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Riesame avverso provvedimenti di sequestro preventivo e conservativo: il difensore non ha diritto alla notifica dell'avviso di deposito e il suo termine per impugnare decorre sempre “dalla data di esecuzione del provvedimento che ha disposto il sequestro o dalla diversa data in cui l’interessato ha avuto conoscenza dell’avvenuto sequestro”
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE PENALI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MARVULLI Nicola - Presidente Dott. FOSCARINI Bruno - Consigliere Dott. LATTANZI Giorgio - Consigliere Dott. GRASSI Aldo - Consigliere Dott. SIRENA Pietro Antonio - Consigliere Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Consigliere Dott. AGRO' Antonio Stefano - Consigliere Dott. CANZIO Giovanni - Consigliere Dott. NAPPI Aniello - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da: 1) P.A., nato a ...; 2) M.G., nata a ...; avverso le ordinanze 7 giugno 2005 del Tribunale di Taranto, sezione per il riesame delle misure cautelari reali. Visti gli atti, le ordinanze denunziate e i ricorsi; Udita in Camera di Consiglio la relazione fatta dal Consigliere Dott. Brusco; Udito il Pubblico Ministero in persona dell'Avvocato Generale Dott. Esposito Vitaliano che ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi; Udito il difensore dei ricorrenti, Avv. M.M., che ha concluso per l'accoglimento dei ricorsi e l'annullamento con rinvio delle ordinanze impugnate. Ritenuto:
IN FATTO
I) P.A. e M.G. hanno proposto distinti ricorsi contro due ordinanze, in data 7 giugno 2005, del Tribunale di Taranto, sezione per il riesame, che hanno dichiarato inammissibili per tardività le richieste di riesame proposte avverso il decreto in data 6 aprile 2005 con il quale il Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Taranto aveva disposto il sequestro preventivo e conservativo di beni appartenenti ai predetti ricorrenti. Il Tribunale ha ritenuto l’inammissibilità dei ricorsi per inosservanza del termine stabilito dall’art. 324, comma primo, c.p.p., considerando quale dies a quo la data in cui gli interessati avevano avuto conoscenza dell’avvenuto sequestro.
In entrambe le ordinanze, di identico contenuto, il Tribunale di Taranto rileva che il decreto, eseguito lo stesso giorno 6 aprile 2005 presso la Banca Popolare di Puglia e Basilicata, era stato notificato l’11 aprile 2005 sia a P. che a M. e che le richieste di riesame erano state depositate il 28 maggio 2005 dall’Avv. M.M., difensore di fiducia di entrambi i ricorrenti, il quale aveva ricevuto la notifica dell’avviso di deposito del provvedimento in data 18 maggio 2005.
Il Tribunale riteneva non rilevante la circostanza che l’avviso di deposito del provvedimento di sequestro fosse stato notificato al difensore in quanto la notifica al medesimo non è normativamente contemplata in materia di sequestro preventivo e conservativo ai fini della proposizione del riesame per il quale l’art. 324 c.p.p. fissa il termine di dieci giorni decorrente dalla data di esecuzione del provvedimento che ha disposto il sequestro o dalla diversa data in cui l’interessato ha avuto conoscenza dell’avvenuto sequestro.
II) A fondamento dei ricorsi si deduce la violazione degli artt. 324, 128 e 571, comma 3°, c.p.p. in relazione all’art. 606 comma 1° lett. c del codice di rito, nonché il vizio di motivazione, sul punto della decorrenza del termine per la presentazione della richiesta di riesame. Si osserva, nei ricorsi, che, in base all’art. 128 c.p.p., di regola i provvedimenti del giudice sono depositati in cancelleria e che, quando si tratta di provvedimenti impugnabili, l’avviso di deposito è notificato a tutti coloro cui la legge attribuisce il diritto di impugnazione, tra i quali va ricompresso il difensore, titolare di un’autonoma facoltà di impugnazione ai sensi dell’art. 571, comma 3, c.p.p.
Nella specie, il dies a quo per proporre impugnazione decorreva, ex art. 585, comma 3, c.p.p., dall’ultima notifica e, cioè, dal 18 maggio 2005, giorno nel quale, appunto, l’avviso di deposito era stato notificato al difensore di fiducia di entrambi i ricorrenti.
