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Penale.it - Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 10 aprile 2006 (dep. 24 maggio 2006), n. 18092/2006 (611/2006)

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Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 10 aprile 2006 (dep. 24 maggio 2006), n. 18092/2006 (611/2006)
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Vizio di motivazione: poche novità dalla legge Pecorella

                           REPUBBLICA ITALIANA
                     IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                     
                        SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PIZZUTI Giuseppe - Presidente
Dott. ROTELLA Mario - Consigliere
Dott. NAPPI Aniello - Consigliere
Dott. DI TOMASSI Maria Stefania - Consigliere
Dott. BRUNO Paolo Antonio - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
                              SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) B.R., n. a ...;
2) S.A.,  n. a ...;
3) R.A., n. a ...;
avverso la sentenza della Corte d'appello di Messina depositata il 19 maggio 2005;
Sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Aniello Nappi;
Udite le conclusioni del P.M. Dott. Delehaye E. che ha chiesto il rigetto.
Udito, per la parte civile, l'Avv. M.G..
                       MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Messina ha confermato la dichiarazione di colpevolezza di  B.R., S.A. e  R.A. in ordine al delitto di violenza privata ai danni del minore undicenne C.A., trascinato nella baracca di un cantiere e  costretto a subire un'umiliante nudita'; ha confermato altresi' la dichiarazione di colpevolezza di B.R. in ordine al delitto di lesioni personali ai danni del minore, picchiato mentre cercava di fuggire dalla baracca.
Ricorrono per cassazione gli imputati e propongono quattro motivi d'impugnazione.
Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione dell'art. 522 c.p.p., lamentando di essere stati condannati per fatti  risultati insussistenti, in particolare a carico di R.A., e qualificati dal tribunale diversamente dall'originaria contestazione di sequestro di persona.
Con il secondo motivo i ricorrenti deducono violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, lamentando che sia rimasta priva di motivazione l'affermata partecipazione ai fatti di R.A., cui potrebbe tutt'al piu' addebitarsi una minaccia.
Con il terzo motivo i ricorrenti deducono ancora violazione di legge e vizio di motivazione, eccependo l'inutilizzabilita'   delle dichiarazioni del teste minorenne D.L., in quanto riferite dalla madre e da un ispettore di polizia, e comunque  una loro errata valutazione sia in ordine all'effettiva azione violenta di B.R. sia in ordine alla partecipazione ai fatti di
R.A..
Aggiungono che anche C.A., il minore persona offesa, ha escluso in dibattimento di essere stato picchiato da B.R., in contrasto con la versione da lui resa nelle indagini preliminari, ma in conformita' a quanto dichiarato dagli altri testi, ritenuti tuttavia falsi dai giudici del merito.
Con il quarto motivo infine i ricorrenti deducono ancora violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, lamentando che i giudici del merito abbiano negato a B.R. sia l'esimente della legittima difesa sia l'attenuante della provocazione, benche' fosse emerso dall'istruzione dibattimentale l'atteggiamento provocatorio di C.A., intenzionato a danneggiare la vettura dell'imputato.
Il ricorso e' inammissibile per violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, perche' propone censure manifestamente infondate, in quanto non comporta illegittima modificazione del fatto la qualificazione come violenza privata dell'originario addebito di sequestro di persona, e attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente   giustificata con riferimento a una plausibile valutazione di attendibilita' delle dichiarazioni rese dal minore persona  offesa C.A., in quanto corroborate dalla deposizione della madre, oltre che da talune fotografie e dal referto medico, e  non smentite dalle false dichiarazioni rese dai testimoni della difesa in contraddizione con quanto affermato dagli stessi imputati.
Infatti, nel momento del controllo di legittimita', la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti ne' deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilita' di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass., sez. 5^, 30 novembre 1999, Moro, m. 215745, Cass., sez. 2^, 21 dicembre 1993, Modesto, m. 196955). 
