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Applicazione cumulativa di misure cautelari
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE PENALI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GEMELLI Torquato - Presidente Dott. LATTANZI Giorgio - Consigliere Dott. FAZZIOLI Edoardo - Consigliere Dott. SILVESTRI Giovanni - Consigliere Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Consigliere Dott. MILO Nicola - Consigliere Dott. CANZIO Giovanni - Consigliere rel. Dott. FIANDANESE Franco - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da L.S.N., nato a ..., avverso l'ordinanza emessa il 13 luglio 2005 dal Tribunale di Milano. Udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Giovanni Canzio; Udito il P.G. in persona dell'Avvocato Generale, Dott. Vitaliano Esposito, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
N.L.S. ha proposto ricorso per cassazione contro l’ordinanza 13/7/2005 del Tribunale della Libertà di Milano, con la quale era stato confermato il provvedimento della Corte di Appello che, su conforme richiesta del P.G., in seguito all’istanza dell’imputato di essere autorizzato ad allontanarsi dal domicilio per accedere alla piscina comunale in orario domenicale per un’attività riabilitativa, aveva sostituito la misura degli arresti domiciliari, imponendogli gli obblighi congiunti di presentazione alla polizia giudiziaria e di dimora, con il divieto di allontanarsi dall’abitazione nelle ore notturne. Ha ritenuto, infatti, il Tribunale che la legge processuale non esclude l’applicazione cumulativa di due misure non custodiali, tra loro compatibili, laddove esse risultino - come nella specie - adeguate a salvaguardare le concrete esigenze cautelari, in sostituzione della più grave misura custodiale.
Con un primo motivo di ricorso il difensore dell’imputato deduce che la sostituzione della misura degli arresti domiciliari è stata disposta dalla Corte d’appello senza che egli l’abbia richiesta; con il secondo motivo censura l’ordinanza impugnata sotto entrambi i profili della violazione di legge, poiché l’applicazione congiunta di due misure è prevista solo nei casi regolati dagli artt. 276 e 307, comma 1-bis, c.p.p., e del difetto di motivazione, avendo l’ordinanza impugnata illogicamente ritenuto che il nuovo regime cautelare fosse meno afflittivo del precedente.
La sezione V della Corte, assegnataria del ricorso, rilevato che la censura articolata dal ricorrente, con riguardo al tema dell’applicazione congiunta di misure coercitive, postula l’esame di questioni sulle quali si registra un contrasto nella giurisprudenza di legittimità, ne ha rimesso con ordinanza dell’1/2/2006 la decisione alle Sezioni Unite, richiamando, da un lato, l’indirizzo interpretativo secondo il quale la possibilità del cumulo, essendo diretta ad evitare l’adozione di misure custodiali altrimenti indispensabili, sarebbe consentita in virtù del principio del favor libertatis, e dall’altro l’opposto orientamento che considera preclusa, in tutti i casi in cui non sia espressamente prevista da singole norme processuali, l’applicazione congiunta di misure coercitive che pure siano tra loro astrattamente compatibili.
Con successivo decreto il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali, fissando per la trattazione l’odierna udienza in camera di consiglio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.- Il primo motivo di ricorso, attinente alla mancanza di un’espressa richiesta dell’imputato di sostituzione della misura degli arresti domiciliari, si palesa privo di pregio perché la Corte d’appello di Milano, che procedeva al giudizio di appello nei confronti dello stesso per il reato di bancarotta, per un verso era tenuta a deliberare sull’autonoma richiesta di applicazione delle meno gravi, ma congiunte, misure dell’obbligo di presentazione e di dimora, formulata ex art. 299, comma 4-bis, dal Procuratore Generale, al quale era stata comunicata l’istanza dell’imputato di variazione delle modalità applicative dell’originaria misura coercitiva, e comunque era legittimata a provvedere “anche di ufficio”, ai sensi dell’art. 299 comma 3 c.p.p., alla revoca o alla sostituzione in melius della misura cautelare personale.
2.- Con riguardo alla violazione di legge denunziata con il secondo motivo di ricorso, le Sezioni Unite, registrandosi nella giurisprudenza di legittimità un perdurante e radicato contrasto interpretativo, sono chiamate a risolvere la questione “se l’applicazione cumulativa di misure coercitive sia sempre consentita, ovvero possa essere disposta soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge”.
