l'attività unendosi ad un'organizzazione potente e temuta.
Quanto a R.S., figlio di E., la Corte osservava che egli si era gettato con impeto nell'alleanza organizzando numerose importazioni di TLE dal Montenegro, sfruttando la forza di intimidazione del clan G.
2. Ricorrono per cassazione entrambi gli imputati ribadendo l'assoluta occasionalità degli accordi con il G.; contestano, inoltre, l'aggravante addebitata per il delitto di contrabbando.
Il ricorso è infondato.
3. La sentenza ha ampiamente motivato sia quanto al reato associativo, sia quanto al reato fine ed alla circostanza aggravante a questa applicata sulla base delle intercettazioni utilizzate in punto di responsabilità.
Va, in proposito, rammentato che, in tema di intercettazioni telefoniche o ambientali, la interpretazione del liguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, e si sottrae al sindacato di legittimità se tale valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (Sez. VI, 12 dicmebre 1995, Falsone; Sez. V, 03 dicembre 1997, Viscovo; Sez. VI, 16 giugno 2004, Kerri).
Il significato attribuito al linguaggio criptico utilizzato dagli interlocutori, e la stessa natura convenzionale di esso, costituiscono, infatti, valutazioni di merito insindacabili in cassazione; la censura di diritto può riguardare soltanto la logica della chiave interpretativa.
Se ricorrono di frequente termini che non trovano una spiegazione coerente con il tema del discorso e, invece, si spiegano nel contesto ipotizzato nella formulazione dell'accusa, come dimostrato dalla connessione con determinati fatti commessi da persone che usano gli stessi termini in contesti analoghi, se ne trae ragionevolmente un significato univoco e la conseguente affermazione di responsabilità è scevra di vizi (Sez. VI, 14\ luglio 1998, Ingorsso).
Tanto che le dichiarazioni di persone che conversino tra loro - se captate nel corso di attività di intercettazione regolarmente autorizzata ed a loro insaputa - sono liberamente valutate dal giudice secondo gli ordinari criteri di apprezzamento della prova, anche quando presentino valenza accusatoria nei confronti di terzi che avrebbero concorso in reati commessi dagli stessi dichiaranti, non trovando in questo caso applicazione la regola di cui al comma 3 dell'art. 192 c.p.p. (Sez. V, 07 febbraio 2003, Alvaro).
Con riferimento ai risultati delle intercettazioni di comunicazioni, dunque, il giudice di merito deve accertare che il significato delle conversazioni intercettate sia connotato dai caratteri di chiarezza, decifrabilità dei significati, assenza di ambiguità, di modo che la ricostruzione del contenuto delle conversazioni non lasci margini di dubbio sul significato complessivo dei colloqui intercettati, in questo caso, ben potendo il giudice di merito fondare la sua decisione sul contenuto di tali conversazioni.
Ha peraltro chiarito la Corte che se, invece, la conversazione captata non è connotata da queste caratteristiche - per l'incompletezza dei colloqui registrati, per la cattiva qualità dell'intercettazione, per la cripticità dle linguaggio usato dagli interlocutori, per la non sicura decifrabilità del suo contenuto o per altre ragioni - non per questo si ha un'automatica trasformazione da prova a indizio ma è il risultato della prova che diviene meno certo con la conseguente necessità di elementi di conferma che possano eliminare i ragionevoli dubbi esistenti (Sez. IV, 25 febbraio 2004, Spadaro).
Nel caso di specie la motivazione risulta esente da censure mentre i ricorsi appaiono, oltre tutto, contrassegnati da una parziale assenza di specificità.
4. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 03 maggio 2006.
Depositata in cancelleria il 21 agosto 2006.
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