Secondo la comune interpretazione giurisprudenziale, del resto, l'art. 606 c.p.p. non consente alla Corte di Cassazione  una diversa lettura dei dati processuali (Cass., sez. 6^, 30 novembre 1994, Baldi, m. 200842; Cass., sez. 1^, 27 luglio 1995, Chiado', m. 202228) o una diversa interpretazione delle prove (Cass., sez. 1^, 5 novembre 1993, Molino, m. 196353, Cass., sez. un., 27 settembre 1995, Mannino, m. 202903), perche' e' estraneo al giudizio di legittimita' il  controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali;  e l'art. 606 c.p.p., lettera e), quando  esige che il vizio della motivazione risulti dal testo del provvedimento impugnato, si limita a fornire solo una corretta  definizione del controllo di legittimita' sul vizio di motivazione. 
Ne' questa interpretazione puo' risultare superata in ragione della modifica apportata all'art. 606 comma 1, lettera e) c.p.p. dalla L.20 febbraio 2006, n.46, art. 8, con la previsione che il vizio di motivazione puo' essere dedotto quando risulti non solo dal testo del provvedimento impugnato ma anche "da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame".
Questo riferimento va evidentemente interpretato in un senso che non privi di qualsiasi significato il limite della contestualita' imposto dalla stessa disposizione; e quindi va interpretato come riferibile solo agli atti dai quali derivi un obbligo di pronuncia che si assuma violato dal giudice del merito, come ad esempio la richiesta di una circostanza attenuante o della sostituzione della pena detentiva.
Infatti, se il vizio di motivazione deve risultare dal testo della decisione impugnata, come tradizionalmente si riconosce anche quando si attribuisce in via esclusiva al giudice del merito la selezione delle prove, questa selezione non puo' essere censurata neppure se il ricorso risulti effettivamente autosufficiente, perche' il divieto di accesso agli atti istruttori e' la conseguenza di un limite posto all'ambito di cognizione della Corte di Cassazione, non ha una funzione  solo "logistica", che possa essere soddisfatta mediante la trascrizione dei verbali di prova nel ricorso. 
Non c'e' nessuna prova, in realta', che abbia un significato isolato, slegato, disancorato dal contesto in cui e' inserita. Puo' accadere che una prova abbia un significato determinante; ma per poter stabilire se una prova non considerata dal giudice del merito abbia effettivamente un significato probatorio pregnante, occorre comunque una valutazione complessiva di tutto il materiale probatorio disponibile.
Sicche', il significato delle prove lo deve stabilire il giudice del merito, non lo puo' definire il giudice di legittimita' sulla  base della lettura necessariamente parziale suggeritagli dal ricorso per cassazione.
D'altro canto e' indiscusso nella giurisprudenza di questa Corte che "a base del libero convincimento del giudice possono essere poste sia le dichiarazioni della parte offesa sia quelle di un testimone legato da stretti vincoli di parentela con la medesima" (Cass., sez. 3^, 5 marzo 1993, Russo, m. 193862; Cass., sez.4^, 26 giugno 1990, Falduto, m. 185349).
Sicche', la deposizione della persona offesa dal reato, pur se non puo' essere equiparata a quella del testimone estraneo, puo' tuttavia essere anche da sola assunta come fonte di prova, ove venga sottoposta a un attento controllo di credibilita' oggettiva e soggettiva (Cass., sez. 1^, 28 febbraio 1992, Simbula, m. 189916; Cass., sez. 6^, 20 gennaio 1994, Mazzaglia, m. 198250; Cass., sez. 2^, 26 aprile 1994, Gesualdo, m. 198323; Cass., sez. 6^, 30 novembre 1994,  Numelter, m. 201251; Cass., sez.  3^, 20 settembre 1995, Azingoli, m. 203155), non richiedendo necessariamente  neppure riscontri esterni, quando non sussistano situazioni che inducano a dubitare della sua attendibilita' (Cass., sez. 6^, 13 gennaio 1994, Patan, m. 197386, Cass., sez. 4^, 29 gennaio 1997, Benatti, m. 206985, Cass., sez. 6^, 24 febbraio 1997, Orsini, m. 208912, Cass., sez. 6^, 24 febbraio 1997, Orsini, m. 208913, Cass., sez. 2^, 13 maggio  1997, Di Candia, m. 208229, Cass., sez. 1^, 11 luglio  1997, Bello, m. 208581, Cass., sez. 3^, 26 novembre 1997,  Caggiula, m. 209404).
              
                   P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del procedimento e ciascuno al versamento della somma di Euro 500,00 in favore della Cassa delle Ammende. 
Condanna altresi' i ricorrenti in solido al rimborso delle spese in favore della parte civile, liquidandole in complessivi  Euro 3.100,00 di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge.
Cosi' deciso in Roma, il 10 aprile 2006.
Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2006
 
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