Secondo un primo indirizzo (Cass., sez. V, 14 aprile 2000 n. 2361, Goglia, rv. 216543; sez. VI, 30 marzo 2004 n. 23826, Milloni, rv. 230000), l'applicazione congiunta di misure coercitive, che siano tra loro compatibili, deve ritenersi ammessa anche fuori dalle ipotesi disciplinate dagli art. 276 (provvedimenti in caso di trasgressione alle prescrizioni imposte) e 307 (provvedimenti in caso di scarcerazione per decorrenza dei termini), posto che la legge impone l’adozione del trattamento meno afflittivo, tra quelli idonei ad assicurare le esigenze cautelari del caso concreto, e la combinazione tra i vincoli derivanti da più misure, avendo effetto ampliativo delle possibilità offerte al giudice, consente di rinunciare ai più incisivi provvedimenti custodiali, altrimenti necessari, così rispondendo al più generale favor libertatis.
L’opposto e prevalente orientamento sostiene invece, in ossequio al principio di legalità e tassatività delle misure cautelari personali, che, al di fuori dei casi in cui sia espressamente prevista da singole norme processuali (artt. 276, comma 1, e 307, comma 1-bis, c.p.p.), non è ammessa l’applicazione simultanea, in un mixtum compositum, di due diverse misure cautelari tipiche, omogenee o eterogenee, che pure siano tra loro astrattamente compatibili, quali ad esempio il divieto di espatrio, l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e il divieto o l’obbligo di dimora ex artt. 281, 282 e 283 c.p.p. (Cass., sez. II, 29 novembre 2001 n. 641/02, Colella, rv. 221151; sez. IV, 15 maggio 2003 n. 34380, Zazzaro, rv. 226016; sez. III, 4 maggio 2004 n. 37987, Mosca, rv. 230025; sez. IV, 23 febbraio 2005 n. 32944, Pagliaro, rv. 231725).
Le Sezioni Unite ritengono di condividere la ratio decidendi delle sentenze risalenti a quest’ultimo, più rigoroso, orientamento giurisprudenziale per le seguenti considerazioni di ordine logico-sistematico.
3.- Il progetto di riforma del codice di procedura penale del 1978 stabiliva, con l’apposita disposizione dell’art. 265 (limite alla cumulabilità delle misure), che “salvi i casi previsti dalla legge, una stessa persona non può essere sottoposta contemporaneamente a più di una misura”. La rigidità di tale regola era peraltro attenuata, prevedendo singole norme l’applicazione congiunta, in via di eccezione, del divieto di espatrio con ogni altra misura coercitiva (art. 269 comma 4), nonché del divieto o obbligo di dimora con l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria (art. 271 comma 5) e con l’obbligo di rimanere in una determinata abitazione (art. 272 comma 2). Inoltre, in caso di violazione del divieto di espatrio, il giudice poteva disporre “una o più” tra le altre misure, mentre in caso di trasgressione alle prescrizioni imposte con quest’ultime poteva solo disporsi “una misura più grave”.
Nella medesima ottica del principio di adeguatezza delle misure cautelari personali, l’art. 282 del c.p.p. 1930, secondo l’ultima formulazione ad opera dell’art. 43 l. 5/8/1988 n. 330 e quindi pochi mesi prima dell’approvazione del nuovo codice di procedura penale, consentiva al giudice, “anziché emettere il mandato di cattura”, di disporre l’applicazione di “una o più” delle misure coercitive diverse dalla custodia cautelare, quali la prestazione di cauzione o malleveria, l’obbligo di presentazione periodica all’autorità di polizia giudiziaria e il divieto o l’obbligo di dimorare in un dato luogo, se le stesse apparivano sufficienti a tutelare nel caso concreto le esigenze cautelari indicate nell’art. 253.
Ben diversa si prospetta, invece, la regolamentazione del fenomeno nel nuovo codice di rito del 1988.
