In data 16.9.2003 la Polizia stradale di (…) provvedeva a denunciare A alla locale Procura della Repubblica per il reato di cui in epigrafe. A fondamento della notizia di reato vi era il verbale di contestazione di illecito amministrativo di data 14.9.2003 ore 19.25 e la documentazione allegata, consistente nell’esito di test etilometrici. Sulla base di detti elementi il p.m. provvedeva a richiedere e ottenere un decreto penale di condanna alla pena di euro 900,00 di ammenda sostituivi di giorni 10 di arresto. Si opponeva a detto decreto l’imputato, chiedendo la celebrazione del processo con rito abbreviato. Ammessa la parte al rito, il processo veniva discusso alla udienza e le parti concludevano come sopra indicato.
Motivi della decisione
Diverse erano le argomentazioni offerte dalla difesa. In primo luogo la difesa sottolineava vizi e carenze dei provvedimenti amministrativi, vizi che, peraltro, avevano già determinato, in sede di ricorso al Giudice di Pace di Udine, l’annullamento del verbale di contestazione della Polizia Stradale. Su altro piano valutativo venivano avanzate eccezioni di natura prettamente penale – processuale, relativamente al mancato esercizio del diritto di difesa. Al fine di chiarire entrambi gli aspetti si rende necessaria una premessa: gli organi di polizia perseguono di regola due distinte finalità: una prima, di polizia amministrativa, volta alla prevenzione di tutti gli illeciti e alla repressione degli illeciti amministrativi. Una seconda, di polizia giudiziaria, volta alla raccolta degli elementi probatori a seguito della commissione di un fatto – reato.
Per la prima attività leggi specifiche disciplinano forme e modi dell’accertamento.
Per la seconda attività fonte primaria di regolamentazione di tutti gli aspetti possibili (raccolta delle prove, valutazione delle prove, ecc.) è, e non può che essere, il codice di procedura penale. Tali attività sono del tutto distinte in ragione della totale diversità dei valori e degli interessi collettivi tutelati. Ciò comporta che non necessariamente la violazione di forme e procedure amministrative (anche tali da determinare la nullità/inesistenza dell’atto di accertamento) determina l’insussistenza della fattispecie penale.
E’ la conformità della condotta alla fattispecie della norma penale che determina la sussistenza oggettiva del reato (nel caso in esame la guida in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcoliche). La norma non richiama e non presuppone in alcun modo la sussistenza di un precedente provvedimento amministrativo valido ed efficace.
Pertanto la mancata osservanza di procedure amministrative e, persino, il radicale annullamento del verbale amministrativo di contestazione della violazione dell’art. 186 Cons. St. non comporta affatto l’automatica insussistenza della fattispecie penale.
Il ragionamento non muta passando dal piano sostanziale al piano procedurale – probatorio.
E invero se la norma sanziona la condotta oggettiva della guida in stato di ebbrezza, in sede di valutazione penale qualsivoglia elemento probatorio acquisito in modo conforme alla disciplina processuale può fondare il giudizio di convincimento circa la sussistenza della fattispecie (v. Cass. S.U. 5.2.1996 n. 1299).
Sulla base di detta premessa vengono a cadere tutte le argomentazioni difensive fondate su vizi e conseguente annullamento del provvedimento amministrativo.
Viene invece in evidenza il rilievo primario del rispetto delle regole procedurali penali, a fini della raccolta degli elementi probatori necessari alla formazione del libero convincimento del giudice.
In tale ottica il primo problema che si pone è quello di individuare il momento in cui gli organi di polizia debbano, in ragione della duplica valenza della loro attività (amministrativa e di polizia giudiziaria), conformare la loro attività al rigoroso rispetto delle norme processuali – penali. La soglia di demarcazione non può che essere individuata nella consapevolezza della già avvenuta consumazione (o meno) di un reato. Qualora l’organo di polizia abbia il fondato e oggettivo convincimento di trovarsi di fronte a un fatto reato, peraltro riconducibile a un soggetto identificato, deve procedere applicando le norme del codice di procedere applicando le norme del codice di procedura penale. Certo spesso la casistica propone situazioni in cui non è agevole determinare se effettivamente al momento del primo intervento degli organi di polizia fosse già astrattamente configurabile una ipotesi di reato. Nel caso di specie la situazione è invece decisamente chiara: la polizia stradale, dopo aver fermato l’imputato per ordinari controlli preventivi – amministrativi, immediatamente rilevava di trovarsi innanzi a soggetto “in stato di ebbrezza alcolica evidenziato da alito vinoso”.
Proprio per tale ragione la polizia stradale decideva di consolidare detto convincimento con un’attività tecnica di raccolta immediata della prova con test etilometrici. Vero è che le circostanze erano tali da poter ragionevolmente determinare il convincimento di trovarsi di fronte a una fattispecie di reato attribuibile a soggetto determinato.
