Il ricorso proposto dal è fondato e merita accoglimento.
Alla data dell'allontanamento della Comunità (5.2.91) la si trovava in stato di legittima detenzione in forza di rituale provvedimento della competente autorità giudiziaria.
Come esattamente sottolineato dal ricorrente, l'indulto, pur attribuendo al condannato il diritto al condono (totale o parziale) della pena inflittagli, non opera direttamente sulle norme processuali che regolano l'esecuzione delle sentenze di condanna, nè sospendendole, nè derogando ad esse, nè modificandoli temporaneamente; esso indulto e i suoi effetti sono, infatti, previsti e disciplinati dal codice di procedura penale all'art. 672 (a sua volta correlato agli artt. 174, 182 e ss., 210 CP), secondo il quale: a) per l'applicazione del beneficio il giudice dell'esecuzione provvede senza formalità (per evidenti esigenze di carattere pratico, avuto riguardo al rilevante numero di provvedimenti da adottare); b) all'evidente scopo di non sacrificare inutilmente la libertà degli aventi diritto al condono, il Pubblico Ministero ha il potere discrezionale di "disporre provvisoriamente la liberazione del condannato detenuto.. prima che essa sia definitivamente ordinata con il provvedimento che applica l'indulto".
Appare, dunque, evidente che il condannato detenuto può riacquistare la libertà solo attraverso una delle vie testè ricordate: 1) definitivamente, con l'ordinanza del giudice che accerta la sussistenza delle condizioni di applicabilità dell'indulto con specifico riferimento alla posizione di esso singolo avente diritto; 2) provvisoriamente, se e quando il PM ritenga di far uso del potere discrezionale attribuitogli.
Nessun altro mezzo è consentito dalla normativa vigente; nè il particolare che il provvedimento di applicazione del beneficio abbia mero valore di "accertamento", implica che della causa estintiva il potenziale beneficiario possa giovarsi "per autodeterminazione" (e cioè senza attendere l'atto di applicazione della norma al suo specifico caso concreto).
Devesi pertanto ritenere che, nel caso di specie, allontanandosi dalla Comunità prima di qualsiasi provvedimento di formale rimessione in libertà, la abbia posto in essere una condotta corrispondente all'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 385 CP: tanto più che il provvedimento 7.2.91 del PM. avrebbe anche potuto non essere emesso (proprio perché "discrezionale"); e ancora, che dagli atti non risulta alcuna applicazione "definitiva" del beneficio in questione.
Le puntualizzazioni testè operate, e più in generale il complessivo contesto della vicenda, pongono comunque in evidenza (come già segnalato dal PG ricorrente) la necessità di approfondire l'esame in ordine alla sussistenza o meno, nel caso di specie, dello elemento soggettivo del reato di cui all'art. 385 CP.
Si impongono, conclusivamente, l'annullamento della sentenza impugnata e il rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Firenze (che si uniformerà ai principi di diritto enunciati dalla presente decisione).
P.Q.M
Annulla l'impugnata sentenza e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Firenze.
Così deciso in Roma il 13 gennaio 1998.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA, 27 FEBBRAIO 1998