L’art. 324, comma 1, c.p.p., secondo cui la richiesta di riesame va presentata entro dieci giorni dalla data di esecuzione del provvedimento o dalla diversa data in cui l’interessato ha avuto conoscenza dell’avvenuto sequestro, va dunque coordinato – secondo i ricorrenti - con le norme generali sopra richiamate, dovendosi intendere per “interessato” non l’interessato in senso sostanziale, ma il soggetto interessato all’impugnazione e, quindi, anche il difensore, proprio in quanto nel nostro ordinamento processuale sia all’imputato che al difensore è riconosciuto un autonomo diritto di impugnazione.
Con memoria e motivi nuovi in data 28 febbraio 2006 (depositati il 3 marzo 2006) il difensore, nel richiamare le deduzioni già svolte, osservava poi che l’ambito di applicazione dell’art. 318 c.p.p. in tema di sequestro conservativo è più ampio di quello concernente il sequestro preventivo, tant’è che la facoltà di formulare la richiesta di riesame contro quello conservativo spetta a “chiunque vi abbia interesse”.
Eccepiva, inoltre,: a) la decadenza della misura a norma dell’art. 324, comma 7, c.p.p. (che richiama i commi 9 e 10 dell’art. 309 c.p.p.) per omessa decisione nel rispetto dei termini di legge sul merito della richiesta di riesame, essendo stata la difesa ammessa a concludere solo sul punto relativo alla tempestività della richiesta stessa; b) l’omessa motivazione dell’ordinanza, adottata senza consentire l’esposizione dei motivi posti a fondamento dell’impugnazione, peraltro priva di alcuna specificazione in ordine ai beni sottoposti a sequestro e contenente il richiamo per relationem ad un precedente provvedimento datato 24 febbraio 2005 e ad una precedente richiesta formulata dal pubblico ministero il 27 gennaio 2005, atti di cui la difesa non aveva avuto contezza.
III) Entrambi i ricorsi venivano assegnati alla sesta sezione penale di questa Corte che fissava per la trattazione l’udienza camerale del 15 marzo 2006 nella quale il Procuratore generale concludeva chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi stessi.
All’udienza indicata i ricorsi venivano rimessi alle Sezioni Unite, sussistendo contrasto di giurisprudenza sulla seguente questione: “Se il termine per la presentazione della richiesta di riesame del sequestro preventio e di quello conservativo decorra, per il difensore, dalla data di notifica al difensore medesimo dell’avvenuto deposito del provvedimento cautelare, sul presupposto che, anche per i sequestri, si applichi l’art. 128 c.p.p., secondo cui, quando si tratta di provvedimenti impugnabili emessi dal giudice, deve essere dato avviso di deposito a tutti coloro cui la legge attribuisce il diritto di impugnazione”.
La trattazione veniva fissata davanti alle sezioni unite per l’odierna udienza in camera di consiglio nella quale, previa riunione dei ricorsi, il Procuratore generale e il difensore concludevano nel senso in epigrafe riportato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
IV) L’ordinanza di rimessione ha posto in rilievo che, secondo un primo indirizzo della giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. III, 15 luglio 2003, ric. Gatto, rv. 194681; Sez. II. 26 giugno 2003, ric. Urbini, rv. 226505; Sez. III, 2 luglio 2003, ric. Turchetti, rv. 226397; Sez. VI, 24 marzo 1995, ric. Rossi rv. 201199; Sez. VI, 19 settembre 1995, ric. Sacchetti, rv. 202731; Sez. V, 29 settembre 1999, ric. Sirico, rv. 215627), nessuna norma impone la notifica del provvedimento di sequestro al difensore dell’indagato-imputato. Quindi il termine per proporre richiesta di riesame avverso un provvedimento di sequestro decorre, anche per il difensore, dalla data di esecuzione del provvedimento o dalla diversa data di effettiva conoscenza dell’avvenuto sequestro da parte dell’interessato e non dalla data di notifica dell’avviso di deposito del provvedimento di sequestro.