Non è confermata la regola preclusiva dell’art. 265 del progetto riformatore del 1978 (Relazione al Progetto preliminare, p. 73), ma neppure è dato rinvenire alcuna disposizione che, almeno nella fase genetica di applicazione delle misure cautelari personali, ne preveda espressamente la cumulabilità, configurandosi da parte del legislatore solo una specifica ipotesi di contaminazione dei tipi nella “più blanda” figura della misura domiciliare di cui all’art. 283 comma 4 c.p.p., quale prescrizione “minore e accessoria” all’obbligo di dimora (Relazione al Progetto preliminare, p. 74).
Nel sottolineare inoltre che l’art. 275 c.p.p., indicando i “criteri di scelta delle misure”, declina queste sempre al singolare - “ciascuna”, “ogni”, “ogni altra” -, sembrando evidenziare l’intento legislativo di fare riferimento ad una misura coercitiva per volta e non all’applicazione cumulativa delle stesse, non appare priva di significato la circostanza che l’applicazione della misura “aggiuntiva” del divieto di espatrio a una delle altre misure coercitive ex art. 281, comma 2-bis, che non era prevista dall’originaria disciplina codicistica, sia stata frutto della sopravvenuta interpolazione normativa ad opera dell’art. 9, comma 1, del d.l. n. 306 del 1992, conv. in l. n. 356 del 1992: disposizione, questa, dichiarata peraltro costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 109 del 1994, a causa dell’inammissibile automatismo della predeterminazione legislativa.
Quanto alla fase dinamica delle vicende modificative ed estintive delle misure cautelari personali, assumono indubbio rilievo, innanzi tutto, le disposizioni dell’art. 299, commi 2 e 4, le quali, in caso di attenuazione o di aggravamento delle esigenze cautelari, attribuiscono al giudice il potere-dovere di sostituire la misura applicata “con un’altra meno grave” ovvero, rispettivamente, “fermo quanto previsto dall’art. 276 … con un’altra più grave”, non consentendo affatto, neppure in queste ipotesi, la cumulabilità fra misure diverse.
Di talché, la possibilità di cumulo delle misure cautelari resta riservata all’unica fattispecie normativamente prevista dall’art. 276, comma 1, c.p.p., per la quale, solo in caso di trasgressione alle prescrizioni imposte con una misura cautelare, il giudice, alle condizioni previste e sempre che non vi sia un’intrinseca incompatibilità tra alcune misure, può disporre, oltre la sostituzione, “il cumulo con altra più grave”, anche di natura coercitiva se si tratta di violazione delle prescrizioni inerenti a una misura interdittiva.
Secondo un’interpretazione giurisprudenziale, sarebbe stata configurabile un’ulteriore ipotesi di cumulabilità delle misure con riferimento alla fattispecie applicativa delle “altre misure cautelari” nei confronti dell’imputato scarcerato per decorrenza dei termini ex art. 307, comma 1, c.p.p. (Cass., sez. VI, 19 marzo 1991 n. 1063, D’Ambrosio, rv. 187261; per un cenno sull’argomento, v. anche C. cost., sent. n. 109/94, cit.). Ma la relativa questione può considerarsi ormai superata a seguito dell’espressa statuizione normativa di cui al comma 1-bis del medesimo art. 307, inserito dall’art. 2, comma 6, del d.l. n. 341 del 2000, conv. in l. n. 4 del 2001, secondo cui, in caso di scarcerazione per decorrenza dei termini, solo qualora si proceda per taluno dei più gravi delitti annoverati nel catalogo dell’art. 407, comma 2 lett. a), il giudice dispone le misure coercitive non custodiali indicate dagli artt. 281, 282 e 283 “anche cumulativamente”.
4.- Così delimitato, alla stregua di una lettura di ordine storico-sistematico, il perimetro delle fattispecie, normativamente regolamentate, di applicazione congiunta di più misure cautelari personali (artt. 276, comma 1, e 307, comma 1-bis, c.p.p.), ritengono le Sezioni Unite, nel prestarvi adesione, che il più rigoroso approdo ermeneutico appare altresì coerente con la logica di fondo sottesa all’intera disciplina delle cautele incidenti sulla libertà personale.