Diverso sarebbe stato il caso in cui, a seguito di ordinari e casuali controlli amministrativi e pur in presenza di un soggetto apparentemente privo di qualsivoglia alterazione comportamentale esterna, la polizia stradale avesse ritenuto, per suo scrupolo professionale, di sottoporre comunque il soggetto a controlli amministrativi tecnici maggiormente approfonditi (test etilometrico). In tal caso la mancata preventiva rappresentazione concreta del fatto reato e del potenziale responsabile, avrebbe giustificato la prosecuzione delle attività sul piano meramente amministrativo sino all’esito dell’accertamento tecnico.
La sussistenza, di contro, delle circostanze di cui sopra avrebbero dovuto determinare un cambio di registro nell’attività di accertamento dal piano meramente amministrativo a quello prettamente penale giudiziario.
L’accertamento tecnico del tasso alcolico del sangue può essere inquadrato nella categoria degli accertamenti urgenti di polizia giudiziaria su persone, al fine di evitare la dispersione degli elementi nella impossibilità di un intervento immediato della autorità giudiziaria (art. 354 commi 1 e 3 c.p.p.).
Per detta categoria di atti l’art. 114 disp. art. c.p.p. prevede il dovere per l’ufficiale di polizia giudiziaria, di informare preventivamente l’indagato, se presente, della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia. Si noti, peraltro, che detto dovere di informazione non comporta il dovere di avvisare anche il difensore ovvero di attendere necessariamente l’arrivo del difensore. In sostanza è facoltà del difensore intervenire quanto prima per eventualmente assistere all’atto. Ciò nel caso di specie non avveniva. Da nessun atto emergeva la rappresentazione all’indagato di tale facoltà e solo nel verbale di identificazione (successivo all’esecuzione dei test) veniva rappresentato all’indagato il diritto a farsi assistere da difensore di fiducia. Il verbale di accertamento tecnico di data 14.9.2003 (ore 15.35) indicava l’orario delle misurazioni alle 15.30 e quindi alle 15.42. In detto atto nessun avviso veniva formulato alla parte circa la facoltà di farsi assistere da difensore di fiducia nel corso degli accertamenti urgenti. Il successivo verbale di identificazione veniva redatto alle ore 15.45, anch’esso senza nulla riferire circa le facoltà difensive della parte (peraltro già consumate).
Deve essere pertanto affermata la violazione dell’art. 114 disp. art. c.p.p.
La qualificazione dei testi etilometrici come accertamenti urgenti ai sensi dell’art. 354 implica la facoltà del difensore di assistere a dette attività, seppure senza preavviso, a mente dell’art. 358 c.p.p. Ciò ulteriormente comporta, a monte dell’art. 366 c.p.p., l’obbligo del deposito degli atti nella Segreteria del Pubblico Ministero entro il terzo giorno successivo, previo immediato avviso di deposito al difensore. Anche detto incombente non è stato assolto, in violazione alla norma da ultimo citata.
La violazione di entrambe le norme, andando a incidere sull’assistenza dell’imputato, è causa di nullità a regime intermedio di ordine generale ai sensi degli artt. 178 e 180 c.p.p., tempestivamente eccepita (peraltro una delle nullità afferisce ad attività non compiute alla presenza della parte). Ne consegue l’inutilizzabilità dei test etilometrici per entrambe le ragioni sopra esposte.
Ciò, richiamandosi a quanto in premessa riferito circa l’autonomia del processo penale, non necessariamente comporta l’assoluzione dell’imputato.
E’ ben vero che altri elementi di prova, liberamente valutabili dal giudice, avrebbero potuto condurre a un giudizio di penale responsabilità. Tuttavia nel caso concreto, peraltro in sede di giudizio abbreviato, l’unico elemento probatorio diverso dai test etilometrici (nulli) è la generica affermazione riportata nel verbale di contestazione circa la presenza di alito vinoso. Detta circostanza, quand’anche vera e attendibile, può ben essere indice sintomatico nella fase di indagine della sussistenza indiziaria di un fatto reato (e di un indagato), con tutte le conseguenze indicate. Non può essere invece elemento sufficiente a fondare un giudizio di colpevolezza nella fase del vero e proprio giudizio, essendo di per se stesso, un dato parziale, generico e legato a valutazioni qualitative del tutto soggettive degli operatori di polizia giudiziaria. Non emerge infatti dagli atti neppure una qualsivoglia differente condotta sintomatica tipica della casistica in esame (eloquio disarticolato ovvero incomprensibile, andatura incerta, stato soporifero ecc.).
Per tali ragioni, in difetto di valida prova, l’imputato deve essere assolto per insussistenza dello stesso fatto reato contestato.
P.Q.M.
letti gli artt. 438 e segg., 530 c.p.p.
previa revoca del decreto penale in atti,
assolve
A dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste.
Motivazione riservata in giorni 30.
Udine, lì 23 febbraio 2005
Il Gip
Dr. Paolo Alessio Verni