Ad analoghe conclusioni parte della giurisprudenza è pervenuta con riferimento alla richiesta di riesame relativa ad un sequestro probatorio. Nelle sentenze espressione di questo orientamento si rileva che l’avviso di deposito al difensore, previsto dall’art. 366, comma 1°, c.p.p., non è strumentale all’impugnazione del decreto con il mezzo del riesame, ma all’esercizio del diritto di ottenere la restituzione dei beni in sequestro (v. Cass., sez. II, 12 giugno 2003, ric. Sterbini, rv. 226771; Sez. III, 27 aprile 1995, ric. Risotti (n.m.); Sez. III, 21 febbraio 2002, ric. Vanoni, rv. 221472).
Ulteriore argomento viene tratto dal silenzio che la pur analitica disciplina contenuta nell’art. 324 c.p.p. presenta circa un autonomo termine di decorrenza dell’impugnazione da parte del difensore a differenza di quanto previsto dalla parallela disposizione di cui all’art. 309, comma 3, c.p.p. in tema di richiesta di riesame proponibile dal difensore avverso le misure coercitive personali.
Un diverso orientamento afferma invece l’autonomia della decorrenza dei termini per il riesame rispettivamente da parte del difensore e dell’indagato o imputato (v. Cass., sez. III, 22 settembre 1995, ric. Palestra, rv. 202792 in tema di sequestro cautelare; sez. VI, 15 ottobre 1996, ric. Acampora, rv. 206695-206697, in tema di sequestro probatorio). Con la conseguenza di ritenere che il difensore abbia diritto alla notificazione dell’avviso di deposito o perché l’attribuzione di questo diritto è ritenuta implicita nel testo del primo comma dell’art. 324 c.p.p. o in applicazione dell’art. 128, comma 1°, secondo periodo, c.p.p. che, in tema di provvedimenti camerali, prevede che l’avviso di deposito contenente l’indicazione del dispositivo sia comunicato al pubblico ministero e notificato a tutti coloro cui la legge attribuisce il diritto di impugnazione.
La dottrina sembra aderire in linea di massima a quest’ultima tesi ritenendo che la regola prevista dall’art. 128 c.p.p. si riferisca a tutti i provvedimenti emessi in camera di consiglio, compresi i decreti di sequestro di cui trattasi, ed escludendo che questa norma si riferisca solo ai provvedimenti adottati all’esito del procedimento di cui all’art. 127 c.p.p. (questa ipotesi sarebbe confermata dalla disposizione di cui al settimo comma dell’art. 127 c.p.p., relativa alla notificazione del provvedimento ai soggetti che possono proporre ricorso per cassazione, che ha una portata applicativa dedicata ai soli provvedimenti emessi a seguito di procedura camerale partecipata, e che quindi implicitamente fa salva, per tutti gli altri casi, l’operatività dell’art. 128, comma 1, c.p.p.).
Il provvedimento in questione, secondo la prevalente dottrina, è, quindi, certamente impugnabile dal difensore dell’imputato o dell’indagato i cui beni siano stati sequestrati; sicché, stando proprio alla previsione di cui all’art. 128, comma 1 c.p.p., potrebbe ritenersi che il relativo avviso di deposito debba essere a tal fine notificato, tra gli altri, al difensore.
Seguendo questa opinione sarebbe dunque dalla data della notificazione al difensore dell’avviso di deposito del provvedimento (18 maggio 2005) che si sarebbe dovuta computare, nel caso specifico, la decorrenza del termine per proporre richiesta di riesame con la conseguenza che sarebbe stato rispettato il termine di dieci giorni di cui all’art. 324, comma 1°, c.p.p., in quanto la richiesta di riesame era stata depositata dal difensore di fiducia di P. e M. il 28 maggio 2005.
V) Queste Sezioni Unite non ritengono peraltro di aderire a questo orientamento e considerano invece corretta l’interpretazione data dai giudici di merito che si rifanno al diverso e prevalente orientamento di legittimità.