Nell’ambito delle disposizioni generali (artt. 272-279) cui il nuovo codice di rito affida la funzione di pilastri fondamentali del sistema cautelare, la prima a venire in rilievo è infatti l’art. 272 che sancisce il principio di stretta legalità, stabilendo che “le libertà della persona possono essere limitate con misure cautelari soltanto a norma delle disposizioni del presente titolo”. Ma quella espressa dall’art. 272 non è la mera sottolineatura della necessità di previsione legale, che già scaturisce dalla doppia riserva, di legge e di giurisdizione, dettata dall’art. 13, comma 2, Cost. per ogni forma di compressione della libertà personale, riflettendosi in essa piuttosto il proposito di ridurre a un “numero chiuso” le figure di misure limitative della libertà utilizzabili in funzione cautelare nel corso del procedimento penale, sicché non possono essere applicate misure diverse da quelle espressamente considerate. E’ soprattutto grazie all’impiego dell’avverbio “soltanto” che il significato garantistico del principio di legalità si apprezza sotto il profilo della tassatività, in quanto diretto a vincolare rigorosamente alla previsione legislativa l’esercizio della discrezionalità del giudice in materia di limitazioni, di per sé eccezionali, della libertà della persona (Relazione al Progetto definitivo, p. 183).
In base all’art. 272 tipiche e nominate sono le figure delle misure cautelari personali, così come tipici e nominati sono i casi, le forme e i presupposti secondo i quali le stesse possono essere adottate. Di talché, in ossequio ai richiamati principi di stretta legalità, tassatività e tipicità (per i quali cfr. Cass., Sez. Un., 5 luglio 2000 n. 24, P.M. in proc. Monforte, in Cass. pen. 2001, 1158), deve concludersi che, al di fuori dei casi in cui non siano espressamente consentite da singole norme processuali, non sono ammissibili tanto l’imposizione “aggiuntiva” di ulteriori prescrizioni non previste dalle singole disposizioni regolanti le singole misure, quanto l’applicazione “congiunta” di due distinte misure, omogenee o eterogenee, che pure siano tra loro astrattamente compatibili (come, ad esempio, l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e il divieto o l’obbligo di dimora). Siffatta applicazione potrebbe infatti determinare la creazione, in un mixtum compositum, di una “nuova” misura non corrispondente al paradigma normativo tipico.
Si supera pertanto agevolmente l’obiezione di fondo, di carattere “sostanzialista”, mossa dall’opposto orientamento giurisprudenziale e fatta propria sia dall’ordinanza impugnata che dall’Avvocato Generale requirente, secondo cui l’applicazione congiunta di misure coercitive in funzione sostitutiva di provvedimenti custodiali, altrimenti necessari, sarebbe giustificata dai principi di adeguatezza e proporzionalità sanciti dall’art. 275 c.p.p.. Ed invero, con riferimento al fondamentale principio di tipicità e tassatività delle misure cautelari personali che, costituzionalmente presidiato, sottende al sistema disegnato dal legislatore, quale parametro degli spazi di discrezionalità del giudice cautelare, è inibito a quest’ultimo di creare ex novo, attraverso l’osmosi e il cumulo di più prescrizioni o misure, ulteriori “tipi”, estranei alla pur vasta gamma degli specifici modelli, coercitivi e interdittivi, normativamente predisposti.
Dalla suesposta soluzione interpretativa si trae dunque il principio di diritto secondo il quale “l’applicazione cumulativa di misure cautelari personali può essere disposta dal giudice soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge, di cui agli artt. 276, comma 1, e 307, comma 1-bis, c.p.p.”.
5.- L’ordinanza impugnata va pertanto annullata con rinvio al Tribunale di Milano per nuova deliberazione in merito alla scelta della misura coercitiva non custodiale che risulti, in via esclusiva, idonea, proporzionata e adeguata a fronteggiare le persistenti, pur ridotte, esigenze cautelari, essendo evidente che, giusta l’effetto limitatamente devolutivo dell’appello cautelare dell’imputato, una volta che siano state riconosciute dal giudice di merito l’attenuazione di quelle esigenze e la sopravvenuta inadeguatezza della più grave misura degli arresti domiciliari, non è più consentito al Tribunale della libertà di ripristinare l’originaria situazione cautelare.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione, a Sezioni Unite, annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Milano.
Così deciso in Roma il 30 maggio 2006 Depositato il 12 settembre 2006
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