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Penale.it - Corte di Cassazione , Sezione VI Penale, 13 gennaio 1998, n. 2628

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Corte di Cassazione , Sezione VI Penale, 13 gennaio 1998, n. 2628
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L'indulto non opera automaticamente ma solo a seguito del provvedimento di applicazione da parte della competente autorità giudiziaria ex art. 672 c.p.p.; risponde pertanto di evasione il detenuto che si allontana dagli arresti domiciliari a seguito dell'entrata in vigore del d.P.R. 22 dicembre 1990 n. 394 di concessione di indulto, senza attendere il provvedimento di rimessione in libertà (salva la indagine sull'elemento soggettivo del reato).

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE VI PENALE
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE presso la Corte d'appello di FIRENZE;
avverso la  sentenza  in  data  8.4.1997  della  Corte  d'appello  diFIRENZE;
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso,
Udita in pubblica udienza la relazione fatta  dal  Consigliere  dott.Luciano DERIU,
Udito il Pubblico Ministero in persona del  Sost.  Proc.  Gen.  dott.Luigi CIAMPOLIche ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con sentenza in data 8.4.1997, la Corte d'appello di Firenze, in riforma della decisione 13.5.93 del Pretore di Pistoia, assolveva - con la formula "perché il fatto non costituisce reato" - dall'imputazione ascrittale (art. 385 CP, perché, sottoposta alla misura cautelare degli arresti domiciliari presso la di Pistoia per effetto del provvedimento 458-90 del 29.8.90 Tribunale Penale di Firenze, evadeva. In Pistoia il 5.2.91. Rec. recit. infr. ex art. 99 CP).
La - si sottolineava in motivazione - aveva lasciato la Comunità in data 5.2.91; il 19.2.91 le era stato notificato il provvedimento in data 7.2.91 del Procuratore della Repubblica di Firenze (ordine di scarcerazione provvisoria, ex art. 672 CPP, in attesa di applicazione dell'indulto di cui al DPR 394-90);
operando la causa estintiva della pena al momento del suo intervento (ex art. 183 c. 1 CP), la fruizione del beneficio dell'indulto doveva ritenersi avvenuta, nel caso di specie, all'entrata in vigore del DPR 394-90 (essendo solo dichiarata "dal giudice la successiva necessaria ricognizione giudiziale, secondo quanto affermato da Cass. I - 27-4-94 - ); la aveva diritto di essere scarcerata nel momento stesso di entrata in vigore del provvedimento di indulto, per cui la sua carcerazione protratta dopo il 24.12.90 era illegale.
Proponeva ricorso per Cassazione il , deducendo "erronea applicazione degli artt. 183 c. 1 e 385 CP, 672 c. 1 e 3 CPP": la detenzione della sarebbe stata formalmente ineccepibile, potendo, essa, riacquistare la libertà solo a seguito di uno specifico provvedimento dell'autorità competente, e non certo per "autodeterminazione"; sarebbe stato piuttosto necessario, nella fattispecie, approfondire l'esame dell'elemento soggettivo del reato di evasione.

Diritto

Il ricorso proposto dal è fondato e merita accoglimento.

Alla data dell'allontanamento della Comunità (5.2.91) la si trovava in stato di legittima detenzione in forza di rituale provvedimento della competente autorità giudiziaria.

Come esattamente sottolineato dal ricorrente, l'indulto, pur attribuendo al condannato il diritto al condono (totale o parziale) della pena inflittagli, non opera direttamente sulle norme processuali che regolano l'esecuzione delle sentenze di condanna, nè sospendendole, nè derogando ad esse, nè modificandoli temporaneamente; esso indulto e i suoi effetti sono, infatti, previsti e disciplinati dal codice di procedura penale all'art. 672 (a sua volta correlato agli artt. 174, 182 e ss., 210 CP), secondo il quale: a) per l'applicazione del beneficio il giudice dell'esecuzione provvede senza formalità (per evidenti esigenze di carattere pratico, avuto riguardo al rilevante numero di provvedimenti da adottare); b) all'evidente scopo di non sacrificare inutilmente la libertà degli aventi diritto al condono, il Pubblico Ministero ha il potere discrezionale di "disporre provvisoriamente la liberazione del condannato detenuto.. prima che essa sia definitivamente ordinata con il provvedimento che applica l'indulto".

Appare, dunque, evidente che il condannato detenuto può riacquistare la libertà solo attraverso una delle vie testè ricordate: 1) definitivamente, con l'ordinanza del giudice che accerta la sussistenza delle condizioni di applicabilità dell'indulto con specifico riferimento alla posizione di esso singolo avente diritto; 2) provvisoriamente, se e quando il PM ritenga di far uso del potere discrezionale attribuitogli.

Nessun altro mezzo è consentito dalla normativa vigente; nè il particolare che il provvedimento di applicazione del beneficio abbia mero valore di "accertamento", implica che della causa estintiva il potenziale beneficiario possa giovarsi "per autodeterminazione" (e cioè senza attendere l'atto di applicazione della norma al suo specifico caso concreto).
Devesi pertanto ritenere che, nel caso di specie, allontanandosi dalla Comunità prima di qualsiasi provvedimento di formale rimessione in libertà, la abbia posto in essere una condotta corrispondente all'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 385 CP: tanto più che il provvedimento 7.2.91 del PM. avrebbe anche potuto non essere emesso (proprio perché "discrezionale"); e ancora, che dagli atti non risulta alcuna applicazione "definitiva" del beneficio in questione.
Le puntualizzazioni testè operate, e più in generale il complessivo contesto della vicenda, pongono comunque in evidenza (come già segnalato dal PG ricorrente) la necessità di approfondire l'esame in ordine alla sussistenza o meno, nel caso di specie, dello elemento soggettivo del reato di cui all'art. 385 CP.

Si impongono, conclusivamente, l'annullamento della sentenza impugnata e il rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Firenze (che si uniformerà ai principi di diritto enunciati dalla presente decisione).


P.Q.M

Annulla l'impugnata sentenza e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Firenze.
Così deciso in Roma il 13 gennaio 1998.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA, 27 FEBBRAIO 1998

 
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