Al fine di risolvere il problema accennato occorre dare una risposta ai seguenti quesiti:
- se il difensore dell’indagato o dell’imputato sia legittimato ad impugnare l’ordinanza o il decreto motivato che dispongono, rispettivamente, il sequestro conservativo (art. 317 comma 1° c.p.p.) o il sequestro preventivo (art. 321 comma 1° c.p.p.);
- in caso di risposta positiva al quesito, se debba essere disposta nei confronti del difensore la comunicazione dell’avviso di deposito del provvedimento che dispone il sequestro;
- da quale momento decorra per il difensore il termine per presentare la richiesta di riesame della misura cautelare reale.
VI) La risposta al primo quesito può sembrare scontata ma non è così perché mentre nel caso di sequestro preventivo l’art. 322 c.p.p. prevede espressamente che il difensore possa impugnare il provvedimento che lo dispone, un’analoga previsione non esiste per il sequestro conservativo limitandosi, l’art. 318 comma 1° c.p.p., ad attribuire il potere di proporre richiesta di riesame a “chiunque vi abbia interesse”. E anche l’art. 257 c.p.p., in tema di riesame del decreto di sequestro probatorio, non indica il difensore tra coloro che sono legittimati a proporre questo tipo di impugnazione (mentre il difensore è espressamente menzionato dall’art. 355 comma 3° c.p.p. tra coloro che possono chiedere il riesame del decreto di convalida del sequestro).
Un’interpretazione diretta ad eliminare queste asimmetrie e costituzionalmente orientata (al fine di evitare ingiustificate disparità di trattamento e di garantire appieno il diritto di difesa anche tecnica) consente però di ritenere corretta la ricostruzione dell’assetto normativo sul tema compiuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza di legittimità: è vero che il difensore non è espressamente menzionato dalle due norme indicate in tema di sequestro conservativo e probatorio ma il potere di impugnazione deriva direttamente dalla generale previsione dell’art. 99 comma 1° del codice di rito e dall’applicazione di questo principio, espressamente prevista dal 3° comma dell’art. 571 c.p.p., al sistema delle impugnazioni.
Queste norme attribuiscono al difensore le facoltà e i diritti che la legge riconosce all’imputato (e all’indagato) - a meno che essi non siano riservati personalmente a quest’ultimo - ed in particolare il diritto all’impugnazione per il quale la legge non usa il termine “personalmente” come avviene per altri istituti processuali (per es. per la richiesta dei riti alternativi: v. artt. 438 comma 3° e 446 comma 3° c.p.p.).
Questa disciplina, di carattere generalissimo, vale a superare un’eventuale limitazione fondata sul principio di tassatività delle impugnazioni, sotto il profilo soggettivo, disciplinato dal 3° comma dell’art. 568 c.p.p.
VII) Essendo dunque indiscutibile che il difensore, in tutti i casi indicati (sequestro conservativo e preventivo ma anche sequestro probatorio) possa impugnare il provvedimento in questione con la richiesta di riesame va verificato se egli abbia diritto alla notificazione dell’avviso di deposito del provvedimento espressamente prevista, nel caso di misure cautelari personali, dall’art. 309 comma 3° c.p.p.
Ad avviso del collegio proprio la mancanza di una previsione espressa di tale avviso nel caso delle misure cautelari reali fa propendere per l’interpretazione seguita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità che ha ritenuto che la notificazione di tale avviso non sia dovuta (v. la recente e già citata Cass., sez. II, 26 giugno 2003 n. 30453, Urbini, in tema di sequestro probatorio); palese è infatti l’intendimento del legislatore di fare riferimento, al fine della decorrenza del termine, al dato di fatto dell’esecuzione o della conoscenza del provvedimento e non al dato formale della notificazione.
Alcuni dei precedenti orientati per la diversa tesi fondano il loro convincimento su una soluzione per così dire “interna” all’art. 324 attribuendo alla parola “interessato”, espressamente menzionata dalla norma, un significato esteso diretto a ricomprendere non solo i titolari dell’interesse sostanziale ma altresì tutti coloro che sono “interessati” all’impugnazione e quindi anche il difensore (in questo senso si veda la già citata sentenza Acampora). Con la conseguenza che il termine per il difensore che non sia stato presente all’esecuzione del sequestro decorre anche per lui dal momento in cui abbia avuto conoscenza di tale esecuzione e quindi, di norma, con la notificazione dell’avviso di deposito.
Può però obiettarsi a questa ricostruzione che in realtà il difensore non è titolare di alcun interesse proprio ma è legittimato da specifiche norme ad impugnare il provvedimento pregiudizievole per il suo assistito; legittimazione che, dunque, rientra nel potere di rappresentanza processuale del difensore. Pur prendendo in considerazione la possibilità di una formulazione atecnica della norma, si può affermare che l’interpretazione proposta sovrappone i temi della rappresentanza processuale con quelli relativi all’interesse all’impugnazione.
Parimenti non condivisibile è il diverso orientamento che, prendendo atto dell’impossibilità di rinvenire nell’art. 324 la necessità di notificazione al difensore dell’avviso di deposito, fa riferimento ad una disciplina di carattere generale da cui deriva comunque l’obbligo della notificazione dell’avviso di deposito del provvedimento al difensore.
Questa disciplina, lo si è già accennato, è stata individuata, dai sostenitori di questa diversa tesi, nell’art. 128 c.p.p. - del quale viene comunemente ritenuta l’applicabilità anche a provvedimenti diversi da quelli indicati nell’art. 127 c.p.p. – che prevede che i provvedimenti del giudice, diversi da quelli emessi nell’udienza preliminare o nel dibattimento, sono depositati in cancelleria e l’avviso del deposito è notificato a tutti coloro cui la legge attribuisce il diritto di impugnazione.
E’ peraltro opinione di questo Collegio che la norma indicata non sia applicabile nel caso che interessa.
Mentre per il problema in precedenza esaminato – se il difensore sia legittimato a proporre impugnazione – la disciplina normativa è in parte silente su questo tema (per il sequestro conservativo e per quello probatorio) e quindi è agevole fare ricorso alle già ricordate norme di carattere generale, che attribuiscono un illimitato potere di impugnazione al difensore, diversa è la situazione per quanto riguarda il tema della decorrenza del termine per la proposizione del ricorso.
Nel nostro caso infatti l’art. 324 comma 1° c.p.p. disciplina autonomamente e compiutamente la decorrenza del termine prevedendo che questo termine decorra “dalla data di esecuzione del provvedimento che ha disposto il sequestro o dalla diversa data in cui l’interessato ha avuto conoscenza dell’avvenuto sequestro”.
La norma dunque, sul punto della decorrenza, appare esaustiva e diretta a indicare un unico termine iniziale e non sembra lasciare ambiti di applicazione non disciplinati per cui non è consentito all’interprete fare ricorso alla disciplina di carattere generale ed in particolare a quella prevista dall’art. 128 c.p.p.; introdurre un diverso termine di decorrenza per uno dei soggetti legittimati avrebbe infatti un effetto additivo sulla norma con l’inserimento di un termine diverso malgrado sia palese l’intendimento del legislatore di prevedere un unico termine iniziale di decorrenza valido per tutti gli interessati.
Che la norma non abbia inteso prendere in considerazione il difensore – ma il solo titolare dell’interesse sostanziale – è confermato dalla diversa espressione usata nell’art. 128 c.p.p. invocato dai sostenitori della diversa tesi: in quest’ultima norma non viene fatto alcun riferimento all’interesse ma si parla di “tutti coloro cui la legge attribuisce il diritto di impugnazione”, terminologia che inequivocabilmente si riferisce anche al difensore cui la legge attribuisce appunto il diritto di impugnazione pur non essendo titolare di alcun diritto sostanziale.
Potrebbe apparire anomalo che un termine inizi a decorrere senza che il titolare del diritto di impugnazione ne abbia formale conoscenza; ma in realtà questa anomalia è solo apparente perché è peculiare al sistema delle misure cautelari reali la valorizzazione degli elementi sostanziali e anche fattuali rispetto a quelli formali (v. Cass., sez. III, 2 luglio 2003 n. 36178, Turchetti, rv. 226397): si pensi all’attribuzione del diritto al riesame del sequestro conservativo a chiunque vi abbia interesse (art. 318 c.p.p.), all’analogo diritto in tema di sequestro preventivo attribuito, oltre che all’imputato e al suo difensore, alla persona alla quale le cose sono state sequestrate e a quella che avrebbe diritto alla restituzione (art. 322 c.p.p.; espressione ripetuta nell’art. 257 c.p.p. per il sequestro probatorio).
Insomma in un sistema nel quale viene valorizzato il rapporto sostanziale o fattuale di un soggetto con la cosa, ai fini dell’attribuzione del diritto all’impugnazione, è coerente che questo diritto possa farsi valere, da tutti i soggetti cui è attribuito, con una decorrenza riferita all’apprensione materiale della cosa (o alla conoscenza di questa situazione fattuale) e non alla conoscenza formale.
Né può sostenersi che questa ricostruzione sia lesiva del principio di uguaglianza o dei diritti della difesa.
Sotto il primo profilo va osservato che la diversità di disciplina con quanto previsto, per le misure cautelari personali, dall’art. 309 comma 3° c.p.p., si giustifica, oltre che per la diversa rilevanza degli interessi in gioco, per le maggiori difficoltà che la persona raggiunta da misura cautelare personale, in particolare di natura detentiva, può incontrare per la scelta del difensore e per l’instaurazione del rapporto di patrocinio difensivo. Si aggiunga che l’avviso di deposito al difensore ha anche la finalità di consentirgli di esaminare la documentazione presentata dal p.m. al giudice con la richiesta di misura (art. 293 comma 3° c.p.p.) prima dell’eventuale richiesta di riesame mentre, nel caso delle misure cautelari reali, la possibilità di esame degli atti è posposta alla richiesta di riesame (art. 324 comma 6° c.p.p.).
Sotto il profilo della tutela delle garanzia difensive, ed in particolare della difesa tecnica, è noto che, in più occasioni, la Corte costituzionale ha sottolineato come l’esercizio del diritto di difesa possa essere variamente articolato e disciplinato purchè siano concretamente garantiti i fondamentali contenuti di tale diritto. Nel caso in esame questa osservanza è garantita essendosi soltanto fatto gravare sull’interessato un onere informativo del difensore.
Né può essere richiamato il precedente costituito dalla sentenza della Corte costituzionale 29 marzo 1984 n. 80 (che dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 263 bis comma 2° dell’abrogato c.p.p. nella parte in cui disponeva che il termine di cinque giorni per la richiesta di riesame da parte del difensore dell’imputato detenuto decorresse dall’esecuzione del provvedimento anziché dalla sua notifica al difensore o dalla diversa conoscenza) perché, in quel caso, non era assicurato al difensore l’esercizio del diritto “tutte le volte che egli non abbia cognizione del provvedimento prima della scadenza del termine per la richiesta o che lo abbia in immediata prossimità di essa.”
Situazione che non si verifica nel caso disciplinato dall’art. 324 del vigente c.p.p. sia perché non ci si trova in presenza di una limitazione della libertà personale sia perché il termine per la proposizione del riesame è più adeguato e consente all’interessato di attivarsi opportunamente per l’esercizio del diritto di impugnazione anche tramite il difensore.
Se dunque il termine iniziale di decorrenza è unico e il difensore non ha diritto all’avviso di deposito del provvedimento è priva di rilievo, ai fini della decorrenza del termine per proporre la richiesta di riesame, l’eventuale notificazione di tale avviso; con l’ulteriore conseguenza che non può porsi alcun problema di decorrenza diversificata per i fini di cui all’art. 585 comma 3° c.p.p.
VIII) Quanto ai motivi nuovi proposti dai ricorrenti in parte devono ritenersi assorbiti dalla decisione sui motivi principali (in particolare la richiesta di dichiarazione di inefficacia del sequestro per non essere la decisione intervenuta nei termini previsti) ed in parte devono essere dichiarati inammissibili sia perché si tratta di questioni completamente diverse da quelle proposte con i motivi principali sia perché comunque si tratta di motivi manifestamente infondati (la dichiarazione di tardività precludeva ovviamente ogni esame del merito del provvedimento impugnato).
Alle considerazioni in precedenza svolte consegue il rigetto dei ricorsi con la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
la Corte Suprema di Cassazione, sezioni unite penali, rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 11 luglio 2006.
Depositato in Cancelleria il 03 agosto 2006.
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